Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Yu_    04/02/2021    3 recensioni
“Levi, ti va di raccontarmi cosa è successo?” gli chiese scostandogli i capelli.
Il giovane spostò lo guardo su di lei. Non voleva parlarne, non voleva ricordare. Come poteva farlo? Come poteva ripercorrere quegli attimi di orrore senza morire di nuovo dentro? Eppure sapeva che doveva farlo se non voleva finire mangiato dai sensi di colpa. Anche se il suo scopo quella sera era dimenticare il suo nome.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sera.

Locanda.

E una calma insolita nella Città Sotterranea. Generalmente era sempre piena di tafferugli e, specialmente quando calava il sole, furti e scippi aumentavano negli angoli più loschi di quel buco dimenticato da Dio. Quella sera no. Sembrava che gli eventi dei giorni prima avessero spaventato a morte anche i peggiori criminali, tanto da farli sparire dalla circolazione.

In mezzo a tutto quel degrado, una figura elegante si apprestava ad avvicinarsi alla locanda. Taglio corto militare, giacca e pantaloni neri, camicia bianca e foulard intorno al collo. Non era particolarmente alta, ma il portamento fiero la rendeva superiore a tutti. Non appena entrò, il silenziò calò improvvisamente dentro il locale. Tutti la conoscevano, tutti sapevano quanto fosse letale: dire qualcosa avrebbe significato morte certa. La figura scrutò nei minimi dettagli tutte le persone presenti, cercando di individuare possibili nemici, ma in quel momento non ce n’erano. Senza dire niente si diresse verso il bancone e piano piano le persone ricominciarono a parlare.

“Capitano Levi!” esclamò l’oste, lieto di vederlo. “È da tanto che non la vediamo da queste parti. Cosa le offro?”

“Dammi il solito!” esclamò il Capitano, piatto. “Una bottiglia intera. Stasera voglio scordarmi anche come mi chiamo.”

L’oste annuì sorridendo e si girò per cercare l’alcolico preferito del Capitano. Alcune delle persone presenti ogni tanto gettavano lo sguardo verso Levi per capire che intenzioni avesse, ma lui non ci fece troppo caso. Levi Ackerman quella sera voleva bere fin quasi a morire. Come aveva chiarito poco prima, voleva dimenticare anche il suo nome. Se voleva togliersi qualche pensiero dalla testa sapeva sempre che quello era il posto giusto.

L’oste porse una bottiglia e un bicchiere al Capitano. Il giovane versò un po’ del contenuto nel bicchiere e iniziò a bere, rimanendo seduto al bancone. Sentì subito il sapore aspro di quella bevanda e l’alcol gli arse prima la gola, poi lo stomaco. Un brivido gli percorse la schiena: non sentiva quella sensazione da tempo. Essendo il Capitano della Squadra Operazioni Speciali non beveva mai perché doveva essere sempre pronto per qualsiasi evenienza. Tuttavia quella sera non gli importava. Il Capitano Levi voleva scordarsi anche il suo nome.

“Questo è un comportamento che non si addice a un Capitano.” Disse una voce femminile con tono vellutato. “Se sei qui è perché è successo qualcosa di grosso.”

Levi si girò verso la persona che aveva appena parlato e rimase colpito: davanti a lui c’era una donna con lunghi capelli neri ordinati, abito scuro da cerimonia, e trucco leggero ed elegante. Delle lievi occhiaie le contornavano gli occhi e camminava zoppicando su una stampella.

“Brunilde…” disse Levi ancora perplesso.

“Proprio io, in carne e ossa.” Rispose lei, malinconica. “Non essere così sorpreso, sai che capito spesso da queste parti.”

Il Capitano non sapeva perché la sua presenza in quel luogo l’avesse stupito così tanto. Forse perché la conosceva da quando erano entrati insieme nell’esercito.

“Lascia che ti aiuti!” disse lui, alzandosi per spostarle la sedia e farla accomodare.

“Non ricordo un Levi Ackerman così gentile!” commentò lei, mentre si appoggiava a lui e si sedeva delicatamente. “Deve essere successo proprio qualcosa di grave.”

