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Autore: Flynn7    10/02/2021    1 recensioni
In un luogo come la fredda Marinder in cui la distinzione tra nobile e povero, umano e non-umano, è ancora forte, l'aspirante paladino Moriarty è costretto a fare i conti con l'alto lignaggio conferitogli dalla famiglia del nonno e la sua natura di tiefling. Nascondere ciò che non lo rende umano non gli riesce pesante, dopotutto avere a che fare con gli altri giovani eredi che fanno parte del suo ordine non gli interessa granché. Almeno finché non incontra Keith, ragazzo mezz'orco di umili origini, che per la prima volta gli fa pesare la spessa corazza di bugie che ha dovuto costruirsi, per proteggere il buon nome della sua famiglia.
Genere: Fantasy, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Siamo di nuovo io e te oggi, eh?”

Moriarty ebbe l’impressione che il manichino lo stesse implorando con lo sguardo. Forse avrebbe dovuto disegnargli sul volto un ghigno malefico invece di un’espressione triste, ma all’inizio l’aveva trovato buffo. “Awww, andiamo, non guardarmi con quella faccia. Giuro che oggi sarò più delicato”, disse un po’ divertito mentre appoggiava delicatamente il suo martello da guerra sul prato. Si guardò intorno con fare un po’ colpevole: non che avesse paura di essere sorpreso mentre conversava così amabilmente con un manichino, ma non era quello ciò che temeva i suoi compagni di giuramento avrebbero visto. Si sfilò la pesante bandana che aveva in testa e si toccò le fasciature che si intravedevano in mezzo alle treccine corvine; pensò che per almeno un’oretta poteva concedersi un po’ di sollievo, e iniziò ad allentarle. Posò le fasciature e i piccoli pesi che vi erano attaccati accanto alla staccionata e si contemplò la fronte nel riflesso dell’armatura che si era sfilato poco prima: sospirò nel vedere le sottili protuberanze ossee che sembravano non voler smettere di crescere, ma se non altro sembrava che il sistema escogitato da suo padre stesse dando i suoi frutti, seppur doloroso. Il peso le aveva curvate così tanto che ormai erano praticamente attaccate al suo cranio, ed era stato possibile nasconderle tra i suoi lunghi capelli. Provare a tagliarle o cercare di limarle in qualche modo era stata solo una fatica inutile. Si era quindi rassegnato a dover soffrire di emicrania e a non potersi concedere un taglio di capelli più corto. Probabilmente per sempre.

Per la coda era stato invece molto più semplice e si era adattato a tenerla attorcigliata attorno al bacino e nasconderla sotto ai vestiti. Per il resto, era stato abbastanza fortunato a differenza dei suoi simili: il colore della sua pelle non era poi così bizzarro, e fortunatamente aveva ereditato gli occhi azzurri di sua madre, eccetto per un leggero rossore un po’ innaturale della sclera. Per le orecchie non proprio umane, beh, pareva che la famiglia Crossborders vantasse addirittura degli elfi alti nel suo albero genealogico. La magia della genetica. Già.

Sospirando di nuovo, Moriarty si rialzò e si diresse verso il suo martello, non prima di essersi guardato intorno ancora una volta. Da qualche giorno aveva l’impressione di essere osservato durante i suoi allenamenti, ma era escluso che qualche suo compagno lo avesse seguito. E per quale ragione poi? A parte bisbigliare fra di loro e fissarlo di sottecchi quando lo vedevano passare per poi fargli moine e complimenti quando non era di spalle, non si erano mai effettivamente interessati a lui. Non che gli importasse: stare da solo era più semplice ed essere elogiato continuamente solo per il cognome che portava non gli interessava affatto. Comunque, strinse fra le dita l’emblema a forma di testa di unicorno che portava al collo e mormorò una breve preghiera; era sicuro che la sacra Mielikki lo avrebbe protetto da sguardi indiscreti. Fatto ciò, raccolse il martello e si mise in posizione di fronte al manichino e sferrò il primo colpo, dritto sul volto, come gli aveva insegnato suo nonno.

