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Autore: Daani82    10/02/2021    3 recensioni
Ci sono giornate che decidono per tutta la tua vita, quella fu la mia giornata.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un uomo se ne sta seduto su una scomoda seggiola di legno, le spalle curve proseguono in braccia stanche e terminano in mani abbandonate sulle gambe. Guarda la finestra, una magra intelaiatura di legno bianco scrostato che ricorda vecchie ossa. Siede un po’ di traverso rispetto al logoro tavolo che ha davanti, per poter allungare le gambe in quel poco spazio che ha a disposizione. Ascolta il tempo che passa e guarda la finestra, assapora le sfumature del cielo mentre la notte lascia lentamente spazio alla luce. Aspetta un raggio di sole che lo possa riscaldare: quella maledetta cella è fredda anche d’estate, un freddo che ti schiaccia il cuore. Aspetta un alito di brezza mattutina che possa togliergli dalle narici l’odore di piscio e marciume del manicomio. Un passero si posa sulle inferriate: l’uomo conserva sempre qualche tozzo di pane del suo rancio per poter mettere qualche briciola sul davanzale. L’uomo lo guarda, non sa se è sempre lo stesso animaletto a fargli visita, ma quell’illusione crea una piccola sicurezza e a sognare non si fa reato. - Buongiorno Libero. – Dice sottovoce. Gli piaceva quel nome, lo era anche lui una volta: libero. Ha perso la sua libertà nel marzo 1912 quando venne internato nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Spesso ha pensato a quanto sarebbe stato meglio un bel plotone d’esecuzione vecchia maniera. Meglio la morte che la prigionia. Ma poi si diceva che la vedeva così perché era vivo, magari davanti ai fucili spianati si sarebbe cagato sotto e avrebbe preferito la prigionia alla morte. Certo non avrebbe implorato. Quello mai. L’alba finalmente incomincia a incendiare le nuvole all’orizzonte, finalmente il raggio di sole tanto atteso balena sulla sottile lastra di vetro della finestra aperta. L’uomo chiude gli occhi accecato dal riverbero. Sprofonda in quel leggero tepore e in un attimo è fuori da lì. Torna ai ricordi, alla sua vita prima della prigionia. Di nuovo si rivede ragazzino scaldato da quello stesso sole là a San Giovanni. Ricorda la luce dell’alba sulle finestre della bottega del calzolaio dove ha cominciato a lavorare. Sente nuovamente il sole del mezzogiorno che bruciava le spalle nei cantieri dove ha lavorato come manovale e poi muratore. I tramonti alla camera del lavoro dove prendevano vita le idee di tanti uomini: idee che parlavano di uguaglianza, solidarietà e voglia di rivalsa. C’ era il sole anche la mattina in cui partì per la Francia, in quel viaggio si portava una valigia con poche cose ma traboccante di sogni. Nel frattempo il passero Libero aveva chiamato a raccolta un gruppetto di suoi compagni pennuti che ora saltellavano tra il davanzale e le sbarre contendendosi le briciole. - No, non mi pento di quello che ho fatto.- Sussurra l’uomo. Raddrizza la schiena ora e si guarda le mani. Mani dure, mani grosse, mani che hanno vissuto e negli occhi una scintilla di rabbia mai domata. Tre passeri si sono fermati sulla inferriata e lo guardano con quel modo buffo e nervoso con cui guardano i volatili. Pare che siano in attesa di ulteriori informazioni, aspettano che l’uomo argomenti quest’ultima affermazione. L’uomo con un sospiro li accontenta. -Il giorno era il 30 ottobre del 1911.- Parla in un sussurro l’uomo, come a non voler spaventare il suo svolazzante uditorio. - Ci sono giornate che decidono di tutto il resto della tua vita, ecco quella giornata fu la mia.- Fece una pausa, poi riprese. - Eravamo in migliaia inquadrati nel cortile della caserma Cialdini a Bologna, io ero la matricola 30504. Ero stato richiamato, la leva obbligatoria l’avevo già fatta nel 1909, avevo dovuto lasciare la Francia per venire a servire l’amata patria.- Un sorriso ironico gli si disegna sul volto mentre con pollice e indice si liscia i baffi. - Due giorni prima ero stato sorteggiato per partire per la Libia. Una guerra ingiusta, indegna. Noi poveri diavoli costretti ad ammazzare altri poveri diavoli che non avevano nessuna colpa, se non quella di avere la pelle nera e di essere nati nel posto sbagliato nell’epoca sbagliata. Ma so che in futuro le cose cambieranno o quantomeno lo spero.- Chiude gli occhi a quel ricordo così doloroso, lui che ha sempre creduto in un mondo dove tutti potessero essere fratelli e vivere in pace. - Capisci amico mio, non potevo permetterlo. Le mie mani non si sarebbero sporcate di sangue innocente. Presi la mia decisione in un attimo, se di decisione si può parlare o fu puro istinto. In una frazione di secondo avevo il fucile imbracciato, il dito sul grilletto e il mio sergente nel mirino. Poi lasciai che fosse l’arma il portavoce del mio rifiuto, feci urlare il mio no di piombo in un boato e in una fiammata.- Le mani stanche si sono serrate come due morse, come se in quei pugni custodisse tutta la rabbia del mondo e avesse paura di lasciarsela sfuggire. -Eravamo in seimila in quella piazza immaginate cosa sarebbe successo se tutti avessero seguito il mio esempio, certo non sarebbe scoppiata la rivolta in quel momento, ma forse sarebbe stata accesa la miccia. Ma nessuno si mosse, io urlai, li esortai a ribellarsi. Ma nessuno fece nulla. Fui arrestato e il sergente restò ferito ad una spalla. Che sia stato un bene o un male non averlo ammazzato non lo so, sicuramente non l’avrei sulla coscienza, quello non era sangue innocente.- Ha gli occhi lucidi ora l’uomo, guarda tempi e luoghi che sono lontanissimi. I suoi occhi cercano l’infinto nel cielo azzurro fuori dalla finestra. - Pensai che mi avessero passato subito per le armi. Si avevo paura non ti mentirò: una paura di quelle che solo chi sa che sta per morire conosce. Ma il mio nome in breve tempo venne scritto sui muri, venne urlato nelle piazze e cantato nelle canzoni, Divenne un nome troppo pericoloso da fucilare, quella pallottola non avrebbe fermato un cuore ma fatto esplodere una bomba. L’uomo si alza e va alla finestra, si appende alle sbarre e guarda fuori. Respira l’aria fresca della mattina e si fa scaldare il viso dal sole che ora si è completamente destato. Libero e i suoi amici volano leggeri tra le fronde degli alberi. - Il mio nome è Augusto Masetti.- Si presenta ai suoi piccoli amici che ormai erano troppo impegnati in scorribande volanti per prestagli attenzione. Forse vuole riaffermare la propria identità, ricordare a se stesso che ha un nome. Ha un nome perché è un uomo. È un uomo perché ha un cuore. Un cuore che batte e sanguina, pieno di ideali troppo grandi da poter rinchiudere in una cella. - Credo nella forza dell’azione di ognuno contro tutte le ingiustizie. Credo che un mondo migliore sia possibile. Una umanità nuova, senza povertà, senza fame. E se questo sogno è da pazzi allora si sono pazzo e mi auguro che presto impazziscano tutti.- Si gira e lentamente si allontana dalla finestra, ma non la chiude. A lui piace sentire l’odore del sole.
   
 
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