Ed
indovinate chi non è
ancora uscita fuori dal caos di un trasloco? Inoltre, nelle prossime
settimane
sarò stra-presa, quindi non ho idea di quando
riuscirò ad aggiornare di nuovo.
Spero presto, comunque.
Ne “Il Libro Perduto del Bianco”, Magnus ha un
legame molto potente con l’Indonesia,
ma non così stretto con l’Olanda – ma
ei, questa è una ff.
Comunque vorrei ringrazia chiunque abbia
letto/seguito/preferito/ricordato e
chi ha recensito (Arwen Fenice <3). Grazie ancora.
Un bacio e Buona Lettura
RLandH
Ps – Ho inserito dei link per i disegni di altri oc
(Isolde/Willem e Henrich) infondo,
cercando di seguire lo stile della C. Jean.
Giustizia mosse il mio alto Fattore
L’Olanda … è così in basso che saranno salvati soltanto con l’essere dannati[1]
Il portale lo aveva aperto Ragnor, per un paio di motivi: i portali erano la sua specialità, nonostante di solito prevedessero passaggi tetradimensionali, era stato in Olanda e non aveva le mani strette su quelle di un bambino. Raefael stava guardando Magnus con i suoi grandi occhi scuri, senza dire nulla.
Max faceva comparire piccole bolle con la sua magia, ma era sotto l’attenta osservazione di sua nonna Maryse. “Cerca di non morire” aveva sentito Izzy dirlo al suo fidanzato, che l’aveva lanciato uno sguardo al vetriolo, che era durato comunque poco. Simon si era sporto per dare alla donna un bacio a fior di labbra.
Rafael aveva allungato una mano per prendere anche quella di Alec, che si era appena allontanato da Max. “Sono contento” aveva detto con sicurezza il bambino, in un inglese che risentiva molto poco dell’accento portoghese. Normalmente non era d’uopo portare un ragazzino in queste occasioni, non uno piccolo come Rafe, ma la loro non era una missione, non ufficialmente. Andava bene portare Rafael, si ripeté Magnus.
Alec stava estendendo il suo diritto di Console-in-Esilio per visitare l’Istituto di Amsterdam. La famiglia che lo gestiva, i Zwartekust[2], che durante la votazione delle Coorte contro la Guardia di Livia, avevano dato il loro favore ad Alex.
Erano shadowhunters rispettati, sebbene poco influenti, da quello che Magnus aveva capito dalle chiacchiere di Jace ed Isabelle. I Zwartekust avevano gestito l’istituto da quando King Billy era ancora Willem Van Oranje e non erano mai molto stati interessati agli affari di Idris. Avevano risposto alla chiamata quando era stato necessario ed avevano combattuto, il patriarca della famiglia era morto nella Guerra Mortale – a quanto pareva – ma per il resto si erano sempre considerati un fulcro a parte.
Però i Zwartekust erano da sempre in competizione con l’altro grande istituto d’Olanda, paese noto per non essere evidentemente molto poco spazioso, quello dell’Aia.
Quest’ultima era gestito da un ramo della famiglia Pangborn, a cui non era stata imputata nessuna collaborazione con il Circolo in passato, nonostante due suoi membri ne fossero stati parte. Inoltre, i Pangborn avevano favoreggiato per la Coorte durante l’ultima votazione, quella che aveva scisso il mondo degli Shadowhunters.
Però, come gli aveva detto Alec, alcuni membri della famiglia Pangborn, non erano stati presenti ad Idris durante la votazione, rimasti probabilmente all’Istituto per ‘presenziare il forte’ e si erano così ritrovati tagliati fuori dall’isolamento in cui il resto si era chiuso ad Idris. Così adesso, almeno due Pangborn occupavano impropriamente – Magnus, e a quanto pare Alec, non ne era troppo sicuro – l’Istituto.
Così il suo viaggio con Ragnor in Olanda si era trasformata in una scusa per Alec per conoscere chi lo aveva sostenuto e capire cosa fare con chi non l’aveva fatto e Rafael era capitato dritto nel mezzo. Alec contava di stare qualche giorno, che avevano valutato il loro bambino potesse perdere dalla Colonia estiva.
‘L’esilio dei miei genitori da bambino mi ha confinato praticamente dentro New York’ si era giustificato Alec, anche se lo aveva detto con una certa rigidezza.
Isabelle veniva per fare la guardia del corpo praticamente, assieme ad un altro giovane cacciatore fresco di Scholomance, non che Alec ne avesse bisogno.