 

Esausto, Moriarty si fermò ad asciugarsi la fronte e contemplò il manichino ormai ridotto a brandelli. «Ti assicuro che fa più male a me che a te», disse rivolgendosi alla testa penzolante che lo fissava inerme. Mentre riprendeva fiato a pieni polmoni, gli sembrò di sentire uno scalpiccio nel boschetto alle sue spalle. Si girò di scatto, sistemandosi i capelli velocemente. “Chi c’è? C’è qualcuno?”, ma non ebbe alcuna risposta. Si stava avvicinando lentamente verso la fine della staccionata guardando ansioso tra gli alberi, quando notò un fagotto appoggiato ad un paletto. Sempre chiedendosi chi, come, cosa e perché, si chinò e si affrettò ad aprirlo: dentro c’erano una bottiglia di vetro sigillata con dentro presumibilmente dell’acqua e quelli che sembravano essere dei tramezzini avvolti in tovaglioli di stoffa. Ne tolse uno dal suo involucro e, dopo averlo annusato, si decise a dargli un morso; era ripieno di carne e salsa al tartufo ed era squisito. Ma chi poteva mai aver fatto qualcosa del genere per lui? E perché? Non poteva essere stato suo nonno: la persona incaricata di portagli il fagotto si sarebbe certamente annunciata e non sarebbe corsa via di nascosto, e poi non aveva rivelato a nessuno dove andava ad allenarsi. Ci pensò su ancora un po’ ma era troppo stanco e troppo affamato per farsi delle domande. Così, si sistemò sull’erba e in poco tempo finì il pasto che qualcuno aveva preparato, a quanto sembrava, apposta per lui.

 

Il sole era alto nel cielo sereno, il canto delle capinere riecheggiava tra i rami degli alberi, le farfalle si spostavano volteggiando di fiore in fiore e in lontananza si poteva sentire il gorgoglio di un torrente; anche quel giorno il bosco non poteva fare a meno di donare così generosamente tutta la sua bellezza e Moriarty si sentiva profondamente grato. Non c’era altro posto che lo facesse sentire così al sicuro, forse neanche la residenza della sua famiglia. E ogni volta che andava via dal piccolo campo di allenamento che si era ricavato in quel piccolo boschetto sentiva una morsa al cuore, anche quel giorno, mentre a passi stanchi e pesanti si stava dirigendo di nuovo verso l’accampamento del suo ordine. Lì non aveva bisogno di nascondersi, di indossare maschere, di aver paura. Il bosco lo aveva accolto come una sua creatura e lo amava così com’era, come solo la sua famiglia sarebbe stato in grado di fare tra il mondo degli umani. Il resto, se solo avesse saputo…

“Allora?? Ti decidi a rispondermi?”

La voce che aveva interrotto la quiete nella foresta catapultò Moriarty lontano dai suoi pensieri; proveniva dalla radura che si trovava oltre il bosco, e gli sembrava familiare. Allungò il passo e si mise in ascolto nascondendosi dietro una vecchia conifera, sporgendosi leggermente per osservare. Riconobbe immediatamente Dreiko Arbuthnot, spocchioso rampollo di uno dei casati più ricchi di Marinder e appartenente all’ordine dei Cavalieri Bianchi; suo nonno gli aveva raccomandato più volte di tenersi alla larga sia dal suo ordine che dalla sua famiglia. E a giudicare da quello che stava osservando in quel momento, stava iniziando a capirne il motivo. Infatti Dreiko sembrava nel bel mezzo di quello che sembrava un interrogatorio, con due suoi compagni di ordine che tenevano immobilizzato un ragazzo; quest’ultimo forse stava cercando di dire qualcosa, ma per tutta risposta si era beccato un pugno nello stomaco. A rendere la cosa ancora peggiore, il povero malcapitato pareva essere un giovane mezz’orco.

“Quindi vorresti dirmi che eri qui solo di passaggio, ho capito bene?”

