Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |       
Autore: Marco1989    17/02/2021    1 recensioni
2183: gli esseri umani hanno raggiuntole stelle. L'astronave Columbus ha condotto i primi uomini a realizzare la loro prima colonia nello spazio. La più grande impresa mai compiuta dall'umanità. Sulla Terra, però, sta accadendo qualcosa di strano...
Genere: Avventura, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I

 

L'essere non aveva nome. Non c’era nessuno, nel suo mondo, che potesse dargliene uno. In ogni caso, il suo cervello non sarebbe stato capace di comprenderne il significato. Lui era, semplicemente, se stesso. Un cacciatore. Respirava, si muoveva, cacciava, uccideva, mangiava, beveva, espletava i suoi bisogni, dormiva e, quando era la stagione giusta e il Grande Cerchio Azzurro si trovava nella parte appropriata del cielo, cercava una compagna per riprodursi. Questo era tutto ciò che sapeva, e questo gli bastava.

In quel momento la sua necessità più immediata era nutrirsi: l’oscurità era calata tre volte dalla sua ultima preda, perciò tutti i suoi sensi erano concentrati sulla caccia. Avvertiva ogni movimento dell’aria, la vegetazione bassa che schiacciava con le sue otto zampe, l’odore umido del sottobosco. I suoi cinque occhi, uno dei quali era posto dietro la testa, gli fornivano un’ottima vista, ma la sua arma migliore era l’olfatto: poteva individuare qualsiasi essere commestibile a distanze enormi. Quando sentiva qualcosa che la sua rudimentale memoria identificava come un potenziale pasto, si avvicinava a esso come un fantasma, aiutato dal corto e ispido pelame che si confondeva con l’ambiente. Una volta giunto ad una distanza sufficientemente ridotta, sarebbe stato compito dei suoi potenti artigli e dei denti lunghi e affilati procurargli il cibo. Così si comportava da quando era nato, e non concepiva nessun motivo per cambiare.

Quel giorno però sarebbe stato diverso dagli altri.

Dapprima avvertì uno strano movimento nell’aria: i suoi acutissimi sensi percepirono un insolito vento, dapprima leggerissimo, poi sempre più intenso, come se qualcosa di molto grande si stesse muovendo nel cielo. Poi sentì un odore insolito, qualcosa che la sua esperienza non era in grado di riconoscere: era molto intenso, e sembrava venire dall’alto, da sopra gli alberi. La sua limitata capacità di elaborazione gli suggerì, come confronto, un incendio: era come se qualcosa stesse bruciando nell’aria, ma non era in grado in alcun modo di capire cosa. Infine, i suoi involuti padiglioni auricolari captarono un rumore, prima lieve, poi sempre più potente, una sorta di rombo. Gli ricordava una mandria di animali in carica, solo enormemente superiore in potenza. Il suo istinto era in preda alla confusione più totale di fronte a qualcosa di mai accaduto prima, incapace di prendere una decisone sul da farsi. Quando però il terreno iniziò a tremare, la scelta fu immediata: “fuga”. Non poteva lottare contro qualcosa che non aveva zanne, artigli, un corpo. Contro gli strani eventi che coinvolgevano tutto il suo ambiente, la sola soluzione era scappare.

Si lanciò in uno sfrenato galoppo, spezzando le piante ed evitando gli enormi alberi all’ultimo secondo. Le otto zampe e la spina dorsale estremamente snodabile gli permettevano movimenti molto aggraziati. Corse finché la foresta non iniziò a diradarsi, per poi aprirsi in una radura. A quel punto la creatura si bloccò, impietrita. Nel cielo vide qualcosa di troppo assurdo per la sua mente. Un enorme animale fluttuava nell’aria, apparentemente a una grande altezza; nonostante la distanza, però, era talmente immenso da coprire parzialmente il Grande Cerchio, la cui luce azzurra luccicava sulla sua stranissima pelle con riflessi di bizzarri colori. Sia il rombo che lo strano odore provenivano dall'essere gigantesco. La creatura rimase bloccata: nel suo mondo, che aveva imparato a conoscere da quando era nata, non c’era posto per un animale volante di simili dimensioni. Si lasciò comunque guidare dal suo primitivo cervello, che cercò di classificarlo nei modi che conosceva: era evidentemente troppo grande per essere una preda, e lo era più che a sufficienza per essere un pericolo; la reazione, quindi, poteva essere una sola.

La creatura fuggì nella foresta alla massima velocità possibile.

 

 

«Vai pure, amico, e ti auguro una buona giornata! - ghignò il comandante in seconda Brent, vedendo la scena sul monitor - Scusaci per il disturbo!».