“Tranquillo, fratellino” aveva sentito sussurrare proprio Isabelle ad Alec, prima di arruffare i capelli riccioli del suo nipotino. “Se abbiamo finito i saluti rituali” aveva detto spazientito Ragnor, attirando l’attenzione su di loro e sul portale scintillante davanti loro.
In realtà non era necessario che andasse Magnus, ma Catarina aveva chiesto di tenere d’occhio il loro amico, non aveva ancora accettato l’idea di lasciare da solo il loro verde amico, spaventata che potesse …be, ritrovarsi con un demone maggiore pronto a sfruttarlo. Inoltre, anche Magnus aveva sentito il suo comportamento cambiare quando aveva vagliato l’idea di dover incontrare Justine Vale.
E poi Magnus non era mai stato in Olanda – e ne era vagamente spaventato.
Aveva
seguito il suo
amico dentro il portale, affiancato al loro bambino e da suo marito,
pronti ad
apparire scintillanti ed assolutamente uniti, simbolo del futuro e di
unione.
Isabelle ed il giovane Danny Graymark – mondano fresco di
ascensione, qualche
classe indietro rispetto al buon Simon.
Erano sbucati sull’ansa mattonata di un fiume, davanti quella
che pareva una
barchetta piuttosto diroccata, fissata con una catena di adamas
scintillante alla
banchina.
C’era scritto qualcosa sulla barca, una sorta di insegna: Gutta
Cavat Lapidem.
“Piuttosto deludente” si era lasciato sfuggire
Danny Graymark, prima di essere
richiamato da Izzi, “Su, giovanotto traduci” lo
aveva invitato.
“La Gotta scava la lapide?”
aveva provato quello, guadagnandosi
un buffetto di rimprovero da parte di Isabel, “La
Goccia. Daniel.
Goccia. Non farmi pentire di averti promosso. La goccia scava
la pietra”
si era lamentato Ragnor.
“Comunque è un illusione” aveva
stabilito Alec, aveva fatto qualche passo,
scivolando dalla presa del suo bambino e tirando fuori lo stilo, che
era
scintillato nella sua mano quando aveva disegnato nell’aria
la runa della
rivelazione.
Al posto della barchetta, di cui era rimasta solo l’insegna,
si era palesato
davanti a loro un mostro, che sembrava somigliare ad una versione del
famoso
Catello Errante di Howl del film d’animazione, in versione
barca e con tetti
spioventi e pareti curve, tipiche dell’architettura
Middle-europea[3].
Scintillava anche delle
blasonature da una finestra, in campo nero, cucito in bianco appariva
un
fiumiciattolo ondulato, su un’ansa erano state cucite piccole
goccioline. “Ogni
volta che lo vedo è sempre più brutto”
era stato l’aspro commento di Ragnor,
mentre cedeva il passo ad Alec e la sua famiglia per proseguire sulla
passerella.
Ad aspettarli sul ponte di legno lucidissimo c’erano tre
persone.
Due erano una coppia di fratello-sorella, non potevano essere
altrimenti, aveva
pensato, erano ambedue sulla trentina, alti, affilati come coltelli,
con occhi
chiarissimi, pelli bianche seppellite da efelidi rosse sulle guance e
capelli
biondi.
Lei li portava ordinati in una crocchia severissima, indossava un abito
nero,
compreso da una maglia aderente e pantaloni in cuoi, i resti di un runa
si
intravedevano spuntare dal colletto a v. L’unico tocco di
colore era dato da
una giacca oro, che stonava molto con l’uniforme standard da
cacciatrice;
troppo elegante e forse inadatta ad una calda giornata di luglio. Suo
fratello,
con i capelli lunghi, raccolti in una mezza coda, indossava un
abbigliamento
più mondano, con una maglietta a righe e dei jeans a
ginocchio, ciò che
attirava di lui erano i calzettoni blu accesso, che arrivano a
metà polpaccio,
che spuntavano dalle scarpe di tele.
La terza della fila era una ragazzina sulla quindicina, che non aveva
nulla a
che fare con loro. Aveva occhi grandi e carini ed una zazzera di
capelli rossi,
non come quelli di Clary, ma più intensi e finti, di un
rosso ciliegia, anche
lei era pronta alla caccia, scintillava un pugnale angelico legato alla
cinghia
di una coscia.
