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Autore: Happy_Pumpkin    11/02/2021    5 recensioni
avrebbe conosciuto il suo soulmate, un giorno, nutrendosi nel frattempo di amori momentanei mischiati a flebili speranze che forse, ma proprio forse, quel cliente portato all’aeroporto sarebbe stato... lui, nessun altro che lui, quello giusto insomma.
Naruto Uzumaki guida un taxi in una Metropoli immensa, alla ricerca del suo Soulmate che sembra però essere destinato a non incontrare mai, in un'esistenza imprevedibile intervallata da irrinunciabili routine. Finché, un giorno, da' un passaggio a un uomo che gli cambierà per sempre quell'esistenza, rivoluzionandogliela a sua volta.
SasuNaru ! Soulmate!Au
[Secret Sancta 2020] [Buon Natale Angelica!]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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4


4 ore prima


“Entra” invitò rivolgendosi a Sakura che lo guardò un istante, quasi alla ricerca di qualcosa sul suo volto di cui sarebbe stata lettrice esclusiva.

“Mi spiace per tutto questo – rispose mordendosi poi un labbro, senza accennare a muoversi, con la porta chiusa alle sue spalle che sembrava braccarla – non sarei dovuta venire qui.”

Si tolse gli occhiali da sole stringendoli in una mano, tutto il suo corpo pareva provare l’impulso di uccidere qualcosa. Sasuke notò che non era vestita degli abiti eleganti con cui l’aveva conosciuta, indossava anzi dei semplici jeans e una felpa con la zip parzialmente tirata giù, i capelli erano raccolti in una coda bassa.

“Ma ormai siamo qui tutti e due” sospirò, prendendole il cappello per poi tendere una mano verso il letto e invitarla “siediti un attimo.”

Le appoggiò vicino il copricapo, poi si sedette. La donna ondeggiò qualche istante sui piedi tentennando, infine imitò Uchiha, mettendosi accanto a lui.

Madara dice di non aver mai conosciuto il proprio soulmate” esordì la donna all’improvviso dopo qualche secondo di silenzio. Nel parlare aveva intrecciato le dita sottili, le cui unghie corte erano decorate da uno smalto rosato e leggero, quasi incarnasse lei stessa quel colore, la morbidezza pastello di un mondo altrimenti orribile e troppo carico di chiaroscuri.

“Non è la verità?” domandò Sasuke, voltandosi per guardarla. Si sentì curioso, disgustato e al tempo stesso in pace, un sentimento paradossale che gli annodava le viscere.

Gli occhi di Sakura per un solo attimo si abbassarono, guardando la moquette della stanza, poi tornarono a fissare Sasuke con determinazione: “In parte. Aveva trovato il suo soulmate quindici anni fa, ma l’ha perso dopo otto anni di vita assieme. Otto. Hashirama non è sopravvissuto alla malattia che l’ha afflitto. Madara ci ha provato a combatterla con lui, al punto che dopo la sua morte, sul petto, gli si è generato un nuovo marchio, con una parola assurda: perdonami; sai, come un ricordo indelebile che lo tormenta ancora oggi. Tuttora non ha mai capito perché gli è stata data di nuovo la possibilità di incontrare un soulmate, ma non gli interessa farlo.

Nel combattere questo male, infatti, ha visto una volta di più tutti i privilegi di cui loro hanno goduto rispetto ad altre persone non soulmate, le priorità, ma non è solo quello: la disorganizzazione sanitaria, i tagli fatti per privilegiare nel lavoro gli elementi cosiddetti stabili o parenti di qualcuno nella famiglia reale. Tutto questo purtroppo non è servito a nulla, ma riflettendoci le persone senza soulmate che avrebbero potuto essere salvate sono state lasciate indietro, ultime nelle liste, nelle terapie, nei posti letto. Ultime in tutto, se prive di un buon reddito o degli agganci giusti. Io ho conosciuto Madara allora, ero un’infermiera che non è mai riuscita a diventare medico, c’era sempre qualcuno in lista davanti a me, anche se ho studiato e lavorato così tanto. Sono stata ingenua a ben pensarci. Dove volevo andare?”

Accennò un sorriso ma gli occhi divennero lucidi.

Sasuke trattenne il respiro, con la paura di vederla piangere e non riuscire a sopportarlo. Cosa poteva fare per le lacrime? E per le bugie, tutte quelle che si raccontavano lui, Madara, Sakura, il mondo in chiaroscuri che non avrebbero mai colorato, non così, non piangendo in una camera d’albergo.

“Non riuscirei mai a mentire sul mio soulmate, specie se riguarda la sua morte. E anche la scritta, forse significa che non sempre chi perde il proprio soulmate è condannato a rimanere solo” ammise guardando avanti, come per non imbarazzarla in un momento di grande vulnerabilità.

La scritta. Ah, specie adesso mi allontana ancora di più da lui, per quanto userei io stessa quella parola, forse con intensità ancora maggiore di quanto avrebbe fatto Hashirama – sospirò, riprendendo poi con enfasi maggiore – non essere duro nel giudicare Madara. Sai, il male che senti quando perdi la tua anima gemella è... privato. Perché lasciare che estranei lo conoscano per il soulmate che ha perso? Madara ricorderà sempre il legame con Hashirama, è lui a doverlo tenere in vita, lui e la sua famiglia, nessun altro.”

Il suo sguardo era appena aggrottato, Sasuke pensò fosse involontario. La immaginò corrugare le sopracciglia tutte le volte che portava avanti le proprie idee. Forse era stato così che Madara si era innamorato di lei: li immaginò conversare attorno a un tavolo, con qualche bicchiere di vino e una cena raffreddata perché si erano persi a parlare, poi forse a far l’amore, con le guance arrossate dal bere e dall’animosità di ciò in cui credevano.

“Non sei gelosa? Un soulmate è qualcuno con cui non puoi competere. E capisco per esperienza personale anche la questione della scritta: sembra ricordarti ogni giorno che lui non sarà mai tuo per davvero.”

A quella dichiarazione lo sguardo di Sakura si ammorbidì e gli occhi tornarono più lucidi. Sasuke sentì il cuore stringersi e battere allo stesso tempo troppo forte, come se fosse legato e lottasse per scappare.

La vide umettarsi le labbra, poi guardare il soffitto e schioccare la lingua, forse cercava di temporeggiare per trovare il modo di possedere una voce ferma. Fece una specie di sorriso quando rispose:

“Certo che lo sono. Ma… io non voglio competere, capisci? Hashirama è morto, mentre io sono viva, Madara anche, aspettiamo un figlio, una nuova vita ancora, e tante volte, così tante volte il mio compagno mi ha estirpato dal petto le mie paure peggiori. Che a un certo punto fosse troppo distante da questo mondo per amarmi, o io per amare lui – sollevò le spalle, inspirando per poi ammettere – eppure siamo ancora qui e lottiamo per quello in cui crediamo. Certo, di tanto in tanto vorrei poter parlare con Hashirama, sentirlo, vederlo e chiedergli come facesse, come accidenti facesse a far sorridere tanto Madara, a farlo sentire così… vivo, quando era con lui. Hashirama qual è il tuo segreto?

Imitò una voce un po’ baritonale, che tremò appena, infatti si morse il labbro e in un gesto quasi di conforto smise di stringere gli occhiali per metterseli sulla testa, raccogliendo qualche ciocca scivolata sulla fronte.

Sasuke appoggiò i gomiti sulle cosce, intrecciando le dita delle mani mentre si chinava avanti con la schiena; a quel cambio di posizione i capelli umidi ondeggiarono appena. Accennò un mezzo sorriso ma non riuscì a parlare, ironico per lui, così abituato a far domande e lanciare ipotesi. La verità era che temeva di far risultare banale qualsiasi parola avesse pronunciato.

Per questo infatti fu solo dopo qualche istante che aprì bocca e si ritrovò a confessare qualcosa di molto personale, guardandosi i piedi nudi. In quell’occasione li trovò tanto magri da fargli impressione, si chiese cosa ne pensasse Naruto, se potesse amare anche un lato tanto malfatto di sé.

“Mio padre ha lasciato mia madre dopo aver conosciuto la sua soulmate. L’abbiamo escluso dalla nostra vita, non lo vedo da allora. Ciononostante l’idiota ogni anno mi scrive ancora per Natale e per il compleanno.”

Schioccò la lingua, scuotendo una volta la testa. Disse parole amare, ma la gola gli si strinse all’idea di quanto fosse ipocrita e di quanto Fugaku avesse perso di loro, di tutti loro.

“Un idiota che non se ne frega del tutto di voi, allora” notò Sakura, abbassandosi per intercettare lo sguardo di Sasuke. Questi spostò gli occhi verso di lei, sovrastato dalla sua ombra china, e non riuscì a nascondere un mezzo sorriso, anche se un po’ triste.

“All’inizio ha lottato per vederci e stare con noi. Però con il tempo si è arreso. Forse perché noi l’abbiamo lasciato andare; eravamo così arrabbiati, ci siamo sentiti traditi, capisci? Abbandonati. Eravamo dei bambini. Ma a ben pensarci col senno di poi ha avuto un coraggio immenso a portare avanti la sua scelta. O forse era solo un folle. Lasciare tutto ciò che aveva, le sue certezze, la sua stabilità per stare con una sconosciuta ma in qualche modo predestinata. Non tutti lo farebbero anche se si tratta di un legame trascendente, ne avrebbero comunque paura.”

Si portò una mano sulle labbra e Sakura uscì dal suo raggio visivo, perché la donna si sollevò in piedi. Se la trovò chinata di fronte a lui. Gli prese le mani e lo costrinse a sollevare il volto per guardarla:

“Chi ti attende a casa, Sasuke?”