«Con chi sta parlando, Erik?» chiese un uomo in piedi alle sue spalle; sembrava più vicino ai cinquanta che ai quaranta, ma il suo corpo non avrebbe sfigurato in un uomo di trenta; i capelli neri, ormai venati di grigio, erano tagliati corti, così come la folta barba. Indossava un’uniforme azzurra, con i gradi di ufficiale. Non c’erano bandiere, ma sul braccio destro era disegnato uno strano simbolo: una stilizzata mappa della Terra incorniciata da ramoscelli di ulivo.

«Con un esemplare della fauna locale, comandante - rispose Brent, che, con il suo metro e novanta, le spalle larghe e i capelli rossi, sembrava un vichingo - Promette bene, direi: pelame scuro, otto zampe e, se ho visto bene, almeno quattro occhi!

«Decisamente non siamo più in Kansas, Erik» borbottò il comandante, citando “Il Mago di Oz”.

Il capitano di vascello William Farris fece scorrere il suo sguardo sugli altri dodici uomini che occupavano la plancia di comando della Columbus, ciascuno intento al proprio compito. Tutti, incluso il comandante in seconda, indossavano la divisa azzurra delle Forze Spaziali dell’ONU.

Rivolgendosi a un giovane orientale seduto dietro un computer, il capitano chiese: «Tenente Nakadawa, mi conferma la mancanza di trasmissioni radio?».

«Signorsì, comandante - rispose l’ufficiale - Tutto lo spettro delle frequenze è vuoto».

Un altro membro del gruppo di comando, un giovane dai lineamenti ispanici, si aggiunse alla conversazione: «I droni da ricognizione confermano le osservazioni precedenti: nessuna città, nessuna strada, nessun segno di civiltà. Flora e fauna sembrano abbondanti, ma nessuna forma di vita intelligente.

«Tenente Motabe, ha effettuato lo scanning dell’atmosfera?».

Un uomo di colore basso e magrissimo si voltò e rispose: «Signornò, ma i rapporti delle sonde automatiche dicono che è perfettamente respirabile».

«Lo so, ma faccia ugualmente una nuova scansione. Non intendo scendere al suolo senza essere sicuro di non soffocare.

Mentre l’altro ufficiale, leggermente contrito, iniziava a muovere le mani sullo schermo del suo terminale, Brent si lasciò andare a un sorriso: il comandante Farris era il migliore su cui l’ONU potesse contare, ma alcune volte era veramente pignolo. In quel caso, però, poteva capirlo: non potevano permettersi alcun errore, dopo il lunghissimo viaggio che avevano fatto e tutto ciò che lo aveva preceduto.

 

 

Erano partiti dalla Terra nel 2177, sei anni prima, ma dall’inizio dell’operazione era passato addirittura un quarto di secolo. Era infatti il 2148 quando una sonda dell’ONU aveva individuato, a sessantadue anni luce dal sistema solare, in orbita attorno ad una stella azzurra, un pianeta delle dimensioni di Marte, ma con caratteristiche incredibilmente simili alla Terra: atmosfera perfettamente respirabile, con una percentuale di ossigeno di poco superiore a quella terrestre, una gravità di pochissimo inferiore, abbondante acqua allo stato liquido, un sottosuolo dotato di forze tettoniche attive. Una sorta di fratello minore del pianeta d’origine dell’umanità. Era una scoperta incredibile: dal 2124, anno d’inizio del programma di esplorazione interplanetaria voluto e guidato dall’ONU in seguito all’invenzione, dieci anni prima, dei motori spaziali iperluce, era il primo pianeta scoperto con caratteristiche tanto adatte a sostenere la vita umana. La successiva esplorazione si era rivelata altrettanto esaltante: buona parte della superficie del pianeta, illuminato da una intensa luce azzurra, era occupata da un immenso oceano, interrotto da tre grandi isole più o meno delle dimensioni dell’Australia e da oltre cento più piccole. C’era abbondanza di vita, favorita da un clima costantemente tropicale, e non solo microscopica: erano moltissime le specie vegetali e animali, abitanti sia nel mare che sulla terra ferma. L’esplorazione aveva rivelato, inoltre, che il pianeta era estremamente ricco anche dal punto di vista “economico”: sotto i fondali oceanici c’erano grandi depositi di idrocarburi, e le montagne delle isole maggiori erano ricche di carbone, uranio, ferro, rame, oro, e molti altri minerali, inclusi alcuni preziosissimi metalli superconduttori. Il nome “Elisyan”, il paradiso delle civiltà classiche, sembrò il più azzeccato. Il solo problema era la distanza: anche con i migliori motori che la tecnologia era in grado di produrre, un’astronave con equipaggio avrebbe impiegato almeno sei anni per arrivarvi. Un’accelerazione maggiore sarebbe stata insostenibile per un organismo umano. Perciò, solo dopo diversi anni di esplorazioni con veloci sonde senza equipaggio e rover automatici era stata organizzata la spedizione vera e propria. La Columbus era una nave enorme, a forma di fuso; pur essendo costruita con molte delle caratteristiche di una nave da guerra, era in realtà disarmata. A bordo l’equipaggio, proveniente da ogni parte del mondo, era interamente costituito da membri della Forza di Interposizione e Pacificazione delle Nazioni Unite, il braccio militare dell’ONU; ai suoi quasi cento membri, sia uomini che donne, si aggiungevano un'altra cinquantina di militari delle forze di terra e circa un centinaio tra tecnici, ingegneri, botanici e scienziati di ogni tipo. Non erano però loro il motivo delle immense dimensioni della Columbus: essa, infatti, oltre a un’enorme quantità di materiali, portava anche molti passeggeri. Erano oltre novecento, ed erano tutti civili, in massima parte famiglie. Considerando i nati e i morti durante il lungo viaggio, c’erano quarantotto persone in più rispetto alla partenza. Erano loro la vera ragione del viaggio. Quella, infatti, non era una semplice esplorazione, non era una spedizione scientifica; Erik lo sapeva bene, il Segretario Generale dell’ONU aveva fatto a lui e agli altri membri dell’equipaggio un lungo discorso per spiegare l’importanza di quel viaggio. Loro erano la Colonia AA-001, o meglio, lo sarebbero diventati non appena fosse stato costruito un insediamento stabile su Elysian. Sarebbero stati la prima comunità umana a vivere sotto un sole diverso da quello natale.

