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Autore: Picci_picci    17/02/2021    2 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
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"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Era uscita di corsa da casa, di corsa aveva preso la metrò e di corsa aveva chiamato l’ascensore.

Peccato che anche l’elevatore non potesse correre.

“Aspetta!”

Bloccò le porte dell'ascensore per far entrare la persona ritardataria come lei.

“Grazie.”

Quando però si vide gli occhi verdi di Adrien, desiderò di non essere stata così gentile.

Sì, certo, dopo il messaggio di ieri sera avevano chiarito...ma l’imbarazzo rimaneva.

Si mise dal lato opposto dell'ascensore, il più lontano possibile da lui e puntando lo sguardo sulle sue Louboutin nere. Sentì uno sbuffo e le guance le si imporporarono...lo conosceva troppo bene per non sapere cosa pensava.

“Dillo”, gli sussurrò.

Lui girò il capo biondo con uno sguardo interrogativo, “cosa?”

“Quello che ti tormenta”, davanti allo sguardo ancora più perso del biondo, decise di spiegarsi meglio mentre arrossiva sempre di più, “sei vestito alla rinfusa, con i capelli spettinati e lo fai sempre quando sei nervoso. E poi hai puntato lo sguardo verso l’alto e hai sbuffato e, sarà strano, ma lo fai ogni volta che sei pensieroso.”

Lui fece un sorriso e Marinette sentì il suo mondo tornare a girare.

“Mi stavo chiedendo perché una certa ragazza sia così distante.”

“Forse perché è imbarazzata.”

“E da cosa?”

“Dalla situazione?”, doveva essere un’affermazione ma era più una domanda.

“Ed è così?”

“Probabile.”

Rimasero per il resto del tragitto in silenzio, senza guardarsi nemmeno per sbaglio.

Quando Marinette sentì il ding, segno che era arrivata a destinazione, sospirò di sollievo. Stava sentendo troppa tensione, decisamente troppa.

Camminò velocemente verso l’ufficio con Adrien che la seguiva, ma si tenne a distanza da lei. E pensare che qualche giorno prima, in quello stesso corridoio, la stava praticamente tallonando.

“Buongiorno, Natalie.”

“Bonjour, mademoiselle. Monsieur Adrien.”

Marinette prese posto dietro la sua scrivania come se niente fosse e preparandosi per il giorno di lavoro che l’attendeva.

Adrien rimase qualche secondo tra le due scrivanie, indeciso su che fare, poi si diresse verso lo studio del padre dopo un cenno di saluto alle due donne.

La mora sospirò per l’ennesima volta, già in ansia di prima mattinata. Come sarebbe arrivata a sera?!

L’occhio le cadde su un post-it rosa acceso, che era solita utilizzare per i promemoria, attaccato sullo schermo del suo computer. La calligrafia elegante e svolazzante di Gabriel Agreste la guardava impaziente.

Ormai manca poco alla sfilata e siamo in alto mare, vedi di spremere le meningi! In mattina passa in sartoria, alle 12:30 pranzerai con me e con la direttrice di Vogue Francia. Per il pomeriggio ci aggiorniamo. Il programma non è modificabile. 

Gabriel Agreste

Semplice. Veloce. Coinciso. A volte odiava il suo capo. Prese la sua agenda e scrisse tutte le nuove informazioni appena ricevute.

Oggi non era giornata, se lo sentiva.

“Marinette.”

Alzò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi verdi di Adrien. Si era tolto il soprabito, era solo in camicia bianca e con un plico di fogli in mano.

“Sì?”

“Dovresti fare una cosa per me: ho sottolineato alcuni numeri di questi bilanci per il settore tessile e dovresti controllarmi quante e che tipo di stoffe sono rimaste. Dobbiamo fare una specie di inventario o i numeri non torneranno mai.”

E il tempo per farlo dove lo avrebbe trovato? “Ehm… Vedi, ho già ricevuto i miei impieghi da tuo padre-”

“Questo lo ricevi da me.”

“Sì, ma ho già tutto pieno e-”

“Non è un problema mio.”

Aprì la bocca per replicare, ma Adrien fu più veloce.

“Marinette, ti prego, è il tuo lavoro.”