“Stasera sei più pungente del solito.” Commentò lui in tono acido. “Che ti è successo?”

“Ho solo incontrato un vecchio amico.” Rispose lei, accennando un sorriso.

Levi si sedette di nuovo e si versò un altro bicchiere di liquido nero che bevve tutto d’un fiato.

“Oste, uno anche per me!” esclamò la ragazza.

“Sai che non reggi questa roba!” commentò Levi.

“Sai che non dovresti nemmeno toccare un goccio di alcol.” Ribatté lei. “Quel lavoro lascialo a quegli stolti della Guarnigione!”

L’oste arrivò di nuovo con una bottiglia e un bicchiere uguali. La giovane pagò e si mise a bere insieme al Capitano.

“Ma evidentemente ti è successa qualche sventura.” Continuò lei. “Quindi va bene così, non ti giudicherò.”

Levi non proferì parola e continuò a fissare il suo bicchiere. Era andato lì per dimenticare, non per ricordare. Il fatto che Brunilde non lo stesse forzando a parlare era gratificante.

“Come stai, Brunilde?” disse lui, cambiando argomento. “Non ti vedo da…”

“Da quando ho avuto quell’incidente che mi ha fatto perdere una gamba.” Concluse lei. “È bello che te ne interessi.”

Era palesemente sarcastica e Levi sentì una coltellata allo stomaco. Mesi prima, durante una missione fallimentare all’esterno del Wall Rose, Brunilde era stata quasi mangiata da un gigante. Solo grazie alla sua tenacia e alla sua forza straordinaria era riuscita a reagire e a scappare da quel mostro. Tuttavia ci aveva rimesso mezza gamba ed era stata congedata dall’esercito perché non poteva più svolgere il suo servizio per il Corpo di Ricerca. Sarebbe stata solo d’intralcio. Il fatto più curioso era che si era ritrovata nella bocca di un gigante proprio per salvare il Capitano, che si era distratto per un istante e non l’aveva visto arrivare. Se non ci fosse stata Brunilde, probabilmente sarebbe morto. Le doveva la vita e in tutti quei mesi non era stato a trovarla nemmeno una volta, troppo preso da Eren e dai suoi compiti in quanto Capitano.

Decise di non replicare perché la ragazza aveva ragione: era imperdonabile e non aveva scuse. Prese la bottiglia e versò un altro po’ di liquido. Era passata nemmeno mezzora dal suo arrivo e già era arrivato a metà.

“Cosa ci fai qui?” chiese, cambiando di nuovo argomento. “Non ricordavo di averti mai visto da queste parti.”

“In qualche modo devo pur vivere!” esclamò lei, buttando giù tutto il suo bicchiere. “La pensione dell’esercito è dignitosa, ma per arrotondare faccio l’unica cosa che mi ha sempre gratificato e che non smetterò mai di amare: suonare il pianoforte.”

“Hai ripreso a suonare?” chiese lui incredulo.

Anni prima, durante l’addestramento, Levi stava camminando avanti e indietro davanti al suo dormitorio. Era inquieto e non riusciva a dormire perché aveva visto i membri del Corpo di Ricerca tornare dimezzati da una missione all’esterno delle mura. Improvvisamente aveva visto una figura sgattaiolare verso l’edificio centrale, deserto a quell’ora della notte. Non avendo visto chi fosse, si era messo subito in guardia, pronto a colpire chiunque fosse il nemico. Tuttavia la figura era piccola, ricordava una donna, e non sembrava che volesse fare del male a qualcuno. Nonostante ciò si era messo a seguirla a distanza per non destare sospetti. Era entrato nel refettorio e aveva sceso le scale che si trovavano sotto una botola nascosta. In fondo alle scale c’era un corridoio che culminava con una porta. La figura si era guardata intorno per accertarsi che nessuno l’avesse seguita, poi sparì nella stanza. Levi si era appostato vicino alla porta, che lei aveva lasciato aperta. E fu lì che la sentì. La musica travolgente di un pianoforte iniziò a risuonare per tutto l’edificio. Una valanga di note inondò violentemente la sala e il cuore di Levi. Non aveva mai sentito un suono così bello, un tocco così leggero, ma al tempo stesso potente e deciso. Quella sera era rimasto stregato e si era lasciato trasportare in un’altra dimensione dalle emozioni scaturite da quella figura che poi scoprì essere Brunilde.

