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Autore: Bibliotecaria    10/02/2021    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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13. Una questione di famiglia
 
 
Giulio si alzò di scatto e io lo seguii a ruota. “Anna!” Ripeté lui con tutto il fiato che aveva in corpo. “Stammi lontano! Sei un traditore della tua stessa specie! Ti odio!” Urlò la ragazzina, non doveva avere più di tredici anni, i sue due trecce svolazzavano accompagnandola nella sua corsa, la sua camicia bianca e vecchia le stava decisamente troppo grande, mentre la gonna troppo lunga le intralciava la corsa, infatti Giulio la afferrò in corsa. “Anna, per favore…” Cercò di calmarla ma la ragazzina protestava ed urlava come un’ossessa. “No, no! Ti odio! Ti odio! Sei un traditore! Un traditore!” Urlò lei con tutto il fiato che aveva in corpo scalciando per cercare di liberarsi.
A quel punto Giulio le tappò la bocca e la guardò dritta negli occhi. “Anna, zitta, se ci scoprono potrei finire in prigione.” La ragazzina si calmò di colpo e smise di scalciare.
Quello che aveva detto Giulio era una grossa balla: non si finiva in prigione per un rapporto consenziente con qualcuno di un’altra specie, non a Meddelhok quanto meno, però non si era di certo accettati e in certi casi si veniva persino perseguitati ma non incarcerati. A meno che non ci si trovasse davanti un branco di stronzi come ci era capitato pochi mesi fa.
“Bene Anna. Ora ti lascio, ma giurami che non farai scenate di alcun genere.” La bambina accennò un sì nervoso e allora Giulio la lasciò andare. “Sei cattivo Giulio.” Sussurrò Anna a sguardo basso. “Non è un posto adatto per parlarne Anna.” Disse Giulio guardandosi attorno notando, come me, una lunga serie di sguardi curiosi. “Diana vieni anche tu, per favore.” Lo seguii senza porre domande mentre ricevevo un’occhiataccia da quella nanerottola: ho sempre avuto un rapporto di amore e odio con i bambini, neanche la maternità mi ha cambiata molto, l’unico bambino che abbia mai amato incondizionatamente è sempre stato e sarà sempre e solo uno.
 
“Papà si arrabbierà quando lo saprà, e spezzerai il cuore alla mamma.” Lo rimproverò Anna guardandolo storto. Avrei volentieri dato una sberla in testa a quella ragazzina in quel momento poiché sapevo quanto per Giulio fosse difficile affrontare l’argomento. “Lo so, ma io la amo, non posso cambiare questa cosa Anna.” La bambina a quel punto fissò me con uno sguardo assassino, scrutatore ed indagatore. “Non mi guardare così, sono un’umana, ma questo non significa che mi stia approfittando di lui. Io lo amo e per questo sono qui con lui.” Risposi seccata dall’atteggiamento della sorellina di Giulio; nel frattempo mi accorsi che avevamo raggiunto la fermata degli autobus e che Giulio si era fermato lì, mi avvicinai a lui cercando di non farmi sentire dalla mezzatacca. “Giulio, che fai?” “Anna non sa tenere un segreto, a questo punto è meglio che tu venga con me e ti presenti la mia famiglia.”
Mi trovai d’accordo con Giulio ma anche mi sentii fortemente a disagio. Fu la prima volta in cui rimpiansi seriamente il mio essere umana: fino ad allora mi infastidiva ciò che molti umani facevano a chiunque appartenesse ad una specie diversa ma sapevo che esistevano anche umani che non erano così, e io mi ritenevo appartenente a questa categoria, però non potei fare a meno di pensare che se fossi stata una licantropa non ci sarebbero stati problemi nel mostrare la mia relazione con Giulio, ma anche se fossi stata qualsiasi altra cosa sarebbe stato meglio della me effettiva.
 
Il viaggio in autobus fu lento e snervante: Giulio aveva i nervi a fior di pelle, Anna lanciava occhiate di sdegno ogni due per tre a me o a suo fratello in base all’umore, mentre io mi torturavo le mani cercando di prepararmi psicologicamente a ciò che sarebbe potuto avvenire e mi ripetevo di non reagire violentemente qualunque cosa accadesse, dovevo tenere a bada il mio caratteraccio firmato Dalla Fonte.
Guardai fuori dal finestrino, per tentare di distrarmi, e notai che ci stavamo avvicinando alla parte Nord-ovest del cerchio più esterno della città e avevamo raggiunto una periferia abbandonata da tutti, vi vivevano solo morti di fame o operai, eppure era una parte considerevolmente ampia della città. Quasi tutte le persone si erano fermate prima ma io, Giulio e sua sorella continuammo a proseguire fino a superare la zona povera ad arrivare al capolinea che esso dava su un altro quartiere pieno di casupole messe abbastanza bene e relativamente nuove: erano appartamenti in case dai tre ai sei piani molto amate dai licantropi della zona visto che permetteva un continuo contatto trai vari componenti del branco.
Una volta scesa venni subito squadrata da almeno una ventina di occhi dorati, marroni e verdi, Giulio mi sorrise, per tentare di incoraggiarmi, ma era così teso che quel che ne uscì appariva più una smorfia. “Te la stai facendo sotto, vero?” Gli domandai cercando di spezzare la tensione. “No, sto solo pensando a cosa scriveranno sulla mia lapide.” Scherzò continuando a mantenere quella smorfia. “E tu, hai paura?” “No, sto solo pensando a come occulteranno il mio cadavere. Sinceramente spero che mi mangino, vorrei avere la possibilità di vivere dopo la morte.” Ammisi nervosa, a quel punto riuscì a farsi una risata.
 