Il suo lavoro era stare agli ordini di monsieur, non hai suoi. Strinse le labbra in una linea sottile per evitare di dire parolacce e annuì brevemente.

Adrien le sorrise grato e le lasciò il plico di fogli sulla scrivania per poi sparire.

Quel sorriso te lo faccio sparire appendendoti a testa in giù dalla Tour Eiffel con lo yo-yo.

Oppure potrei vedere se i miei tacchi sono veramente dei killer.

Pensò, guardandosi le Louboutin nere. Si prese la testa tra le mani e si massaggiò le tempie.

“Mademoiselle?”

“Sì, Natalie?”, chiese senza alzare lo sguardo.

“Le conviene sbrigarsi o non riuscirà a fare tutto in tempo.”

Lei annuì, chi lo avrebbe mai detto?

“Tenga.”

Per la prima volta da quando era iniziata quella conversazione la guardò negli occhi chiari. Le stava passando un fascicolo blu scuro con la A dorata al centro, logo della maison.

La prese senza esitazioni e guardò il contenuto: era una colonna di numeri a quattro cifre e accanto ad ogni numero si trovava la descrizione di una determinata stoffa.

“Cataloghiamo ogni tipo di stoffa con un codice a quattro cifre, così è più semplice trovarle e fare un inventario. Le basterà confrontare queste cifre con quelle che gli ha dato monsieur Adrien, andare alla ricerca di tale stoffa e vedere se è ancora presente nel magazzino.”

Lei guardò grata il piccolo tesoro che aveva tra le mani, “sei la mia salvezza.”

Per la prima volta, Marinette notò qualcosa in quello sguardo freddo e celeste: felicità e orgoglio. 

Marinette le sorrise e si alzò pronta per andare in sartoria.

“Allora, io vad-“

“MARINETTE!”

Sia Natalie che la ragazza si girarono a vedere la porta bianca e chiusa di monsieur.

Adesso che aveva combinato?

“Le conviene andare, mademoiselle”, ma la voce della segretaria non era ferma come sempre.

Marinette deglutì a vuoto e con il taccuino in mano, entrò nella tana del lupo.

Gabriel le dava le spalle, lo sguardo arrabbiato puntato fuori dalla finestra e le spalle rigide. Adrien, dall’altro canto, era seduto alla sua nuova scrivania posta vicino a quella del padre, con i capelli sparati in aria. Appena la vide il suo sguardo si accese e corse verso di lei. 

“Lo hai visto?!”, la voce tonante di Gabriel Agreste la risvegliò e portò il suo sguardo celeste su di lui.

“Cosa?”

Le lanciò contro una rivista che prese prontamente.

Maison Agreste: vicina al fallimento?

La casa di moda del noto stilista sembra non avere ancora un luogo pronto per la sfilata della Fashion Week che si terrà a breve. Che il grande Gabriel Agreste sia ai ferri corti?

L’articolo continuava, ma Marinette non aveva la forza di leggerlo, era già abbastanza scioccata così. 

“M-ma...come.. io-”

L’occhiataccia di Gabriel la zittì prontamente. Lui odiava i balbettii e lei di certo non voleva farlo arrabbiare ancora di più.

“Folli! Dei folli! Non capisco chi abbia assunto gli incapaci che hanno scritto questo articolo. Marinette, vai-”

“No”, la voce di Adrien interruppe prontamente il padre, “Marinette ha da svolgere un compito per me.”

Ah, ora i compiti affidatigli da Adrien erano più importanti di quelli di monsieur?

“Non mi interessa! Marinette è la mia stagista!”

“Può farlo solo lei, monsieur”, Adrien aveva indurito lo sguardo e aveva assunto una posa seria: non stava più parlando con suo padre, ma con il direttore di questa maison.

“Solo lei conosce così bene questo settore e ho bisogna che svolga al più presto la cosa così da finire gli ultimi bilanci e vedere cosa ci è rimasto del budget. In questo modo, potremo affrontare anche la questione location-”

“Location che non si trova! Sono Gabriel Agreste, non posso presentare la mia collezione in un magazzino qualsiasi.”

