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Autore: Carmaux_95    14/02/2021    7 recensioni
Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prim'ancora che i corpi si vedano.
Generalmente, essi avvengono quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente. Gli incontri ci aspettano, ma la maggior parte delle volte evitiamo che si verifichino. Se siamo disperati, invece, se non abbiamo più nulla da perdere oppure siamo entusiasti della vita, allora l'ignoto si manifesta e il nostro universo cambia rotta.
(Paulo Coelho)
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Questione di chimica'
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Ama la goccia che fa traboccare il vaso.

È nascosto lì dentro ogni bel cambiamento.

(Gemma Gemmiti)


 

Lanciò un'occhiata allo schermo del computer, osservò per l'ultima volta il documento che aveva aperto.

Le sue dita, poco prima, avevano indugiato a lungo sulla tastiera finché non si era fatto coraggio e aveva compilato in fretta tutti i campi del documento come se temesse di cambiare idea in corso d'opera.
Era solo uno stupido laboratorio extracurricolare, pensò mentre lo chiudeva per spostarlo nel cestino: perché inviare la richiesta di partecipazione lo mettesse così in ansia, non lo capiva. Neanche si trattasse di inviare il curriculum.

Scosse la testa e tornò alla scrivania.

Era la cosa migliore: magari avrebbe avuto tempo in futuro per interessarsi alla cristallografia.
Adesso la cosa più importante era passare Chimica Organica II.

Riaprì il manuale su cui stava studiando fino a poco prima e recuperò il segno.

Una notifica fece illuminare il suo cellulare, distraendolo immediatamente:

“Nuovo messaggio da Roscio – ore 15.47:

Ho trovato un master veramente interessante in Inghilterra!”

Riccardo alzò gli occhi al cielo, sorridendo: era almeno il terzo messaggio di quel genere che riceveva in quella settimana.

“Di cosa si tratta questa volta?”, digitò rapidamente.

Archeologia marittima.”

“Sarebbe?”

Sarebbe esattamente quello che sembra: archeologia subacquea.”

“Tipo... dei fondali?”

Esatto!”

“Quindi andresti in giro per l'oceano ad esplorare relitti come la Sirenetta? Hai già anche i capelli rossi!”, lo provocò, divertito.

NON COME LA SIRENETTA!”

“Ma scusa”, rifletté Riccardo, colto da un pensiero. “Non sai nemmeno nuotare!”

So come andare a fondo: in fin dei conti è questo che serve.

Roscio!

Che c'è?! Chiaramente prima mi iscriverei ad un corso di nuoto! Non sono mica pazzo!”

Riccardo avrebbe potuto scommettere che, dall'altro capo del cellulare, Mattia stesse sorridendo.
Sorrideva costantemente, al punto che Riccardo si domandava se non gli facesse mai male la faccia.
Il più delle volte non era sicuro che parlasse sul serio ma, che lo prendesse in giro o meno, chiacchierare con lui era piacevole: era simpatico, senza essere invadente nemmeno quando gli scriveva alle tre del mattino. O meglio... quando, qualche settimana prima, Riccardo aveva dormito in camera di Francesco – colpa di una perdita dal soffitto della propria camera che gli aveva infradiciato il letto – e si era dimenticato di silenziare il cellulare, l'amico si era rigirato fra le coperte imprecando in siciliano e domandandogli chi fosse lo “stronzo maledetto” che gli aveva mandato quattro messaggi di fila a quell'ora empia. Per Riccardo, al contrario, ogni volta che il sonno lo rifuggiva – situazione nella quale si ritrovava fin troppo spesso – trovare un'inaspettata notifica da parte di Mattia significava trovare anche un po' di serenità.
Nel buio, più di una volta si era trovato a ingrandire l'icona della sua immagine personale per osservare quel suo sorriso che la barba, sempre ben curata, non faceva che mettere in risalto o per studiare quel grigio così insolito per due occhi curiosi e intelligenti come i suoi.

Sorrise a sua volta: “Ne sei sicuro?”

Certo!
Dovrei chiederlo io a te, piuttosto!”

“Perché?”

Sei ancora sui libri?”

“Sì... perché?”

Mi viene l'ansia per te!”

“Non sono neanche le quattro!”

Ci sei su da questa mattina! Smettila e rilassati. O giuro che verrò personalmente ad occuparmi del problema!”
Riccardo scosse la testa pensando, per un momento fugace, che quella soluzione non gli sarebbe dispiaciuta. Non fece in tempo a rispondere che gli arrivò un nuovo messaggio: “Sai che ci sono dei quaderni apposta per studiare chimica?”

“E come sarebbero?”

A esagoni. Sai, ci sono i quaderni a quadretti, i quaderni a righe... e quelli a esagoni!”

“Mi stai prendendo in giro.”