“Non ho mai smesso.” Rispose la ragazza. “Dovresti venire a sentirmi qualche volta.”

“Sai che…”

“Sì, sei molto impegnato.” Tagliò corto lei. “Non preoccuparti, ci sono abituata.”

“Ragazza!” la chiamò il proprietario della locanda e lei si girò. “Dai, è il tuo momento!”

“Con permesso.” Disse lei rivolta a Levi. “Spero rimarrai a sentirmi.”

Scese dalla sedia, prese la stampella e si avviò zoppicando verso il pianoforte. Era rialzato, su una sorta di palchetto improvvisato. Il proprietario la presentò a tutti, poi lei si sedette sullo sgabello e iniziò. Una nota lunga, accentuata dal pedale. Un’altra sempre lunga, ma più corta della prima. Infine una terza, ancora più breve. Da quest’ultima scaturì una valanga di note che si sovrapponevano in un’armonia perfetta. Era un pezzo veloce, ma che trasmetteva tranquillità. Levi chiuse gli occhi e di colpo si dimenticò del perché era lì. Si ricordò di quei pochi momenti belli che aveva avuto nella vita. Si potevano contare sulle dita delle mani, eppure bastavano per farlo sentire vivo. Gli tornò in mente il primo incontro con Brunilde, le loro lunghe chiacchierate, il momento in cui lui l’aveva scoperta a suonare il pianoforte e lei si era spaventata così tanto da fuggire senza nemmeno riconoscerlo. Se allora bastava così poco per renderlo felice, perché non abbandonava tutto? Ci aveva pensato a volte. Se avesse mollato il Corpo di Ricerca e si fosse fatto una vita tranquilla in campagna con una moglie e dei figli, sarebbe stato tutto più semplice. Eppure non ci riusciva. I suoi compiti, le sue responsabilità, il suo destino: la sua vita era legata in modo imprescindibile a tutto questo e non poteva tirarsi indietro. Era il Soldato più forte dell’Umanità.

Il primo pezzo si concluse. Il Capitano non aveva mai aperto gli occhi, come se fosse in una specie di trance. Tuttavia allo svanire della musica riaffiorarono tutti i suoi ricordi più orribili. Riaprì gli occhi e si versò deciso un altro po’ di quel liquido nero, mentre la musica ricominciava. Era un brano ancora più veloce del primo, quasi una fuga. Questo tuttavia non trasmetteva tranquillità, ma rabbia. Il Capitano strinse forte il bicchiere. Di colpo si ritrovò irato e gli venne voglia di spaccare tutti gli oggetti del locale. Perché aveva scelto quella vita? Perché aveva scelto di andare incontro alla morte così tante volte? Perché non poteva mai piangere i suoi compagni ed esternare quello che provava? Sicuramente era cinico, freddo, realista e probabilmente la persona più stronza sulla faccia della Terra. Eppure ogni volta che tornava da una missione fuori dalle mura si sentiva più vuoto che mai. Quanti compagni aveva perso? Quanti ne aveva visti morire senza poter fare niente? Quante morti erano state inutili? No! Nessuna morte era inutile, così si ripeteva sempre, ma lo pensava davvero? O era solo un modo per convincersi che comunque quelle persone avevano contribuito alla causa? Ormai aveva represso i suoi sentimenti così tante volte che sembrava diventato quasi una macchina, ma in realtà ogni volta moriva dentro.