Il ragazzo, nonostante l’aspetto malconcio e la situazione di inferiorità, stava cercando di mantenere una compostezza fiera e teneva lo sguardo fisso sul suo aguzzino; irrobustì il petto e si raddrizzò, costringendo i due leccapiedi di Dreiko a dover sforzarsi per mantenere la presa e rispose con tono calmo ma deciso. “Te lo ripeto, ero qui solo per passeggiare nel bosco. Se non mi credi non posso farci niente, ma non sono un bugiardo. E comunque non sapevo neanche dell’esistenza del vostro accampamento di merd…”, l’arrivo di un pesante ceffone in pieno volto non gli diede il tempo di finire la frase . “Ma come ti permetti, lurido meticcio! Non solo hai avuto la sfacciataggine di aggirarti intorno al nostro ritiro senza permesso strisciando come una serpe, ma ti permetti anche il lusso di rispondere a tono!” Forse in quel momento Dreiko pensava di essere minaccioso, ma sembrava soltanto un randagio rabbioso legato ad una catena che abbaiava in modo comico. Moriarty trattenne una risata, cosa che invece non riuscì al giovane mezz’orco, che si fece sfuggire una risatina. Il pallone gonfiato forse si era reso conto di aver perso l’autorità conferitagli dall’armatura scintillante, perché cercò subito dopo di ricomporsi e con fare borioso e quasi solenne si rivolse ad uno dei suoi compari, allungando una mano verso di lui.

“Stuart, il tuo pugnale.”

Stuart, il ragazzo biondino e secco sulla destra, lo guardò esitante. “Dreiko, dai, non ne vale la pena… E’ solo uno straccione, non vorrai sporcarti le mani per...”

“Questo mezzosangue si merita una lezione”, stavolta fu il tipo abbronzato e moro sulla sinistra a parlare, “ora chiudi il becco e fai come ti dice”. Stuart sospirò ma non obiettò oltre. “Prendilo tu stesso, ho paura che scappi se lascio la presa”. I suoi timori potevano essere fondati anche perché il ragazzo era leggermente più alto di tutti e tre e abbastanza robusto per essere un civile; se avesse voluto, probabilmente sarebbe riuscito a liberarsi e scappare e i suoi inseguitori sarebbero stati in svantaggio a causa dell’armatura pesante. Ma fino a quel momento non ci aveva neanche provato.

Perché non scappa?

Dreiko alzò gli occhi al cielo e estrasse il pugnale dalla fodera appesa al fianco di Stuart e lo sollevò all’altezza della guancia verde pallido del ragazzo. “Vediamo se avrai ancora voglia di fare lo sbruffone. Sei venuto qui per rubare e ora confesserai.”

Il giovane guardò la lama quasi distrattamente e poi di nuovo a fissare Dreiko, marziale.

“Non sono un ladro.”

“Come dici tu.”

Moriarty capì che la situazione stava per mettersi male. Non poteva credere ai suoi occhi: un aspirante paladino come lui stava approfittando della sua posizione per imporsi su chi considerava inferiore a lui, per giunta facendosi aiutare da degli sgherri. Come un criminale. Come un vigliacco.

E non aveva intenzione di stare a guardare.

Dreiko avvicinò la punta del pugnale al volto del mezz’orco e iniziò a incidere. Senza mai distogliere lo sguardo, il giovane serrò le labbra e si irrigidì, ma non emise un verso.

Devo intervenire. Adesso.

“Adesso basta, lasciatelo stare!”, Dreiko si girò di scattò mentre Moriarty usciva allo scoperto avviandosi a grandi passi verso il gruppo.

“E tu che cosa vuoi?”

“Butta immediatamente quel pugnale e lasciate in pace questo ragazzo.”

Non sapeva quanto potesse essere stato credibile; non era mai stato capace di dare ordini né tanto meno di alzare la voce con qualcuno, e neanche ci aveva mai provato. Era furioso e l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era mettergli le mani al collo, altro che minacciare; ma per il momento si limitò a pararglisi davanti, con sguardo torvo. Il suo intervento però doveva aver suscitato un qualche effetto, perché i due compari del rampollo iniziarono a mostrare un certo nervosismo e il moro abbronzato imprecò a denti stretti.

“Dreiko, è il nipote di Crossborders.”

“Lo so benissimo chi è, Finch, chiudi la bocca”, la risposta viperina del presuntuoso capetto zittì immediatamente il suo compagno, che poi si rivolse al nostro eroe con finti ossequi. “Crossborders, il grande protettore dei più deboli. E della feccia.”, sibilò ghignando, “Vedo che il suo caro nipotino vuole seguire in tutto e per tutto le sue orme.” Moriarty non aveva mai sentito qualcuno parlare con così tanto disprezzo di suo nonno. In ogni caso, non aveva intenzione di lasciarsi colpire da quella freccia carica di veleno senza rispondere al fuoco.

