Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ice_chikay    11/02/2021    1 recensioni
MikasaxLevi
A due anni dalla fine della guerra, Mikasa e Levi si ritrovano insieme ad affrontare le cicatrici e le ferite che la guerra ed i giganti hanno lasciato nelle loro vite. Mentre l'inverno è alle porte, il loro rapporto cambia per sempre... In un mondo popolato di memorie di amici caduti, riusciranno a guarire insieme?
Una storia introspettiva sui miei due personaggi preferiti, ideata e in larga parte scritta prima dell'uscita del capitolo 131, quindi ormai in parte off canon.
Contiene spoiler per chi segue solo l'anime.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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note in fondo!

II
 
L’uomo si voltò di nuovo verso il proprio cavallo.

«Non ti hanno insegnato che si dovrebbe chiedere il permesso, prima di portare il cavallo nella stalla di qualcun altro?»
Anche se era nascosto alla sua vista, Mikasa avrebbe potuto giurare che un angolo della sua bocca si fosse sollevato, come una parvenza di sogghigno.

«Volevo chiederlo al pozzo, in effetti, ma poi ho pensato che la casa si sarebbe ingelosita…»

Lui si voltò, sul viso l’esatta espressione che lei aveva immaginato l’istante prima.

«Chi l’avrebbe mai detto che in due anni avresti acquisito il senso dell’umorismo…».
Le fece un cenno con la testa, per indicarle di avvicinarsi, poi riprese «Porta queste sacche sul portico. Qui vicino c’è una sorgente, vado a lavarmi. Tu intanto aspettami dentro.»

Tornò dopo mezz’ora con i capelli bagnati ed in camicia, con il giaccone tra le braccia. Mikasa l’aveva aspettato seduta al tavolo.

«Che cosa c’è nei sacchi? Puzzano di bruciato» chiese lei a bruciapelo, mentre lui stava ancora chiudendo la porta alle sue spalle.

Levi si strinse nelle spalle mentre si voltava per appendere la giacca ad un piolo che sbucava dal muro.
«Carne affumicata. Nel bosco ho costruito un affumicatoio. Carne di cervo.»
Poi, con un sospiro, si accucciò per prendere le tazze, il tè ed il bollitore. Alla donna non sfuggì il lieve stringersi della sua mascella, come se il movimento gli provocasse dolore.

«E così sei diventato un cacciatore?»

Lui restò in silenzio, come ponderando le sue parole, mentre accendeva la stufa.

«Lo sono sempre stato» disse poi, la voce quasi un sussurro.

A Mikasa sembrò che il suo cuore saltasse un battito, ma lui non le diede tempo di riflettere troppo a lungo sulle sue parole, perché si sollevò, voltandosi verso di lei per guardarla negli occhi.

«Com’è andata la missione? Hanji sta bene? Connie?»

Mikasa sorrise lievemente ed annuì. «Stanno bene. La missione è stata…beh, incredibile.»

Questa volta fu lui a sorridere, ma era un sorriso amaro. «Il libro di Arlet aveva ragione su tutto? Distese di ghiaccio e albe verdi e continenti di sabbia?»

Mikasa abbassò lo sguardo. Erano passati più di due anni, ma ogni volta che qualcuno nominava Armin o Eren o gli altri, sentiva la solita morsa che le stringeva le viscere, impedendole di respirare.

«Più o meno…» rispose. «Hanji e Connie sono tornati a Mitras adesso. A redigere rapporti e studiare tutti i materiali che abbiamo riportato indietro»

Levi versò l’acqua calda nelle tazze ed il profumo del tè si espanse nell’aria immediatamente.

«Sì, immaginavo. Historia mi ha scritto che sareste tornati da lei.» Quindi poggiò le tazze sul tavolo e si sedette vicino a Mikasa.

«Sei in contatto con Historia?»

«Ogni tanto scrive una lettera» fece un movimento della testa, come a voler indicare un luogo in lontananza «arrivano alla posta in paese.»