Ci fu una dolcezza struggente in quelle parole. Uchiha si sentì così amato e protetto, nel suo immaginario avvolto da un abbraccio morbido che gli mancava immensamente. Avrebbe voluto accartocciarsi, rimpicciolirsi e mettersi in grembo a Sakura, come faceva da bambino con sua mamma, quando ancora poteva addormentarsi in braccio a Mikoto mentre erano fuori a cena con tutta la famiglia e il mondo al di fuori, ai suoi occhi immenso rispetto al proprio minuscolo nucleo protetto, continuava a vivere, con le sue chiacchiere e i suoi rumori caotici che però per Sasuke erano ovattati, così insignificanti rispetto alla potenza del battito del cuore di sua madre: con gli occhi chiusi e l’orecchio appoggiato contro il petto della donna, il bambino infatti lo sentiva rimbombare nella cassa toracica, un tamburo ancestrale che scandiva lo scorrere del sangue. E lui incantato lo sentiva fluire, battere, scalpitare, mentre si addormentava protetto dal tocco materno che gli accarezzava i capelli.

“Naruto” disse il suo nome in un sussurro.

La donna gli girò i palmi e sgranò gli occhi. Ma non disse nulla, tornando a guardare l’uomo che sembrava non aver ancora realizzato.

Gli spostò i capelli scuri dalla fronte e commentò:

“Tuo padre si era innamorato della sua soulmate, tutto qui. Deve esserci amore. E tu sei innamorato, Sasuke, lo vedo dal tuo sguardo. Ma… non di me.”

“Sakura…” mormorò. Scoprì che non c’era altro da dire. Il suo nome racchiudeva così tanto.

“Così come io amo Madara. Mi spiace immensamente non averti conosciuto otto anni fa, Sasuke. Credo che a quell’epoca, senza nessuno, ci saremmo potuti amare, forse invecchiare insieme tra parecchi anni, con una certa dose di fortuna, la stessa che è stata negata a Madara e Hashirama.”

Sasuke chiuse gli occhi quando sentì la mano di Sakura toccargli i capelli, poi accarezzargli la guancia e indugiare lì, sulla sua pelle.

“Anche io lo credo. Che ci saremmo potuti amare – la guardò ed entrambi rimasero per qualche istante in silenzio, contemplandosi – sono contento di averti conosciuta, anche se…”

“Anche se come faremo ora? Con loro” precisò la donna, riportando la propria mano in grembo. Si era seduta a gambe incrociate. Sasuke allora scese dal letto, mettendosi a sua volta a gambe incrociate davanti a lei. Gli sembrò di avere uno specchio e di leggervisi dentro, di trovare di fronte a sé la sua parte migliore, la persona che non sarebbe mai stato. Si chiese se Sakura ammirasse qualcosa allo stesso modo, trovando ridicolo che in lui potesse esservi altrettanto.

“Capiranno? Che li amiamo nonostante tutto.”

Sakura sospirò: “All’inizio ho avuto paura. Paura di perdere Madara, ma anche di perdere te, di non rivederti mai più senza aver parlato faccia a faccia. Certo, ero agitatissima, perché una parte sperava di trovare non so cosa arrivando qui, qualche risposta a tutto, la soluzione perfetta a ogni mio dubbio, un’altra era nel panico più totale all’idea che entrambi magari saremmo stati troppo pronti a dire addio al nostro passato oppure, al contrario, a dirci addio anche troppo preso – rise, un po’ nervosa e un po’ realmente divertita – non so se capisci quello che intendo. Sì, dai, è chiaro, sono ancora agitata.”

“Lo sono anch’io – Sasuke annuì e Sakura annuì a sua volta e una lacrima iniziò a scivolarle rapida sul volto, come qualcosa di fugace, allora Sasuke annuì ancora, guardandola, ripetendo – lo sono anch’io. Ma ora sono sicuro, anzi sicurissimo: non voglio perderlo. Non voglio andarmene, non voglio fare come mio padre, io voglio lottare, fargli capire che… è lui. La mia scelta. Sempre la mia prima e unica scelta.”

Sakura pianse di più. E anche Sasuke, che sembrò qualcosa gli entrasse negli occhi e glieli sfregasse, iniziò a sua volta a piangere. Si guardarono, con le lacrime che scorrevano incontrollate sul volto, quasi come se non piangessero da una vita, un lusso che forse non avevano più potuto permettersi, perché la società rammentava loro che non erano più bambini, erano stati privati del privilegio di addormentarsi tra le braccia chi li faceva sentire al sicuro mentre al di fuori il mondo giudicava ogni loro debolezza.

Piansero e risero, Sakura portandosi una mano sulla bocca, Sasuke mordendosi appena il labbro, tirando ogni tanto su col naso. Lentamente, la risata si smorzò, entrambi dettero qualche colpo di tosse e anche il pianto divenne più sommesso.

“Hai visto il tuo palmo? Ormai l’inchiostro è andato via del tutto” fece presente Sakura, alzandosi in piedi dopo essersi asciugata gli occhi con il dorso della mano.

Sasuke scrollò le spalle, strizzando le palpebre come per togliersi le ultime lacrime incastrate tra le ciglia. Prese un fazzoletto di carta sporto da Sakura che poi si soffiò il naso, appallottolando il fazzoletto per metterselo in tasca e attendere, ancora in piedi.

“No, non ho visto.”

Sakura allora lo tirò su e Sasuke si mise in piedi di fronte a lei. La donna con un cenno del mento lo esortò. A quel punto con un sospiro senza fiducia, nonostante il leggero bruciore, girò i palmi e quando li vide rimase a fissarli con la bocca semiaperta.

“Non capisco. Tutto questo non ha senso.”

Sakura gli prese le mani dal dorso e lo guardò: “Cosa ha senso in questa vita?”

“E tu? Magari possiamo parlarne con Shisui, è il compagno di mio fratello, fa studi di genetica, quindi sicuramente...”

“Magari sì, magari no. Per me adesso non è la priorità. A prescindere da quello che vedrò sui miei palmi, voglio andare da Madara e parlargli.”

Sorrise, infine gli lasciò le mani e gesticolò, domandando con maggiore urgenza: “Ma, soprattutto, cosa ci fai ancora qui?”

“Dovrei andarmene? – ah-ah fece la donna in risposta, rivitalizzata da una nuova speranza e forza, così, contagiato dalla sua carica, sulla stessa onda Sasuke proseguì – Dovrei prendere la macchina con il buio incombente, non fare le interviste previste domani, percorrere oltre tre ore di strada e raggiungere Naruto all’improvviso ovunque si trovi?”

“Ovvio” rispose ancora Sakura, annuendo.

Sasuke tacque un istante. Poi sospirò: “È la cosa più sensata e spettacolare che abbia mai fatto in vita mia.”

La donna sorrise, intrecciando le mani dietro la schiena. Lo contemplò fare velocemente il suo modesto bagaglio, bendarsi la mano dove un tempo c’era il marchio con il kit di pronto soccorso della camera, controllare le ultime cose dopo essersi passato le dita tra i capelli e pensò che Naruto – ah, quel nome pronunciato così, come un sussurro sofferto, prima le aveva lacerato il cuore – era un uomo fortunato. Anche se forse quella sera avrebbe pensato di essere tutt’altro.

Uscirono dalla stanza del motel, Sasuke pagò il conto e al parcheggio di guardarono un istante. Senza goffaggini, come se si fossero letti dentro o avessero fatto scattare un minuscolo meccanismo che connetteva le rispettive anime, i due si abbracciarono, rimanendo così qualche istante, per poi separarsi e dirsi contemporaneamente:

“Digli la verità.”

“Lo farò” ripeterono ancora assieme.

Sakura rise e Sasuke annuì: “Ok, ok, in futuro dobbiamo esercitarci per questa cosa. Comunque non gli nasconderò nulla. È giusto che Naruto sappia e decida, consapevole di quello che ho scelto io.”

“E quella benda?”

“Sarà per dopo. Se vorrà avere ancora a che fare con me, magari assieme potremo capire cosa significa tutto questo” spiegò l’uomo, stringendo le mani a pugno, con determinazione.

“Non gli renderai le cose facili ma… come non potrebbe, non voler più avere a che fare con te?”

commentò Sakura per poi dargli un leggero buffetto sulla guancia e indietreggiare di qualche passo verso la propria macchina.

“Lo stesso vale per te. Madara sarebbe uno stronzo idiota a cambiare idea. Insomma, sarebbe più stronzo di quello che è già. Idiota non così tanto, devo concederglielo” ammise, fingendosi piuttosto serio.

Sakura rise, annuì, poi lo salutò e salì in macchina. Guardò partire Sasuke e andarsene, solo allora uscì a sua volta da parcheggio.

Si portò una mano sul ventre e pensò una volta di più che… sì, la vita era strana, imprevedibile e nulla, davvero, nulla, doveva essere dato per scontato.


*

Sasuke guardò il cellulare di Naruto spaccato per terra e si chinò di scatto per raccoglierlo, ma l’altro lo fermò: “Faccio io.”

La voce era strozzata. Quasi un singulto.

Incapace di smettere di guardarlo, ancora a metà tra il chinarsi e tornare completamente dritto, Sasuke non riuscì a vedere il pugno che gli arrivò dritto in faccia e che lo stese a terra.

“Maledetto figlio di puttana!”

“Kiba!” esclamò Temari, ma Shikamaru si mise davanti e afferrò Kiba per il braccio, bloccandolo prima che l’amico potesse concludere l’opera saltando direttamente addosso a Sasuke per scaricargli infiniti altri pugni sul volto. Gli vide la mano tremare e le braccia che si tendevano come corde di violino per liberarsi, mentre Kiba urlava:

“Che cazzo ti dice il cervello? Hai trovato un soulmate? E glielo vieni a dire così, dopo oltre un anno che vivete assieme ogni singolo fottutissimo giorno, su una strada del cazzo dopo non esserti fatto sentire tutto il giorno! Tutto-il-giorno. Non una parola. Cristo, quanto mi fai schifo.”

Allontanò Shikamaru con un gesto del gomito e indietreggiò, portandosi una mano tra i capelli, il gesto di chi non ci crede e fa qualcosa di inutile per tenersi le mani occupate.

Naruto non riuscì a guardare Sasuke messo in quel modo, con il dorso della mano premuto contro le labbra spaccate per arrestare il sangue. Sentì che una parte di sé avrebbe voluto tirare di persona quel pugno, ma era la sua parte peggiore, quella vendicativa e profondamente arrabbiata, il resto era solo rammarico e amore. Quello c’era ancora, come poteva sparire dall’oggi al domani? Fosse stato così facile non avrebbe fatto tanto male.

