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Autore: samaelstoker    07/02/2021    0 recensioni
Ora, accanto all'anonima tazza di Jason ce n'era un'altra.
[JayDick, !Established Relationship | 3570 parole]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I primi tenui colori dell'alba iniziavano a rischiarare le sagome scure degli alti edifici di Gotham. Qui e là, luci cominciavano ad accendersi alle finestre delle palazzine e la città iniziava a mettere in moto una nuova routine.

Nonostante tutto il tempo passato, tornare a Gotham anche soltanto per una notte continuava a lasciargli addosso un senso di frenesia, un pizzicore sottopelle che non riusciva a scacciare a volte per le settimane successive.

Con un gesto meccanico, Jason alzò il bavero della sua giacca a coprirgli parte del volto. Nonostante le giornate andassero accorciandosi, non era ancora particolarmente freddo. Jason fremette comunque, serrando la mascella. Se si fosse fermato a riflettere, forse l'avrebbe associato ad un riflesso condizionato radicato nella sua psiche fin da quando, poco più che bambino, si nascondeva in quegli stessi anfratti in giorni ben più freddi e con addosso abiti molto meno adeguati - non lo fece, però. Affrettò invece il passo.

L'appartamento, uno dei primi buchi che Jason aveva acquistato a Gotham dopo, si trovava in una delle peggiori zone della città, in un vicolo sporco la cui unica fonte di illuminazione consisteva in un lampione mal funzionante situato all'imboccatura e quasi solamente popolato dalla manciata di ratti che avevano nidificato nella fogna vicina.

C'era ancora quasi silenzio. La città andava pigramente svegliandosi ed i bassifondi non si erano ancora scrollati di dosso la surreale tranquillità che seguiva l'usuale trambusto notturno.

Jason si prese qualche momento di pausa all'entrata del vicolo, - soppesando l'idea di riprendere invece il proprio giro di ronda, le munizioni e l'elmetto pesanti nel logoro borsone che portava a tracolla -, prima di imboccarlo con passo svelto. Considerò anche di accendersi una sigaretta, solo per ricordare di aver fumato l'ultima forse soltanto mezz'ora prima. Era stata una nottata relativamente calma e Jason si era ritrovato a spenderne le ultime ore osservando la città dai tetti, fumando, logorandosi nell'attesa di qualcosa che potesse richiedere la sua attenzione.

(Per quanto le sigarette fossero un pessimo palliativo, erano anche l'unico che avesse a disposizione.)

Trovò Dick ad attenderlo vicino alla porta dell'appartamento, in piedi, la schiena poggiata al muro e la testa reclinata contro il petto, le mani infilate nelle tasche della felpa scura che aveva indossato sopra il costume da Nightwing. Non portava la maschera, forse anche questa nascosta in una qualche tasca. Sembrava quasi che si fosse appisolato in quella posizione.

(Non se l’aspettava.)

«Dick-» il resto, l’imprecazione, la battuta di pessimo gusto (uccellino addormentato), gli si annodarono in gola.

«Ehi,» Dick alzò il capo e, stiracchiandosi un poco, sorrise pigramente stropicciandosi gli occhi in una maniera infantile che su chiunque altro sarebbe stata stucchevole, «buongiorno.»

Jason si lasciò sfuggire una risata secca, più stanca che di scherno, senza ricambiare il saluto, armeggiando invece con le chiavi dell'appartamento. L'interno, poco più di un bilocale mal ammobiliato, non era migliore del vicolo poco illuminato e maleodorante su cui si affacciava, ma era il massimo che Jason volesse permettersi per il suo breve soggiorno a Gotham - buono per tenere un basso profilo e in una zona così poco frequentata da non dare nell'occhio, il più lontano possibile da Villa Wayne.

(Avrebbero dovuto essere due giorni. Un veloce giro di perlustrazione per far sputare il rospo ad un paio di stronzi e arrivederci, tante grazie per l'ospitalità. Scavando, gli stronzi si erano rivelati essere ben più di due e Jason stava marcendo a Gotham ormai da quasi una settimana.)