«Ti ha chiesto di entrare a far parte della sua guardia personale?»
Questa volta, Levi sorrise davvero, guardandola negli occhi, con aria complice «In tutte le lettere».
Mikasa ricambiò il sorriso. «Già, l’avevo immaginato.»

Levi si stiracchiò, stendendo le braccia mentre si dondolava all’indietro sulla sedia, poi incrociò le mani dietro alla nuca. Mikasa lo guardò con curiosità: il vecchio capitano Levi non si sarebbe mai comportato così davanti a lei.

«Per ora sto bene qui. Non che la pensione di guerra sia un bottino, ma non ho bisogno di molto.»

Rimasero in silenzio per qualche secondo, mentre sorseggiavano il tè ancora caldo. Quel sapore riportò Mikasa indietro e in un istante si rivide al quartier generale del Corpo di Ricerca, attorniata dalla sua squadra, che ormai non esisteva più.

«E tu? Tornerai a Mitras?» domandò lui, lanciandole uno sguardo di sottecchi.
Da questa distanza ravvicinata, la ragazza si soffermò sulla seconda cicatrice che segnava lo zigomo e la guancia del capitano, sotto quella che gli aveva sfigurato l’occhio. Era incredibile pensare che fosse sopravvissuto all’esplosione di una lancia fulmine. Floch l’aveva dato per spacciato e così anche Zeke… Già, vi sarebbe piaciuto…

«Oi, mocciosa. Ti ho fatto una domanda»
Mikasa si riprese dai suoi pensieri ed alzò di nuovo lo sguardo sul suo unico occhio. «Non lo so… ho bisogno di rifletterci su»

«è per questo che sei venuta qui?»
Levi roteava la tazza con noncuranza nella mano sinistra, ma Mikasa sapeva che diceva sul serio, nonostante il tono della voce fosse neutrale come al solito. Era presto per rispondere a quella domanda. La ragazza prese tempo sorseggiando di nuovo il tè.
«Perché no…» disse poi, facendo spallucce «mi piace qui. È bello, fuori dalle mura.»
«Le mura non esistono più, dentro o fuori ormai è uguale» la schernì lui.
«Già, infatti è proprio perché è uguale che ti sei stabilito qui, fuori Shiganshina, no?» lo rintuzzò lei, una punta di malizia nello sguardo. Lo conosceva troppo bene e da troppi anni, poteva mentirle quanto voleva, ma lei sapeva perfettamente come mai fosse andato a vivere lì.
«Ma guarda che brava investigatrice…» la prese in giro lui, alzandosi. Aprì la porta ed afferrò i quattro sacchi che Mikasa aveva lasciato sul portico. Si diresse verso il corridoio ed aprì la botola nel pavimento. Esitò un istante, trattenendo il fiato, poi scese di sotto e scomparve.

Risalì dopo un minuto e alla ragazza sembrò che avesse il fiato corto.
«Stai bene?» chiese, cauta.
«Cosa?» lui sembrò risvegliarsi da qualche pensiero, per poi poggiare il suo sguardo nuovamente su di lei «Non sono ancora così vecchio da avere problemi a fare quattro scalini, ragazzina… a proposito, quanti anni avresti ormai?»
«Ventitré»
«Tch. Vai ad accendere il camino. Questo povero anziano ha bisogno di scaldare le sue ossa» Le rispose, con un nuovo lieve sogghigno.
 