Si chinò per togliere la mano con cui Sasuke si copriva il volto e, con un fazzoletto di carta, tamponargli il sangue. Uchiha lo guardava, chiedendogli scusa senza parlare, ma anche a quel modo, sconfitto a terra, possedeva un animo forte, al punto che Naruto si ritrovò stupidamente a pensare che era andata più che bene fino ad allora, avevano avuto del tempo per godere l’uno dell’altro.

“Andiamo un attimo a – si umettò il labbro, per poi dire – casa.”

Gli porse la mano che Sasuke prese, alzandosi.

“Un attimo?” domandò il giornalista.

Naruto gli lanciò un’occhiata ma non rispose. Kiba sbottò: “Dovresti lasciarlo in mezzo a una strada.”

“Smettila” lo avvisò Naruto, all’improvviso tagliente, prima ancora che Choji potesse invitare Kiba a tacere. Inuzuka strinse i denti, sembrò in procinto di ribattere, ma vide lo sguardo del suo migliore amico e, sgonfiato forse dell’istinto primario di difesa, nel vederlo così deciso ancora, nonostante tutto, a prendere le difese del suo compagno, non poté far altro che lasciar perdere. Alzò le braccia in segno di resa e annunciò agli altri che sarebbe rientrato a casa.

“Avete bisogno di un passaggio?” domandò Shikamaru, con le mani in tasca e lo sguardo apparentemente imperturbabile, come se avesse deciso di ignorare arbitrariamente quello che era successo. Naruto sentì la domanda implicita del se posso fare qualcosa, dimmelo ma si limitò ad annuire e poggiargli una mano sulla spalla, rassicurandolo:

“No, grazie. Credo Sasuke abbia una macchina, forse quella aziendale. Poi vediamo, se c’è qualcosa vi tengo aggiornati.”

“Mamma perché zio Sasuke è finito a terra?” domandò all’improvviso la bambina, tirando l’orlo della giacca di Temari. Quest’ultima si abbassò, spostandole un ciuffo di capelli sbarazzini dietro le orecchie, e dopo aver lanciato un’occhiata ai due amici si limitò a rispondere:

“A volte succede di cadere, quando si fanno le cose un po’ troppo di fretta.”

“E zio Kiba l’ha aiutato?”

“Anche zio Kiba ha fatto le cose di fretta e non ha aiutato affatto. Ma sai a volte agiamo così, di fretta, perché ci sono tanti sentimenti dietro che ci fanno ragionare con questo – le indicò il cuore, appoggiandole il dito sul petto e proseguì – piuttosto che con questo.”

Spostò il dito sulla fronte e la bimba aprì la bocca, emettendo un “Ooooooh” di scoperta e meraviglia, anche se forse avrebbe davvero capito quello che la sua mamma le aveva detto solo molti anni più avanti.

Finirono per salutarsi, anche con Sasuke, sebbene fosse più uno scambio di gesti un po’ impacciati, mossi da una sorta d’imbarazzo involontario.

Quando furono rimasti soli, Naruto scrollò le spalle e sospirò:

“Allora, dove hai la macchina?”

Sasuke avrebbe voluto dire qualcosa, iniziare a spiegare, ma comprese che non era quello il momento: cercare di piantare nuovi semi in un terreno dove aveva appena fatto esplodere una bomba sarebbe stato da stupidi, oltre a non portare altro che uno sterile vuoto.

“Poco distante da qui. L’ho parcheggiata com’è capitato” usò un tono freddo, quasi robotico, come se i suoi meccanismi di difesa fossero scattati senza dargli nemmeno tempo di provare a tirare fuori la propria dolcezza, intima e privata, per come Naruto davvero lo conosceva.

Questi sembrò non esserci rimasto troppo male, quasi se lo aspettasse – aveva visto ormai tanti aspetti e sfumature del carattere introverso del compagno – e infatti si limitò a camminargli al fianco, senza parlare, anche se aveva le viscere annodate come se qualcuno gli avesse infilato in grembo una corda aggrovigliata anziché l’intestino.

Fecero il viaggio in silenzio e fu terribile, sembrò quasi di trovarsi in macchina con un perfetto estraneo, qualcuno di diverso rispetto a chi avevano conosciuto, anche se entrambi avevano così tanto da dire all’altro.

Quando giunsero all’appartamento, Cerbero nel sentire scattare le chiavi della serratura corse loro incontro facendo ticchettare le unghie scure delle zampe sul pavimento, quasi una melodia di benvenuto, accompagnata da abbai trattenuti, perché era chiaro che non fosse stato per il rischio di venir sgridato il cagnolino avrebbe volentieri svegliato l’intero palazzo per annunciare la sua gioia festaiola.

Con un groppo in gola, Sasuke accarezzò con affetto il proprio cane, tirando un sospiro nel constatare una volta di più quanto anche il suo amico quattrozampe gli fosse mancato e quanto questi, con l’ingenuità amorevole canina, non avesse realizzato il dramma che c’era tra lui e Naruto, anche se forse, nell’irrequietezza della coda o nel modo in cui li annusava, qualcosa intuiva.

“Deve ancora fare la passeggiata al parco, se hai voglia lo porterei adesso. Non so, se magari devi parlarmi.”

Sasuke si rialzò, mentre Cerbero fece un giro su se stesso e si sedette di fronte a Naruto, pronto a prendere il guinzaglio e partire all’avventura. Fissò un istante il cane poi ribadì a Uzumaki, ignorando il gonfiore al labbro che stava cominciando a crescere:

“Certo che devo parlarti, di un sacco di cose. E ti avevo chiesto io stesso di portare Cerbero assieme, quando sarei tornato, no?”

Adottò un tono quasi arrabbiato e sicuramente disperato. Anche se il volto era rimasto altero, meno esposto al mutamento dei sentimenti. Naruto per contro scrollò le spalle, ribattendo con blanda ironia:

“Sai com’è pensavo che dopo tutta la storia del… coso, lì, del soulmate – faticò a pronunciare quella parola – quanto avevi detto prima ormai contasse poco o nulla.”

“Beh, ti sei sbagliato, evidentemente.”

“Già, mah, tendo a farlo solo io qui dentro a quanto pare.”

Sasuke lo guardò infilare con gesto stizzito il guinzaglio nel collare di Cerbero: “Perché devi fare così adesso?”

“Così come? Che ti importa di come faccio io? Tanto hai trovato chi farà tutto in maniera perfetta, proprio come desideri, finalmente puoi dire basta a quel deficiente sbadato e casinista del tuo ragazzo, devi festeggiare!”

Esclamò Naruto, sorridendogli. Un sorriso tirato, esattamente com’era tirato e sempre più arrabbiato, deluso, triste, forte il tono di voce.

Il cuore perse un battito, tutta la spavalderia data dalla rabbia e dal senso di trovarsi dalla parte del giusto fu annientata nel vedere il volto di Sasuke, il modo in cui contrasse le labbra già sottili fino a farle sparire e la sua risposta per contro fievole, di chi cercava di arginare qualcosa, un’esplosione forse, che invece Naruto per contro aveva cercato.

“Dammi il guinzaglio, lo tengo io per un po’ mentre scendiamo.”

Senza parlare, sgonfiato dell’acrimonia di prima, Naruto glielo tese ma non si sfiorarono le mani, anche se una parte di sé avrebbe voluto farlo, sentire Sasuke, chiedergli del labbro, togliergli il sangue rappreso e abbracciarlo perché, cazzo, gli era mancato così tanto e ora che ce l’aveva finalmente davanti sapeva di averlo perso per sempre.

Nuovamente in silenzio, eccetto per Cerbero che agitava la coda e guaiva di entusiasmo nell’ascensore, impaziente di scendere, i due uscirono in strada e si incamminarono verso il parco a pochi isolati di distanza. L’aria era fresca, di quel freddo quasi frizzantino che accarezza le guance senza morderle come il gelo dell’inverno, mentre sopra di loro il cielo era piuttosto pulito: date le poche luci attorno a loro, i due ragazzi riuscivano a vedere le stelle principali. Sembrava che immensi palazzi si fossero elevati fino al confine dell’atmosfera, avvolgendo la terra con le luminarie delle proprie finestre, divenuti punti gialli incastonati nella volta immensa del cielo.

Irrequieto, Sasuke si accese una sigaretta ma solo dopo vari tentativi in cui il pollice non sembrava abbastanza fermo per far funzionare l’accendino. Quando espirò, fu l’unico suono che si percepì attorno a loro, oltre al fruscio leggero dei passi che ricordavano una timida carezza sull’asfalto.

Quando furono nel parco, illuminato da qualche lampione basso, in ferro battuto come le panchine che lo popolavano, Cerbero iniziò ad annusare ogni superficie, a marchiare il territorio e a raspare il terreno con entusiasmo. I due lo guardarono qualche istante, fino a che all’improvviso Sasuke annunciò:

“Non era mia intenzione conoscerla. È capitato. Per tutti questi anni sono stato così attento – lo so Sasuke, lo so, tu non hai mai voluto conoscere il soulmate eppure… – forse è davvero una questione di destino. Ma io una volta di più so, so perfettamente di…”

“Chi è? Come si chiama?” lo interruppe all’improvviso Naruto. Non con voce d’accusa, sembrava bensì interessato, anche se triste. Pareva averlo accettato.

Interdetto, con la sigaretta che bruciava lenta tenuta tra le dita, Sasuke rispose: “Sakura.”

“Sakura – Naruto guardò Cerbero, mentre parlava, fingendo che quella conversazione fosse con Sasuke il suo amico, non il suo compagno – bel nome.”

“Bel nome? Cos… cosa importa? Chi se ne fotte, voglio dire!” esclamò all’improvviso Sasuke. Cerbero si fermò, osservandolo con le orecchie alzate. Uchiha si morse un labbro e, con l’espressione corrugata, guardò davanti a sé verso un punto indefinito. Schiacciò il mozzicone nel primo cestino a disposizione, spegnendolo prima di fare ancora qualche tiro, sembrò un gesto fatto per il bisogno di concludere qualcosa. Fu allora che Naruto fissò Sasuke, non capendo proprio perché l’altro dovesse prendersela a quel modo.