“Amico della feccia, eh? Da quel che mi risulta le nostre famiglie non sono mai state in buoni rapporti.”

L’espressione di spocchia sul volto di Dreiko tradì sorpresa, che divenne collera poco dopo. Le orecchie gli erano diventate così rosse che non sarebbe stata una sorpresa se avessero iniziato a cacciare fumo.

“COME TI PERMETTI? MA CHI TI CREDI DI ESSERE?”

“Credo di essere qualcuno che ha appena sorpreso tre futuri militari abusare del loro potere e ciò è inammissibile. Mi chiedo cosa penserebbe il vostro gran maestro di questa storia...”

Dreiko era diventato paonazzo dalla rabbia e sembrava sul punto di esplodere. Stuart provò timidamente a prendere la parola. “Il gioco non vale la candela, Dreiko, finiremo nei guai...”

“STUART. STA. ZITTO.”

Era evidente che il nobile idiota avesse totalmente perso il controllo e Moriarty rimase calmo a godersi lo spettacolo. In tutto questo, il giovane mezz’orco era rimasto fermo e si era limitato ad osservare la scena senza commentare, ma sembrava improvvisamente intimorito. O piuttosto, imbarazzato.

“Ma come osi minacciarmi. Tu non sai di cosa sono capace.”

“Invece credo di averlo capito e non mi piace. Te lo chiederò per l’ultima volta. Abbassa quel pugnale.”

Calò un silenzio irreale. L’aria tra i due aspiranti paladini era diventata carica di tensione e minacciava tempesta. Improvvisamente, come se si fossero letti nel pensiero, Finch e Stuart mollarono la presa, spingendo a terra il loro ormai ex prigioniero.

“Che diavolo state facendo, voi due idioti!” Quello che ormai era diventato un ragazzino isterico cercò invano di riprendere il controllo del suo piccolo plotone, che aveva deciso di alzare bandiera bianca senza l’autorizzazione del suo capitano. “Non so tu, ma io non voglio mettere a repentaglio la mia investitura per un mezzosangue”, belò Stuart. “Neanche io”, gli fece eco Finch, “sai bene anche tu che quel bell’imbusto potrebbe farci sbattere fuori dall’ordine schioccando le dita e neanche la tua famiglia potrebbe impedirlo.”

“Davvero avete paura di questo buffone? Tornate immediatamente qui!”, ma i due si erano già avviati con la coda tra le gambe verso il loro accampamento. Dreiko, ormai resosi conto di essere solo, si girò verso Moriarty, che era rimasto piuttosto serio nonostante la schiacciante vittoria, e gli puntò il pugnale al volto, tremando. Moriarty non si mosse.

“Pagherai per questo affronto, Crossborders. Non te la farò passare liscia.”

“Direi di rimandare la cosa ad un altro giorno, Arbuthnot. Ti vedo piuttosto provato.”

Dreiko ruggì di rabbia e buttò il pugnale a terra, allontanandosi finalmente dalla scena.

 

Il giovane mezz’orco era seduto sull’erba, tastandosi il labbro tumefatto e poi il taglio sulla guancia.

“Figli di puttana.”

Moriarty si chinò verso di lui, senza invadere il suo spazio personale. Aveva avuto a che fare con persone provenienti dal ghetto e sapeva quanto fossero orgogliose; l’esperienza per il ragazzo doveva essere stata abbastanza umiliante e non voleva imbarazzarlo ulteriormente.

“Sono mortificato”, disse cercando di non far trasparire compatimento, “per favore, lascia almeno che ti aiuti a rialzarti”. Gli porse una mano; si aspettò che gliela respingesse con disprezzo da un momento all’altro.

Il suo interlocutore sussultò e arrossì leggermente, chinando lo sguardo. Esitò un poco ma inaspettatamente accettò la mano tesa. Ne fu sorpreso: non si aspettava una reazione così da qualcuno che fino a poco prima aveva mostrato orgogliosa tenacia di fronte a dei nobili.