 
Avevamo compiuto pochi passi quando chiesi di fermarci ad un telefono pubblico che usai per chiamare i miei genitori, visto che oggi sarebbero tornati a casa, ed essendo quasi le sette si sarebbero preoccupati, per quanto litigassimo certe cose non se le meritavano certe cose; per giunta volevo evitare l’ennesima litigata per un motivo inutile.
“Pronto? Qui Luisa Dalla Fonte.” Rispose mia madre. “Pronto mamma, sono io.” Sussurrai. “Diana! Finalmente hai imparato ad usare i telefoni pubblici. Torni per cena?” Mi domandò mia madre. “Non credo, probabilmente mi fermerò fuori a cena.” Le dissi mentre pregavo la Luna di non diventare la portata principale. “D’accordo, dove di grazia?” Mi domandò lei un po’ delusa. “A casa di Giulio.” Come lo dissi sentii mia madre sobbalzare. “Quindi glielo avete detto.” “No, ma si è presentata un’occasione propizia e vogliamo afferrarla.” Spiegai: avrei potuto raccontarle la verità ma sarebbe stato fin troppo imbarazzante. “Dico a tuo padre di fare dei giri di ronda per il quartiere?” Domandò mia madre. “Mamma!” “Scherzavo, è che… sono preoccupata, va’ bene? Ti stai comportando in maniera sempre più strana del solito Diana, all’inizio credevo che fosse per il tuo nuovo ragazzo, ma adesso ho paura che stia succedendo qualcos’altro.” A quelle parole strinsi il telefono con forza. “Diana, so che abbiamo molte divergenze, ma… se devo essere sincera, io… alle volte… vorrei essere come te.” Sentii tutto il mio corpo irrigidirsi: che storie erano mai quelle? “Mamma non sparare cazzate.” Risposi mentre mi pizzicavano gli occhi. “La lingua signorina. E comunque… dico la verità, tu hai la pura e semplice volontà di cambiare il mondo che hanno mantenuto poche persone a questo punto della vita.” A quelle parole qualcosa mi disse che doveva essere successo qualcosa di grave al lavoro ma non osai chiedere poiché sapevo che non mi avrebbe risposto. “Anche se sei una femmina non ti fai mettere i piedi in testa da nessun maschio, neppure da tuo padre. Hai il coraggio di dire le cose come stanno e come la pensi anche se ciò ti rende impopolare, e… inizio a credere che tu sia cosciente di cosa questo comporta e di quanto i tuoi ideali sfiorino l’irrealizzabile, ma tu Diana sei… sei… non so neanche cosa sei, come ho fatto ad avere una figlia così? Io sono solo una vigliacca che si limita ad eseguire gli ordini.” Mi strinse il cuore sentirla parlare così: non ero abituata a dei sinceri discorsi accorati madre e figlia.
“Mamma?” Sussurrai preoccupata, doveva essere successo qualcosa di veramente grave, oramai ne ero certa, o non si sarebbe mai aperta così, non con me. “Tu sei destinata alla grandezza Diana, io lo so. Quindi, per favore, non permettere che la mia codardia o la durezza di tuo padre ti tarpino le ali o che le asprezze che ti riserverà la vita ti impediscano di amare, poiché è questo che tu fai Diana: tu ami le persone per ciò che sono e per ciò che fanno, non per come appaiono, tua nonna lo sapeva, per questo ha scelto per te il nome Diana.”
 
Già, il mio nome, mi avevano raccontato quella storia mille volte da piccola.
Mia nonna aveva insistito parecchio perché il mio nome fosse Diana come l’eroina del mito che affronta mille pericoli per salvare il suo villaggio e la sua famiglia. Era una bella storia ma estremamente triste dato che alla fine l’eroina moriva. Da piccola avevo anche preso molto sul personale questa cosa e mi ero convinta che sarei morta giovane, ma erano solo sogni di una bambina.
 
“Quindi… per favore Diana, non ti fermare mai, insegui il tuo sogno, hai le capacità per farlo, ne sono sicura, solo… ti prego, ricordati che ciò che vuoi fare non avverrà da un giorno all’altro, puoi cambiare questo mondo, ma un passo alla volta. Non scegliere la via più semplice o quella più veloce, scegli quella più giusta, ti supplico, perché so che è quello che farebbe la mia bambina.”
Sentii le lacrime offuscarmi la vista, sentii che in quel momento avrei potuto dire tutto a mia madre, chiederle consiglio come quando ero piccola, ma non lo feci poiché sapevo già cosa sarebbe accaduto. “Non temere mamma, io me la caverò, non fallirò alla fine.” Le promisi. “Bene. Spero di esserci quando avverrà.” Non avrei compreso quelle parole se non anni dopo.
“Va’ bene, ciao mamma.” “Ciao cucciola, ti voglio bene.” A quel punto scoppiai a piangere, era un’eternità che nessuno mi chiamava più cucciola. “Diana?” Sussurrò mia madre. “Anch’io.” Chiusi la chiamata e mi afflosciai nella cabina telefonica, sentivo che quella era stata l’ultima occasione per me e mia madre di dire che ci volevamo bene, anche se non sapevo bene perché. Sembrava quasi che il muro che mi separava dai miei genitori alle volte fosse fatto di cemento altre di vetro, ma che con il passare del tempo diventava sempre più alto e invalicabile.
 
Ho pensato mille volte se scrivere o no la conversazione che ho avuto con mia madre quella sera. Una parte di me voleva rendere un minimo di giustizia a mia madre e far vedere quale donna fosse realmente, l’altra invece si vergognava di quello che la gente avrebbe pensato, ma ora sinceramente mi rendo conto che quando queste pagine verranno lette io sarò già morta, quindi preferisco raccontare questo piccolo aspetto della personalità di mia madre che lasciare tutti pensare che lei fosse solo un fantasma nella mia vita.
 