“Cosa dovrei dire quindi? Farti le congratulazioni? Sto cercando di… – deglutì, ritrovandosi ancora una volta ad alzare la voce e a dire cose che non voleva – di essere comprensivo qui! Di capirti, di incoraggiarti, cazzo! Vorrei solo mandarti a ‘fanculo e raggiungere questa stronza ovunque sia e… non so, merda, farle un incantesimo, farle dimenticare chi sei, dove sei, ridisegnarle quella stupida macchia sul palmo o dov’è e dirle che tu sei… sei già mio.”

La voce gli si affievolì. Sentì il labbro tremare, come tutte le volte che per rabbia o per dolore stava piangendo. E lui non voleva. No. Oh no, non davanti a Sasuke, già era patetico quello che aveva detto senza aggiungerci le lacrime. Lui era quello sorridente, quello ottimista, quello che combatteva anche per Sasuke se necessario. Che cosa gli aveva fatto il suo ragazzo in quegli anni, per farlo sentire così… perso all’idea di perderlo a sua volta?

All’improvviso Sasuke gli afferrò il braccio. Il cane sedette, paziente e comprensivo. Naruto gli guardò la mano che lo aveva afferrato, solo dopo spostò lo sguardo sul volto dell’altro e lo vide allarmato, ferito, agitato. Lo lasciò parlare, perché non seppe come reagire.

“Naruto, non mi hai dato il tempo di spiegare! Non…”

Ansimò, con gli occhi sgranati. E lucidi.

Naruto non riuscì a chiudere i suoi. Fece per aprire bocca, fu un gesto istintivo, quasi le parole potessero essere un cerotto per le loro ferite.

Ma Sasuke lo strinse, lo abbracciò, lasciando cadere a terra il guinzaglio per poi quasi gridare, il volto così serio e malinconico trasformato in qualcosa di più animale, di disperato e quasi ironico:

“Non mi interessa lei! Io sono qui per te, voglio stare con te. Amo te – gli appoggiò la testa sul petto, chinandosi, mentre stringeva la giacca dell’altro – te, te, te. Ma non potevo non dirti che l’ho conosciuta.”

Per un attimo Naruto lo guardò dall’alto, senza parlare. Poi si portò una mano sul volto, sentendo le proprie lacrime vincere la resistenza e finire per bagnarlo. Se le asciugò in maniera brusca e incrociò il proprio sguardo con Sasuke:

“Come puoi dirlo? Ignorare che esiste? Quando Sakura, chiunque e ovunque lei sia, sa a sua volta che ci sei – gli fece male la gola, come se ci fosse un chiodo conficcato sotto al palato, e si sentì morire quando domandò con voce fievole – quanto può durare a questo punto tra di noi?”

Per distrarsi, afferrò il guinzaglio di Cerbero che nel frattempo si era allontanato di qualche metro e fece ancora due passi. In tutto questo Sasuke non si era mosso.

Chiuse un istante gli occhi, inspirando, cercando di mantenere il controllo, di riflettere e di capire Naruto anche se era difficile, così difficile, perché fino ad allora pensava che potevano avere una possibilità. Ciò che aveva visto sul proprio palmo gli aveva dato una forza e un senso d’illusione forse eccessivo.

Gli si avvicinò: “Egoisticamente vorrei che mi dicessi che va bene provare, per tutto il tempo che durerà, perché io so che sarà lungo questo tempo anche se mai abbastanza. Ma – sollevò le spalle, abbassando qualche istante la testa – mi rendo conto che tu non ci credi affatto. Immagino, e lo dico a mio discapito, che agirei esattamente nella stessa maniera. Anzi, sarei stato terribile: non sarei mai riuscito a fare quello che hai fatto tu, fingere un interesse che ovviamente non provavi riguardo il mio destino con questa persona.”

“Beh, d’altronde sono sempre stato io quello più simpatico dei due, no?” ironizzò Naruto, con un mezzo sorriso un po’ smorto.

Non aggiunse altro, così restarono in silenzio percorrendo ancora i viali del parco, finché Sasuke gli propose, senza più riprendere le redini del cane:

“Ti va se ci prendiamo un caffè d’asporto prima di tornare a casa? Non ho mangiato nulla ma non ho nemmeno troppa fame, solo… vorrei mettere qualcosa di caldo nello stomaco – parve ripensarci – se vuoi tornare. A casa. Casa nostra.”

Affondò le mani nelle tasche del giaccone.

Naruto sorrise. Con tenerezza. Sbatté una volta le ciglia, lentamente, quasi con stanchezza, infine annuì: “Va bene – controllò il cellulare, guardando l’ora – non è ancora mezzanotte, troviamo aperto giusto in tempo. Anche se…”

Si umettò la lingua, ma non proseguì. Stupido. Poteva tacere e tenersi per sé il suo rammarico, smettere di farsi pungolare dal senso istintivo della vendetta emotiva.

“Anche se?” lo incalzò Sasuke, senza però arrestare la camminata al suo fianco.

“Forse dopo essere rientrati faccio un giro. Sai – non ce la faccio a stare a casa, ho addosso un magone tremendo e un senso d’angoscia – non riesco a dormire molto bene dopo essere stato di servizio un po’ di notti.”

Per un attimo Sasuke non respirò. Ma si limitò ad annuire e replicare, con tono molto più morbido: “Capisco.”

Tutto quello che Naruto elaborò a sua volta in risposta fu una sorta di sorriso stupido, con le labbra inferiori in parte morse tra i denti.

Sostarono di fronte a una caffetteria dove non c’erano altri clienti, ormai le sedie e i tavoli avevano cominciato a essere radunati in un angolo e le prime luci spente. Uno dei camerieri stava pulendo il pavimento e l’altro era alla cassa, con un block notes in mano e una penna incastrata sopra l’orecchio.

Sasuke si sporse dall’ingresso e annunciò:

“Scusate, potete farci due caffè da portar via, so che state chiudendo ma…”

Il ragazzo alla cassa sollevò lo sguardo. Per un attimo ebbe l’espressione di chi voleva controllare l’ora, ma invece sorrise e annuì, aveva qualcosa di gentile, come una mamma.

“No problem ragazzi, le macchine sono ancora accese.”

“Grazie” rispose Sasuke, con un cenno della testa, ed entrò. Naruto rimase sulla soglia, con Cerbero che prima fissava lui, poi il padrone.

“Come lo volete?”

“Uno zuccherato” rispose Sasuke, tirando fuori il portafoglio. Uzumaki sospirò appena, fece per parlare ma si concesse della pigrizia malinconica, chinandosi per accarezzare Cerbero.

“L’altro?”

Sasuke lanciò un’occhiata al suo compagno, poi tornò a fissare il cameriere: “Niente zucchero, grazie.”

Naruto smise di accarezzare Cerbero. Si bloccò così, stupidamente, con le mani ancora tra il pelo del cagnolino che reclinò appena la testa, sollevando attento le orecchie.

Uzumaki aprì la bocca, cercando di ricordarsi come respirare. Poi sbatté una volta le ciglia, una soltanto, deglutì, respirò e senza muovere altro muscolo eccetto quelli strettamente necessari abbassò lo sguardo sul proprio avambraccio.

“Tutto a posto?” domandò Sasuke sulla soglia, osservandolo dall’alto. In mano aveva la busta di cartone coi caffè.

Naruto sollevò lo sguardo verso di lui, ma per un attimo non si mosse. Poi si alzò di scatto, stringendo più forte il guinzaglio di Cerbero che trotterellò di qualche passo, scodinzolando.

“Sì – gli uscì una voce flebile, dunque dette un colpo di tosse e ribadì con maggiore convinzione – tutto a posto. Andiamo.”

Sentì Sasuke scrutarlo, ma questi non disse nulla. Senza nemmeno rendersene conto, nel silenzio della via notturna finirono per bere i propri caffè mentre camminavano, diretti verso casa. A dire il vero Naruto non se lo gustò affatto, desiderò solo andarsene, prendere tempo e distanze, sconvolto, agitato e con la voglia di urlare, ridere forse, ma sicuramente urlare. Non riuscì a non guardare Sasuke, a scrutarlo a sua volta, come in cerca di qualcosa, al punto che questi si voltò e gli domandò, non infastidito ma certamente dubbioso, l’espressione di qualcuno che aveva un tesoro da scavare:

“Sicuro che vada tutto bene?”

“Sì” si ritrovò a rispondere Naruto prima ancora di pensarci.

Quando furono di fronte all’ingresso della palazzina, dopo aver tratto un leggero sospiro il taxista annunciò:

“Inizia ad andare su. Io… non ce la faccio – nel guardarlo, nel dirgli quelle parole, la voce si incrinò e lui si portò una mano tra i capelli – Sasuke, tutto questo è assurdo. Questa serata, questo caffè, noi… noi siamo assurdi, lo capisci? E adesso…”

Si morse una mano, respirando tra i denti.

Vide Uchiha aprire la bocca e cercare aria ma ciononostante il compagno non poté fermarsi: “Ho bisogno di tempo. Di un attimo, solo un attimo. Devo capire come intendo andare avanti io e, Sasuke, non credo di riuscirci con te. Non così, non a queste condizioni.”

Sasuke strinse il proprio caffè vuoto, lo accartocciò, come se volesse ucciderlo.

“Aspetta. No. Un attimo. Perché? Io voglio stare con te, tu e io, la nostra casa, Cerbero, le nostre serate assieme a guardare un film, noi due, al di fuori il resto del mondo che….”

“Ma io no!” esclamò Naruto, sgranando gli occhi.

Vide quelli lucidi di Sasuke, bloccatosi, e anche i suoi lo furono di conseguenza.

“Mi stai lasciando…” mormorò l’altro dopo qualche istante. Sembrò capire, colto da una rivelazione più grande. Ebbe l’aria di chi si sentiva stupido e già tremendamente solo.

Naruto reclinò la testa – Dio, Dio, davvero doveva rinunciare a tutto quello che erano? La sua casa, le sue abitudini, Cerbero, Sasuke, le sue sciarpe in giro, il suo profumo, i suoi capelli contro al volto quando si appoggiavano l’uno all’altro sul divano – e poi, lentamente, annuì:

“Ti lascio.”

Gli venne un conato di vomito alla sola idea. Sasuke si guardò i palmi, li fissò un istante, respirando attraverso la bocca, secca e invisibile, poi li lasciò cadere. Cerbero guaì, accoccolandosi ai suoi piedi.