“Uhm, grazie per… insomma, avermi salvato la faccia.”

“Non devi ringraziarmi.”

“Invece sì. Avresti potuto benissimo farti i cazzi tuoi e non l’hai fatto.» Mentre parlava si toccava ansiosamente le ferite sul viso. Sospirò. «Merda, non posso farmi vedere domani alla locanda conciato così...”

“Alla locanda?”

“Uhm… sì… Lavoro alla Locanda del Lupo Decapitato.”

Conosceva quella locanda, lui e il nonno andavano spesso lì a mangiare qualcosa insieme. Gli piaceva quel posto perché era uno dei pochi posti a Marinder che era accessibile a tutti e, cosa ancora più importante, i proprietari davano lavoro anche ai ragazzi del ghetto.

“E’ la volta buona che la vecchia mi sbatte fuori”, continuò sospirando, “che cazzo mi è saltato in mente...” Sembrava essersi dimenticato della presenza di Moriarty, che lo fissava pensieroso.

“Forse posso aiutare...”

“E come?”

“Siediti.”

 

Erano uno di fronte all’altro, seduti sull’erba. Moriarty teneva la mano destra alzata verso il volto del ragazzo e con l’altra stringeva il piccolo emblema a forma di unicorno, mormorando. Il mezz’orco lo fissava incerto, ma era rimasto pazientemente ad aspettare. Dal momento che era ancora un apprendista aveva bisogno di tempo per incanalare le energie necessarie per gli incantesimi e le sue abilità curative erano ancora acerbe, ma delle ferite così superficiali probabilmente non sarebbero state un problema. Mentre raccoglieva le forze, Moriarty ebbe il tempo di osservare più attentamente il giovane: come aveva constatato prima, sembrava più o meno della sua età ed aveva un fisico robusto, non quanto il suo ma non era certo mingherlino; i capelli erano di un rosso ramato, raccolti in piccoli rasta sul lato sinistro della testa; delle piccole zanne spuntavano dalle labbra sottili e il viso verde pallido era coperto da lentiggini; i lineamenti non erano eccessivamente marcati e avevano una loro armonia; gli occhi erano del colore dell’ambra, avevano un non so che di altero ma allo stesso tempo innocenti; aveva pantaloni e scarpe di cuoio marrone e una canotta di tessuto grezzo grigia attillata, che nonostante la loro semplicità gli donavano. Moriarty si ritrovò a pensare che nel complesso era… piacevole. Molto piacevole. Si sentì un po’ in colpa e poi si stava distraendo.

Concentrati.

All’improvviso la sua mano destra iniziò ad emanare una calda luce verde, con enorme sorpresa del giovane; dopo qualche minuto piccole scintille sempre verdi avvolsero il taglio sulla guancia e le altre escoriazioni, rimarginandole. Il ragazzo si toccò e un sorriso enorme gli si stampò sulla faccia, mentre Moriarty contemplò soddisfatto la buona riuscita del suo incantesimo di cura.

“Che figata! Ma vi insegnano anche a fare le magie?”

“Sì, più o meno… Anzi, grazie per avermi fatto da cavia.”

Il ragazzo rise di cuore, mostrando anche i piccoli canini superiori. “Direi che è la cosa migliore che mi sia capitata oggi”, ma poi si fece serio per un secondo e si strofinò una mano sulla nuca, come a voler nascondere imbarazzo.

“Ehm… non so davvero che dire… Ti devo il mondo e non credo che riuscirei mai a sdebitarmi...”

“Non devi fare niente, dopotutto aiutare chi è in difficoltà farà parte della mia missione e tu avevi bisogno d’aiuto...”, aggiunse sorridendo gentilmente l’aspirante paladino, “anzi, se ti va di parlarmene ovviamente, puoi dirmi che cosa volevano da te quei novizi?” A quel punto il ragazzo sospirò e si grattò la testa pensieroso. “Dal momento che vuoi farti i fatti miei, tanto vale che completi l’opera”, disse porgendogli la mano, “Keith Scarletleaf, il piacere è decisamente mio”. Moriarty ricambiò la stretta e fece per presentarsi a sua volta ma Keith lo interruppe. “Moriarty, lo so. Il nipote del signor Crossborders. Venite spesso a mangiare da noi”, disse con aria compiaciuta. Moriarty non fu troppo sorpreso dal fatto che sapesse chi era suo nonno, ma non si aspettava conoscesse addirittura il suo nome. Resosi conto della velocità con cui aveva risposto, Keith arrossì e si affrettò a giustificarsi. “Ehm, l’ho sentito in giro… Non è che volessi farmi i cazzi tuoi o che. Anche se...” e qui sospirò di nuovo, “insomma… il fatto che io sia capitato da queste parti… ecco, ha a che fare con te.” Moriarty sussultò sorpreso.

