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Autore: steffirah    10/02/2021    1 recensioni
«Che combini fuori a quest’ora?»
La ragazza sobbalzò, sentendosi come colta in flagrante a fare qualcosa di proibito. Si voltò alla sua destra, ad occhi sgranati, ed Eren era lì a braccia conserte, un’espressione di rimprovero sul viso.
«Se l’istruttore Shadis ti scopre sono guai. Vieni.»
Cogliendola di sorpresa le prese una mano, trascinandola verso l’interno dell’edificio.
In fondo, era sempre così che andava. Lui prendeva l’iniziativa, lui la guidava. Lei lo avrebbe seguito ovunque. Lui si impensieriva per lei, senza confessarlo, ma lei lo comprendeva. E nel suo cuore qualcosa si scaldava, dinanzi a quella gentilezza inespressa.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Armin Arlart, Eren Jaeger, Mikasa Ackerman, Sasha Braus
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Freudig überrascht sein




 
 
 
Quel mattino, come al solito, si era destata alle prime luci dell’alba, per cominciare a riscaldarsi ed eseguire i primi allenamenti del giorno in solitaria. Non appena ebbe finito si sciacquò dal sudore, prima di spostarsi verso la sala mensa, seguendo la solita routine. Eppure, proprio nel corridoio verso essa, fu fermata dalle sue compagne di stanza. Sasha per prima le si lanciò al collo, stringendola con tutte le sue forze mentre esclamava “Tanti auguri Mikasa!”, seguita da Christa che la abbracciò per un fianco libero e Ymir che le avvolse un braccio attorno le spalle, attirandola verso sé, augurandole altrettanto.
Spaesata le ringraziò, non appena si liberò della loro presa, ma non ebbe tempo di riformulare nulla di ciò che stava accadendo che persino Connie la assaltò, utilizzando un tono di voce ancora più pimpante.
Ringraziò anch’egli, nonché i ragazzi che lo imitarono, seppure in maniera più moderata, limitandosi a tirarle una pacca sulla schiena o un buffetto in testa – perlomeno coloro che osavano toccarla. 
Riprese il cammino perplessa, aggiustandosi i capelli che le erano stati scompigliati. Lei non ne aveva mai parlato, quindi come facevano gli altri a sapere del suo compleanno? Pensare che addirittura Annie le aveva fatto gli auguri – sebbene avesse incrociato il suo sguardo solo brevemente. 
Accigliata raggiunse la porta ed entrò in mensa, non aspettandosi di ricevere un rinnovato augurio esclamato all’unisono, non appena i presenti la videro entrare; né che, nel posto che solitamente occupava, avrebbe già trovato del cibo ancora caldo ad attenderla. Qualcosa non quadrava. 
Si chiese se se lo fosse fatta sfuggire per sbaglio, anche se le sembrava strano, e una risposta ai suoi dubbi la ricevette non appena notò Armin sulla soglia. Sicuramente c’era il suo zampino. 
Lo raggiunse in fretta, ancora imbarazzata da tutte quelle attenzioni inedite, ed egli non appena la vide le sorrise a trentadue denti. Solare e positivo come sempre, le diede un leggero e breve abbraccio, facendole gli auguri. 
Lo ringraziò, ma mentre raggiungevano i propri posti non poté fare a meno di accertarsi: «L’hai detto tu a tutti?»
Lui annuì soltanto, prima di allarmarsi. 
«Non avrei dovuto?»
La festeggiata scosse lievemente la testa, spiegando: «È solo… strano».
Non era abituata a tutto quel giubilo, né a ricevere tutte quelle attenzioni. Perlomeno, non più. 
Comprendendo ciò che la tormentava, il suo migliore amico le sorrise dolcemente, dicendole: «È per farti capire che tutti noi ti vogliamo bene».
Andò poi a sedersi al tavolo che condividevano, mentre lei si pietrificò sul posto.
Si guardò intorno, vedendo che i suoi compagni avevano già ripreso con la loro vita e le solite chiacchiere, ma se incrociavano il suo sguardo non le negavano un sorriso. Sasha, Christa, Ymir, Annie, Mina, Hannah, Franz, Connie, Marco, Jean, Berthold, Reiner e tutti gli altri… Li conosceva da pochissimo tempo, eppure… era possibile che Armin avesse ragione? Volevano bene, a lei? Lei, che essenzialmente li aveva sempre ignorati, avendo sempre un unico pensiero, un’unica preoccupazione ad ossessionarla?
A tal proposito…
Si accomodò al suo posto, non dimenticando di ringraziare i suoi compagni d’armi per aver già preso il suo cibo, prima di fissare Armin.