 
Sentii bussare alla cabina. “Diana?” Alzai lo sguardo: Giulio pareva decisamente preoccupato. “Cinque minuti.” Sussurrai nascondendo il volto. “Va’ bene, io resto qui.” Mi asciugai in fretta le lacrime e soffiai il naso, che come al solito gocciolava quando piangevo. Quando uscii superai Giulio senza dirgli una parola ma questi mi abbracciò da dietro cercando di capire cosa avessi. “Diana, per qualsiasi cosa io sono qui, lo sai.” Tirai un profondo respiro e mi appoggiai a lui. “È che… non avevo mai sentito mia madre essere così sincera con me.” Ammisi. “Mi è venuto da piangere come una scema.” Gli spiegai vergognandomi profondamente: sentivo di stare diventando una piagnona di recente. “Mia madre mi ha raccontato che le lacrime sono purificatrici, liberano i nostri occhi dal dolore.” Mi raccontò lui. “Donna saggia.” Sussurrai mentre Giulio mi baciava dolcemente cercando di calmarmi.
Fu in quel istante che vidi la piccola Anna fissarci sorpresa, come se avesse davanti a sé due Astrali o il Sole e la Luna incarnati, ma come capì che la stavo fissando scostò lo sguardo. “Sbrigatevi vuoi due, mamma e papà si preoccuperanno se facciamo tardi.” Disse Anna seguita a ruota da me e Giulio che continuava a tenermi per mano. “Giulio…” Sussurrai in imbarazzo. “Sì?” “Cosa farai se... insomma hai capito.” Sussurrai tornando a preoccuparmi per l’imminente incontro. “Formerò un altro branco.” Anna dovette sentire quelle parole perché si voltò terrorizzata, Giulio le sorrise, non c’era stata esitazione nel suo tono di voce e sebbene non sapessi tutto ero cosciente di quanto essere scacciati dal branco fosse disonorevole, umiliante e doloroso per l’interessato e i membri della sua famiglia. “Non sei obbligato.” Gli sussurrai. “Ho scelto di stare con te, se ti accettano bene, se non accettano, problemi loro.” Decretò stringendomi la mano con maggiore forza e poi baciarmela con dolcezza.
“No!” Esclamò Anna correndo addosso al fratello. “Non puoi andare via!” Giulio le accarezzò la fronte. “Se non sarà accettata dal branco non ho altra scelta Anna, quando troverai la persona con cui vorrai condividere la vita capirai.” Promise Giulio per poi fermarsi difronte ad una casa non diversa dalle altre che però riconobbi.
Giulio suonò al citofono e subito una voce metallica rispose. “Sì?” “Sono io Serena.” Si limitò a dire Giulio. A quel punto una giovane licantropa, un po’ più grande di Giulio, apparve dalla finestra, la riconobbi subito malgrado adesso avesse il pancione della dolce attesa, era la stessa ragazza a cui avevo mollato Giulio ubriaco fradicio mesi fa. La giovane donna aprì la porta e salimmo i primi due piani.
 
Una volta davanti alla porta Giulio bussò e la stessa ragazza aprì. Mi fissò per qualche istante confusa e Giulio fece le presentazioni. “Serena, scusa l’improvvisata, so che è al ultimo secondo, ma ti presento Diana la mia fidanzata.” Disse Giulio serissimo lasciando di stucco Serena. “Giulio… se questo è uno scherzo io ti picchio.” Disse la ragazza minacciando il fratello con un mestolo. “Nessuno scherzo Serena.” La quasi madre fissò Anna come se fosse un testimone. “È vero, li ho visti baciarsi.” A quel punto fissò me per qualche istante e per mia fortuna non mi riconobbe.
“Maaaammmaaaaa!!!” Urlò voltandosi sconvolta. “Che c’è amore? Chi è la ragazza con Giulio e Anna.” Domandò la donna che probabilmente mi aveva intravista dalla finestra. “La fidanzata di Giulio.” Sentimmo qualcosa sfracellarsi in cucina, probabilmente un bicchiere. Subito da dietro la porta che doveva dare sulla cucina apparvero due bambini di forse nove e sette anni e una bambina poco più piccola di Anna che mi fissavano curiosi. “A quando il matrimonio?” Domandò il più piccolo facendomi ridacchiare. “Magnus! Certe cose non si chiedono!” Lo sgridò la più grande delle tre testine comparse che, al contrario dei suoi fratelli, era molto più tendente al biondo cenere.
A quel punto una donna di quarantatré anni, robusta e con alcune ciocche grigie nei capelli legati al indietro in uno chignon comparve dalla porta della cucina e mi stava fissando: era praticamente identica a Giulio, e sentii che da giovane doveva essere stata bellissima. La donna mi si avvicinò pericolosamente annusandomi. “È in cinta?” Domandò a Giulio lasciandomi sbigottita. “No.” Rispose il ragazzo in imbarazzo. “Hai combinato qualche casino?” Continuò. “Mamma…” “Rispondi alla mia domanda!” Lo riprese con tono autoritario. “No.” Affermò. “Ti ricatta?” “Ovvio che no!” Esclamò rosso in volto sfiorandomi la mano come per chiedermi scusa o cercare sostegno contro quel uragano di sua madre. “Allora che ci fa un’umana in casa mia? Questa scimmia nuda?” Insistette, fu la prima volta in assoluto che qualcuno mi chiamò con il nomignolo dispregiativo destinato agli umani, il che non mi fece né caldo né freddo dato che ero concentrata su altro. “Io la amo, ed è giunto il momento di presentarla alla mia famiglia.” Disse Giulio impacciato, a quel punto gli occhi della signora caddero su Anna. “Li hai beccati giusto?” La bambina accennò un’affermazione mentre noi due speravamo di sprofondare negli abissi del Oblio e di non tornare mai più. “Tutto molto spontaneo, vedo.” Disse la donna per poi scostarsi.
“Vedremo cosa fare quando arriveranno tuo padre e tuo fratello, in tanto portala dentro. Che modi non avvisare! Non so neanche se ho del cibo a sufficienza, e oggi si mangia la carne.” Esclamò la donna chiaramente seccata. “Non mi dà fastidio signora, ho partecipato anche alle ultime parti del funerale di mia nonna e nella mia città d’origine andavo spesso a casa di un mio amico licantropo.” La signora mi squadrò. “Hai lo stomaco forte.” “Abbastanza.” Risposi pacata sforzandomi di sorridere. “Da dove vieni?” “Lovaris, nella provincia dei Fiumi.” Spiegai. “Che ci fai qui allora?” Domandò seccata, diedi un’occhiata a Giulio e lui accennò un sì. “I miei genitori sono agenti S.C.A., sono stati trasferiti qui dopo una promozione.” Mi limitai a spiegare. “Che?!?” Esclamò Serena incredula. “Sanno già della mia relazione con vostro figlio.” Aggiunsi. “E l’approvano?” Domandò la donna. “Abbastanza. Diciamo che la tollerano.” A quel punto la donna guardò Giulio pretendendo ulteriori spiegazioni. “Non mi adorano ma non hanno mai abusato del loro potere per questo.” Spiegò Giulio.
“Beh, non sia mai che mi accusino di essere inospitale.” Disse la donna facendoci spazio per entrare. “Ragazza siediti in cucina con me, voglio capire di che pasta sei fatta. Sai disossare il pollo?” Mi domandò. “Sì.” Dissi entrando in cucina mentre Giulio entrava nel panico, cercò di entrare in cucina ma sua madre scacciò fuori tutti tranne una vecchia di forse novant’anni che stava triturando le interiora del pollo per farci un paté che intuii che fosse la nonna di Giulio.
 