“Con me? Che vuoi dire?”, poi ad un tratto realizzò. “Aspetta. Ma allora sei tu che...”

Keith si strofinò di nuovo la nuca, sorridendo imbarazzato. “Piaciuto il pranzo?”

“Assolutamente! Ma non capisco… nessuno sa dove mi alleno. Come hai fatto a...”

Keith nascose la testa in mezzo alle ginocchia, poi sollevò lo sguardo. “Ti vedo spesso alla locanda quando vieni con tuo nonno. Io lavoro come aiuto cuoco e non ho modo di parlare con la gente in sala ma i camerieri mi hanno raccontato che siete sempre gentili.” Si grattò il naso con una nocca, facendo muovere l'anellino d'acciaio che lo adornava, e continuò. “Vado spesso a passeggiare vicino al torrente nel bosco quando non lavoro, da solo. Come potrai immaginare, non ho molti amici...”

Neanche io.

“E uno di questi giorni, mentre ero lì ti vedo passare in mezzo agli alberi e...”, e qui le guance di Keith diventarono più rosse dei suoi capelli, “ti giuro che non so come cazzo mi sia venuto in mente, ma ti ho seguito.” Lo guardò quasi con terrore. “Hai tutto il diritto di incazzarti, io fossi in te mi prenderei a pugni.” “Prenderti a pugni?”, rispose Moriarty divertito, “Con tutta la fatica che ho fatto per rimetterti la faccia in sesto? Scordatelo.”

Adesso so perché mi sentivo osservato.

“Ma dimmi, perché hai continuato a seguirmi?”

“Uhm, ho visto che ti allenavi e niente, mi piace come combatti, come ti muovi. Così ho pensato che potevo venire a vederti… e sto peggiorando la situazione, non è vero? Ora penserai davvero che sono un fottuto psicopatico.” Moriarty non era preoccupato per il fatto di avere avuto uno spettatore, si chiedeva però cosa avesse visto esattamente. Ma non si sentiva arrabbiato, anzi la cosa gli riscaldava un po’ il cuore. Un po’ lo lusingava il fatto che ci fosse qualcuno che si fosse interessato a lui, anche se in modo così inusuale. E poi quel ragazzo non riusciva ad ispirargli alcun sentimento negativo, gli piaceva la sua schiettezza, trasparente come una sorgente di montagna. Per una volta, era bello ritrovarsi davanti qualcuno che riuscisse ad essere così sincero. Si chiedeva se avrebbe suscitato altre volte questo genere di ‘attenzioni’.

“Non lo penso, ma avrei preferito che ti annunciassi… non mi piace sentirmi osservato. E’ per questo che mi alleno da solo.”

Bugiardo.

“In effetti mi stavo chiedendo perché te ne stai sempre da solo. I tuoi ‘colleghi’, o come si dice, sono degli stronzi figli di papà come quel coglione che voleva staccarmi la faccia?”. Moriarty ne dedusse che non era riuscito a vedere il suo piccolo ‘segreto’. Ora era definitivamente sollevato.

“No, non è questo. Preferisco così… e poi neanche io sono bravo a farmi degli amici.”

“Scherzi? Uno come te?” Keith sembrava genuinamente sorpreso. “Uhm, scusa, non sono cazzi miei.”