 

Dopo un paio di minuti di lavoro, Motabe si voltò e disse sorridendo: «Scansione effettuata, comandante. Corrisponde a quelle effettuate dalle sonde. L’aria è perfettamente respirabile».

«Guardiamarina Park, mi conferma che questo è il posto previsto per l’atterraggio?».

Una bella donna orientale sui trent’anni rispose: «Signorsì. Griglia dodici, quadrante C. Una radura priva di alberi e dal terreno sufficientemente solido per sostenere il peso della nave.

Il volto di Farris si aprì finalmentein un sorriso: «Bene, allora diamo alla gente la buona notizia. La aspettano da tanto, non facciamoli attendere ancora.

Il capitano prese il microfono del sistema di comunicazione interno, regolò l’impianto, poi disse: «Attenzione, qui è il capitano William Farris che parla a tutti gli uomini e le donne a bordo dell’astronave Columbus».

La voce del comandante risuonò in tutti i corridoi della nave, dalla mensa al vano motori; tutti i membri dell’equipaggio cessarono le loro attività per ascoltarla. Nella stanza pesantemente blindata adibita a quello scopo, i soldati del corpo di guardia interruppero il loro addestramento. Arrivò anche nella parte più ampia della nave, attigua alla stiva di carico, che aveva il nome ufficiale di Area di Permanenza Prolungata, familiarmente chiamata Esperance Town. Era la zona dove vivevano, fin dalla partenza, le famiglie dei civili. Era stata attrezzata come una vera città: aveva bar, ristoranti, un cinema, perfino una scuola, dove alcuni insegnanti tenevano corsi dall’asilo fino all’università. Era una vera comunità in viaggio nello spazio. Tutte le persone presenti alzarono la testa, sperando di sentire il messaggio che attendevano da tanto, troppo tempo.

«Siamo in viaggio ormai da sei anni, tre mesi, quindici giorni e sette ore - proseguì il capitano - E’ un tempo lunghissimo. Quindi mi sembra molto strano essere qui a dirvi che dovete radunare le vostre cose il più in fretta possibile. Tra venti minuti il Columbus si poserà sul pianeta Elysian. Siamo arrivati!».

I microfoni posti in tutte le parti della nave rischiarono di esplodere, ma riuscirono a trasmettere alla plancia di comando il boato di gioia che attraversò tutte le oltre mille persone a bordo, militari, membri dell’equipaggio e civili. Alcuni si misero a ballare e saltare, altri scoppiarono in lacrime di gioia, altri ancora si limitarono a ringraziare il proprio Dio, qualunque esso fosse. L’atmosfera di festa si trasmise anche alla plancia, con gli ufficiali che ridevano, si stringevano le mani e si davano pacche sulle spalle. Il sottotenente Wosper, sovrintendente alla manutenzione, arrivò addirittura ad imitare la famosa foto del soldato con l’infermiera, baciando con passione una stupefatta ma sorridente Park.

Il comandante in seconda, trattenendo a stento la felicità, si avvicinò a Farris: «Congratulazioni, comandante. Si è guadagnato un posto nei libri di storia. Ora dovrà pensare ad una bella frase epocale da pronunciare quando scenderemo a terra».

La risposta del capitano non si fece attendere: «Quando sbarcò sulla Luna, Neil Armstrong disse che quello era “Un piccolo passo per l’uomo, ma un grande passo per l’umanità”. In confronto a questo, era minuscolo - il volto dell’ufficiale si aprì in un sorriso di gioia - Credo che dirò semplicemente: “Benvenuti a casa!”».

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Marco1989