“Oh, vi stavamo aspettando” aveva esclamato subito
l’uomo in un inglese,
ottimo, andando loro incontro, “È un piacere
averla qui, Console” aveva detto
rispettabile la donna. Prima che loro si presentassero per bene.
“Io sono Willem Zwartekust, il capo
dell’Istituto” aveva detto subito, “La
mia
sorella Magriet” aveva presentato la bionda di ferro,
“Mia cugina Ej[4]
Townsend” aveva spiegato, “Benvenuti
nell’Istituto di Amsterdam, speriamo lo
possiate apprezzare” aveva detto Willem pieno di gioia,
“Ne sono certo” aveva
detto Alec, prima di presentare loro, non era necessario in fin dei
conti, come
aveva convenuto Magriet, tutti loro erano estremamente famosi.
Tranne il povero Danny Graymark che era stato comunque molto
interessato alla
conoscenza della giovane Ej. E Rafe ovviamente.
Willem li aveva invitati a seguirlo all’interno del mostro di
pietra, mentre
sua sorella aveva sciolto la catena di adamas per poter permettere alla
barca
di riprendere il fiume. “La gente pensa che siamo sempre
fissi, ma in realtà
siamo in continuo movimento. I canali di Amsterdam cambiano
continuamente”
aveva spiegato Willem con tranquillità, “Come
le scale” aveva detto
Danny, non ricevendo però nessun appiglio alla sua battuta,
povero mondano di
nascita, circondato da terribili Shadowhunter, Magnus aveva fatto verso
di lui
un sorriso di incoraggiamento. Ej aveva ridacchiato, stupendo non poco
le stregone.
Varcato
le soglie della
barca era stato evidente che nonostante l’aspetto immenso che
si vedeva da
fuori l’interno era molto più grande,
“Opera di un eccelso stregone” aveva valutato
Ragnor. Lo spazio all’interno dell’istituto
sembrava come un foglio di carta
ripiegato, che da un momento all’altro dava l’idea
di aprirsi in una tasca
dimensionale creata apposta.
“Si. Credo si chiamasse Vaymar Houst, ma non ne sono sicuro,
lo ha rimodernato
ai tempi del matrimonio di Willem II ed Harriet Mary. Comunque stiamo
organizzando un ottimo pranzo per voi, tutto l’istituto
è andato in fermento”
aveva spiegato Willem, “Quante persone lo abitano?”
aveva chiesto Alec, “In
totale siamo undici, otto Shadowhunter, due modani con la vista, che
stavano
valutando di ascendere, e mia moglie” aveva rivelato,
“Lei è un’ondina” aveva
aggiunto, facendo l’occhiolino sfacciato ad Alec.
Aveva avuto un tono caldo e Magnus aveva potuto percepire
l’implicita riconoscenza
nelle sue parole, Alec aveva sorriso. “Alla faccia della
presunta penuria di
nephilm” aveva commentato Izzy, “Amsterdam
può essere impegnativa” aveva
provato Magriet. Magnus probabilmente immaginava costa stesse balenando
nella
mente della sua cara cognata, a New York dopo la rivolta
nell’Istituto erano
praticamente in tre ed uno non poteva neanche uscire.
“Console Lightwood, vuole tutti i convenevoli del caso o
desidera accomodarsi
nello studio?” aveva chiesto Willem, Alec lo aveva guardato,
per prima cosa
aveva rivelato al capo dell’Istituto che poteva esser
chiamato per nome.
“Inoltre: vorrei visitare l’Istituto, mi ha sempre
incuriosito molto[5]”
aveva detto professionale
e serioso, sebbene Izzy alle sue spalle aveva ghignazzato con un certo
divertimento;
“Be, fratellino, lascio a te la Biblioteca, io credo di voler
vedere l’armeria”
aveva sorriso spigliata Izzy, Magriet aveva ricambiato lo sguardo,
“Ne sarei
onorata” le aveva risposto rigida. “Anche io prendo
la biblioteca” aveva ceduto
Magnus, Izzy si era chinata per prendere la mano di Rafael,
“Ci scommetto che
tu vuoi venire in armeria con me? Magari troviamo un bello stiletto per
te”
aveva detto con una punta di divertimento, “Si!”
aveva detto suo figlio
trionfante.
Magnus
aveva mangiato all’istituto
di New York, nelle cene importanti sì, anche in quello meno
ma ormai erano i
membri della sua famiglia, terribilmente chiassosa. Anche in quello di
Londra
era stato così, quando lo avevano retto Will e Tessa.