«Eren?»
«Tra poco arriva, tranquilla», rispose il biondino, senza smettere di mangiare.
Lei serrò le labbra e fissò lo sguardo sull’ingresso, impensierita.
Come mai ci stava mettendo tanto? Quando vivevano ancora al distretto di Shiganshina lui aveva l’abitudine di svegliarsi tardi, ma da quando erano stati arruolati era diventato una delle reclute più puntuali.
Si rilassò solo quando lo vide correre trafelato a prendere del cibo, per poi impiegarci altrettanta rapidità per scivolare a sedere accanto ad Armin, di fronte a lei. 
«Scusate, ho fatto fatica ad addormentarmi», spiegò in fretta, non perdendo ulteriormente tempo per mangiare.
Se possibile, Mikasa si allarmò persino di più. Che fosse a causa degli incubi? D’altronde, per quella medesima ragione ella stessa aveva ridotto di molto le ore di sonno. Sapere che potessero tormentare anch’egli, tuttavia, non le dava pace. 
Sentendosi osservato sollevò lo sguardo su di lei, rimproverandola. 
«Che c’è? Ho fatto tardi, va bene? Capita pure ai migliori. Muoviti a mangiare o si raffredda.»
Stava per accertarsi che non fossero davvero incubi, ma poi decise saggiamente di lasciar perdere. L’ultima cosa che voleva era discutere con lui. 
Cominciò quindi a mangiare, stupendosi quando Sasha alla sua sinistra le tirò una gomitata, prima di porgerle del pane con un sorrisone. 
«Visto che è un giorno speciale, facciamo a metà!»
Non era neppure un quarto della sua pagnotta, ma limitandosi ad un cenno col capo Mikasa la ringraziò. Da parte sua era un enorme regalo, e non se la sentiva di rifiutarlo. 
Finito di mangiare, la giornata proseguì nel solito modo: addestramento mattutino, pranzo, addestramento pomeridiano, lezioni sui titani, cena. Nessuno aveva più fatto riferimento al suo compleanno, ed ella stessa aveva cessato di pensarci; perlomeno, finché non calò la notte. 
Mentre tutti si recavano nelle proprie stanze Mikasa decise di uscire a prendere un po’ d’aria. Il freddo rendeva il suo respiro una nuvoletta di vapore, le sue mani due piccoli ghiaccioli. Si soffiò sulla punta delle dita, vedendole farsi violacee alla flebile luce delle lanterne, e se le nascose sotto la sciarpa, affondandovi anche mezzo viso. Chiuse gli occhi, preferendo non pensare. Non pensare all’ultima volta in cui era stato celebrato quel giorno, non pensare alle due famiglie che aveva perduto. Non pensare a quando, inevitabilmente, avrebbe poco alla volta perso anche questa famiglia. 
Quello era l’errore che non avrebbe dovuto fare. Doveva concentrarsi unicamente su Eren e Armin. Per lei, dovevano esistere solo loro. Doveva prendersi cura e preoccuparsi soltanto di loro. Eppure, ogni volta che anche gli altri commilitoni le rivolgevano la parola, le dedicavano le loro attenzioni, si sentiva… felice. Cercava di non darlo a vedere, non tanto per non palesare nulla agli altri, quanto per se stessa. Avrebbe significato unicamente soffrire di più, nel momento in cui non ci sarebbero stati più. 
«Che combini fuori a quest’ora?»
La ragazza sobbalzò, sentendosi come colta in flagrante a fare qualcosa di proibito. Si voltò alla sua destra, ad occhi sgranati, ed Eren era lì a braccia conserte, un’espressione di rimprovero sul viso. 
«Se l’istruttore Shadis ti scopre sono guai. Vieni.»
Cogliendola di sorpresa le prese una mano, trascinandola verso l’interno dell’edificio.
In fondo, era sempre così che andava. Lui prendeva l’iniziativa, lui la guidava. Lei lo avrebbe seguito ovunque. Lui si impensieriva per lei, senza confessarlo, ma lei lo comprendeva. E nel suo cuore qualcosa si scaldava, dinanzi a quella gentilezza inespressa. 
«Grazie», sussurrò contro la sua sciarpa, scambiando quelle sue attenzioni per un regalo. 
Il ragazzo si voltò appena per rivolgerle una breve occhiata, ma non decelerò; al contrario, allungò il passo, fino a giungere nel corridoio in cui si trovava la sua camera. 
Siccome non avevano incrociato nessuno nel percorso, Mikasa suppose che fossero già tutti andati a letto. Questo significava che era stata fuori più a lungo di quanto fosse nelle sue intenzioni. 