Il buio scese all’improvviso e la serata proseguì tranquilla. Levi preparò una minestra di verdure, mentre Mikasa accese il camino ed apparecchiò la tavola. La ragazza non poteva fare a meno di sorridere tra sé di tanto in tanto: dopo più di un anno e mezzo in giro per il mondo, quella serata così tranquilla in quella baita spartana la fece sentire a casa. Rimasero zitti per quasi tutto il tempo mentre preparavano la cena, nessuno dei due era un chiacchierone e si conoscevano da così tanto tempo che il silenzio reciproco era familiare, non imbarazzante.
Anche durante la cena si scambiarono poche parole, il rumore delle stoviglie e quello degli schiocchi della legna che bruciava erano i soli a rompere il silenzio. Mikasa seguiva con gli occhi la mano sinistra di Levi, che impugnava il cucchiaio. Ormai era diventato abilissimo ad usarla, come se fosse stato mancino da sempre.
La ragazza rabbrividì mentre le tornavano alla mente quei giorni lontani, in cui aveva combattuto al suo fianco, temendo che quella menomazione gli impedisse di spingere i grilletti del movimento 3D. Non aveva più potuto combattere come prima, ma quasi nessuno se n’era accorto. Era riuscito a nasconderlo a tutti gli altri, ma non a lei. Mikasa non poteva scordare quel momento di esitazione, quello sguardo che lui poteva rivolgere solo a lei, che era l’unica che poteva capirlo davvero. Ricordava di avergli fatto un cenno con la testa e in quel cenno aveva concentrato tutta la sua energia. “Ce la puoi fare. Io so che ce la puoi fare. E se io lo so, allora è vero” gli aveva detto, senza aprire bocca. Poi entrambi avevano spiccato il volo, nella città in fiamme, per l’ultima volta.


Dopo cena, Mikasa rimase seduta a tavola, mentre Levi sistemava e lavava i piatti. Quando fu soddisfatto dell’ordine che regnava di nuovo incontrastato in cucina, il capitato tornò a sedersi, facendo tintinnare davanti a sé due bicchieri ed una bottiglia di vetro piena a metà di un liquido ambrato.
Ne versò in entrambi i bicchieri, prima di porgergliene uno.  La ragazza non si fece pregare ed in un istante ne svuotò in gola tutto il contenuto. Levi alzò un sopracciglio, mentre iniziava a sorseggiare la sua porzione.

«Non ti reggerò la testa se finirai a vomitare sui tuoi stessi stivali» borbottò, con il solito tono infastidito. Mikasa sorrise in silenzio, prima di spingere il suo bicchiere vuoto verso di lui, che con uno sbuffo lo riempì di nuovo.

«Prenditi la camera da letto. Tanto lo sai, io non dormo molto.»

«Pensi che dovrei accettare?»

Levi aggrottò la fronte, per la prima volta guardandola con aria interrogativa. «Preferisci dormire nella stalla?» aggiunse quindi, incrociando le braccia.
Mikasa si lasciò scappare una risata leggera, prima di prendere un altro sorso di alcolico. «Ma no, non parlavo della stanza, capitano. Mitras. Pensi che dovrei accettare? Lavorare per Historia e tutto il resto?»

Levi poggiò il gomito sinistro sul tavolo e si stropicciò gli occhi con pollice e indice.

«Non chiamarmi così. Non sono più il capitano di nessuno.»

Mikasa non disse niente, in attesa della risposta.

«Perché no… sei giovane. E sei il soldato più forte dell’umanità» Levi si strinse nelle spalle, prendendo un altro sorso «Potresti fare carriera. Avere dei mocciosi che lavorano per te» Sorrise, senza guardarla. Poi il sorriso si spense come un lampo, con un sospiro. «Oppure puoi tornartene dall’altro lato dell’oceano, ci sarà pure un posto meno merdoso di questo sputo di isola, no?»

Mikasa puntò il suo sguardo dritto nel suo unico occhio.

«Levi… lo sai qual è la cosa più incredibile del resto del mondo? Che fuori da Marley i giganti non esistono. Non sono mai esistiti. Sono favole. Nessuna di quelle persone potrà mai capire.»

Rimasero di nuovo in silenzio. Il cuore di Levi prese a battere così forte che temette lei potesse sentirlo. L’orrore che era stata la sua intera vita nel resto del mondo non era altro che una storia per spaventare i bambini. Il capitano avvicinò il naso al bicchiere, per scacciare dalle narici quel fetore orribile di interiora di umano e corpi di giganti in decomposizione che era sicuro non lo avrebbe lasciato mai.

«Buon per loro» mormorò sprezzante, prima di bere di nuovo.

Poi si alzò di scatto. «Vado a sgranchirmi fuori. Non aspettarmi sveglia.» Indicò con la testa la porta della stanza prima di continuare «Se hai freddo, c’è un’altra coperta nell’armadio.»