Gli applausi furono fragorosi alla fine del secondo pezzo. Quella musica sembrava così inadatta per quel locale pieno di energumeni e criminali, eppure anche delle teste vuote come loro sapevano apprezzare qualcosa di bello. Levi stava fissando ancora il suo bicchiere; da quando Brunilde aveva iniziato il suo concerto non si era girato a guardarla nemmeno una volta, eppure aveva sentito tutto: ogni nota, ogni suo respiro mentre si concentrava ed esprimeva tutta sé stessa, ogni esitazione, ogni battito del suo cuore. E allo stesso tempo aveva pensato e ricordato momenti importanti della sua vita. Il terzo pezzo tuttavia scaturì ancora una nuova emozione in lui. Era lento, in una tonalità minore, quindi molto malinconico. Qui sopraggiunse la tristezza e di colpo, nonostante l’alcol stesse facendo effetto, si ricordò del motivo che l’aveva condotto lì e del perché voleva dimenticare il suo nome. Cercò in tutti i modi di toglierselo dalla testa, ma più ci provava, più quelle immagini gli ritornavano in mente. Erd con il corpo tranciato a metà; Petra con gli occhi vuoti sbattuta contro un albero; Gunther con la nuca tagliata; Auruo scaraventato a terra da un calcio del gigante Femmina. Il giorno prima tutta la sua squadra era stata annientata. E oltre al danno anche la beffa: durante il ritorno erano stati accattati da altri giganti e, per guadagnare tempo e poter tornare sani e salvi dentro le mura, avevano deciso di rilasciare i corpi dei defunti. Tra questi c’erano anche quelli dei suoi compagni. A questa situazione spiacevole si erano aggiunti gli sguardi delusi di un popolo che stava iniziando a dubitare dell’operato del Corpo di Ricerca. E ovviamente la disperazione dei parenti di coloro che erano venuti a mancare. Nonostante tutto era rimasto impassibile e non aveva versato nemmeno una lacrima. Era diventato proprio bravo a reprimere i propri sentimenti, ma quel vuoto causato da anni e anni di perdite di compagni non poteva essere colmato né da un bicchiere di alcol, né da una donna, né da quei miseri attimi di felicità. Forse solo con la morte avrebbe trovato pace. E mentre il terzo e ultimo pezzo si avviava alla conclusione, una lacrima solcò la guancia di Levi; la prima dopo anni e anni di repressione. E dopo quella ne seguì un’altra, poi un’altra ancora. Di nuovo uno scroscio di applausi. Per la prima volta da quando era iniziato il concerto, Levi si girò verso il palchetto e guardò Brunilde felice di ricevere lodi, complimenti e richieste per un bis. Tuttavia, quando lei incontrò lo sguardo di Levi contratto e sconvolto dal dolore, le sparì subito il sorriso dalla faccia.

“Scusatemi, signori, solo un attimo di pausa prima del bis!” disse lei al pubblico.

Tutti la guardarono contrariati, ma decisero che fosse giusto concederglielo. La ragazza prese la stampella e si diresse più velocemente possibile verso il Capitano, che nel frattempo aveva appoggiato la testa sul bancone e non si era più mosso da quella posizione. La sua schiena si alzava e si abbassava in modo irregolare, segno del fatto che stesse singhiozzando.

“Levi!” esclamò Brunilde, mettendogli una mano sulla spalla.

Il giovane non si mosse. Brunilde prese la bottiglia, la agitò e vide che era vuota.

“Levi!” disse di nuovo lei, scuotendolo. “Levi, guardami!”

Il Capitano alzò piano piano la testa e la guardò. Aveva gli occhi rossi e il volto sconvolto e rigato di lacrime.

“Quelle morti sono state tutte inutili!” urlò, mentre singhiozzava. “Tutti quei sacrifici non sono serviti a niente!”

Il silenzio calò improvvisamente nella stanza e i presenti si girarono verso di lui. Nessuno aveva mai visto il Capitano Levi ridotto in quel modo.

“Capitano, forse è il caso di prendere un po’ d’aria!” esclamò Brunilde a voce alta, in modo che tutti la sentissero. “Perché non andiamo a fare due passi fuori?”

“Preferirei morire.” Rispose lui.