Quando mai ti prendo in giro?”

“Per esempio quando dici di voler fare l'archeologo con le pinne e non sai nemmeno nuotare!”


 

*


 

Nonostante stesse tamburellando con una gamba, la sua mano era ferma mentre prendeva appunti. Stava finendo di disegnare la struttura di un composto quando qualcosa lo urtò bruscamente, facendogli rovinare la pagina con un segnaccio. Prima che potesse insultare il malcapitato si sentì sfilare le cuffie dalla testa.

«Ma che musica ascolti che non ti accorgi di quello che ti succede attorno?»

«Mattia?» esclamò alzandosi mentre quello indossava le cuffie appena rubate.

«A momenti mi ammazzavo sul tuo borsone della palestra e neanche hai alzato la testa!»

Riccardo lanciò un'occhiata alla camera notando che, effettivamente, il borsone non si trovava più dove lo aveva lasciato ma si era completamente ribaltato, segno che Mattia doveva esserci inciampato sopra per poi aggrapparsi alla sua sedia per non capitolare in terra.

«Vorrei sapere come puoi studiare chimica ed essere così disordinato.»

Punto sul vivo, Riccardo fece il gesto di recuperare le proprie cuffie, ma come afferrò i padiglioni, Mattia imitò il suo gesto, bloccandogli lì le mani: «Aspetta: mi piace questa canzone. Di chi è?»

«Si può sapere cosa ci fai qui?!»

«Come sarebbe? Te l'avevo detto che sarei venuto.»

Riccardo non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea che Mattia facesse sul serio quando gli aveva detto che si sarebbe presentato a casa sua per distrarlo dallo studio. Innanzitutto, come discernere la serietà dalle facezie in una conversazione come quella che avevano avuto appena qualche ora prima? In secondo luogo, perché scegliere lui quando aveva tanti amici con cui trascorrere la serata, magari andando al cinema o a fare un aperitivo?

Sentendo i ciuffi dei capelli rossi di Mattia solleticargli le dita, Riccardo ritrasse le mani con un gesto improvvisamente impacciato.

«Come sei entrato?» domandò voltandosi per non dare a vedere il suo imbarazzo.

«Mi ha aperto Francesco.»

Sbattendo le palpebre, Riccardo cercò di nascondersi mentre controllava l'orologio – ogni venerdì il suo migliore amico non rientrava a casa prima delle sette di sera per via delle lezioni – ma invano.

«Non hai fatto nemmeno una pausa?» lo interrogò Mattia, infatti, per poi allungare una mano a tastargli la guancia: «E dire che sembri davvero umano.»

«Sono sotto esame» bofonchiò il più giovane, indietreggiando appena.

«Se vuoi una mano basta chiedere.»

«Ma tu non sai niente di chimica.»

«Ehi! Ho preso 6- nell'ultima verifica di chimica del liceo!»

«Ah, beh: in questo caso...»

«Posso essere utile in altri modi», dichiarò il maggiore togliendosi finalmente le cuffie e restituendole al proprietario.

Senza sapere bene per quale motivo, quest'ultimo si sentì arrossire. Si diede immediatamente dello stupido: oltre al fatto che stava facendo la figura dell'idiota, nelle parole di Mattia non c'era alcuna malizia, nemmeno nel tono di voce. Quando, infatti, riprese la parola, non fece che confermare i pensieri di Riccardo: «Anche solo per tenerti un po' di compagnia mentre studi. Oppure per darti questo...»

Infilò una mano nella tasca interna della giacca e ne tirò fuori un piccolo quaderno.
Quando vide le sopracciglia di Riccardo impennarsi, sorrise: «Te l'avevo detto che i quaderni ad esagoni esistevano davvero.»


 

*


 

Non aveva pensato che la serata sarebbe finita così.

Un attimo prima andava tutto bene e Riccardo si era ritrovato a sorridere mentre Mattia discorreva del più e del meno con Francesco agitando leggermente un involtino primavera impalato su una sola bacchetta.
E poi, di punto in bianco, aveva perso l'appetito. Aveva tormentato la sua porzione di riso alla cantonese fino a quando non si era ridotto ad un ammasso di chicchi scorporati dal resto del condimento e impossibili da raccogliere se non singolarmente e, senza rendersene nemmeno conto, aveva incassato la testa fra le spalle.

Non lo aveva mai infastidito sentirli parlare di studio o dei rispettivi successi scolastici o delle loro aspettative per il futuro. Al contrario, era sempre felice di vederli esaltati: Francesco perdeva quella maschera di imperturbabilità che lo definiva e il suo tono solitamente placido diventava concitato; Mattia, dal canto suo, era sempre così appassionato quando parlava che, sebbene a Riccardo non interessasse niente di quella gente morta millenni prima che Mattia tanto trovava affascinante, non poteva che ascoltarlo.