Ma l’ultima volta che aveva pranzato in un istituto che non
era gestito da uno
stretto amico, era stato un occasione ufficiale – e molto
più popoloso di gente
– la
Regina Vittoria era ancora Regina e
gli Accordi erano appena abbozzati, Josiah Wayland comandava su Londra
e un Morgenstern
era Console.
Lui gli aveva invitati a cena e poi aveva buttato i piatti in cui
avevano
mangiato – ma aveva combatto al loro fianco e aveva voluto
gli accordi, o
almeno ci aveva provato.
Quel pranzo, in Olanda, però era completamente diverso, per
quanto fosse
affollata la sala principale. Intorno ad una lunga tavolata erano
sistemati in
sedici, la tavola era imbandita di stuzzichini e piatti tipici della
cucina
olandese – e qualcosa di più cosmopolita.
Alec era stato completamente assorbito da Willem che continuava ad
illustrare
proposte e difese contro la situazione della Coorte e di tanto in tanto
faceva
scivolare il nome Pangborn nel discorso. Rafael stava versando un
po’ della sua
zuppa, nel bicchiere di una deliziosa bambina sua coetanea, con cui
aveva fatto
amicizia – era la figlia di Magriat. Ragnor stava facendo lo
splendido con la
donna mondana, sulla quarantina, piacente e con una risata fresca. Izzy
si
intratteneva un po’ con Magriet, ancora tutta rigida e con la
giacca d’oro ed
un po’ con Isolde, l’Odina, che era svestita,
coperta, parzialmente, solo della
pelle della sua foca, ma che pareva del tutto indifferente alla sua
nudità. Ma sarebbe
stato più corretto dire che tutta la tavolata fosse avvolta
in fitte
conversazioni.
Magnus
sedeva accanto a
suo marito, troppo lontano da suo figlio e vicino ad una vecchia
signora tutta ingrigita,
ma con un sorriso ancora dolce, con il collo calante e le mani
macchiate dalla
vecchiaia, su cui si vedevano ancora i segni delle rune. Capelli canuti
raccolti in una treccia pesante, che scendeva sulla sua spalla.
La chiamavano tutti Grootmoeder, nonna, compreso il
ragazzo mondano che
sedeva dal lato opposto rispetto Magnus. “Prendi dei Rijistaffel!”
lo
aveva invitato Grootmoeder, indicando una pietanza che lo stregone
conosceva
bene e che non mangiava da secoli, senza eufemismo “Fidati di
me è molto buono”
aveva detto imperiosa, in un ottimo inglese.
“Grootmoeder credo che lui lo sappia” il ragazzo
mondano, che poteva essere
sulla ventina scarsa, per essere buoni, lo aveva detto a denti stretti
verso
l’anziana. Aveva parlato in olandese, ma Magnus si era
trovato sorpreso nel
constatare che la ricordava ancora come lingua, nonostante tutto.
“Si, signora,
sono originario di Jakarta, quando ancora si chiamava
Batavia” aveva
raccontato.
I Rijistaffel erano un piatto indonesiano che l’Olanda aveva
fatto piatto
tipico durante gli anni del colonialismo – e che
paradossalmente in quei tempi
non si faceva più in Indonesia. “Mia madre lo
preparava” aveva detto languido
lasciandosi coccolare da quei pochi ricordi felici annegati
dall’angoscia di
ciò che era venuto. “Capisci
l’Olandese” aveva esclamato il mondano,
“Lo sono,
tecnicamente” aveva provato Magnus, “Come stregone
non è che abbia esattamente
una patria, ho vissuto in lungo ed in largo ed in certi posti molto
più di
quanto io abbia vissuto in Indonesia[6]”
aveva raccontato. “Quando
sei nato però l’Indonesia era olandese!”
aveva valutato il ragazzo – Magnus
l’aveva praticamente ammesso prima, “Se vai a
guardare bene, l’indipendenza è
avvenuta meno di cento anni fa” aveva detto
dall’altro lato del tavolo un altro
shadowhunter, prima di riprendere interesse in quello che stava dicendo
Magriet.