“Sì, certo, poi ne parliamo.” Disse lei.

Mentre diceva questo lo prese per un braccio e lo mise sulla sua spalla. Levi stava dando spettacolo nella Città Sotterranea e non si poteva permettere di perdere la sua autorità.

“Brunilde, lasciami stare!” biascicò lui.

“Stai zitto e vieni con me fuori, idiota!” ribatté lei. “Non sopporto che tu faccia certe figure in questo posto.”

“Ragazza, il bis!” urlò un uomo.

“Sì, esatto, vogliamo più musica!” disse un altro.

“Scusate, il Capitano non si sente bene e io sono la responsabile che si assicura che non gli succeda niente.” Rispose lei. “Mi dispiace, sarà per un’altra volta!”

Le persone iniziarono a inveire contro di lei, ma al momento non le importava molto.

“Oste, aiutami a portarlo fuori!”

Insieme scortarono Levi fuori dal locale e fortunatamente non oppose resistenza. Lo fecero sedere a terra, con la schiena contro la parete, poi Brunilde congedò l’oste ringraziandolo. Il Capitano aveva lo sguardo vuoto e altre lacrime avevano ripreso a rigare il suo viso. Brunilde si sedette accanto a lui.

“Levi, ti va di raccontarmi cosa è successo?” gli chiese spostandogli i capelli.

Il giovane spostò lo guardo su di lei. Non voleva parlarne, non voleva ricordare. Come poteva farlo? Come poteva ripercorrere quegli attimi di orrore senza morire di nuovo dentro? Eppure sapeva che doveva farlo se non voleva finire mangiato dai sensi di colpa. Anche se il suo scopo quella sera era dimenticare il suo nome.

“Sono morti tutti, Brunilde!” singhiozzò lui. “Ho perso tutta la mia squadra e non ho potuto fare niente. Non li ho potuti piangere, non ho potuto dare loro una degna sepoltura. Tutto questo perché il mondo fa schifo e io mi sono stancato di viverci.”

Brunilde rimase perplessa perché non l’aveva mai sentito parlare in questo modo. In genere era lui a motivare sempre gli altri soldati e a spronare i più timorosi ad andare avanti e a non cedere alle proprie paure.

“Levi, hai tutto il diritto di piangerli.” Disse lei. “Perché non vuoi mai rivelare la parte migliore di te?”

“Se servisse a riportarli indietro piangerei fino a riempire un lago intero!” urlò lui. “Ma non è così! Noi dobbiamo dare una speranza all’umanità e alle giovani reclute. Dobbiamo essere forti e non scomporci davanti a certe atrocità, nonostante il desiderio di morire dopo aver visto quello scempio sia molto forte.”

Ci fu un attimo di pausa e il Capitano riprese fiato. Era agitato, il suo respiro irregolare e aveva tutti i muscoli contratti.

“Stasera ero venuto qui per dimenticare tutto, anche il mio nome.” Continuò. “Pensavo che se mi fossi scordato la mia identità sarei stato meglio. Se per un attimo avessi dimenticato chi è Levi Ackerman avrei potuto rifarmi una vita, assegnarmi dei nuovi ricordi, magari più felici, e un nuovo lavoro. Avrei potuto ricominciare tutto da capo.”

“Ma tutto questo non ha senso.” Disse Brunilde. “Sai che gli effetti di una sbronza svaniscono la mattina dopo.”

“No, infatti non ce l’ha.” Rispose lui. “Ma speravo di riuscirci. Sono ubriaco fradicio e comunque non sono stato in grado di togliermi quelle immagini atroci dalla testa. Non rivedrò mai più quei sorrisi, quelle facce amiche. È tutto finito. Forse è un bene che tu sia stata congedata, così non dovrai più vedere questi orrori e io non dovrò perdere anche te.”

Levi ricominciò a singhiozzare. Brunilde si accostò a lui, lo abbracciò e improvvisamente si sentì in colpa. Prima l’aveva accusato di non essere mai andato a farle visita da quando era stata congedata, ma non sapeva tutto quello che aveva subito, tutto quello che provava.