Mikasa annuì con un sorriso lieve, mentre si alzava dalla sedia.

«Oi, ragazzina, non curiosare in giro, intesi?»

La ragazza annuì abbassando lo sguardo. Sperò che lui non si accorgesse della sua espressione colpevole, visto che curiosare era stata esattamente la prima cosa che aveva fatto quando era arrivata nella sua casa, qualche giorno prima.

Senza più aprire bocca, andò nella camera da letto e si preparò per la notte, indossando una camicia leggera. L’idea di dormire nel letto di Levi la faceva sentire stranamente inquieta. Avevano dormito uno accanto all’altra molte volte negli anni, ma questo era diverso. Questo era il suo spazio personale e lei sentiva di aver avuto accesso a qualcosa di molto privato e prezioso. Il cuscino e le lenzuola profumavano di quell’odore di pulito che era così tipicamente suo.

Perché sei qui? Si chiese per la millesima volta, prima di chiudere gli occhi. Nelle orecchie solo il vento che frusciava tra le fronde ed il verso in lontananza di un gufo.
 
***
Fumo. Denso, polveroso, che si infila dritto in gola, fino ai polmoni. Il caldo degli incendi scoppiati dappertutto. Una città interamente in fiamme. Rovine di palazzi crollati, grida, pianti in lontananza. La luce delle fiamme che sale fino al cielo, confondendosi con le stelle e la luna.
Le mani strette sui grilletti, il mantello nero che svolazza con forza attorno al suo viso, colpendole le spalle.


Accanto a lei, delle persone. Mikasa si volta. Jean, Hanji, Connie alla sua sinistra. Il capitano alla sua destra, che le mostra il lato del viso senza ferite.

Mikasa si accorge di star tremando. Si passa una mano sugli occhi, con rabbia, per cercare di vedere meglio. Sente la mano di Jean sulla sua spalla, ma si divincola, avvicinandosi a Levi.

Sono fermi su cumuli di macerie, il delirio intorno a loro continua. Mikasa segue lo sguardo di Levi e scorge una donna che piange disperata, abbracciando il corpo inerte del suo bambino, ricoperto di sangue e polvere.

I giganti delle mura sono tutti intorno a loro, innumerevoli, enormi. Senza fretta e senza espressione, si avvicinano al Gigante Colossale, Armin, che sta fermo, al centro di uno spiazzo, le spalle rivolte ai suoi compagni ed il volto verso Eren, il Gigante d’Attacco.

Apre le braccia, alza le mani. Un gesto di pace. Poi il gigante abbassa la testa ed Armin sbuca dalla sua nuca. È minuscolo rispetto alla grandezza del suo gigante, un piccolo puntino irrisorio, che non lancia neanche uno sguardo ai giganti delle mura che si avvicinano mestamente, ma inesorabilmente.

Mikasa respira. Non si è accorta che stava trattenendo il fiato. Sa che Armin sta comunicando con Eren, in quella strana dimensione irreale, ma non può sapere cosa gli stia dicendo.

Levi accanto a lei si sporge in avanti e stringe i pugni. Mikasa percepisce il guizzo dei muscoli sotto l’uniforme nera, sa che lui è pronto a scattare. Hange, Connie, Jean le si fanno più vicini.

La tensione è palpabile.

Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego… è tutto quello che il cervello di Mikasa riesce a pensare.

Armin continua, ma Mikasa guarda solo Eren. Il suo gigante è voltato di tre quarti verso Armin, non si è neanche girato completamente per fronteggiarlo.
Mikasa tiene fisso lo sguardo su di lui.
Sente che gli occhi le pizzicano per la polvere, le nocche sono sempre più bianche per la tensione che le fa stringere i grilletti a più non posso.


D’improvviso, sente qualcosa di caldo sulla sua mano destra ed abbassa lo sguardo di scatto. La mano di Levi si è poggiata sulla sua, il tocco leggero, quasi impercettibile. Non la guarda, i suoi occhi sono sulla scena che avviene in lontananza, ma Mikasa sente un’ondata di emozione che sembra quasi travolgerla.
Ha la nausea. Lascia la presa sul grilletto e ruota il polso, prendendo la mano di Levi con la propria. Entrambi stringono la presa.