“Comunque i Rijistaffel olandesi sono diversi da quelli
indonesiano, per via
degli ingredienti” aveva spiegato il ragazzo; “Non
essere fastidioso, Heinrich”
lo aveva rimproverato Grootmoeder, “Mangia lo
Zuurkool” aveva impartito la
donna, passandoli sotto il naso un bel panino croccante con crauti,
carne e
salse di dubbio gusto. Magnus aveva preso sia quel piatto, sia i
rijistaffel,
una serie di piatti che aveva il riso alla sua base, combinato con
altre
pietanze. Aveva preso pollo, le uova, le verdure saltate, quelle con la
salsa,
godendosi per un momento il desiderio di ritrovare gusto della sua
infanzia,
prima dei suoi occhi, prima di scoprire la sua natura.
Aveva scoperto con orrore che Heinrich aveva ragione: non avevano lo
stesso
sapore.
In
mattinata avevano visitato
la biblioteca, era davvero la più vasta
all’interno di un istituto, non superava
quella di Idris, o dei Fratelli Silenti – o qualsiasi del
Labirinto a Spirale –
ma era sicuramente notevole, sia per essere su una barca, sia per
essere un
istituto. Più grande e fornita di quella di New York, Londra
e Los Angeles. Nel
pomeriggio dopo il pranzo avevano visto l’armeria di cui Izzy
aveva tessuto
abbastanza lodi, la stanza dell’allenamento, le camerate,
anche l’infermeria,
prima che Willem li conducesse nello studio del capo
dell’istituto.
Magnus non aveva idea in che punto fossero della struttura, ma
dall’ufficio di Zwartekust,
piccolo ed affollato di chincaglierie (riconosceva anche più
di una scatola per
demoni impilate a fortuna) – appariva una finestrella che
dava sul canale e su
una riva attraversata da studenti e casette a punta, degna immagine di
un
pittore delle fiandre.
Nella stanza erano stati presenti in sei, Willem, la sua rigida
sorella, la sua
moglie ancora nuda, con gli occhi allungati e la carnagione di rame,
lui, Alec
ed Izzy.
“Prima
di parlare di
Pangborn, mio marito avrebbe una richiesta” aveva ammesso
Alec con un tono
austero, distinto. “Certamente” aveva risposto
Willem sulla fiducia, mentre
intrecciava le dita sul suo scrittoio, era di legno pregiato ed era
opera
d’antiquariato. “Avrei necessità di
parlare con la somma stregona di Leiden,
Justine Vale” aveva riportato, onestamente non aveva bisogno
del permesso degli
Shadowhunters per parlare con lei, ma visto quanto criptico era stato
Ragnor
riferendosi alla donna e non sapendo che rapporti intercorressero tra
essa e
l’istituto di Amsterdam, non era saggio che il marito del
Console andasse ad
incontrare una strega problematica. Pensò che Alec volesse
anche saggiare
l’idea che avevano i cacciatori di lei, per vedere se davvero
fosse una buona
candidata.
Willem aveva annuito, “Certo, Justine non è la
persona più disponibile del
mondo, però non dovrebbe essere un problema” aveva
aggiunto, “Il problema è che
sembra terribilmente indaffarata sempre” aveva detto Magriet,
“Leiden non ha un
istituto, ma in compenso, ha un mucchio di studentelli universitari
pronti a
fare cose stupide con la magia nera” aveva aggiunto con una
dose di fastidio.
Isolde aveva allungato una mano, aveva unghia smaltate color perla, ed
aveva
posato la mano sull’avambraccio di suo marito,
sull’anulare scintillava un
anello d’oro su cui era incisa la runa del matrimonio;
“Avverti Bo, potrebbe
fargli avere un appuntamento anche domani. Stiamo parlando del
meraviglioso
Magnus Bane” aveva detto. Come gran parte delle fey la voce
di Isolde era
incredibilmente musicale e dopo tutto il tempo speso negli ultimi
giorni ad
esser definito Appendice, era contento di avere un po’ di
riconoscimento.
“Mando subito un messaggio di fuoco” aveva
implicitamente concordato Willem,
prima di spiegare loro che Bo era il suo stregone di fiducia.
“Adesso parliamo di Gerjen ed Ibe Pangborn” aveva
detto inflessibile Magrit,
“Si, ditemi di loro, la vostra impressione” aveva
concordato Alec. “Tipo se somigliano
ai cari cugini” aveva aggiunto Izzy, con un tono un
po’ caustico, ricordando i
due alleati di Valentine.