La porta, di un vecchio legno malandato e scrostato in più punti, si incastrò e Jason dovette aprirla con uno spintone. Dick chiese titubante se avesse bisogno d'aiuto. Jason lo zittì prima che potesse avvicinarsi e fece un paio di passi all'interno del locale. Si passò una mano sul viso, i guanti freddi e ruvidi sulla pelle sudata. Alle sue spalle, sentì Dick seguirlo esitante, strascicando le suole degli stivali sull'asfalto, quasi premurandosi che Jason fosse ancora conscio della sua presenza. Non poteva vederlo, ma Jason era sicuro che si fosse fermato sulla soglia, di nuovo in attesa. In teoria, Jason sapeva che avrebbe potuto mandar via Dick in qualunque momento. Sarebbe bastato anche solo un gesto - il dito medio alzato, se avesse voluto essere teatrale - e Dick sarebbe sparito così com'era arrivato.

Eppure, «Prego,» disse, suonando troppo poco sarcastico e molto più stanco, prima di attraversare svelto lo scarno ingresso e farsi strada verso la piccola cucina. Jason non attese che Dick lo seguisse, ma lo udì comunque chiudersi con attenzione la porta alle spalle e seguire i suoi passi.

C'era una stecca di sigarette che ricordava di aver abbandonato sul tavolo quella mattina. Lasciò cadere il borsone con un tonfo sul pavimento e si sfilò i guanti aiutandosi con i denti, con tanta fretta e tanta goffaggine da mordersi la punta delle dita nel processo, e iniziò a scartare metodicamente il pacchetto. Prese un profondo respiro solo quando ebbe finalmente la sigaretta fra i denti. Non si era reso conto di avere il fiato corto, né di aver afferrato il bordo del tavolo con abbastanza forza da essersi sbiancato completamente le nocche. Come non aveva registrato la presenza di Dick al suo fianco.

«Nottataccia,» disse Dick a bassa voce, poggiando una mano vicino a dove Jason stava torturando le sue, quasi sul punto di afferrarle. Cominciò a tamburellare lievemente la punta delle dita sulla superficie di legno scadente, «Jay?»

Jason si concentrò per qualche istante sul leggero tap tap delle dita di Dick. Regolarizzare il respiro divenne poco più semplice. Frugare nelle proprie tasche alla ricerca dell'accendino lo fu un poco di più ancora.

La fiammella tremò vistosamente quando Jason l’avvicinò alla sigaretta e tentò un tiro. «Mh,» abbozzò poi, in risposta al quesito di Dick, ed espirò una nuvoletta di fumo.

Prese un secondo tiro prima di aggiungere «Accomodati,» nel tono più casuale che riuscì a formulare, accennando con un gesto nervoso della mano alla coppia di sedie all'altro lato del tavolo.

Jason non attese una risposta da parte di Dick, gli diede invece le spalle e raccattò un paio di tazze abbastanza pulite dal lavandino e, dopo due tentativi a vuoto per accendere il fornello scassato del cucinotto all'altro lato della stanza, riuscì a mettere un piccolo bollitore sul fuoco.

L'orologio appeso sopra i fornelli segnava quasi le cinque del mattino. Scandì per un poco il silenzio, fino a che la batteria si esaurì una manciata di minuti più tardi.

A lavoro compiuto, Jason si voltò. Dick si era seduto, gambe accavallate, mani infilate nelle tasche della felpa e un sorriso (preoccupato) appena accennato ad incurvargli gli angoli delle labbra. Fece un patetico tentativo incrociare lo sguardo di Jason, ma questi lo distolse di nuovo per tornare a trafficare con fornelli e cassetti. Rimase quieto.

Col tavolo e più di qualche passo di distanza ora a separare lui e Dick, Jason non avrebbe comunque saputo dire se l'irrequietezza che gli formicolava in corpo stesse peggiorando.