Inizialmente la madre di Giulio non spiccicò una parola poi mi fissò e decise di rompere il silenzio. “Quanto meno vuoi bene a mio figlio?” Mi domandò. “Io lo amo.” Risposi placida come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Ti prenderesti cura di lui?” “Sempre signora, e lui farebbe lo stesso con me.” Sussurrai in imbarazzo sentendo il suo sguardo su di me. “Disossi bene il pollo, te l’ha insegnato tua madre?” Mi domandò. “No, mia madre non sa farle queste cose e non ne ha mai il tempo, me l’ha insegnato mia nonna.” Spiegai placida. “Ti ha insegnato bene.” A quel punto mi osservò il collo. “Non porti un amuleto?” Mi domandò. “L’ho sacrificato, l’ho bruciato per mia nonna, così che sia protetta nel suo viaggio verso la sua prossima vita, lei aveva perso il suo molto tempo fa, durante i moti del ’64.” Spiegai tranquilla. “E che ci faceva un’umana in mezzo ai moti del ’64?” Mi domandò. “Se la cerca nel giornale la dovresti trovare: Clara Vischio unica umana entrata in carcere come attivista.” Spiegai tranquilla, a quel punto la vecchia si voltò verso di me. “Clara… Vischio?” Domandò la nonnina facendo brillare i suoi occhi. “Adelaide, cosa c’è?” Domandò la donna e a quel punto la vecchietta tirò fuori un ciondolo con un singolo quarto di luna. “Ti ricordi cosa ti dissi tempo fa? Che la mia più cara amica era Clara Vischio.” Iniziò la nonnina che era diventata improvvisamente attiva. “Adelaide, sarà una coincidenza.” “No, la mia Clara era umana e…” Mi lanciò uno sguardo più attento. “Aveva gli occhi e i capelli di questa signorina.”
Cercai un attimo trai ricordi delle vecchie storie che mi raccontava mia nonna poi un nome mi illuminò. “Por…” Mi bloccai, ero un’ospite non potevo prendermi tutte queste confidenze. “Adelaide Sigvel! Mia nonna parlava sempre di lei!” Quante volte mi era stata raccontata la storia della sua amica Adelaide Sigvel. All’epoca avere come amico un Altro era considerato molto più disdicevole rispetto a quando io ero giovane, che non era comunque visto bene ma era decisamente più accettato rispetto alla giovinezza di mia nonna. “Che linguaggio!” “Suvvia Marlena, si è trattenuta, e la mia Clara era molto più scurrile.” “Sì, decisamente.” Sussurrai: mia nonna era una delle donne meno reverenziali che abbia mai conosciuto e avevo imparato da lei grossa parte del linguaggio scurrile.
“Tu quindi sei la piccola Diana, non mi sorprende che Giulio si sia innamorato di te, ha un debole per le ragazze energiche, non mi stupirebbe se avessero già fatto l’amore.” Arrossii fino alle orecchie. “Adelaide!” Esclamò la donna. “Marlena, cara, non temere: Clara stravedeva per Diana, è stata questa piccolina a scrivermi la lettera per informarmi della morte di Clara, mi ha anche mandato il suo cuore.” Il ricordo di quel periodo mi fece stringere lo stomaco. “Ho semplicemente eseguito le ultime volontà di mia nonna.” Ammisi con la gola bloccata dal ricordo del vecchio cuore duro e rugoso di mia nonna congelato. Avevo supplicato i miei genitori di lasciarmelo fare e la carta ultime volontà della nonna funzionava alla grande in quel periodo.
“Hai fatto molto di più piccola. Marlena la ragazza fa parte della famiglia.” Decretò la donna. “Ma, Adelaide… i suoi genitori…” “Noi non siamo i nostri padri Marlena, questo lo sai molto bene, e se mio figlio fa storie digli che lo pesto con il mio bastone.” Iniziai a capire perché Adelaide e mia nonna andassero così d’accordo anche dopo tutti quegli anni: vecchie, pazze ed energiche, tutte e due.
 