“Ibe ha solo quattordici anni”
aveva rimarcato Isolde, “Poco più piccolo
di Ej” aveva aggiunto. “Sì”
aveva concordato spento Willem, “A
quell’età
qualcuno non è irreprensibilmente rovinato, lo so. Ibe non
è un problema, ma suo
cugino Gerjen si, che di anni ne ha venticinque” aveva
spiegato, “Solo una
settimana fa ha trucidato un gruppo di vampiri, asserendo che avevano
infranto
il codice, a Leiden. Ho avuto missive di nascosti che spergiuravano il
contrario, perfino Lupi Mannari che sono venuti a difendere i
vampiri” aveva
raccontato, “Mi hanno detto che la capo clan è
stata legata ad un palo, poco
prima dell’alba e lasciata bruciare” aveva detto
carico di rabbia.
Anche Magnus l’aveva percepita dentro di sé, quel
disgusto bruciante.
“Il mondo dei cacciatori sta affrontando una crisi senza
precedenti nella loro
storia, la Coorte ne ha approfittato per diffondere la paura, i
Pangborn per
dare sfogo alle loro ideologie distorte” aveva spiegato
Magriet. “Il Console
forse avrebbe dovuto essere aggiornato un po’ prima. Alec non
è come tutti gli
altri, lui ci tiene, ci tiene davvero” era intervenuta
Isabelle, prima che
Magnus potesse parlare.
I Zwartekust avevano fatto passare la diatriba con i Pangborn solo
legale,
questo sembrava molto più grave. “Non volevamo
allarmare la situazione ora,
visto lo stato precario delle cose” aveva provato Willem, ma
era stato
scavalcato da sua sorella, “Pensavamo di risolvere il
problema noi, in vero.
Avremmo raccolto tutte le prove e messo Gerjen in una cella nella
Città Silente
e rimesso alla giustizia. Riguardo ad Ike …” aveva
fatto una pausa.
“Ma senza prove non avremmo mai agito” aveva
confermato Willem.
In
un pomeriggio Magnus,
suo marito e suo figlio avevano girato il museo di Van Gog, la
città ed anche
il Rijikmuseum, il cuore e la memoria dell’Olanda intera,
racconto del secolo
d’oro. Una parte della storia che gli era ignota e di cui ora
cercava conferme.
Suo figlio, nonostante la giovane età ne era stato
entusiasta. Purtroppo, la
contentezza di quest’ultimo era stata smorzata
dall’espressione cupe dei suoi
genitori.
Sia Alec sia Magnus avevano la mente occupata dal medesimo pensiero: i
Pangborn.
Anche la stupida missione di ricerca del candidato per il ruolo di
Cancelliere
sembrava insulso a confronto.
Rafael si era fermato davanti al famoso dipinto: La Pesca delle Anime
di Adrian
van de Venne, lo aveva rimirato con l’innocenza di cui solo
un bambino poteva
fregiarsi, perso nei colori accesi e nella morbidezza delle figure,
assolutamente ignorante dei messaggi politici e sociali nascosti
nell’opera.
“Mi piace” aveva sentenziato con
l’assoluta certezza che poteva appartenere
solo ad un ragazzino, “Vogli imparare a dipingere. La
signorina Vera dice che
non sono portato, ma non mi interessa” aveva aggiunto con
sicurezza.
Magnus aveva sorriso verso di lui, “Sei un Lightwood-Bane,
puoi fare tutto
quello che vuoi, senza che nessuno ti limiti” aveva detto
Alec, mettendoli le
mani sulle spalle.
“Clary e Jocelyn possono darti ottime dritte” aveva
aggiunto Magnus. “Posso
dipingere ed essere un cacciatore?” aveva chiesto con
innocenza, “Tutto quello
che vuoi” aveva ripetuto Alec.
Rafael li aveva guardati, poi aveva sorriso fiducioso delle parole dei
suoi
padri.
Avevano
incontrato Izzy
per la cena, alterata e ridente, appesa al braccio di un Danny
piuttosto
imbarazzato ed in compagnia anche di Ej ed Henrich, più in
disparte e
tranquilli.
La giovane Shadowhunter gli aveva portati a cenare in un localino
gestito da
una compagnia piuttosto pittoresca di Fey.
Uno di questi, un giovane satiro sfacciato, che si era mangiato gli
occhi
entrambi i fratelli Lightwood, che non aveva tubato poi molto Magnus,
sicuro
senza ombra di dubbio dell’amore di suo marito per lui
– ed un po’ più
preoccupato per il povero Simon Lovelace, distante.
Comunque tutte le attenzioni del giovane cameriere fey erano state
attirate da
Rafael che aveva cominciato a fargli un mucchio di domande. Quando lo
avevano
preso con loro, era un ragazzino taciturno, segnato dalla guerra, ma in
poco
tempo aveva schiuso il suo cuore in favore di una certa
loquacità adorabile.