(Dick avrebbe potuto andarsene da un momento all'altro, stanco di Jason e dei suoi sbalzi d'umore e dell'essere ignorato e trattato come una merda, se il suo inusuale silenzio suonasse come un campanello d’allarme--)

Fu ancora Jason a rompere di nuovo il silenzio, un attimo più tardi, «Qualcosa da bere?» disse, e sbatté con troppa forza il cassetto in cui stava frugando. Quando si voltò, tenendo fra le mani un pacchetto di tè preconfezionato mezzo vuoto e dal coperchio in parte strappato via, Dick nascose una smorfia tesa fingendo di passarsi una manica davanti alla bocca. Jason lo notò, «Credo di essere un po' a secco, comunque» aggiunse, scuotendo esageratamente la scatola «e di avere una scelta alquanto limitata.»

Per quanto non intendesse fare una battuta, le sue parole strapparono a Dick una breve (vuota) risata e, suo malgrado, anche Jason si trovò ad abbozzare un mezzo sorriso sbilenco ed ingoiare qualsiasi altra cosa volesse aggiungere.

«Qualunque cosa tu voglia offrirmi, Jay.»

Jason si morse la punta della lingua, poi «Earl Grey, di infima qualità» specificò (inutilmente, Dick conosceva benissimo quella confezione). Non era mai stata una delle miscele preferite di Dick, Jason si ritrovò a considerare, infilando le bustine nelle tazze. Nella sua predilezione per tutto ciò che potesse essere considerato dolce, Dick aveva sempre optato per qualcosa di più fruttato. (Jason aveva comprato apposta per lui un tè al cioccolato quando, di ritorno da un incarico che lo aveva portato molto lontano, era capitato in un piccolo negozio specializzato - ancora non glielo aveva consegnato, però.)

«Perfetto.» annuì Dick.

Non c'erano né zucchero né limone nell'appartamento e Jason si guardò bene da offrirne. Vista da un'angolazione storta e negativa, la situazione poteva quasi somigliare ad una beffarda (e stupida) metafora della relazione sua e di Dick. Jason si accese un'altra sigaretta.

Fumò in silenzio per un paio di minuti ancora. Dick osservava i riccioli di fumo con finto rapimento e Jason osservava Dick.

«Quella non mi sembra faccia parte del tuo solito guardaroba.» Jason accennò col mento alla felpa che Dick stava indossando sopra il costume - la zip era stata leggermente abbassata e Jason riusciva ad intravedere il tono di blu che l'adornava. Per quanto semplice e azzardato e piuttosto patetico come camuffamento, era infinitamente da lui. (E, in un altro momento, Jason ne avrebbe riso e, probabilmente, Dick con lui.)

Dick sfilò piano le mani dalle tasche e le alzò in un goffo segno di resa. Le maniche, che arrivavano a coprirlo fino alle nocche, gli si afflosciarono intorno ai polsi.

«La felpa è tua,» Dick fece un'espressione colpevole «l'ho diciamo, rubata, quando ci siamo visti l’ultima volta.»

Jason la ricordava, quella nottata. Dick l'aveva raggiunto verso la fine della sua ronda, quando quasi cominciava ad albeggiare, e Jason l'aveva ancora una volta accolto in uno dei suoi scarni appartamenti - uno che aveva frequentato parecchio, negli ultimi tempi, situato poco fuori da Blüdhaven e in cui aveva portato, mano a mano, per un motivo o per un altro, la maggior parte dei suoi (pochi) averi (perlopiù libri, armi). Era stata una notte calma, Dick era arrivato senza uno strappo al costume, volteggiando sui tetti come il bell'uccellino che era, e aveva porto a Jason un sacchetto del take-out ancora tiepido (riso alla cantonese, il suo preferito). Avevano mangiato sul tetto della palazzina, guardando il sole sorgere, prima di rientrare, e Dick si era quasi appisolato col capo poggiato sulla spalla di Jason dopo aver finito la sua porzione e parte di quella dell’altro.

Jason abbassò lo sguardo sul pavimento dalle mattonelle opache e sciupate, prima di infilarsi di nuovo con un po' troppa fretta le mani nelle tasche alla ricerca delle sigarette e l'accendino.

Inspira, espira. Una volta, poi di nuovo, e l'implicazione nella semplice ammissione di Dick, avvolto in una felpa di almeno un paio di taglie troppo grande per lui, si dissipò appena insieme al fumo della sigaretta.