Mikasa si accorge solo in quel momento del suo cuore che batte all’impazzata. Stringe la mascella perché d’improvviso è consapevole che se non lo facesse, anche i suoi denti prenderebbero a battere. La mano di Levi, stretta alla sua, è l’unica àncora che la tiene ancora in piedi, senza sente che crollerebbe in mille pezzi per la tensione.

Riporta gli occhi sui giganti in lontananza. I giganti delle mura sono sempre più numerosi intorno ad Armin, che ha smesso di parlare. Il gigante di Eren lo fissa, tutto il mondo sembra fermarsi in un istante.

Mikasa smette di sentire il rumore delle fiamme, il calore, la polvere. L’unica cosa che percepisce è il tamburo che ha al posto del cuore ed il suo respiro erratico.

E la preghiera, che continua a ripetere nella sua testa Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego…

Poi, Eren abbassa lo sguardo. Resta come in meditazione per un attimo, poi fa un gesto col capo.

E il suo mondo cade in mille pezzi.

«No…» mormora qualcuno, incredulo. Mikasa non sa se sia stato Levi, Jean, Connie o persino lei stessa a parlare.

Nel giro di un secondo, i giganti delle mura sono sopra Armin, lo assalgono da ogni direzione, strappando brandelli del suo corpo, incuranti del vapore che lui emana, cercando di scacciarli.

Mikasa sente qualcuno che grida, è un grido quasi animale, di agonia. Poi si accorge di essere lei a gridare.

Eren si allontana, senza neanche guardarsi alle spalle.

Le persone intorno a lei si muovono, sente Hange ordinare qualcosa, ma le parole non hanno senso per lei. Con la coda dell’occhio, vede dei giganti delle mura che si avvicinano, ma anche questa informazione le sembra irrilevante.

Scatta in avanti. Armin, Armin, Armin.

Qualcuno la afferra per bloccarla. Jean. Mikasa si divincola con tutta la sua forza e si libera, gridando ancora. Sente la potenza degli Ackermann scorrerle nelle vene. Deve arrivare ad Armin. Deve salvarlo.

Sente Hange richiamarla, ma non importa. Non importa niente in questo momento. La vista le si annebbia. Un flash di Armin ed Eren da bambini, le spalle affiancate, entrambi chini sulle pagine del libro del nonno Arlet.

Qualcuno la ferma di nuovo e questa volta la presa è stabile.

«Dobbiamo andare». È Levi, le parla all’orecchio. Mikasa lotta con tutte le sue forze, digrigna i denti, grida. Il capitano non molla la presa, la solleva. Mikasa sente che lui la tira indietro, verso gli altri, lontano dai giganti.

«Lasciami andare!» grida, cercando di liberare le braccia bloccate sui fianchi dalla presa d’acciaio delle braccia di Levi, che la immobilizza da dietro. Prova a scalciare, a dimenarsi.

«Lasciami andare!»


«Dobbiamo andare» ripete lui, a voce più alta per sovrastare le sue urla, il tono secco, imperioso.

«Lasciami!» continua lei «Armin! Armiiiin!»

«Non c’è più niente da fare» continua lui «Dobbiamo andare…Sono troppi…Dobbiamo andare» e questa volta la sua voce sembra incrinarsi per un istante, la sua presa si fa ancora più stretta.

Che cos’è che percepisce il quel suo cambio nel tono di voce? Che cos’è quella stretta nel petto che sente crescere come un macigno? Tristezza. Levi la stringe. «Non c’è più niente da fare» ripete, questa volta quasi dolcemente.

D’improvviso, la verità la colpisce come uno schiaffo sul viso. Gli occhi le si riempiono di lacrime impiastricciate a polvere. La vista si annebbia. Infiniti corpi di giganti si affannano l’uno sull’altro. Armin non si vede più. Brandelli di carne volano in aria verso le stelle. È una carneficina.