“Anche
qui fanno i
Rijistaffel, ne hanno almeno quaranta versioni” aveva detto
Henrich, “Si, ma
fanno meglio i bagel; in particolare quello con il salmone
crudo” aveva
dichiarato Ej, “Sono sicura ci mettano dentro della magia
nera per indurre
dipendenza – tipo quel vampiro a Los Angeles” aveva
aggiunto.
Magnus aveva preso i bagel, con il pane aromatizzato al pomodoro,
insalata,
maionese, crauti e carne, per non rimanere ancora una volta deluso dai
rijistaffel, ancora, suo figlio e suo marito non lo avevano imitato.
“Adoro questo cibo” aveva dichiarato Rafael con
assoluta certezza, mentre
inghiottiva una generosa manciata di riso con del maiale, grondante di
salsa.
Magnus si era trattenuto dal fare commenti, specie perché
Alec sembrava
condividere la sua opinione, “Sì, si dovremmo
trovare un posto che li fa anche
a New York” aveva constatato. “Quindi Henrich,
vorresti ascendere?” aveva
domandato Izzy, rivolgendosi al mondano con la vista, con riccioli
carini e le
fossette.
“Be, in realtà sono un po’ spaventato
dall’idea di bere nella coppa mortale,
dicono che può ucciderti e che il primo marchio
può essere dolorosissimo” aveva
confessato lui, cotto un po’ di imbarazzo. Magnus, Alec ed
Izzy avevano avuto
un momento di silenzio, avendo entrambi conosciuto e visto situazioni
descritte
dal giovane mondano.
“Sciocchezze. Henrich sarebbe un cacciatore
perfetto!” aveva dichiarato Ej con
sicurezza, ridendo, mentre prendeva un generoso sorso di birra.
“Ma sai come
sono: non mi piace l’idea di avere qualcosa permanentemente
addosso, rune o
tatuaggi” aveva dichiarato quello, mentre mangiava delle
patatine fritte; “Però
è ormai un anno e mezzo che Willem, Magrit e Dave mi
addestrano come se dovessi
diventare un cacciatore e Grootmoder mi sta insegnando tutte le regole
e la
storia. Quindi sì, sono terrorizzato ma vorrei essere un
cacciatore” aveva raccontato
Henrich.
“Come mondano la mia vita faceva piuttosto schifo,
metà del tempo la passavo
cercando di convincere la gente che non ero pazzo” aveva
aggiunto.
“Alla coorte è rimasto solo uno degli strumenti
mortali, quindi se vorrai, a
New York, c’è una coppa che ti aspetta”
aveva confermato Alec con assoluta
tranquillità.
Henrich
aveva sorriso.
“Non ho un inquisitore” aveva valutato Alec, “Avevo pensato di offrire la posizione a Julian Blackthorne, ma è ancora troppo giovane” aveva detto suo marito, sfilandosi gli stivaletti ed accomodandosi sul letto a due piazze che avevano avuto.
Dalla loro stanza non avevano finestre, ma avevano, appunto, innumerevoli quadri di barche e rune dipinte d’oro sulle pareti.
“Cosa dobbiamo fare con i Pangborn, portarli entrambi con noi a New York?” aveva chiesto poi calmo, “Perché ora come ora solo pensare a loro mi monta la rabbia” aveva dichiarato.
“Giustizia Alec. Ti occuperai di questo” aveva detto Magnus, accomodandosi al suo fianco e posando la fronte su quella del marito, “Ho intenzione di darti una mano” aveva aggiunto.
“No, occupati della stregona di Leiden; la fine di luglio è vicina. Ho parlato con lo stenografo del Consiglio, Antonius Vir annuncerà le sue dimissioni e già due membri del Consiglio sono intenzionati a presentarsi” gli aveva ripetuto.
Magnus aveva annuito, “I candidati comunque sono Filipe Mar ed Eleonora Pera” aveva confessato Alec, “Non ero sicuro di avertelo detto” aveva aggiunto Alec. “No, sono solo sorpreso non sia Amir Khan” aveva ponderato alla fine.
“Non mi piace Filipe” aveva detto poi Magnus, “Nonostante fosse uno stregone, per un secolo buono si è finito un inquisitore. Lui diceva per spiare quei mondani esaltati, ma secondo me lo faceva per tenersi al sicuro” aveva dichiarato.