Quello che non si sarebbe aspettato era di vederli improvvisamente “coalizzarsi” contro di lui.
Contro”, così come “coalizzarsi” non erano le parole giuste – si rendeva perfettamente conto che non lo facevano con cattive intenzioni – eppure avrebbero dovuto saperlo...

«Alla fine ti sei iscritto?» gli aveva domandato Mattia attaccando il maiale in agrodolce.

«No: ho cambiato idea.»

«Perché?»

So già che non ce la farei.
«Non ho tempo.»

«Sono poche ore alla settimana, in realtà» gli aveva fatto notare Francesco, beccandosi un'occhiataccia. Forse così facendo voleva spronarlo ma, cazzo, quello era davvero il modo peggiore: era così stanco di sbandierare e dover giustificare i propri fallimenti.

Il resto della conversazione aveva preso a rimbombare nella sua testa. Ogni domanda una fitta alla tempia: «A dirla tutta non si sovrappone nemmeno con gli orari delle sue lezioni», «Sembra fatto apposta!», «Gliel'ho detto: è perfetto per quel corso!»

Fosse stato da solo con Francesco probabilmente avrebbe risposto male, consapevole del fatto che l'amico – lui solo – non se la sarebbe presa ma che, al contrario, l'avrebbe interpretato per quello che era, un semplice sfogo per sbollire un po' della frustrazione che infuriava dietro la maschera.

In quel momento, invece, si morse una guancia e forzò un sorriso: l'ultima cosa che doveva fare era lasciarsi sfuggire qualche commento dai toni sarcastici o acri.

Non voleva che Mattia se ne andasse.

Non avrebbe saputo dire il perché, ma trovava la sua presenza tranquillizzante... rassicurante.

Era rimasto in silenzio fino alla fine, quando Francesco non gli aveva ricordato che quella sera era il suo turno di lavare i piatti e che, nel mentre, lui avrebbe cominciato a “fare un po' di riscaldamento” sulla sua vecchia console di gioco in vista di un improvvisato torneo videoludico indetto quasi dal nulla durante la cena.

Stava sfregando l'ultimo piatto rimasto nel lavandino quando sentì Mattia appoggiargli una mano sulla spalla: «Ehi?»

«Ehi. Pensavo ti stessi “allenando” con Francesco.»

«Scusa per prima: non volevo metterti a disagio. Devo imparare a misurare la temperatura prima di aprire bocca.»

Quelle parole lo colsero leggermente in contropiede: non era certo un attore, ma tutto sommato pensava di aver dissimulato sufficientemente bene il proprio malessere. In secondo luogo, l'ultima cosa che si sarebbe aspettato dopo essere stato taciturno per tutta la sera erano delle scuse. «No, non...»

«Ti senti bene?»

«Sì.» Come no. «Che domanda è?»

«Che domanda è la tua: nessuno ti chiede mai come stai?»

A dire il vero no.
Certo... sì, i suoi genitori ogni tanto glielo domandavano, al telefono, ma con lo stesso interesse con cui si discorre del tempo quando non sa che cosa dire.
A pensarci era da un bel po' di tempo che qualcuno a parte Francesco gli rivolgeva quella domanda preoccupandosi davvero di quale sarebbe stata la risposta.

«Hai gli occhi tristi.»

Distolse lo sguardo, forse troppo velocemente. «Ho gli occhi che ho: sono sempre così.»

«Non è vero: quando giochi a basket o quando arbitri i tuoi occhi sono luminosi.»

Non rispose: non avrebbe saputo cosa dire, in ogni caso. Si limitò a scrollare le spalle.

«Senti,» riprese il maggiore. «non per rigirare il coltello nella piaga...»

No, ti prego: sono troppo stanco...

«Ma perché hai cambiato idea sul partecipare a quel corso? Me ne avevi parlato tanto.»

«Perché non ho tempo per dedicarmici.»

«Sono tre ore a settimana.»

«D'accordo: vuoi sapere come stanno le cose?» sbottò improvvisamente mollando il piatto e voltandosi verso di lui che, colto alla sprovvista da quello scoppio improvviso, sussultò arretrando di un passo. «Da un lato c'è Francesco, che dà un esame dopo l'altro passandoli a pieni voti e trovando il tempo di dedicarsi a quello che vuole. Dall'altro ci sei tu che fra un paio di mesi ti laurei, che qualunque progetto ti venga in mente lo porti a termine.. e che sorridi sempre, che cazzo! Come se andasse sempre tutto bene! Fanculo! E in mezzo ci sono io, che sono un casinista, che sono disorganizzato e che qualunque cosa faccia non rispecchia mai le aspettative. Mai!»

Sentì la voce graffiare e immediatamente si pentì di quello sfogo.
Avrebbe dovuto continuare a mordersi la lingua e ad ingoiare bile.