“Dammi una possibilità. Combattiamo – la tazzina di cartone gli cadde a terra, mosse un passo avanti – non dovevamo fare così? Non dovevamo combattere, per noi? Non è questo che hai fatto fin dall’inizio, che facciamo da sempre in questa maledetta città dove per anni abbiamo rischiato di saltare in aria, di venire rapiti, di... perderci. Perché ora ti sei arreso?”

Naruto lo guardò, ansimante a sua volta di rabbia, di voglia di piangere, mentre aveva ascoltato la voce di Sasuke diventare sempre più roca.

Diglielo. Diglielo cazzo. Falla finita per davvero, in grande stile. Magari lui capisce meglio di te quello che è successo.

Si toccò l’avambraccio, ma indietreggiò di un passo. Poi scosse la testa e contrattò:

“Non è questione di arrendersi.”

“Ah, no?”

“Adesso sei tu arrabbiato con me? Davvero – sbatté una mano contro la coscia – pazzesco! Sono comprensivo e…”

Ma io non ho bisogno di comprensione! Ho bisogno di te! Sono qui, non – quel non gli uscì come uno sfiato di un vecchio mantice – non con lei!”

Puntò il dito oltre Naruto, oltre la città e i suoi immensi edifici, diretto dal filo invisibile delle distanze.

“Ma per quanto?” sbottò questi esasperato.

Cosa importa? Cosa? Da sempre abbiamo vissuto così, con un conto alla rovescia, e lo abbiamo accettato. Non… non ti fidi di me?

Gli uscì un suono flebile.

Naruto sospirò, colmo di tristezza. Scosse la testa, eppure non disse nulla. Raccolse la tazza di Sasuke caduta a terra e nel rialzarsi spiegò:

“Sasuke… dammi tempo. Tutto qui. Al momento non posso pensare di farcela. Già, non ce la faccio, provo a dirmelo, a ripetermelo ma – alzò le spalle, allargando le braccia – che ti devo dire, non ci riesco. Sali su con Cerbero. Io ho bisogno di farmi due passi, fuori, di schiarirmi le idee.”

Lo vide stringere il pugno bendato. Sembrò in procinto di dire qualcosa, ma si trattenne, come per un ripensamento. Sasuke lo scrutò infatti in cerca di qualcosa, quasi volesse farlo parlare ancora, invece per contro Naruto non ebbe altro da aggiungere. Sembrò mortificato e deluso.

Ciononostante Uchiha, corretto fino all’ultimo, si limitò ad annuire e assicurarsi: “Stai attento per strada. Almeno questo. Io – guardò Cerbero che guaì – noi ti aspettiamo a casa, se vorrai tornare stanotte. Lo spero. Possiamo… possiamo ordinare qualcosa d’asporto per colazione la mattina, come facciamo la domenica.”

Fece un mezzo sorriso, ma nulla di più. Gli occhi erano tristi ma soprattutto stanchi.

Naruto si guardò un istante i piedi però non prometté niente che non potesse mantenere.

Guardò con il cuore in gola Sasuke e Cerbero rientrare nella palazzina, diretti verso casa, e provò un magone terribile. Gli mancavano già così tanto. O forse era la consapevolezza della perdita, della rottura profonda e irrimediabile della sua vita, ad accentuare quel senso di precoce nostalgia per ogni singolo istante e persona amata.

Dopo aver gettato le tazzine che gli sembrarono macigni, fece qualche passo, passandosi il dito sotto il naso per evitare che colasse, senza in realtà la minima idea di dove andare. Girato l’isolato, si scoprì poi l’avambraccio, lo guardò e chiuse gli occhi. Sigillò la bocca, con la voglia di urlare e l’impulso selvaggio di tornare indietro, però si costrinse a trarre un profondo respiro.

All’improvviso tirò fuori il cellulare e scrisse:

Scusami. Scusami infinitamente. Stiamo… bene, ma davvero stanotte è successo di tutto e di più. Io ho bisogno di parlarne con te. Sei l’unica persona che conosco che… lo so che è folle ma ci saresti se faccio un salto trapoco?

Spedì il messaggio su whatsapp, senza nemmeno ricontrollare cosa aveva scritto o ci avrebbe ripensato. Tamburellò qualche istante un piede, dicendosi che era un’immane stronzata. Fece per cancellarlo quando all’improvviso gli rispose:

Naruto! Mi spiace di sentirti così. Siamo ancora svegli, film terribilmente lungo che ci siamo messi a vedere. Vieni pure, ti aspettiamo.

Per la prima volta in tutta quella conclusione tremenda di serata, Naruto sorrise genuinamente e, sciocco, si commosse. Di fronte alla scrittura così pulita, gentile e pronta di Itachi che sembrava averlo capito e non aveva esitato un istante, non uno solo, a rispondergli… che andava bene.


*


Sulla soglia dell’ingresso alla palazzina dove vivevano Itachi e Shisui, Naruto esitò. Si trattava un’immensa follia, era da stronzi entrare a casa della gente, peraltro in quella del fratello di Sasuke, nel cuore della notte; il fatto che si sentisse uno schifo, oltre che in procinto di piangere anche l’anima non era comunque una scusa sufficiente.

Doveva tornare da Sasuke e in qualsiasi mondo andava dirgli che…

“Naruto!” sentì dire a voce non alta ma sufficiente da farsi udire nel silenzio della strada. Il ragazzo sollevò lo sguardo e vide Itachi affacciarsi alla finestra. Sospirò, elaborando suo malgrado un mezzo sorriso nel sentirgli dire poco dopo ti apro, come se avesse in qualche modo intuito che se ne stava per andare.

Udì il ronzio secco del portoncino e lo scatto della serratura, dunque entrò e salì le scale perché non ricordava esattamente a che piano i due ragazzi abitassero, ma si sentiva già sufficientemente invadente senza dover chiedere a Itachi di ridirglielo.

Scorse finalmente lo scorcio di una porta aperta dal quale si filtrava la luce dell’ingresso, di un giallo morbido, come progettata per gli ingressi notturni. Si passò i piedi sul tappetino e con delicatezza insolita per il suo carattere spontaneo, Naruto sospinse la porta che prontamente Itachi gli aprì del tutto.

“Naruto. Hai una faccia tremenda” ammise l’uomo, asciutto ma non scortese, in quel modo che aveva di essere diretto eppure mai all’apparenza cattivo.

“Lascia stare.”

“Non credo proprio di riuscirci, perché altrimenti non saresti qua, ti pare?” gli fece presente lui, facendolo entrare per poi richiudere la porta.

“Cazzarola, so di essere inopportuno e… mi spiace, forse posso passare un’altra volta…” iniziò a dire Naruto come ripensandoci.

“Metto su un the caldo, dai. Shisui è crollato di là a letto, se si sveglia lo metto su anche per lui” non lo ascoltò Itachi, avanzando nel piccolo salotto con la cucina a vista. Naruto annuì, posò la giacca sul divano e si sedette al tavolo attento a non far troppo rumore con la sedia.

Con le mani nascoste tra le cosce osservò in silenzio Itachi armeggiare con un pentolino in cui bollire l’acqua, per poi mettere sul tavolo delle tazze e una scatola con tante bustine diverse di the. Nella penombra, aveva scorto una parete di sughero dove erano appese con delle puntine tante foto diverse, alcune polaroid, altre fatte stampare, che ritraevano Itachi e Shisui, ma anche lui e Sasuke, Cerbero, una vacanza. Ce n’era persino una con la loro madre. Oltre a ritagli di qualche articolo di Sasuke, degli estratti delle pubblicazioni per il dottorando di Shisui come genetista, o biglietti di un eventuale spettacolo o concerto. La loro vita, i loro ricordi, sogni e ambizioni a portata di mano.

“Grazie” mormorò quando Itachi gli versò l’acqua calda e gli si sedette al lato accanto, senza offrirgli lo zucchero perché conosceva i suoi gusti.

“Di nulla. Scegli il the che vuoi, io sono piuttosto monotono. Shisui dice che rischio di diventare un vecchio abitudinario” accennò un sorriso e si mise nella tazza una bustina di Earl Grey, una tra le tante di quella miscela.

“Essere vecchio abitudinario non è poi così male.”

“Nah, è più il vecchio che mi spaventa. L’abitudinario fa paura di conseguenza, perché temi che ripetere sempre le stesse cose, senza mai uscire dalla comfort zone, ti porterà un giorno a renderti conto troppo tardi di non aver approfittato del tempo che ti è stato concesso.”

Lo guardò negli occhi quando glielo disse. Naruto prese la tazza e la tenne tra le mani, sentendo il calore solleticare la pelle infreddolita dalla gita notturna.

Dopo un istante domandò: “Com’è stato per voi trovarvi tra soulmate? È quell’amore perfetto, quell’incontro celestiale tra anime gemelle che dicono tutti?”

Itachi sembrò essersi aspettato una domanda simile anche se dal tono quasi caricaturale, dunque reagì con pacatezza, appoggiando un piede scalzo sul bordo della sedia, per poi scrollare una volta le spalle e spiegare: “Sì, forse in maniera meno epica, ma è comunque questo essere soulmate. All’inizio è come una sensazione che ti parte dalla pelle, sai? Un formicolio intenso alla base di dove hai il marchio o il tatuaggio, che poi si amplifica e diventa totalitario. È il tuo corpo che realizza di aver trovato e richiamato a sé la propria anima gemella. E ci si sente perfettamente completi, sereni, qualcosa che non puoi aver provato prima.”

Naruto lo osservò mentre Itachi parlava e quella volta più che altre nel vederlo così, semplice, coi capelli sommariamente legati, una tuta un po’ allargata e il volto reso morbido dalla luce calda dell’angolo cucina, l’unica che li illuminasse, il primogenito Uchiha sembrò tremendamente umano, lontano da quella bellezza studiata che aveva sempre lasciato perplesso Naruto. Forse perché Itachi era a casa sua, con le sue cose e circondato solo da chi amava, non doveva dimostrare nulla a nessuno, né giustificarsi per avere un lavoro come tanti, nonostante probabilmente meritasse di più, e conducesse una vita modesta.