Jason aveva una routine per serate come questa, quando la ronda era andata male ed il risultato era stato ben misero, quando l'informatore che avrebbe dovuto incontrare veniva invece trovato morto dietro i cassonetti di un bar di quint'ordine e l'indagine doveva ricominciare da capo. Non era nulla di particolarmente bizzarro o complesso. Erano un tè tiepido ed un pacchetto di sigarette consumati in solitario silenzio nella penombra del primo tra i suoi appartamenti che riusciva a raggiungere. Non erano la calma a cui anelava dopo notti come questa, ma sopivano almeno un poco quella rabbia cieca che gli nasceva in corpo, figlia del fallimento e dell’impotenza, allentavano il nodo che gli si formava alla gola. Inspira, espira, ed una tazza calda tra le mani. Ripetitività. E, per un poco, riusciva a smettere di pensare a tutti i se e i ma e i forse, fino a che il pacchetto e la tazza fossero rimasti pieni.

Ora, accanto all'anonima tazza di Jason ce n'era un'altra.

«Okay,» la voce gli uscì raschiante per il fumo, grattandogli la gola, e Jason non fece nessun tentativo di schiarirla «Okay. Puoi tenerla, se vuoi. Se ti fa piacere.»

Dick stava giocherellando con l'orlo delle maniche, arrotolandolo e srotolandolo un poco intorno ai polsi, «Sì, mi farebbe piacere.»

Jason tracciò il bordo di una delle tazze con le dita. Entrambe erano di uno squallido rosa confetto, sicuramente lì da prima che Jason acquistasse il locale, una un poco sbeccata.

«E,» di solito era Dick il chiacchierone. Jason non riusciva a ricordare un'altra volta in cui fosse stato suo il compito di condurre una conversazione, eppure «E, cos'hai fatto stanotte?» chiese, esitando appena sull'interrogativo.

Come Dick iniziò a parlare, lanciandosi in una ricostruzione generale della sua nottata di ronda, (perdendosi in piccoli dettagli insignificanti e tralasciando tutto il resto, su come fosse incappato nella chiusura di una panetteria e il proprietario gli avesse offerto una pagnotta avanzata e su come un gatto l'avesse seguito per un tratto della sua corsa sui tetti, eccetera eccetera eccetera), Jason si perse nel racconto. L'unico altro rumore nella stanza era il crepitio del fornello e, una volta, lo scatto dell'accendino quando Jason spense la propria cicca nel lavandino per accenderne una nuova, lasciando la meccanicità della routine espira-inspira l'unico punto focale delle sue azioni.

Quando l'acqua nel bollitore iniziò a borbottare, Jason aveva distrattamente infilato le mani nelle nelle tasche, sciolto la tensione che gli irrigidiva la schiena e il lieve sorriso di Dick si era accentuato.

Un'altra cosa di cui l'appartamento deficitava, erano gli utensili da cucina. Jason sopperì alla mancanza di presine coprendosi il palmo della mano con il polsino della propria giacca.

Poggiò una delle tazze colme, la meno rovinata, appena soltanto sbeccata, sul tavolo perchè Dick si servisse. Dick l’avvicinò a sé, ma non accennò a bere, stringendola pensoso, come se volesse scaldarsi.

Un appunto su Dick Grayson che Jason rammentava da un ammontare abbastanza vergognoso di tempo, riguardava la sua preferenza per le bevande calde. A Jason venne in mente un commento sarcastico a riguardo, ma quando fu sul punto di sputarlo fuori questo aveva già perso di significato. Lasciò che la situazione tornasse in stallo.

Jason tenne la propria tazza fra le mani, osservandone il contenuto troppo chiaro e la triste bustina che galleggiava al suo interno, continuando testardamente a fumare il mozzicone che aveva fra le labbra.

«Jay?»

Jason alzò un poco lo sguardo.

«Jay, potresti venire qui,» Dick si spostò sul bordo della sedia e Jason pensò che stesse per alzarsi, «per favore.»

Ancora, Jason avrebbe potuto dire di no. Schiacciare una seconda volta la cicca nel lavandino e bere il proprio tè.

Jason inghiottì il groppo alla gola, poggiò la propria tazza sul tavolo, accanto a quella abbandonata di Dick, e chiuse la distanza di pochi passi che li separava.