“Non fa niente”, Moriarty fece spallucce e si affrettò a cambiare discorso, “piuttosto torniamo a noi. Come hai incontrato Dreiko e i suoi compagni?” “Ah già, quasi dimenticavo. Dato che mi sentivo un cane a continuare a guardarti di nascosto, ho pensato di farmi perdonare in qualche modo. Così ti ho preparato il pranzo e sono arrivato mentre già ti stavi allenando, volevo davvero presentarmi stavolta ma… non ce l’ho fatta e sono scappato.” Keith sospirò. “Mentre stavo per riprendere il sentiero e tornare a casa ho sentito delle voci provenire dalla radura e qualcuno che veniva verso di me… Non volevo farmi vedere e ho cercato di darmela a gambe senza fiatare, ma ho schiacciato un fottuto ramo.” “Un classico.” “Già. E così quei bastardi mi hanno beccato, e dopo avermi guardato un attimo in faccia, hanno deciso che dovevo per forza essere uno schifoso ladro. E poi il resto lo conosci.”

Dreiko e gli altri dovevano essere sgattaiolati di nascosto dal loro ritiro molto probabilmente per andare a gozzovigliare in città; ecco perché avevano paura che li denunciasse al loro gran maestro, non certo perché li aveva sorpresi a torturare un civile. Quelli dell’ordine dei Cavalieri bianchi tenevano più alle loro rigide e stupide regole che non all’onore, meno che mai alla salute di un ‘mezzosangue’. Un ragazzo come Keith non poteva certo nascondere quello che era, mentre lui invece… Si sentiva in colpa.

“Mi dispiace così tanto.”

“Per cosa? Se non fossi arrivato tu, non so come ne sarei uscito.”

“Ma li hai visti? Avresti potuto tranquillamente liberarti e scappare. Quelli come loro hanno l’armatura addosso solo per scena… Perché non hai reagito?”

“Perché se fossi scappato, avrebbero pensato che avevo sul serio qualcosa da nascondere. Che quelli come me sono tutti uguali e sanno solo fare cazzate.”

Rimasero silenziosi per un po’. Fu Moriarty il primo a riprendere la parola. “Non mi hai ancora detto il vero motivo per cui mi osservavi di nascosto.”

Keith lo guardò sorpreso, e arrossì ancora una volta. “Ecco... Mi sembravi un tipo apposto. Sei… diverso dagli altri ricchi. Ho pensato come un coglione che potevamo addirittura fare amicizia o cose così… Ma io sono solo uno straccione. E per di più neanche umano. Avevo paura mi avresti mandato via a calci.”

Io? Un amico?

Ci rifletté un attimo. Si ricordò quello che gli disse una volta suo padre: ‘Scegli la solitudine solo se la vuoi con tutto il cuore. Altrimenti, ti schiaccerà’.

E lui non ce la faceva più a stare solo.

Dovrai mentirgli, che razza di amico saresti?’

E se scoprisse?’

Per la prima volta nella sua vita, Moriarty decise di ignorare la vocina nella sua testa che lo richiamava in continuazione alla responsabilità e alla prudenza.

«E se ti dicessi che mi piacerebbe essere tuo amico?»

Non si diede neanche il tempo di ripensarci mentre lo disse.

Keith strabuzzò gli occhi, sorpreso, e poi si illuminò. “Dici sul serio?” “ Sono serissimo”, il viso di Moriarty si allargò in un enorme sorriso, il più sincero che avesse mai fatto, “ma ho un paio di condizioni. Come prima cosa, voglio un altro di quei tramezzini deliziosi che mi hai fatto per oggi.” “Tutti quelli che vuoi! E poi? Non ho molto altro da offrire quindi spero tu sia magan… magnam… Come cazzo si dice? Sì insomma, quello.” Moriarty scoppiò a ridere. “Tranquillo, mi basta semplicemente che la prossima volta che tu voglia stare con me non sia per vedermi allenare ma per fare qualcosa che ti piace.”

“Ehi, guarda che mi piace sul serio guardare mentre combatti. E’ una cosa che mi è sempre piaciuta a dire il vero… ma a quelli come me non insegna a farlo nessuno.”

“Ah beh se è così…”, si mise a far finta di meditare su qualcosa che aveva già deciso, “il mio precedente compagno di allenamento purtroppo non è più… disponibile, quindi ci sarebbe un posto libero, se te la senti ovviamente.”

“Tu stai scherzando.”

“Assolutamente no. Allora, ci stai?”

Keith si mise ad urlare per la gioia.

“Oh porca troia, sì che ci sto!”

  
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