“Capisco. Allora…” si morse un labbro, stringendo le mani.

Itachi non disse nulla, continuò a guardarlo nel silenzio del suo appartamento. Attese. E Naruto lo guardò di rimando, disperato, rivelando di getto: “Sasuke ha trovato un soulmate. Ma… è tornato capisci? Io…”

“Sasuke un soulmate?” domandò Itachi, cauto. Ovviamente quella notizia era sconvolgente anche per lui.

Sakura. Non so chi sia – accennò una risata triste – né che faccia abbia. Ma è tornato lo stesso. In casa nostra. Come ha fatto? A che cazzo sta pensando tuo fratello? Come può aver resistito a tutto questo, a tutta questa pace, questo amore… per me?”

Si portò una mano al petto, enfatizzando quasi con disperazione quel per me.

Itachi accennò un sospiro, poi prese il polso di Naruto e cercando di calmarlo riconobbe: “Non ho mai sentito di qualcuno che ha resistito all’attrazione del soulmate, per quanto come mi dice Shisui ci sono tanti studi genetici in merito, però… Sasuke non è qualcuno. Sa essere molto più testardo e determinato persino di un legame creato dal destino – si appoggiò alla sedia, domandandogli dopo aver dato un giro alla tazza – lui cosa dice? Voglio dire, cosa sente, cos’ha provato?”

“Non gliel’ho chiesto. Né lui me lo ha detto. A un certo punto sono dovuto andar via…” fece per dire altro poi si bloccò, toccandosi l’avambraccio.

Perplesso, Itachi inarcò un sopracciglio. Poi accavallò la gamba cambiando posizione e si umettò leggero un labbro per suggerire con accortezza: “Ora più che mai però dovreste parlarvi, non trovi?”

Naruto lo guardò come se fosse folle. Strinse i denti, infine esclamò, abbandonando ogni timore di disturbare che aveva provato prima:

“Non trovo? Come cazzo posso parlargli quando io non capisco più che sta succedendo, o il perché proprio adesso, proprio in questa schifosa serata e parte della mia vita, ho questa!”

Esclamò scoprendosi l’avambraccio dove aveva il marchio.

Itachi abbassò lo sguardo di riflesso, vedendolo, e sgranò gli occhi. Fu una delle prime volte in cui Naruto lo vide davvero sconvolto.

Il tuo marchio – mormorò, per poi alzare gli occhi e incrociare quelli azzurri, lucidi, di Naruto – è sparito.”

Nella cucina cadde il silenzio.

“Esattamente” rispose Uzumaki, cadenzando quasi le parole. Parlare gli costava fatica, farlo significava ammettere come stavano le cose.

Che lui non aveva più il marchio. Che appena Sasuke aveva preso quei maledettissimi caffè e pronunciato parole già dette e ridette infinite volte da quando stavano assieme – e che in ogni occasione facevano accapponare la pelle a Naruto con la stupida speranza che un giorno agissero come un incantesimoinfine avevano funzionato: Naruto aveva provato tutto quello che Itachi gli aveva detto, aveva sentito qualcosa di già solido saldarsi, al punto che andarsene, tacere, gli aveva dato la sensazione di essersi strappato la pelle e averla lasciata lì, sulla strada, di fronte alla loro casa: un suo involucro vuoto da calpestare in attesa che Sasuke lo raccogliesse.

“Cazzo…” mormorò portandosi i polpastrelli sulla pelle senza più marchio.

Itachi si mise con ambedue i piedi per terra. Era ancora seduto ma sembrava sul punto di scattare.

“Non gliel’hai detto” realizzò, rimanendo con la bocca impercettibilmente aperta.

“No! Come potevo? Come potevo dirgli quello che per qualche distorto evento, per qualche errore di genetica o… di non so cos’altro, le sue parole hanno fatto scattare in me dopo tutto questo tempo? Non voglio farlo sentire vincolato da questo! Se prova verso la sua soulmate anche solo la metà di quello che ho sentito io si starà lacerando e… mi sembra di giocare sporco, capisci?”

“Ma tu non stai giocando sporco. E Sasuke ha il diritto di sapere e di decidere da uomo adulto. È tornato fin qui perché al di là di tutto non dimentica di amarti, glielo devi” ribadì Itachi, appoggiando una mano sul tavolo, come per dar enfasi alle sue parole.

Ci fu qualche istante di silenzio. Poi Naruto ammise, appoggiando a sua volta una mano sul tavolo:

“Sai, per un attimo ho pensato che fosse tornato per non essere come vostro padre.”

Scrutò Itachi che non sembrò ritenersi offeso da quell’insinuazione.

“Nostro padre non ha mai amato nostra madre come Sasuke ama te” lo corresse infatti l’altro con pacata sicurezza. Mantenne un atteggiamento incredibilmente ponderato, anche se si trattava di suo fratello e della sua felicità. Se Naruto avesse avuto a sua volta un fratello, immaginò che non sarebbe stato altrettanto imparziale: avrebbe preso a schiaffi chiunque avesse ferito in quel modo il suo fratellino, specie se quel chiunque stava cercando stupidamente di tenersi per sé qualcosa di fondamentale come il legame soulmate.

Al di là di quella riflessione, si commosse nel sentirlo parlare così, quasi gli stesse leggendo dentro e potesse dissipare le sue paure: “Ma perché adesso? Perché il mio marchio è andato via e… e se fosse tutto un gigantesco sbaglio? Se il mio destino fosse rimanere solo, magari non sono fatto per avere un soulmate” si coprì la bocca con il palmo della mano. Dar voce a quel pensiero fu come condannarsi.

Itachi sembrò più afflitto: “Non lo so, Naruto, non lo so proprio.”

Una terza voce si inserì all’improvviso nel discorso:

“So che a volte la genetica non è perfetta e, lo ammetto, amo studiarla anche per questo. Alla fin fine anche essere soulmate è genetica, con un insieme di meccanismi biologici programmati per attivarsi dietro determinati stimoli.”

I due al tavolo si girarono verso il salotto. Sulla soglia videro Shisui che mise una mano avanti e si scusò: “Non volevo origliare, solo che non sono più riuscito a riaddormentarmi e… insomma, ero preoccupato. E dispiaciuto” guardò un istante Naruto.

Questi scosse la testa, tranquillizzandolo, per poi domandargli, non resistendo: “In che senso la genetica non è perfetta?”

“Che non tutti i soulmate sono perfetti o si realizzano con le modalità che conosciamo. Alcuni sono destinati a non realizzarsi affatto, vedi per esempio quelli con parole che si pronunciano magari in punto di morte, o che si trovano a migliaia di chilometri di distanza e sono destinati a incontrarsi solo da vecchi, se accade. Tutta la genetica e i processi chimici che ci sono dietro il riconoscimento sono codificati, certo, ma non esenti da errori o da varianti. Di queste ultime con il tempo, credimi, se ne vedranno ancora di più. Si evolve, ci si adatta, si cercano soluzioni per facilitare il lavoro… di ricerca del soulmate, se vogliamo chiamarlo così. Sono ancora al dottorato come genetista, ma qualcosa ne capisco” fece una mezza risata e si sedette al lato del tavolo opposto a quello di Itachi, più vicino a Naruto.

Questi commentò: “Se io fossi imperfetto o parte di quel cambiamento, non capisco cosa ha fatto scattare tutto questo proprio adesso. Sasuke ha trovato il suo soulmate, quindi non ha senso che io lo trovi in lui così, ora.”

Shisui assottigliò gli occhi, poi domandò riflessivo: “Il suo soulmate... aveva anche lui un tatuaggio?”

Faticando un istante a comprendere il senso di quella domanda Naruto scrollò le spalle e commentò: “Sì, credo sulla mano come lui.”

Per un istante nella cucina calò il silenzio. Poi Itachi e Shisui si scambiarono un’occhiata e il primo sgranò gli occhi, comprendendo con un’empatia irraggiungibile tra comuni esseri umani, e fu allora che chiese con urgenza:

“Naruto, hai visto per caso il palmo di Sasuke?”

No, perché mai, tanto era senza tatuaggio, anche se se l’era fasciato, mi ha detto di essersi fatto… – tacque un istante, sgranando a sua volta gli occhi per poi fissare Itachi – male.”

Fissò Shisui, il cervello che stava mettendo in moto una serie di deduzioni assurde, e questi con cautela ipotizzò: “Non è la prima volta che sento parlare di quello che negli studi di ricerca è stato definito come ‘soulmate pretender’ anche se si tratta di percentuali infinitesimali rispetto ad altre varianti che vi dicevo. Come posso mettertela in termini semplici – si scombinò i capelli mossi, mentre Naruto lo guardava senza fiatare, con gli occhi sconvolti ma attenti – beh, un legame molto forte tra due persone sembra il classico riconoscimento tra soulmate ma scatena invece la mutazione genetica necessaria per trovare o confermare un’affinità pregressa stimolata dal processo chimico dell’attrazione. Nei casi di specie, alcuni Macchiati hanno la formazione di un marchio al posto del tatuaggio che è stato cancellato grazie al proprio soulmate pretender, da lì di solito è immediato il riconoscimento con il vero soulmate.”

Trattenne il fiato, quasi avesse sganciato una bomba. Tutto sommato fu Itachi quello che più di tutti, per carattere, mantenne un atteggiamento quasi rigoroso e fece presente:

“Non sappiamo se le cose stanno davvero così, ovviamente, ma è una possibilità che dovresti considerare. Dovete confrontarvi.”

Naruto guardò i due ragazzi, assordato dal silenzio terribile caduto dopo, e indietreggiò con la sedia, per poi alzarsi in piedi di scatto, facendola cadere.

“No – scosse la testa – no, non potete farmi credere una cosa simile. È una cazzata, è una cazzata e io mi sto illudendo!”

A quel punto Shisui gli si avvicinò, mettendosi in piedi a sua volta: “Sì tratta di una delle numerose varianti che stanno emergendo, questo è vero, ma magari è andata così e in quel caso sarebbe perfetto, la soluzione a un dramma altrimenti irrisolvibile. Non aver paura di illuderti: Naruto, se Sasuke ha a sua volta un marchio sotto al tatuaggio allora lo devi sapere, così come lui deve sapere quello che è successo a te!”