«No…» mormora Mikasa «NOOOOO» grida un attimo dopo. In un istante, la forza la abbandona. Il suo corpo le sembra pesantissimo, le braccia di Levi che la stringono sono l’unica cosa che le impedisce di piombare a terra.

Si sente singhiozzare, quasi come se quei suoni non provenissero davvero da lei, quasi come se guardasse la scena dall’esterno.

«Dobbiamo andare via» mormora di nuovo Levi al suo orecchio, mentre la trascina all’indietro.

«Armin…» continua a ripetere lei tra le lacrime.

«Armin non c’è più» dice la voce di Levi, ma questo non può essere vero, questo è assolutamente impensabile. È impensabile che Eren abbia ordinato ai giganti di uccidere Armin, è assolutamente impossibile. È impossibile perché Eren ed Armin sono cresciuti insieme, perché si amano come fratelli, perché cinque anni fa Eren ha fatto di tutto perché Levi lo salvasse col siero, lo ha colpito, non si è arreso neanche quando lei, Mikasa, si era lasciata convincere da Hange dell’impossibilità di scegliere Armin al posto di Erwin Smith. Tutto questo è semplicemente surreale, non è vero, non può essere vero. Eren non è così, Eren è buono, vuole salvarli.

«Mikasa…» e sentirlo pronunciare il suo nome così, con la voce rotta, come se anche lui stesse soffrendo…ma soffrendo per cosa? Tutto questo non è vero, non può essere vero, adesso entrambi torneranno da lei, come se niente fosse, gomito a gomito come per tutta la loro vita.

«…l’Eren che conosciamo noi non esiste più» mormora la voce di Levi, mentre la trascina via, al riparo. Mikasa ha smesso di lottare, ha smesso di divincolarsi, sente solo il suo corpo squassato dai singhiozzi e dalle lacrime.

«Non è vero, non è vero…non è vero…» sente dire alla sua voce, quasi un lamento, una cantilena, che cresce d’intensità nel pianto.

«Mikasa…» la voce di Levi continua a ripetere «Mikasa… Mikasa…»



 
«Mikasa!»
Mikasa aprì gli occhi di scatto. Intorno a lei era sparita la città in fiamme, il fumo e la polvere. Si trovava in una stanza buia, in un letto che profumava di pulito, la Luna sopra gli alberi fuori da una finestra chiusa. E Levi, le mani sulle sue spalle, seduto sul letto davanti a lei.

Lo guardo di lui era fisso sul suo viso, la fronte corrucciata, la stretta delle sue mani ferrea sulle sue braccia. La ragazza si guardò intorno disorientata, tornando con la mente al presente. Era solo un sogno… Si passò la mano destra sugli occhi, asciugandosi le lacrime.

«Stavi urlando…» mormorò Levi, il tono di voce piatto, ma le mani sempre sulle sue spalle.

«Io… sto bene» rispose Mikasa, spostando lo sguardo sulle proprie mani, in grembo. «Era solo un sogno… sto bene» continuò, stavolta con voce più ferma, prima di tirare su col naso.

La presa del capitano sparì in un istante. L’espressione preoccupata sul suo viso sostituita con una leggermente tesa. Se non lo avesse conosciuto bene, a Mikasa sarebbe sembrato quasi in imbarazzo.

«Scusa, per averti svegliato…»

«Non stavo dormendo.»

Uno strano silenzio scese tra di loro. Mikasa sentiva il battito del suo cuore che tornava ad un ritmo normale.

«Mi dispiace, era solo un incubo…» ripeté lei, sentendo di doverlo rassicurare.

«Sì, lo hai già detto…» borbottò lui. Poi le lanciò uno sguardo deciso, eloquente. Uno sguardo di qualcuno che sapeva la verità.

«Mi succede, a volte…di fare incubi così…» proseguì la ragazza, quasi tra sé e sé, guardando le dita della mano sinistra di Levi, che continuavano ad allargarsi e flettersi sulla gamba dei suoi pantaloni.

Il capitano non rispose.

Fu solo in quell’istante che la ragazza si accorse dello sguardo di lui, fermo di sottecchi sulla sua spalla, che era sfuggita alla bretella della camicia da notte era esposta e pallida, alla luce della luna.