Il tempo in cui essere nascosto aveva più problemi con gli umani che con gli shadowhunters quasi. Per tutta la vita avevano cercato di far sentire Magnus di troppo, non che ci fossero mai riusciti, per davvero, ma era bello avere un posto dove non lo era, per nessuna ragione. Anche se era una piccola stanzina in una barca improbabile.
“Ed Eleonora Pera?” aveva chiesto Alec.
“A nessuno piace Eleonora, incluso sé stessa. Non è cattiva, anzi, è venuta al rinnovo della firma degli accordi per sette volte. Ma … è arrabbiata” aveva confidato, “Lei è sempre adirata, come se si fosse dimenticata come essere felice” aveva raccontato, con un certo disagio, non sapendo spiegarlo neanche bene. “In realtà non credo che lei sarebbe una cattiva Cancelliera, se le cose non stessero cambiando” aveva detto, “Ma qui, il mondo, la stessa concezione del mondo, sta mutando e lo farà per sempre e noi … stregoni siamo abbastanza imperituri” aveva aggiunto.
“A me tu sembri molto favorevole ai mutamenti” aveva considerato Alec, “Be, dopo tutto questo tempo Alexander, dovrei sentirmi offeso, dal fatto che tu non abbia capito che non c’è nessuno come me” aveva scherzato, dando un poderoso bacio a suo marito.
“Posso assicurarti di esserne assolutamente consapevole” aveva concesso Alec, sporgendosi di nuovo per unire le loro labbra.
Magnus aveva guardato suo marito, accarezzando il suo viso, sfiorando con il pollice le labbra dell’uomo, “Alexander, quando torneremo a casa ti preparerò dei Rijistaffel veri, indonesiani, come non se ne fanno più oggi” aveva dichiarato.
Quello aveva battuto gli occhi blu con una certa perplessità, “Ammetto che non era l’uscita che mi aspettavo” aveva valutato. “Averli mangiati oggi mi ha ricordato quelli che preparava mia madre, erano quattro cento anni che … Non tutto di quel periodo è per me doloroso, nel senso, lo è, ma alcune cose sono anche ricche di nostalgia” aveva fatto una pausa, “E sentire Rafael apprezzarli così tanto” aveva aggiunto.
Alec aveva annuito, “Allora non vedo l’ora di essere a casa per mangiarli. Possiamo prepararli insieme” aveva ammesso, dandoli un altro bacio, “E se vuoi quando ci saremo sbarazzati della Coorte o almeno riorganizzato bene questo folle mondo potremmo fare anche un giro all’Istituto di Jakarta” aveva proposto.
https://www.facebook.com/photo?fbid=10222180862343658&set=pcb.10222180862583664 (Enrich)
https://www.facebook.com/photo/?fbid=10222180857143528&set=pcb.10222180862583664 (Isolde/Willem)
[1]
Cit.- T.
Hood
[2]
Lett:
Nera Riva in Olandese. La famiglia Shadowhunter in questione
è stata inventata
da me, ma il loro istituto no, sobsob.
[3]
Nel
libro del Bianco, viene detto che l’Istituto di Amsterdam
è su una barca in un
canale, girovagando su internet ho trovato gente che trovava difficile
la cosa,
perché i canali in Olanda non sono abbastanza spaziosi (io
sono stata solo a
Leiden ed Utrecht, quindi non so come sia ad Amsterdam nello specifico)
e sono
cambiati molteplici volte nel corso dei secoli. Quindi ho optato per un
compromesso: L’istituto è progettato con
architettura inter-dimensionale da
Stregone (un po’ alla ChiaroDiLuna
dell’Attraversaspecchi) e che si sposta per
i canali.
[4]
Tecnicamente in Olandese EJ (che vi dico essere un diminutivo) si
pronuncia,
secondo google traduttore, Ei-Ei e bho mi faceva ridere. In questo
mondo
meravigliso Magnus realizza che il nome è EJ
perché conosce l’Olandese … o per
ragioni.
[5]
Nel
libro del Bianco, Alec ammette che l’Istituto di Amsterdam
è uno di quelli a
cui è più interessato.
[6]
Non
credo che Magnus sia una persona che si vergogna delle sue origini,
però ecco
non splitta argomenti a caso, così alla fine ho pensato di
rivelare qualcosa
senza però dire tutto. Probabilmente tempo altri due minuti
ed avrebbe detto
anche di essere creolo.