Jason notò la tensione nelle spalle di Dick solo quando questa si sciolse un poco e Dick tese una mano verso il suo viso, cautamente ma senza esitazione, quasi temesse che Jason si chiudesse di nuovo a riccio. Non lo fece. Anzi, si chinò un poco, andando incontro al lieve tocco di Dick, che gli accarezzò la guancia. Dick aveva le mani tiepide ma le punte delle dita ancora fredde.

Dick gli sfilò con attenzione la sigaretta dalle labbra, poi, ormai poco più di una cicca, osservando pensoso prima il filtro morsicato e poi Jason, e la spense schiacciandola contro la superficie del tavolo, già costellata da piccole macchie più scure in corrispondenza dei punti in cui Jason nei giorni precedenti aveva riservato ad altri mozziconi lo stesso trattamento.

Jason esalò l'ultima nuvola di fumo mentre osservava le ceneri del mozzicone spegnersi rapidamente, poi Dick gli prese il viso fra le mani, costringendolo ad abbassare ancora lo sguardo su di lui.

Dick era corrucciato, le labbra chiuse in una linea sottile e le sopracciglia lievemente aggrottate, lo sguardo apertamente preoccupato.

Jason schiuse la bocca, sul punto di dire qualcosa. Non riuscì a mettere insieme più di un esile sospiro.

Gli angoli della bocca di Dick si incurvarono appena e Dick accarezzò piano le guance di Jason, «Ehi,» sussurrò, «ehi.» e passò ad accarezzargli il collo, in un quasi maldestro tentativo di rassicurazione, poi le spalle, mani appena poggiate, cercando di non tramutare il tocco in qualcosa di invasivo. Assomigliava forse di più ad una richiesta di permesso.

Richiesta che arrivò un respiro più tardi, a bassa voce, «...sì?», con le dita di Dick che si insinuavano piano all'interno del colletto della giacca di Jason, fra armatura e pelle nuda, e giù ad accarezzargli la schiena fin dove potevano raggiungere.

Jason si incurvò fino a poggiare la propria fronte contro quella di Dick, mormorando una specie di assenso, e Dick alzò un poco il viso per baciarlo sulla bocca.

Fu breve, ma quando si separarono Jason avvolse a sua volta un braccio intorno alle spalle di Dick, annullando quella distanza fisica tra loro che aveva continuato a mantenere dall'inizio della serata.

«Hai le mani fredde, stronzo.» e anche la punta del naso, e le guance un po' arrossate, Jason notò quando Dick in risposta cercò le sue labbra per baciarlo ancora, e ancora, stringendolo con più forza, continuando a baciarlo sul viso, sorridendo.

Era una posizione ridicola; Dick seduto e Jason ancora in piedi, un braccio attorno a Dick ed uno a bilanciarsi contro lo schienale della sedia.

Dick dovette aver avuto un pensiero simile, perché premette un altro bacio sulla bocca di Jason e mormorò: «Più vicino,» e passò un braccio attorno alla vita di Jason, sbilanciandolo in un tentativo di avvicinarlo a sé.

Riacquistando l'equilibrio e la posizione eretta, Jason interruppe bruscamente il bacio.

«Ma che cazzo fai.»

«Niente.» Dick arricciò le labbra e tese le mani aperte verso Jason, che si accorse di essere istintivamente indietreggiato di un passo. Prese le mani di Dick fra le sue. Erano diventate tiepide, e notò Dick rabbrividire quando le strinse fra le sue, che dovevano essere gelide. Fece immediatamente per lasciare la presa, ma Dick intrecciò assieme le loro dita. «Va tutto bene,» disse e posò un bacio leggero sul dorso della mano destra di Jason «mi piacerebbe soltanto che tu fossi più vicino.»

Jason sentì la gola annodarsi e la rabbia e l’impotenza e la bile risalirgli in gola. Gli uscì una risata secca, amara, «No. Col cazzo che va tutto bene,» e tentò di liberare le mani dalla carezza di Dick, che invece assecondò il movimento e si alzò in piedi, «non dirmi che va tutto bene.»