Naruto si bloccò, strinse i denti, cercò di ritrovare il controllo e alla fine, lentamente, annuì. Non doveva più fuggire per cercare di guadagnare tempo: se le cose fossero andate bene e realmente Sasuke rappresentava uno di quei miracoli della genetica, allora avevano il mondo e il loro futuro assieme per le mani; se invece non era quello il caso, se Sasuke si era davvero fatto solo male e non aveva alcun marchio, a prescindere potevano comunque provare a lottare, come il suo ragazzo una volta di più gli aveva chiesto e come avevano sempre fatto fin dal principio. Il dolore in quel caso sarebbe stato una conseguenza secondaria.

“Va bene. Hai ragione, avete ragione, cazzo! Devo andare da lui. Stare qui, vivere nell’incertezza non è attuabile. Non è così che voglio esistere. Sasuke merita di sapere, così come lo merito io.”

A grandi falcate si diresse verso il divano per afferrare la giacca, quando Itachi lo raggiunse:

“Ti accompagniamo noi, tu non te ne vai da solo” decise e, senza attendere una replica di Uzumaki, già andare verso l’ingresso.

“Itachi...” fece per dire Shisui, abituato a essere quello irruento dei due.

“Grazie – annunciò all’improvviso Naruto con risolutezza, facendoli fermare – per accompagnarmi. Sapete, non so cosa ne uscirà da tutto questo ma almeno saremo stati sinceri fino in fondo. E rispettosi, l’uno verso l’altro.”

Guardò Itachi che annuì con un mezzo sorriso. Mostrò poi le chiavi, facendole tintinnare: “Direi che abbiamo perso anche troppo tempo.”


*


Sasuke era sdraiato sul divano, con Cerbero ai suoi piedi che a ogni minimo rumore proveniente dall’esterno scattava, in attesa di vedere Naruto comparire alla porta. Nemmeno il cane, come il suo padrone, a quanto pareva riusciva a dormire. Sasuke strinse il pugno con la fasciatura e si mise l’avambraccio sugli occhi.

A un certo punto però Cerbero abbaiò e scattò giù dal divano, correndo verso la porta per cominciare a fare le feste. Con il cuore in gola Sasuke si alzò a sedere ma rimase immobile a fissare attraverso lo spiraglio sul corridoio la porta aprirsi.

Aveva infatti sentito nella penombra la serratura scattare e Naruto entrare con passi accorti, mormorando qualche parola affettuosa a Cerbero mentre lo coccolava, nonostante la coda agitata di quest’ultimo che batteva sul pavimento contribuisse a rompere egregiamente il silenzio dell’appartamento.

Sasuke si alzò in piedi quando vide Naruto raggiungerlo. Aveva la faccia sconvolta e arrossata. Si sentì travolto da infinite sensazioni e un brivido gli percorse la pelle, donandogli poi un senso di pace che ammorbidì per qualche istante il magone di ciò che erano in quel momento.

“Sei tornato?”

Naruto nemmeno si tolse la giacca e avanzò, dicendogli: “Non potevo… non potevo stare senza di te e senza dirti niente.”

Gli guardò la fasciatura, fu tentato di chiedergli ma lo prese per l’altra mano e gli propose: “Sediamoci un attimo. Ho bisogno che chiariamo un sacco di cose perché stasera la mia vita, la nostra vita, è stata presa per i piedi, messa a testa in giù, scossa di tutto ciò che credevamo e rigettata a terra. Possiamo riprendere a camminare, voglio che lo facciamo ma non così. Meritiamo di essere del tutto onesti l’uno con l’altro.”

Sasuke si sedette, imitato da Naruto; dopo aver lanciato un’occhiata al suo avambraccio, cercando di non scomporsi rispose guardingo: “Sì. Sì, sono d’accordo. Io…”

“Io…” disse a sua volta Naruto.

Si bloccarono poi, nonostante il dolore e la difficoltà di tutto ciò che stavano vivendo, si ritrovarono ad accennare un sorriso entrambi.

Ho un sacco di cose da dirti ma prima vorrei sapere qualcosa da te” decise Uzumaki. Sasuke non riuscì a trovare subito la parola. Quella sincronia splendida l’aveva conosciuta e ora gli pareva dolorosamente più perfetta. Si ritrovò con il cuore in gola ad ascoltarlo, per questo annuì e Naruto riprese:

Sasuke, cos’è successo davvero a quella mano? Perché hai la fasciatura?”

Non ci fu un tono di accusa, bensì di preoccupazione e allo stesso tempo di maggiore consapevolezza. Di riflesso, come sulla difensiva, Sasuke strinse il pugno e ritrasse la mano. Fu tentato per un attimo di ripetere che si era fatto male mentre era in albergo, ma non riuscì a mentire oltre, anche se temeva che Naruto non gli avrebbe mai creduto.

“Non mi sono ferito” replicò, all’improvviso. Si vergognò di aver mentito, eppure non sapeva cos’altro fare, consapevole che non sarebbe mai stato preparato a una cosa simile.

Cercò di togliersi il bendaggio, anche se la mano tremava appena: scoprì di non avere una buona presa. Allora, con delicatezza e affetto, Naruto gliela afferrò e la tenne tra le proprie, quasi volesse proteggerla.

“Raccontami tutto” lo incoraggiò con voce morbida, iniziando a svolgergli le bende per lui.

“Naruto, credimi. Cercherai, in qualche modo, di credere a ciò che sto per dirti?” gli prese la mano e l’altro si fermò, guardando Sasuke:

“Crederò a tutto quello che mi dirai. Sempre” replicò, senza esitazione, per poi riprendere a togliergli il bendaggio.

Allora il giornalista trasse un sospiro e gli raccontò di com’era andata, cominciando dal principio, da come aveva scoperto di Sakura. Fu un racconto breve ma difficile. La benda cadde a terra eppure Naruto non lasciò la mano ormai scoperta di Sasuke, bensì continuò a tenerla, accarezzandogli di tanto in tanto le dita asciutte.

Uchiha concluse: “Ho visto quando il tatuaggio è andato via che il palmo non era vuoto come avrei pensato.”

Naruto strinse impercettibilmente un po’ di più, ma continuò a guardare la mano di Sasuke, trattenendo il fiato, quasi temendo che un suo respiro potesse impedirgli di sentire quello che l’altro stava per dirgli.

“C’era un marchio al di sotto, Naruto.”

Girò il proprio palmo, rivolgendolo verso l’alto. E se, per un attimo, Naruto fu tentato di fermarlo, alla fine lo accompagnò in quel movimento, scoprendo il palmo però ora privo persino di alcun marchio, eccetto qualche traccia di rossore. Espirò, incapace di parlare, cercando di contenere il moto di profonda delusione, spinto da quel senso di fiducia che il compagno gli aveva chiesto di avere nei propri confronti.

Sollevò dopo un istante gli occhi verso Sasuke e, con la voce mozzata, trovò il coraggio di domandargli:

“E cosa c’era scritto?”

Sasuke si morse un labbro, poi gli rispose in un soffio:

Ti lascio.”

Naruto sgranò gli occhi, sembrò urlare ma non lo fece.

“No…” mormorò infine. Ebbe gli occhi lucidi quando realizzò: “Io… Sasuke, io ti ho detto che ti lascio. Io” si portò una mano al petto, mentre con l’altra continuava a tenere quella del compagno.

“Sì, l’hai proprio detto” confermò Sasuke, con una specie di sorriso.

“Cazzo… no. È assurdo” mormorò sconvolto, passandosi una mano tra i capelli, con il cuore che andava a mille e la salivazione ridotta a zero.

“Mi credi?” domandò Sasuke, osservandolo. Sembrava calmo, come se avesse raggiunto il punto fondamentale della sua esistenza.

Ma anziché rispondergli, all’improvviso Naruto dette un bacio sul palmo della mano di Sasuke, sospirò, infine scattò in piedi. Uchiha ancora seduto, interdetto, non si mosse e lo guardò dal basso.

Sai no, la mia scritta sul braccio?” domandò a sua volta Uzumaki, con un sorriso più grande ma il volto paradossalmente serio.

L’altro annuì, poi un po’ impaziente ribadì visto che il suo ragazzo aveva tratto un profondo sospiro: “Lo so, la conosco molto bene.”

Ecco… abbiamo preso il caffè, poche ore fa, dopo tutto quello che ci siamo detti e… beh, è giusto che anche io ti dica la mia parte: l’hai fatto – Sasuke aprì di più gli occhi, gli si bloccò il respiro – hai pronunciato quelle parole stupide, dette da te infinite altre volte in questi anni, solo che, beh, questa volta hanno funzionato. Mi hanno cancellato il marchio.”

Si scoprì a sua volta l’avambraccio, mostrando a Sasuke l’assenza di scritte. Anche Naruto, come, lui aveva giusto un leggero rossore dove un tempo c’era stato il marchio.

Il giornalista aprì la bocca, sconvolto. Poi si alzò in piedi, prese il braccio di Naruto, lo guardò, guardò lui e commentò:

“Te lo avevo chiesto. Se sentivi qualcosa di diverso. Non mi hai detto nulla” sembrò parlare di riflesso, per una volta senza ragionare, bensì sull’onda degli infiniti sentimenti che lo stavano travolgendo in quel momento.

“Beh, neanche tu mi hai detto nulla di tutta la faccenda del marchio mi sembra” ribatté Naruto, con una specie di sorrisetto un po’ beffardo.

“Perché non credevo che avrei mai potuto essere il tuo soulmate! Non sono mai riuscito prima a cancellarti le scritte e non volevo peggiorare qualcosa di già così fragile” spiegò Sasuke, con più agitazione del solito.

“Lo stesso mio pensiero – confermò Naruto, prendendolo per le spalle – a maggior ragione dopo quello che è successo mai avrei potuto pensare che ci fosse altro sotto il tuo tatuaggio. E, credimi, sentire quello che ho sentito quando hai pronunciato le parole del mio marchio e non potertelo dire… credevo sarei morto.”

“Anche io. Anche io, cazzo, prima che tornassi, dicendomi che mi avresti lasciato e sentire che ogni cosa stava andando al proprio posto proprio quando in realtà si stava annientando tutto. Non volevo vincolarti a me, se in te non fosse scattato nulla.”