Padre e figlio si guardarono in cagnesco, poi Adrien, senza togliere gli occhi da quelli grigi di Gabriel, parló, “Marinette, ti prego, vai.”

Silenziosamente, lei uscì dall’ufficio per dirigersi giù in sartoria con in sottofondo le grida dei due Agreste.

***

Era l’ennesima stoffa che si passava tra le mani e misurava con il metro e non ne poteva più, stava per arrivare alla fine della sua pazienza. Ovviamente il pranzo con monsieur era stato rimandato e Marinette aveva finito col stare tutto il giorno rinchiusa in una stanzino della sartoria a contare e misurare le stoffe (tralasciando l’ora e mezzo di pausa pranzo che aveva passato con Paul nel cafè qui vicino).

La stanza stretta e lunga, dalle monotone pareti bianche, era variopinta dagli innumerevoli colori delle innumerevoli stoffe, addossate contro le pareti in apposite librerie o più semplicemente riunite in delle ceste che occupavano gran parte del parquet. L’unico posto più sgombro era l’enorme scrivania, su cui Marinette si era appoggiata per misurare la stoffa, con sopra di essa un’unica finestra che illuminava la stanza.

Sospirò e si passò una mano davanti agli occhi stanchi. Le Louboutin erano abbandonate sul pavimento e lei era seduta su una sedia imbottita, con il busto accasciato sulla scrivania e lo sguardo posato al di fuori della finestra. Il sole era quasi del tutto calato, segno che tra poco sarebbe potuta tornare a casa e godersi un bagno caldo; le mancavano solo due stoffe per raggiungere la sua vasca da bagno.

Un lieve bussare alla porta la distrasse.

Adrien, con la camicia arrotolata sopra i gomiti, la guardava appoggiato alla parete, la porta dietro di lui chiusa, e uno sguardo stanco faceva capolino tra i suoi occhi verdi.

“Mi mancano solo due stoffe, poi potrai avere il tuo inventario completo.”

Lui scosse la testa, “non importa.”

Lei spalancò gli occhi: era stata tutto il giorno china su quelle stoffe, quando avrebbe potuto impiegare il suo tempo in ben altro (tipo trovare una location), e lui ora gli veniva a dire che non importava? Quando l’aveva fatta passare per una cosa di vita o di morte?

“Non guardarmi così.”

“Così come?”, gli rispose lei stizzita.

“Come se mi volessi appendere a testa in giù dalla Tour Eiffel.”

Non aveva tutti i torti. 

“Sarebbe divertente!”, esclamò una terza voce.

Marinette alzò lo sguardo per vedere Plagg che fluttuava per stanza. Poi si avventò verso una stoffa ricoperta di lustrini, “Bella”, disse eccitato, “si mangia?”, attaccò un morso alla stoffa, per poi ritrarsi schifato, “no, direi di no.”

A quella scena Marinette scoppiò in una fragorosa risata con tanto di lacrime agli occhi; Plagg non deludeva mai e continuava a sorprenderla.

Adrien cercò di soffocare il risolino per mantenere un'espressione seria, “Plagg, smettila. Qui non si può mangiare niente.”

“Allora sfamami tu. Sei qui per questo no?”

Gli occhi di Adrien brillarono di rabbia, “sì, tanto sennò che ci sto a fare? Il mio compito non è proteggere Parigi, è sfamare un kwami ingordo.”

“Meno lamentele e più cibo.”

“Plagg!”, esclamò arrabbiata una quarta voce seguita dal corpicino rosso di Tikki che svolazzava intorno all’altro kwami, “le buone maniere?”

“Mai esistite.”

“Se volete ho un pacchetto di biscotti al cioccolato”, disse Marinette per sedare la discussione.

Plagg gli volò davanti, “ecco il vero cervello del gruppo, signori!”

La mora rise, prese i biscotti dalla borsa e gli aprì davanti alle due creature.

“Mi spiace averti rinchiusa qui tutto il giorno.”

Lo sguardo di Marinette tornò serio, “lo spero bene.”

“Ma dovevo farlo.”

“E perché di grazia?”