“Levi, tu non puoi mollare.” Disse Brunilde. “Sei il Soldato più…”

“No, non voglio più avere quel titolo!” la interruppe lui.

Brunilde lo fulminò con lo sguardo perché odiava essere interrotta.

“Levi, guardami.” Urlò. “Guardami, ho detto!”

Gli prese il volto tra le mani, gli asciugò le lacrime e lo guardò dritto negli occhi.

“Hai sempre aiutato tutti, hai fatto sempre il tuo dovere.” Disse lei. “Io ho imparato tanto da te, forse perché eri sempre perfetto in qualsiasi cosa tu facessi. Ricordo ancora quanto fossi terrorizzata durante la nostra prima missione. Ero giovane, inesperta e non mi ero mai confrontata con dei giganti. Ero talmente bloccata da non riuscire nemmeno a salire sul mio cavallo. Nessuno l’aveva notato, tranne te. Ti eri avvicinato a me, mi avevi preso la mano e mi avevi detto Stai tranquilla, ti copro io le spalle. Finché ci sono io, tu non morirai, e se lo farai, io verrò con te.

Mentre parlava di quel momento anche la ragazza iniziò a piangere.

“Te lo ricordi, Levi?” urlò lei. “E al nostro ritorno, stremati e dimezzati, avevi detto che nessuno era morto invano perché tutti avevano uno scopo nella vita e quei soldati avevano portato a termine il loro. Mi hai illuminato con le tue parole e da allora ho affrontato ogni missione con sempre più coraggio e sicurezza. È giusto continuare a vivere per questi ideali e noi dobbiamo combattere. Anche se il mondo fa schifo, ci sono sempre dei brevi sprazzi di felicità per cui vale la pena lottare. Io ti starò accanto e ti aiuterò a superare tutti i tuoi traumi, come tu hai fatto con me quella volta. Avrai sempre una spalla su cui piangere.”

Levi rimase colpito dalle sue parole e di colpo si destò. Aveva completamente dimenticato quel discorso con Brunilde all’inizio della loro prima missione. Aveva sentito un forte legame con quella ragazza fin dal primo momento in cui l’aveva incontrata. Come poteva averlo scordato? Forse aveva passato troppo tempo a rimuginare sui momenti più oscuri della sua vita.

Il Capitano guardò Brunilde, e suoi occhi azzurri incontrarono quelli scuri di lei. Una nuova emozione invase la testa di Levi. Si era appena reso conto di quanto tenesse a lei e di quanto fosse sempre stato incapace di esprimere sentimenti anche da quel punto di vista. La ragazza gli mise una mano sulla guancia e sorrise. Poi si avvicinò a lui, fino a posare le sue labbra su quelle del giovane. Il Capitano chiuse gli occhi e si godette quella sensazione nuova. Poi Brunilde si staccò.

“Volevo solo aggiungere un momento di felicità a quei pochi che hai.” Disse lei sorridendo.

Il Capitano la guardò e, senza dire niente, si avvicinò a lei e ricambiò il bacio. Non era delicato come quello che gli aveva dato lei, ma più spinto. La sua lingua si infilava con prepotenza dentro la bocca di lei e cercava la sua con smania. Brunilde rispose al bacio nello stesso modo violento. Le loro mani iniziarono a cercare i loro corpi, fino a rendersi conto che non potevano concludere lì la serata.

Si alzarono da terra e, barcollando, si avviarono verso casa di Brunilde che era quella più vicina. Nel tragitto, Levi cadde più volte a terra. Per Brunilde fu abbastanza difficile sorreggerlo, dato che lei camminava con una stampella, ma il fatto che era sbronzo la faceva morire dalle risate non avendolo mai visto in quello stato.