«Allora dimmi cosa c'è che non va.» e c'era una nota amara anche nella voce di Dick.

Dick intrecciò per una seconda volta le dita di Jason alle sue, stringendo appena. Jason abbassò lo sguardo sulle loro mani giunte; le sue stavano visibilmente tremando. Di nuovo. E, ancora, prese un profondo respiro. Un pacchetto di sigarette l’aveva ancora nella tasca della giacca, il resto della stecca rimaneva sparpagliato sul tavolo a poco più di un braccio di distanza. Non ricordava dove aveva riposto l’accendino.

«Jason,» Dick mormorò, calmo e praticato «Jason, stai andando nel panico.»

«Non--» Jason iniziò, ma le parole gli si intrecciarono in bocca e l’insulto gli morì in gola, lasciandogli la mascella serrata e il respiro corto.

Ci fu un altro attimo di silenzio, in cui anche Dick abbassò lo sguardo.

«Vuoi che me ne vada?» disse, così piano che quasi Jason non riuscì a sentirlo.

Jason si aggrappò alla stretta di Dick, quasi conscio del kevlar sotto le unghie e dei segni che Dick avrebbe portato sui polsi la mattina seguente. Odiava come le volte che Dick l’aveva visto sul punto di rottura potessero contarsi su più dita di quelle di una sola mano, che Dick ormai anticipasse le male parole e la repulsione e nonostante tutto ricambiasse la stretta di Jason con altrettanto vigore, continuando ad offrirsi di rimettere insieme i pezzi.

«No.»

Dick annuì e poggiò la testa sulla spalla di Jason. «Sono qui.»

Jason fremette al contatto, ma prima che Dick potesse scostarsi Jason gli fece passare un braccio intorno alla vita, stringendolo in un goffo abbraccio. Dick liberò le loro mani ancora unite per ricambiare a sua volta la stretta. «Respira profondamente, Jay.» mormorò, infilando di nuovo le mani sotto la giacca di Jason, «Così, respira con me.»

Jason chiuse gli occhi. Una parte della sua mente continuava a dirgli che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel lasciare che Dick lo vedesse così, fragile e debole, sul punto di toccare il fondo, e probabilmente non avrebbe mai taciuto.

Quando la rabbia e la paura si quietarono e il nodo alla sua gola si sciolse un poco, Jason passò un braccio attorno alle spalle di Dick, fermandosi a passargli le dita fra i capelli scompigliati dalla notte passata a volare sui tetti. Azzardò una carezza maldestra, aggrovigliandosi qualche ciuffo di capelli fra le dita, tentando di replicare ciò che Dick aveva fatto a lui pochi minuti prima.

Jason scorse Dick sorridere debolmente e lo baciò sulle labbra.

Fu Dick ad interrompere il bacio, pochi attimi dopo. Jason fece una smorfia, cercando di nuovo la sua bocca.

«Vorresti parlarmi di stanotte?» mormorò tentativamente Dick, di nuovo, alzandosi poi sulle punte dei piedi per premergli un leggero bacio contro la tempia.

Jason poggiò la fronte contro quella di Dick, cincischiando per un poco con l'ipotesi di non rispondere, poi rafforzò la presa intorno alle spalle di Dick. Quando lui lo baciò ancora, sull'angolo della bocca, e rafforzò l'abbraccio a sua volta, Jason cominciò a raccontare.










post scriptum: dopo anni, riapprodo su questi lidi con una vecchia fic che non ho mai postato da nessuna parte nella sua versione italiana. sentivo il bisogno di dare una spolverata anche a questo account XD 
post scriptum 12/06/2017: il titolo viene da qui
grazie infinite a visbs88 che ha pazientemente dato un'occhiata alla versione italiana della storia e a IMightwing che mi ha aiutato a tradurla. non ce l'avrei mai fatta senza il vostro aiuto <3
pooooorca troia, non riesco a credere che sia veramente finita. ho speso talmente tanto tempo a lavorare su questa fic che non avrei mai creduto di vederne mai la fine. spero sia stato divertente leggerla quanto lo è stato per me scriverla.
potete trovarmi qui su tumblr: whenyoulosesmallmind

   
 
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