Quando uscii dalla cucina vidi Giulio rizzare il capo sorpreso fissandomi come se fosse un miracolo che fossi ancora viva. “Giulio!” Lo chiamò la vecchia Adelaide. “Sì, nonna?” Domandò il ragazzo aspettandosi una bastonata mentre quella vecchietta con le energie di una trentenne camminava verso il mio ragazzo. “La signorina…” Iniziò lei mentre Giulio si preparava ad una bastonata. “Vedi di non fartela scappare.” Gli sussurrò la donna dolcemente e il ragazzo alzò lo sguardo perplesso. “Come?” “Hai la mia benedizione.” Decretò semplicemente la nonna passando oltre. “Cosa? Perché a lui che porta a casa un’umana dai la tua benedizione, e invece mio MARITO, futuro padre del tuo primo bisnipote, neanche uno straccio di ciao?” Domandò Serena massaggiandosi la pancia. “Questo perché tuo marito è un fannullone, se tuo padre non gli avesse dato un posto in falegnameria e la stanza, avresti cresciuto tuo figlio per la strada. Prima si impegna poi si vedrà. Ti ha anche messa in cinta prima del matrimonio quello stolto! Non è neanche buono a capire quando una donna è fertile.” Disse la donna mentre ricevevo una strana occhiata dalla giovane donna.
“E lei cos’ha fatto per convincerti subito?” Domandò la ragazza. “Semplice: è la nipotina di Clara Vischio, la mia vecchissima amica.” Disse la donna per poi sedersi a tavola facendomi cenno di sedermi accanto a lei, non osai disobbedirle. “Raccomandata…” Bofonchiò Serena irritata. Non osai ribattere perché in un certo senso era vero.
 
“E cosa intendi fare quando arriveranno gli uomini di casa?” Domandò Marlena. “Ah, con mio figlio ci parlo io, tu parli con il tuo e al coniuge ci pensi tu Serena, vi siete sposati da poco in fondo.” “Nonna!” Esclamò Serena imbarazzata ma venne interrotta da sua madre che le fece capire di calmarsi. “Adelaide, capisco che tu e Clara foste amiche, ma che cosa ti dice che la nipote abbia un decimo della decenza della ragazza che conoscevi?” Domandò Marlena. “Giulio? Qualcosa da dire?” Domandò Adelaide fissando il mio ragazzo che si alzò e andò da sua madre. “Mamma, lo sai che ti voglio un bene dell’anima, sia a te che a papà. E, lo so, sono uno sbarbatello, sono giovane, sono incosciente ma soprattutto sono innamorato.” Ammise Giulio. “Sono innamorato di una donna straordinaria con una miriade di difetti, lo ammetto, ma che riesce a rendermi felice e credo di poter parlare a suo nome per dire che io riesco a rendere felice lei.” Disse placido Giulio. “Ma è umana!” Controbatté Serena. “Non mi fa nessuna differenza se è umana, licantropa o qualunque altra razza appartenga, io la amo.” Si limitò a dire Giulio senza rivolgere lo sguardo alla sorella: per tutto il tempo aveva continuato a fissare sua madre.
“L’amore non basta lo sai?” Gli domandò sua madre che era rimasta indifferente alle urla della figlia. “Lo so, ma farei un errore enorme a lasciarla.” La donna stava per dire qualcos’altro quando la porta si aprì. “Marlena! Siamo a casa!” I tre bambini più piccoli corsero verso la porta interna e vennero abbracciati da un omone che in qualche modo ricordava Giulio, ma con trent’anni in più, una folta chioma grigia in testa e un volto segnato dalle rughe di un uomo stanco ma sereno. Accanto a lui c’erano altri due ragazzi poco più grandi di me, intuii che il ragazzo mingherlino, rosso e lentigginoso fosse il cognato, mentre il ragazzo che pareva la versione più giovane del padre di famiglia doveva essere il fratello.
 
La nonnina provò a raggiungere il padrone di casa prima della matrona ma avere solo quarantatré anni aiutava e nel giro di pochi istanti non solo sentii tre occhi lupini intenti a fissarmi ma anche la futura nuora intenta a dire chissà cosa al padre di Giulio che fissò il ragazzo per mezzo secondo e questi non poté che avvicinarsi. Decisi di non fare la codarda e di alzarmi e affrontare il padrone di casa: se proprio dovevo essere scacciata di casa tanto valeva uscire con una propria dignità. Ma la vecchia Adelaide mi agguantò il braccio e mi costrinse ad accompagnarla.
 