Si sentì avvampare. Sentì la mano che scattava a sistemare la camicia da notte, mentre Levi, come risvegliato dai propri pensieri, le lanciava uno sguardo allo stesso tempo spaesato e – questa volta sì – imbarazzato, spalancando l’occhio sinistro.

Il capitano scattò in piedi in un lampo, allontanandosi con un solo movimento dal letto e prendendo a fissare un punto indefinito sul pavimento.

«Bene, allora…torno di là» borbottò, avvicinandosi alla porta. Prese fiato prima di parlare di nuovo: «Se vuoi, posso mettere dell’acqua a bollire. Per una camomilla.»

Mikasa sorrise tra sé, la fronte ancora corrugata nel tentativo di capire cosa stesse succedendo davvero.

«No, grazie. Non volevo disturbarti»

Levi rimase però fermo sulla soglia, appoggiato allo stipite. Lei lo sentì sospirare. Era indeciso.

«Stavi chiamando Armin…» mormorò, voltandosi in parte verso di lei. Nei suoi occhi era tornato lo sguardo serio di sempre, ogni traccia di titubanza era sparita. Questo era lo sguardo del capitano che si occupava di un membro della sua squadra in difficoltà, senza curarsi di provocargli imbarazzo. «Sei sicura di stare bene?»

«Levi…tu li sogni mai? I tuoi vecchi compagni»
Il suo sguardo rimase impassibile, fisso negli occhi di lei, ma non rispose.
«…E quando ti svegli, stai mai bene?»

Levi si voltò di nuovo verso la porta aperta, ed annuì impercettibilmente.
«Cerca di riposare…» disse, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Mikasa rimase di nuovo sola nella stanza. Distrattamente, la mano destra andò ad accarezzare quella spalla che lui stava guardando. Si distese di nuovo, sprofondando nel cuscino con un sospiro. Si erano scambiati mille sguardi: nervosi, complici, arrabbiati, indifferenti, anche empatici. Ma mai, mai prima di allora lui l’aveva guardata così. Da pari a pari. Da uomo a donna.

Mikasa rabbrividì impercettibilmente, d’improvviso spaventata di trovarsi lì. Sentì le sue guance scaldarsi e tirò più in alto la coperta, fin sotto al naso. La guerra era finita da un pezzo, la vita era andata avanti, in qualche modo. Lei era cresciuta, aveva conosciuto nuove persone, vissuto nuove esperienze. Aveva riso di nuovo, qualche volta. Eppure più si era allontanata, più distanza aveva messo tra lei ed il capitano, più si era cementificata in lei la certezza che solo lui era in grado di capirla.
Solo lui aveva condiviso ciò che era successo e l’aveva vissuto come lei. Le sembrava che lui fosse la sola persona sulla faccia della terra che poteva davvero comprenderla. E questo la terrorizzava e tranquillizzava allo stesso tempo. Lui era la roccia stabile, l’unica certezza rimasta nella sua vita. Era l’incorruttibile Capitano che l’aveva affiancata negli anni più fulgidi della sua vita, nonché l’unico altro essere vivente del suo clan.

Stasera però sentiva che qualcosa era cambiato impercettibilmente e la cosa la rendeva nervosa.

«Non essere sciocca…» bisbigliò al soffitto. Non è successo assolutamente niente. Smettila di immaginare cose che non esistono…

Irrequieta, si sistemò su un fianco e prese a pugni il cuscino, per dargli una forma più confortevole, convinta di non potersi più addormentare per quella notte.

Pochi minuti dopo, dormiva di nuovo, il viso rasserenato e la pelle di porcellana esposta alla luce della luna.


 

Per coloro che leggono il manga, come vedete la mia storia si discosta dal canon...ma l'ho scritta intorno al capitolo 129/130, scrivendola adesso sarebbe molto diversa! Ho deciso di lasciarla così come l'avevo immaginata inizialmente! Spero si capisca il passaggio tra i sogni, scritti in corsivo e al presente, e la storia! :)

 
   
 
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