Naruto disse quelle stesse identiche parole. Terminarono la frase assieme.

Si guardarono, di nuovo in silenzio, dandosi il tempo di realizzare tutto quello che era successo, quanto avevano fatto e detto, gli errori, così come le erronee convinzioni, agendo l’uno solo per il bene dell’altro.

“Siamo… soulmate, Naruto.”

“Sì. Sì, lo siamo. Non so, non capisco quello che è successo, il perché, o forse davvero siamo una di quelle tante varianti genetiche, di quegli errori e mutazioni che diceva Shisui. Avremmo dovuto interessarci dei suoi studi un po’ prima.”

Sasuke lo ascoltò, pensoso ed estasiato, sentendo tutto ciò che erano e che sarebbero stati scorrergli nelle vene, un perfetto allineamento astrale, una congiunzione di anime in un incastro altrettanto perfetto di epoca, di momenti, di geografia benevola.

Pensò a Sakura. A ciò che aveva sentito e, per quanto avesse provato un senso di pace, una voglia di sedersi e godersi quel traguardo, nulla era paragonabile a quello che recepiva adesso, che provava per Naruto. Sakura era stata un ponte, un passaggio necessario per provare un’ultima stilla di ciò che già temeva, infine accettarlo e lottare, persino contro ciò che lui stesso era, se necessario. Seppe, lo sentì, che forse anche per lei era stato lo stesso: per lei e per Madara, per imparare a fare pace col passato, con la morte e i suoi pesanti lasciti.

Un giorno lo avrebbe spiegato a Naruto. Ma non quella notte, non dopo tutto quello che si erano detti: dovevano esserci solo loro due, non avevano spazio per altro.

Nella loro casa piena di ricordi, delle loro personali polaroid fatte di oggetti presi assieme, di libri, di momenti e cene condivise.

Si baciarono e fecero l’amore, sul divano, ancora affannati, con il gusto salato delle lacrime seccate sulle guance, stanchi, spossati ed esausti, perché la paura di perdere per sempre chi si ama prosciuga davvero ogni energia, come una fiamma che richiede troppo ossigeno per poter bruciare ancora.

Fu come la loro prima volta, sebbene più completa ancora e più totalitaria, perché erano cresciuti e diventati consapevoli di ciò che si nascondeva nelle loro pelli, in attesa della coincidenza perfetta.

Molti, guardandoli nella vita di tutti i giorni, avrebbero potuto dire che quello tra Sasuke e Naruto era un amore semplice, fatto di giornate di lavoro, di rientri a casa, di racconti a tavola mentre mangiavano o di attimi di gioco prima di andare a letto. Qualche ambizione coltivata, degli hobby, delle uscite con amici, piccoli intervalli in un’esistenza ordinaria, a tratti finalmente pacata dopo le rivolte di un sistema altrimenti destinato a marcire.

Ebbene, questi molti… mentono.

Perché non solo il loro, ma in realtà nessun amore è mai veramente semplice.

Prima ancora dell’essere soulmate, un amore è fatto infatti di compromessi, di sacrifici, di scelte. Ma soprattutto è fatto di spazi, infiniti spazi da riempire, l’uno per l’altro, colmandoli di se stessi e anche di noi, in un insieme di equilibri mai davvero perfetto per il quale, però, si fa il possibile, per tenerlo in piedi e andare avanti.

Uno sforzo troppo grande? Probabile ma, credetemi, ne vale la pena. E se non lo pensate, che ne valga la pena, beh... forse non è il momento, la persona, l’occasione giusta. Allora non ve ne renderete nemmeno conto, di tutti i sacrifici fatti, e sarete anche voi dei bugiardi come Sasuke, come Naruto, come tutti gli altri: ad affermare che il vostro è un amore semplice. E proprio per questo, perfetto.



Dodici anni dopo


Naruto attese che il semaforo diventasse verde. Accanto a sé c’era una ragazzina con lo zainetto in spalle e il cellulare con la mappa attiva. La scorse perplessa, intenta a controllare la posizione; per qualche istante non le disse nulla, finché non la vide sollevare il volto verso di lui e domandargli:

“Signore, scusi.”

Lo fissava con occhi verdi molto determinati, anche se un po’ sperduti. Naruto superò senza troppa fatica il trauma dell’essere chiamato signore a soli quarantaquattro anni d’età, praticamente era ancora un adolescente.

“Mi dica” la invitò.

Notò i capelli folti e neri che sparavano da tutte le parti, indomabili.

Ebbe come una sensazione.

“Avrei bisogno di andare qui, maps mi dice che dovrei usare la metro ma è un casino raggiungerla. Rischio di arrivare tardi all’appuntamento con le mie amiche, che figuraccia.”

“Non sei un po’ giovane per andartene in giro da sola?” fece presente, un po’ dubbioso. Consapevole che in realtà lui da adolescente era esattamente come da adulto: propenso a lanciarsi in un sacco di casini.

“Mamma e papà dicono che è giusto che mi responsabilizzi. Quando veniamo in visita da queste parti mi piace poter esplorare, ho appunto degli amici sai, anche qui” ribadì la ragazzina, orgogliosa.

Naruto sorrise.

“Ah beh, allora se la metti così non ho più raccomandazioni da farti” mise le mani avanti, per poi spiegarle la via più breve e la tratta della metro da seguire, indicandole la strada.

“Wow, grazie signore, sei super esperto!”

“Ti prego, smettila con quel signore, puzza di responsabilità e di vecchiaia.”

La giovane ridacchiò e concesse: “Ok, ok, mi scusi, non sembra per niente un vecchio, se può consolarla.”

“Una consolazione immensa” replicò roteando gli occhi.

Scattò il verde. Prima di avviarsi Naruto le chiese, quasi senza riflettere:

“Sakura. Tua mamma si chiama Sakura per caso?”

La ragazzina reclinò la testa, stupita: “Sì. La conosce?”

Naruto accennò un sorriso: “In un certo senso… direi di sì.”

“Lei è parte di una delle prime variazioni genetiche sui soulmate, ci fanno un sacco di studi. Come mio padre. Se ti dico che mio padre è Madara Uchiha svieni.”

“No! Proprio quel Madara Uchiha del FLA?” si finse sorpreso.

“Proprio lui. E il FLA non esiste più. Siamo tutti più uguali, soulmate, non soulmate, niente più monarchia, siamo al passo coi tempi qui.”

Sembrò di star leggendo uno slogan pubblicitario. Naruto immaginò che doveva essere stata svezzata da politica e propaganda, al punto da far entrare quel credo come parte fondamentale della sua vita. Ma sembrava spensierata in fin dei conti, una ragazzina della sua generazione, frutto del retaggio di un mondo stanco, dove la lotta alle disuguaglianze era sorta col pretesto dei soulmate per poi abbattere una monarchia incapace di stare al passo coi tempi.

Ma, forse perché più maturo, forse perché aveva visto tante ribellioni e ingiustizie, Naruto non credeva nella perfezione di alcun sistema. Credeva solo ci fossero momenti storici migliori e quello era uno di questi.

Capisco” si limitò a dire.

Si salutarono, una volta attraversata la strada, andando dalle parti opposte. Per un attimo Naruto si chiese come sarebbe stata la sua vita, se anche lui e Sasuke, come Sakura, non fossero stati parte di quelle variazioni genetiche scoperte nell’ultimo decennio. Magari quella bambina, così vicina all’essenza soulmate che aveva anche Sasuke, avrebbe potuto essere la loro e Naruto per contro, da quella rivelazione di dodici anni fa, non avrebbe più rivisto Sasuke, né Cerbero, che nel frattempo era diventato un cagnetto vecchietto ma arzillo, perdendo anche la sua casa e tutta la sua vita per come la conosceva.

Sorrise, fischiettando, avvertendo il petto colmarsi d’amore e della sensazione impagabile di essere stato fortunato – nato al momento giusto, nel posto giusto, con i geni come era necessario che fossero – la loro vita era quella, assieme, e avevano davvero lottato per averla.

In fondo senza una rivoluzione, che fosse la loro, del FLA, di altri uomini, donne, esseri umani che si amavano, si odiavano, si cercavano e allontanavano, non poteva esservi pace. E lui adesso era pace, così come un tempo era stato guerra, vincitore di un conflitto che l’aveva portato a realizzare il valore di ciò che stava perdendo.

Sproloqui di una zucca

E anche questa storia si è conclusa! Ci sarebbe tanto da dire, perché per quanto semplice anch'essa come trama in realtà è stata piuttosto complessa a livello di sentimenti dei protagonisti - e non solo. Ho cercato di renderli credibili, umani, nelle loro reazioni così come negli esiti di queste ultime. Entrambi si trovano ad affrontare una crisi profonda nonostante l'amore che li lega e immagino che nessuno, nemmeno il più perfetto degli esseri umani, saprebbe comportarsi in maniera perfettamente corretta.
Se fosse stata una long vera e propria avrei potuto dare più spazio e approfondimento alla tematica di scelta di governo, i problemi istituzionali e organizzativi di un sistema fallimentare, ma non mi sembrava questo il caso. Inoltre allo stato attuale ho immaginato una sorta di amnistia ricondotta agli arresti domiciliari per Madara, una volta stabilizzato il nuovo governo,  ma ipotizzo una serie di processi non indifferenti, perché per quanto le lotte fossero legittime, non lo è l'uso della violenza o di azioni terroristiche.
Altro punto importante, il 'soulmate pretender' me lo sono inventata io, però suppongo che non sia così implausibile che negli anni si vengano a creare varianti genetiche e difetti; viene da chiedersi a questo punto se Naruto e Sasuke stessero assieme spinti già da quell'essenza soulmate ancora non svelata o per 'semplice' amore che - essendo anch'esso frutto della chimica - ha poi portato alla variante che ha subito Sasuke. 
In conclusione, spero che questo scritto vi sia piaciuto, così come spero soprattutto che Angelica abbia gradito questa versione di una soulmate!Au un po' diversa dal solito, pur sempre però con due protagonisti a cui è molto affezionata.
Grazie per aver letto e seguito fino a qui, ogni commento che ho ricevuto mi ha dato una grande carica e un'immensa felicità!

Alla prossima :3

   
 
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