“Papà, so cosa stai per dire ma…” “Di un’umana?” Iniziò l’uomo. “Sì.” “Ed è serio?” “Sì.” “Ti prego non dirmi che è in cinta poiché a nipoti in arrivo siamo già a quota uno e tanto mi basta.” Disse l’uomo indicando Serena di cui sentii lo sguardo fisso su di me, assieme a quello di Anna. “Papà! No! So come evitare queste cose!” Esclamò Giulio in imbarazzo. “Oh, quindi scopate pure?” “Tesoro! Non davanti ai più piccoli!” Lo riprese la donna per poi sopirare. “Anna, porta i tuoi fratelli in cucina e controlla che la cena non bruci.” Decretò Marlena e a quel punto Anna afferrò i tre nanerottoli e li trascinò dentro alla cucina. Quando la porta fu chiusa sentii nuovamente gli occhi di tutti addosso. “Mi spieghi che ti è passato per quella testa bacata? Non ricordo di averti mandato a scuola per rimorchiare.” Domandò il padre di Giulio con fare severo. “La mia media sfiora il nove.” Sì, Giulio era più bravo di me nello studio, che volete che vi dica era un po’ un secchione, ma non chiedetemi come facesse, in classe stava attento ma con i Rivoluzionari e il resto di tempo per lo studio non ce n’era molto.
“Non c’entra. Credi di essere uno di loro per caso?” Notai che questo ferì profondamente Giulio. “No. È solo che…” Cercò di spiegarsi. “Che cosa? Le umane sono più puttane?” “Roberto!” Lo riprese la vecchia Adelaide facendo accapponare la pelle a suo figlio, probabilmente lo aveva cresciuto alla vecchia maniera. “Mamma… non ti impicciare.” Disse seccato il padre di Giulio tornando ad essere il padrone di casa. “E tu ragazzo, hai anche solo pensato a cosa sarebbe successo se vi avessero beccati assieme? Sai quante guardie ti avrebbero pestato a morte e cosa avrebbero fatto alla tua amichetta lì?” Domandò Roberto e a quel punto Giulio abbassò lo sguardo un secondo. “Me ne rendo conto. Ma tu sei il primo a dire che la situazione attuale fa schifo, non dico che renderemo le coppie miste la norma, ma dimostreremo che l’amore tra due razze diversi è possibile.” Disse Giulio. “Oh, certo. Facendovi ammazzare.” “Non necessariamente.” Intervenni stufa di dover stare zitta, sapevo come ci si sentiva e non volevo lasciarlo solo in quel momento. “Ragazzina, stanne fuori, tu non sei della famiglia.”
A quel punto mi avvicinai a Giulio e gli strinsi la mano. “Sì, non sono parte del nucleo famigliare. Ma ho diritto di parola, e le coppie miste non sono una cosa rara come si crede, sono solo nascoste.” Affermai guardando negli occhi Roberto, mi sorpresi quando non c’era alcun senso di sfida in essi, era come se per lui fossimo dei moscerini con cui non vale la pena confrontarsi. “E che volete fare allora? Vivere come criminali?” Mi domandò fissandomi negli occhi con una flemma che non avevo mai visto in nessuno.
“Non è necessario. È possibile attuare la condivisione di un appartamento, non deve necessariamente essere una persona della stessa razza, e tutto ciò che serve per un matrimonio davanti al Sole e alla Luna sono due testimoni, gli sposi e un sacerdote che santifichi gli anelli, non è un matrimonio riconosciuto legalmente ma è già qualcosa.” Dissi tranquilla. “E per gli agenti stronzi… ce ne sono sempre, basta non provocarli e se alzano un dito contro è sempre possibile accusarli di abuso di potere, non sempre funziona ma è comunque una carta importante e si può procedere verso il penale volendo.” Continuai mentre sentivo Giulio sorridere. Avevo fatto delle ricerche in merito dal incidente nel vicolo.
“E dei figli che mi dici?” Mi domandò e mi bloccai. “Come?” “I figli come intendete crescerli, sempre che possiate mai averne.” Specificò Roberto e, mentre mi sentivo invadere dal insicurezza, sentii Giulio rispondere. “Lo hai detto tu che non ti interessa avere dei nipoti e anche se fosse lo zio non ha mai avuto figli suoi ma è felice con la zia.” Disse Giulio stringendomi la mano, a quel punto Roberto sospirò e ci guardò esasperato. “Ma io che blatero a fare, tanto fareste comunque come vi pare. I giovani di oggi.” Disse sconsolato. “Non che tu o i tuoi fratelli foste tanto meglio.” Lo riprese Adelaide e mi sfuggì un sorriso assieme a Giulio. “Mamma…” La riprese Roberto annoiato appoggiando il cappotto al ingresso mentre Marlena parlottava con lui cercando di convincere Roberto che era una pazzia. “In tanto conosciamola, se fa la stronzetta con nostro figlio la scaccio, tranquilla.”
Mentre avveniva questo il fratello maggiore di Giulio lo abbracciava. “Vuoi far prendere un infarto papà?” Domandò il ragazzo. “No. Io, vorrei solo che… la poteste accettare.” Il ragazzo gli scompose i capelli e mi fece l’occhiolino. “Quanto meno è carina. Non sei di qui giusto?” Mi domandò, accennai un no. “Vengo da Lovaris, una città nella regione dei Fiumi.” Spiegai, a quel punto il fratellone di Giulio guardò il ragazzo divertito. “Oh… capisco….” Disse divertito mentre Giulio sperava di evaporare e dal tono intuii che lui sapeva del fatto che noi due piccioncini eravamo andati assieme a Lovaris.
 
 
Il resto della serata venne trascorso in maniera straordinariamente piacevole. Dopo i primi momenti mi sembrò quasi che si fossero dimenticati del fatto che avessero un’umana a tavola. Oltretutto in quella piacevole serata riscoprii qualcosa che da quasi un anno era venuto a mancare nella mia vita quotidiana. Non avrei mai immaginato che mi sarebbe mancata la vita familiare, lo stare in mezzo a diverse persone che si conoscono da una vita e riescono a condividere un tavolo serenamente, discutere del più e del meno con il cinegiornale alla radio, condividere un pasto caldo, tutte cose con non facevo quasi mai con i miei genitori.
Tra il fatto che tornavano sempre a casa tardi o comunque ad orari improponibili ci ritrovavamo sempre a consumare un pasto precotto della mensa S.C.A., oppure qualche panino preso da qualche panineria, le occasioni in cui cucinavamo erano d’avvero poche e i risultati pessimi.
 