«Le aspettative di chi?»

«Che fai, infierisci?! Vuoi un elenco in ordine alfabetico?» esclamò, sentendo gli occhi diventargli lucidi.

«No, no, io... scusami. Intendevo solo che ti sento sempre parlare di quello che vogliono gli altri e mai di quello che vuoi tu.»

«Forse è meglio imparare a camminare prima di provare a correre. Quando dici che sono “solo tre ore a settimana”, non mi incoraggi: mi fai sentire uno schifo. Per voi è una sciocchezza; a me sembra un ostacolo insormontabile anche se in realtà è una stronzata.»
Dimenticatosi del fatto che indossava ancora i guanti, si passò una mano fra i capelli castani che si impigliarono nella plastica umida. Sospirò, scuotendo la testa. «Non sono risentito nei vostri confronti, dico davvero. Non lo sono mai stato. È solo che ogni tanto mi pesa sapere di essere l'ultima ruota del carro.»

«Non volevo ferirti.»

«Lo so.»
Non si rese nemmeno conto di averlo detto ad alta voce. Le parole erano semplicemente uscite da sole. Sapeva bene che Mattia era diverso dai suoi genitori: non parlava per il gusto di farlo sentire inadeguato... motivo per cui si sentiva ancora più in colpa per averlo reso vittima del proprio sfogo.

«Non riesco a capire perché tu abbia una così bassa stima di te...» riprese il maggiore. «È normale che capiti di sentirsi tristi, abbattuti e stressati: questo non ti rende mica inferiore a chiunque altro. Ti annebbia semplicemente la mente.»

Mattia allungò una mano e appoggiò delicatamente l'indice sulla fronte di Riccardo.

«È come quando dai troppi input ad un computer: va a finire che si sovraccarica, non capisce più niente e si blocca. L'unica cosa da fare è spegnere e riavviare.»

Riccardo sentì lo stomaco aggrovigliarsi e deglutì a vuoto quando, nell'allontanare nuovamente la mano, l'archeologo sembrò quasi accarezzargli i capelli.

«Spero che prima o poi tu possa vederti come ti vedo io...»
Per la prima volta da quando si conoscevano, Riccardo vide Mattia distogliere lo sguardo per puntare gli occhi in terra. «o come ti vede Francesco» concluse quest'ultimo schiarendosi la voce. «Io credo che tu abbia molto da offrire. Per quel che vale, superi di gran lunga le mie aspettative.»

Non fece in tempo a rispondere.
A dire il vero avrebbe anche avuto il tempo di rispondere, se non fosse rimasto imbambolato come uno stupido a guardarlo: come faceva ad essere confortante e destabilizzante allo stesso tempo? Com'era possibile che, allo stesso tempo, riuscisse a tranquillizzarlo e a mandarlo in subbuglio?
Inoltre, il pensiero che Mattia fosse quasi arrossito – o era stata solo la sua immaginazione? – lo scombussolava ancora di più...

Non riuscì a formulare nemmeno una parola prima che il rosso gli appoggiasse nuovamente una mano sulla spalla e, dopo averla stretta, si defilasse per raggiungere Francesco in salotto.

La pensò soltanto, mentre un timido sorriso illuminava finalmente il suo viso: Grazie.


 


 


No you don't know what its like
When nothing feels alright
You don't know what its like to be like me
To be hurt, to feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
To feel like you've been pushed around
To be on the edge of breaking down
And no one there to save you
No you don't know what its like
Welcome to my life


Angolino autrice:

Buon San Valentino a tutti! ^^

Eccomi qui con il secondo capitolo! Ci ho messo una vita ad aggiornare, chiedo scusa. Non si bene il motivo, ma mi sono completamente bloccata per un sacco di tempo e, nonostante avessi già in mente tutto, non riuscivo a scrivere nemmeno una riga -.-

In ogni modo, mi è uscito un po' più introspettivo di quanto avessi preventivato, ma la piccola dose di hurt/comfort che ne è derivata mi soddisfa abbastanza!
Ci tenevo ad approfondire il personaggio di Riccardo sotto questo aspetto – che avevo cominciato ad analizzare con una mia vecchia storia, Fantasmi di sale – prima di spostarmi su lidi più interessanti e maliziosi (che non mancheranno, comunque, nei prossimi capitoli ^^).

Spero che nel complesso questo secondo capitolo vi sia piaciuto!

Detto questo – mi starò sicuramente dimenticando qualcosa XD – vi faccio di nuovo gli auguri!

Grazie a chiunque leggerà fino a qui e mi dedicherà qualche minuto! ^^

Un bacione! ♥♥♥

Carmaux


 

P.S. A quanto pare i quaderni ad esagoni esistono davvero! XD


 

  
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