A pochi passi dalla sua stanza Eren si fermò, fronteggiandola, e le si avvicinò, per poter parlare sottovoce. 
«Va’ a dormire e cerca di riposare.»
Detto ciò stava già per voltarsi per andarsene, ma lei afferrò prontamente una sua manica, trattenendolo. 
«Tu dovresti riposare», ribatté, dando finalmente voce a ciò che la impensieriva. «Non riesci a dormire bene?» Poiché non ricevette risposta, interpretò il suo silenzio come un “sì”. «Si tratta di incubi? Posso fare qualcosa per te? Vuoi un abbraccio?»
Sapeva di starlo bombardando di domande a raffica intrise di apprensione, cosa che il ragazzo detestava, ma non poteva farne a meno. Era spinta da buone intenzioni, voleva soltanto rendersi utile, e se in qualche modo poteva apportargli sollievo lo avrebbe fatto volentieri. 
«Vedi di piantarla», sbottò infatti egli, pur mantenendo un tono basso. «Non mi serve niente.»
Di nuovo, sembrava che volesse allontanarla da sé. Ma lei non avrebbe ceduto. Per quanto la spingesse via, a meno che non le avesse detto chiaramente di non volerla più al suo fianco, non lo avrebbe abbandonato. E forse, neppure in quel caso lo avrebbe fatto, spinta dai propri desideri.
Ciononostante Mikasa tacque, preferendo non controbattere nulla. Chinò solo di poco il capo, lasciandogli intendere di aver compreso. Lasciò la presa sulla sua manica, riportandosi il braccio steso lungo il fianco, e pensò che a quel punto fosse meglio andare sul serio a dormire. 
Stava quindi per annunciarglielo quando, a sorpresa, lui la avvolse tra le sue braccia. Si paralizzò sul posto, fissando dritto davanti a sé, chiedendosi cos’altro stesse succedendo. 
Quando Eren parlò, udì una certa nota di frustrazione nella sua voce. Sembrava quasi dire “Che cavolo, non sono bravo per niente in queste cose!”; eppure, le uniche parole che pronunciò furono: «Buon compleanno, Mikasa». 
La ragazza sgranò gli occhi, e il suo cuore parve perdere un battito. Si era convinta, ormai, che lo avesse dimenticato. Si sentì sull’orlo delle lacrime, per cui chiuse le palpebre per nasconderle al mondo, ricambiando l’abbraccio. Affondò il viso contro quella spalla familiare, biascicando un ringraziamento. 
«Cerca di non strafare, dormi bene e quanto serve, prenditi cura di te», aggiunse, carezzandole impacciato i capelli.
Lei annuì a ciascuna raccomandazione, sentendosi un groppo in gola. Era come sentire sua madre e suo padre. Come se fosse un’eco di Carla-obasan. 
«Ti assicuro che manterrò la mia promessa. Ammazzerò ogni singolo titano che esiste, e ritorneremo nella nostra casa.»
La corvina annuì sonoramente, pienamente convinta di ciò, e si strinse maggiormente a lui, sperando di non rivelargli le calde lacrime che le scorrevano sul viso. 
Tornare a casa insieme, era l’unico regalo che chiedeva da lui. 
Un regalo che le sarebbe bastato per tutta la vita.



















 
Angolino autrice:
Eccomi di nuovo qui, come promesso con una one-shot più felice (l'angst è sempre dietro l'angolo, ma noi fingiamo di non vederlo e non sentirlo).
Duuunque, questa storiella, come si sarà capito, è ambientata durante il periodo di Addestramento, nel momento in cui le reclute hanno cominciato a legare. Ci sono tanti personaggi, e non sapevo bene quali mettere nell'intro, ma alla fine, oltre ai tre protagonisti, ho optato per Sasha, visto che le ho dedicato qualche riga in più  (;w;).
Non penso ci sia nulla da spiegare, eccetto il titolo, una locuzione che significa "essere piacevolmente sorpresi", e il fatto che Mikasa parli di Carla usando il termine "oba-san": come ho già spiegato in una precedente one-shot ("Sklaven des Schicksals"), pur avendo letto il manga in italiano ho la tendenza a scrivere seguendo quel che sento in giapponese, e per questo Mikasa usa la parola "oba-san", che letteralmente significa "zia", ma si può usare anche per riferirsi alle madri degli altri. 
Detto ciò, grazie a chi ha letto.
E ora posso finalmente dirlo senza sentirmi in colpa: Buon compleanno, Mikasa!
  
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