Verso fine serata io e Giulio ci ritirammo un secondo in camera sua, mi stiracchia sul suo letto e lo fissai divertita. “Cosa c’è?” Mi domandò curioso. “Hai una bella famiglia.” Sussurrai lasciandomi trasportare dalla stanchezza. “Sei stanca?” “Un po’.” Sussurrai. “Se vuoi ti puoi fermare qui, sai, per la notte.” Lo guardai con un mezzo sorrisetto. “Cos’hai in mente?” Lo provocai. “Dormiresti nel divano o io lo farei, i miei non hanno una mentalità così aperta.” “Pensano che tu sia vergine per caso?” Domandai divertita. “Mia mamma sicuramente fino ad un’ora fa.” Mi rispose pacato sedendosi accanto a me; stavamo per baciarci quando la porta venne spalancata ed entrambi ci rizzammo sul posto alla vista dell’uomo sulla porta: indossava la divisa nera della S.C.A., la sua pelle era di un intenso caffelatte, gli occhi scuri e perforanti i capelli mossi e lo sguardo seccato. “Papà!” Esclamai incredula. “Che ci fai qui? E come conoscevi la casa di Giulio?” “Ho i miei mezzi di ricerca. Predi le tue cose, ti riaccompagno a casa.” Decretò voltandosi verso l’uscita e dirigendosi verso l’esterno.
 
Guardai Giulio un istante e lo baciai a fior di labbra. “A domani.” Lo salutai con fare seducente, stavo per andarmene ma lui mi trattenne per un secondo bacio. “A domani.” Mi sussurrò ad un centimetro di distanza, sorrisi dolcemente e andai dietro a mio padre subito dopo aver salutato la famiglia Longo.
“È stata una piacevole serata, vi ringrazio.” Dissi cercando di essere il più educata possibile, per questo sentii lo sguardo irritato di mio padre su di me che stava premendo perché ce ne andassimo. “Figurati!” Esclamò Serena tenendosi il pancione, per qualche strano motivo i fratelli di Giulio, dopo i primi minuti, mi avevano preso il simpatia, già che i più piccoli mi si aggrapparono alle gambe e per salutarli li sollevai e baciai loro il capo. Serena aveva ancora qualche reticenza ma almeno non sembrava più intenta a disintegrarmi. “È stato un piacere conoscerti Diana, Clara ti aveva descritta magnificamente.” Disse nonna Adelaide stringendomi le mani in segno di saluto, mentre sentivo ogni muscolo di mio padre irrigidirsi. “È stato un piacere conoscere anche te Klaus, Clara mi aveva parlato così tanto di te.” Mio padre si girò e fece un rigido inchino appena accennato. “Scusate per il disturbo.” E se ne andò, irritata lo seguii dopo aver dato un ultimo saluto a tutti, compreso Giulio che mi stava guardando dal corridoio.
 
 
Scesi rapidamente le scale e trovai mio padre intento a camminare a passo cadenzato e chiaramente incazzato. “Non mi hai detto che il ragazzo era il nipote dell’amica della mamma.” Disse mio padre, per un istante rimasi confusa poi compresi che intendeva la nonna. “L’ho scoperto solo sta’ sera.” Mio padre mi fissò con fare nervoso. “Questa storia non deve mai e poi mai venire fuori.” Decretò mio padre. “Perché scusa? Se la nonna aveva un’amica licantropa non è mica un problema?” Domandai irritata. “E poi che ti è preso prima? Adelaide è stata gentile con me e con te.” “È stata gentile solo perché voleva bene a mia madre, quel che sei tu non c’entra.” Disse mio padre freddamente sgranai gli occhi. “Ripeti?!?!” Esclamai ma mio padre mi tappò la bocca e mi fece cenno di continuare in macchina, era chiaro che non voleva scenate che avrebbe potuto sentire il vicinato.
 