Dopo essere saliti dentro l’appartamento, ricominciarono a baciarsi. Si erano sempre cercati, c’era sempre stata tensione sessuale tra loro, ma non l’avevano mai esternata. Quel momento era tutto loro e finalmente potevano dare sfogo alle proprie emozioni. In breve tempo si ritrovarono senza vestiti e Levi non poté fare a meno di notare quanto fosse bella Brunilde anche senza una gamba. Si stese sopra di lei e iniziò a penetrarla, dapprima con spinte lente, poi sempre più veloci e intense. Lei gemeva e urlava il suo nome, mentre con le unghie gli graffiava la schiena. Levi la accarezzava, le baciava i seni e ansimava. Le urla e i gemiti aumentarono sempre di più nella stanza finché i due non raggiunsero l’apice insieme. Levi la guardò intensamente, la baciò ancora e poi sorrise. Lei lo strinse forte a sé per fargli sentire ancora una volta che non era da solo. E così dopo poco crollarono addormentati.

Il risveglio la mattina dopo fu burrascoso. Levi aveva un’emicrania fortissima e un senso di nausea che lo pervadeva dalla testa ai piedi. L’alcol aveva fatto il suo effetto e lui non l’aveva retto, non essendo più abituato. Si dovette sedere per non vomitare, poi andò in bagno e si sciacquò la faccia. Nonostante si fosse appena svegliato, i suoi pensieri iniziarono subito a vorticare e gli riaffiorarono alla mente i ricordi dei giorni prima. Gli sguardi vuoti dei suoi compagni annientati lo tormentavano ancora e non riusciva a toglierseli dalla testa. Si diede degli schiaffi in faccia, ma non servirono a niente. Gli venne da piangere e altre lacrime solcarono il suo viso. Tuttavia, quando tornò in camera e vide Brunilde distesa sul letto, ebbe un’epifania e i suoi pensieri cambiarono.

La ragazza dormiva beata, senza un briciolo di preoccupazione, e probabilmente anche altri milioni di persone stavano facendo lo stesso in quel momento, ignari dei pericoli che correvano ogni giorno. Nonostante i giganti e i milioni di morti dopo la breccia nel Wall Maria, il mondo non si era fermato. L’umanità era sicuramente rimasta sconvolta, ma era andata avanti. Le persone avevano continuato le loro vite recandosi al lavoro, a scuola, sposandosi, avendo figli e morendo. Nonostante la paura, c’era sempre un briciolo di felicità. Allora forse c’era speranza?

Si ricordò del discorso che Brunilde gli aveva fatto la sera prima e di quanto fosse giusto continuare a combattere per la bellezza del mondo. Era vero, niente avrebbe riportato indietro i suoi compagni, ma valeva la pena continuare a lottare perché anche loro credevano in quegli ideali per cui erano morti. Gli stessi in cui aveva sempre creduto anche lui. Avrebbe continuato il suo lavoro a testa alta per onorare la loro memoria. Non poteva considerarsi felice appieno, ma aveva un rinnovato spirito. Era il Soldato più forte dell’umanità e l’avrebbe continuato a dimostrare.

Levi Ackerman si sdraiò vicino a Brunilde, l’abbracciò e sorrise.

Levi Ackerman non voleva più dimenticare il suo nome.
 
 
 







 
Ciao a tutti!
Eccomi tornata con una nuova storia dopo anni in cui non scrivevo più su questo sito e in una categoria in cui non mi ero ancora mai cimentata. Devo confessarlo, l’Attacco dei giganti mi ha letteralmente rapito. Mi sono appassionata talmente tanto a questo anime e, in particolare, al Capitano Levi da scrivere questa one shot di getto. Mi sono divertita molto ad analizzare più a fondo l’aspetto introspettivo del suo carattere e soprattutto ciò che si nasconde dietro questo personaggio freddo e cinico. Dietro ogni carattere forte si cela sempre una personalità sensibile e fragile. Per farlo ho deciso di utilizzare un personaggio da me inventato (Brunilde) senza tenere conto degli eventi descritti in Birth of Levi (perdonatemi, ancora non l’ho letto D:).

Spero che questa storia vi abbia appassionato allo stesso modo in cui io mi sono divertita a scriverla. Se vi va, lasciatemi pure una recensione :)

A presto,

Miriam

   
 
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