Una volta in macchina mio padre riprese a parlare. “Anche da morta l’ombra di mia madre mi perseguita.” Sussurrò mentre metteva in moto. “Si può sapere che hai contro la nonna?” Domandai incazzata. “Nulla che ti riguarda Diana, e poi cosa ne sai di quel che si prova a vivere con mia madre? Quando l’hai conosciuta era una vecchia decrepita e si era addolcita, ma con me era un’altra persona.” Si sfogò irritato. “Se avevi tanti problemi con la nonna per quale motivo hai lavorato a Lovaris per tutti quegli anni?” Domandai nervosa. “Ragazzina, non parlare di cose che non potrai mai capire.” “Allora dimmele porca puttana!” Esclamai esasperata. “Diana, la lingua!” Mi riprese mio padre. “Chi se ne fotte della lingua! Dimmi le cose! Sulla mia famiglia, della storia della mia famiglia non so quasi nulla! Non mi avete mai detto nulla! Nessuno di voi!” Urlai e con mia grande sorpresa mio padre non si scompose. “Perché sono cose del passato, che restino nel passato. Non è importante che tu le sappia.” Decretò mio padre. “Sì, invece! Cosa c’è che non va’ con la nonna, perché non mi dite mai niente sulla MIA famiglia! Cos’è sono stata un incidente!?! Alle volte ho dei seri dubbi che voi mi abbiate mai voluta!!!” Urlai frustrata, in quel momento mio padre frenò l’auto di colpo facendomi sbattere contro l’apertura del airbag con il naso, non c’erano ancora le cinture nella macchine.
Mi massaggiai la zona lesa e vidi mio padre fissarmi con odio profondo. “Non ti azzardare a dire mai più una cosa simile, soprattutto a Luisa.” Decretò mio padre facendomi venire i brividi, ripartì e un brivido freddo mi percosse e un’illuminazione mi investì ma riuscii a formularla solo mentre eravamo intasati nel traffico per via d’un incidente.
“Mi avete avuta dopo sei anni dal matrimonio, e vi siete trasferiti a Lovaris un anno prima di avermi, non avete avuto altri figli a parte me, non ho mai visto mamma comprare degli assorbenti prima dei miei tredici anni… Perché?” Domandai serissima guardando mio padre che distolse lo sguardo. “Non mi avete avuta in un modo convenzionale giusto?” Domandai.
Vidi mio padre chiudere la radio della S.C.A. e voltarsi verso di me per poi darmi una carezza. “Diana, tu non hai idea di quanto ti abbiamo desiderata.” Sussurrò mio padre con dolcezza, mi venne spontaneo ritrarmi: quello non era un comportamento che mio padre avrebbe normalmente avuto. “Tua madre ha avuto diversi aborti: quattro per l’esattezza e i medici le avevano detto che il successivo sarebbe dovuto essere l’ultimo tentativo o rischiava di rimetterci la vita.” Un brivido freddo mi scosse: non mi avevano mai raccontato questa storia. “Disperati andammo da tua nonna: oramai la medicina aveva provato tutto, non ci restava che provare a pregare o usare… l’altra via.” A quelle parole scattai. “Magia?” Domandai incredula, mio padre accennò un sì. “In parte.” Sussurrò mio padre. “Ma è… pericolosa e illegale.” “Lo so. Ma non avemmo voce in capitolo quella volta.” Iniziò. “Ci eravamo fatti trasferire a Lovaris sperando che avendo un carico di lavoro minore tua madre potesse attuare una gravidanza più tranquilla. E poi, per quanto non ci andassi d’accordo, mia madre era una levatrice, sapeva meglio di me e di tua madre messi assieme quel che faceva.”
Mi domandai cosa mio padre potesse mai sapere sulla gravidanza e sul parto ma rimasi zitta. “Comunque, arrivasti, tua madre dischiarò fin da subito la sua gravidanza come a rischio sotto ordine dei medici, così il tempo passò, otto mesi relativamente tranquilli assieme a mia madre e mio padre.” Mio padre si fermò per procedere di qualche centimetro. “Però una volta… sai com’è a Lovaris, certi giorni a febbraio arriva il vento da Sud e sembra già primavera… quel giorno portai tua madre e i miei genitori poco fuori città sotto insistenza della nonna, non ne ero sicuro ma mi convinsi solo perché anche il medico ci aveva consigliato di farle prendere un po’ d’aria, però lì… tua madre…” Mio padre si bloccò un secondo. “Stava per abortire… lo capii subito, oramai lo avevo visto succedere abbastanza volte da riconoscerlo. Non saremmo mai arrivati al ospedale in tempo, quel catorcio che avevo non poteva andare più di tanto veloce in aperta campagna e anche se fosse saremmo dovuti andare a Urdine, quindi ci avremmo messo troppo.” Mi spiegò con una voce così distante che sentii ogni parte del mio corpo vibrare. “Così tua nonna ci portò da una sua amica, una fata.” Iniziò, intuii dove andasse a parare la storia ma non volevo crederci. “Quella fata… non so cosa fece di preciso. So solo che era magia. Tu e tua madre sopravviveste ma dopo la tua nascita a tua madre… le dovettero togliere le ovaie.” Un brivido freddo mi invase e per riflesso mi strinsi il ventre. “La fata ci disse anche che poteva salvare te o tua madre e che per una vita serve una vita, quindi mio padre si è offerto per dare la sua vita in cambio della tua, prima ancora che io potessi fare nulla.” Fu la prima volta che vidi mio padre così impotente, non avrei mai immaginato che possedesse questo lato così fragile e debole. “Non perdonai mai mia madre per questo. E credo che neanche lei si perdonò mai.” Disse mio padre, capii che non avrebbe aggiunto altro.
“Quindi… il nonno….” Mio padre accennò affermativamente. Senza sapere perché mi strinsi nelle spalle, avevo un improvviso freddo. “E i nonni erano in contatto con… gli Antichi?” Domandai in una sussurro.
Gli Antichi da quel che sapevano erano un gruppo di persone che volevano vivere come nella seconda Era e data la percezione di assoluto pericolo, misteriosità e indomabilità che aveva la magia non era una sorpresa che fosse braccata dalla S.C.A. e anche io all’epoca non mi sarei mai affidata ad un Antico e alla magia, malgrado esercitasse un qual certo fascino proibito.
Mio padre fece un altro cenno. “E non mi stupirei se anche la famiglia Longo lo fosse.” Sentii un brivido invadermi, aveva senso infondo o perché sennò Giulio si sarebbe trasformato davanti a me e avesse ottenuto un controllo così grande della sua magia in così breve tempo. Mi sentii scossa da tremiti. “Perché non me l’avete mai detto?” Domandai confusa. “Perché non sapevo come avresti reagito Diana, tu sei una bomba ad orologeria di cui non si vede il tempo mancante, ti attizzi per poco e sei emotiva. Volevamo che tu sapessi il meno possibile su questa faccenda.” Disse mio padre riprendendo a muoversi.
“Era una questione di famiglia.” Dissi seccata, mio padre si voltò a guardarmi. “E io sono parte di questa famiglia e non sono più una bambina, anche se credo che a volte tu e la mamma ne siate convinti.” Borbottai. “È per proteggerti Diana.” Scostai lo sguardo infuriata. “Da cosa? Dal amore?” Domandai seccata facendo frenare di colpo mio padre. “Il nonno ha fatto la sua scelta per evitare che restassi orfana e di non perdere il suo unico figlio e la nonna vi ha portato lì sapendo quali rischi correva ma lo ha fatto perché altrimenti avrebbe perso sia la mamma che me in un sol momento e te poco dopo. Io sono nata perché i nonni avevano conoscenze con almeno un Antico, vero, ma sono nata perché loro amavano te, la mamma e me incondizionatamente. Mi dispiace per il nonno e non nascondo che mi sento in debito con lui però non avresti dovuto accusare la nonna per una sua scelta, e credo che tu sappia quanto la nonna ne abbia sofferto.” Sussurrai continuando a guardare al finestrino, mio padre si rimise in marcia al suono dei clacson.
 
Crollò il silenzio per diversi minuti, fu strano, inquietante e lo fu ulteriormente quando mi chiusi in camera senza che mio padre dicesse una parola sotto lo sguardo attonito di mia madre.
Quella notte la sentii piangere. Non mi ero mai sentita una figlia così pessima prima di allora.
 
 
   
 
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