“Non so se hai visto, ma mio padre era leggermente incazzato oggi per quell’articolo”, si passò le mani tra i capelli, nervoso, per poi abbassare lo sguardo, “non volevo che tu subissi la sua ira.”

Marinette strinse le mani, compassione e rabbia le stava provando in egual misura. 

L’aveva mandata qui per evitare la rabbia di Gabriel che avrebbe sfogato su chiunque avrebbe visto, ne era sicura; le voleva così bene da inventarsi quella mansione per lei. 

L’aveva protetta come se fosse una damigella in pericolo...e lei non lo era. Quando lui era a Londra, nessuno l’aveva protetta da Gabriel Agreste, ma l’aveva imparato a gestire, a capire che le cattiverie che diceva in quei momenti di rabbia non le pensava veramente. 

“Ti ringrazio, ma non ce n’era bisogno.”

“Potresti smettere di fare l’orgogliosa e determinata per un momento ed accettare che qualcuno si preoccupa per te?”

“Bè, scusa tanto se quando eri a Londra ho imparato a proteggermi da sola e a gestire tuo padre.”

“A Londra mi ci hai mandato tu!”

“Oh, allora è questo il punto! È sempre questo.”

Marinette non ricordava di essersi alzata in piedi, ma l’aveva fatto e ora si trovava a pochi centimetri da Adrien, tutti e due che si guardavano in cagnesco.

“Mi dispiace. Io...non riesco a dimenticarlo”, sussurrò Adrien con voce stanca.

“Non ti chiedo questo, ma nemmeno di trattarmi come una damigella in difficoltà. Non lo sono mai stata”, con un sorriso si allontanò, “insomma sono pur sempre l’eroina di Parigi.”

Adrien sorrise di rimando, “e come potrei scordarmelo?”, rispose retorico.

***

Stava camminando per strada con solo il rumore delle sue Louboutin come compagnia. 

“Adrien ti ama ancora, sai?”

“Non voglio sperarci troppo, Tikki.”

“Sennò non avrebbe fatto quello che ha fatto.”

“Anche questo è vero.”

Sente la sua borsa che si muove sul suo fianco, “e tu non sei stata così gentile.”

“Lo so, però..”, l’orgoglio l’aveva bloccata. Come sempre.

“Sembrate le coppie di quei film romantici che guardiamo sempre il giovedì”, commentò la kwami.

Marinette sorrise: il giovedì romantico, ecco a cosa si riferiva Tikki. Ogni sera del giovedì si guardavano un bel film d’amore, con gelato e fazzoletti a portata di mano.

La mora si trovò a dare ragione a Tikki per metà: nel film avevano sempre tutti un happy ending...lo avrebbe avuto anche lei?

Sperava di sì. 

In realtà la sua speranza era diventata una vera e propria ancora di salvezza da quando Adrien l’aveva portata alla terrazza coperta della maison. In quel preciso momento di era sentita in pace con se stessa come non le succedeva da molto tempo e lo stesso valeva per Adrien.

In quel frangente, in quei pochi secondi, Marinette si era sentita più che mai vicino al biondo, in una maniera che non le era mai capitata. Come se le loro anime si fossero viste per la prima volta e non avessero più voluto lasciarsi. Che cosa strana che è l’amore.

Per tutti quegli anni gli aveva giurato amore eterno, eppure ha capito quanto realmente lo amava quando è stata vicina a perderlo, quando lui ha scoperto la verità. E quando su quella terrazza, lo ha rivisto, ha rivisto il suo amore nei suoi occhi, si è sentita come un assetato che riesce a bere dopo lunghi giorni trascorsi nel deserto.

Adrien aveva ragione a definire la terrazza il posto più bello di tutta la maison. 

Ed ecco che accade. In una stradina, al calar della sera, con solo due persone intorno a lei che cercano di sbrigarsi per tornare a casa propria, esattamente come lei.

Le è venuta un’idea.

E, doloroso da dirsi, ma doveva assolutamente chiamare Chloè.


Angolo autrice
Scusatemiii, davvero, sono imperdonabile: è da quasi due settimane che non aggiorno. Anzi, togliamo il quasi. Per me questi giorni sono stati davvero stancanti e senza minuti liberi. So che vi ho fatto aspettare più del solito, però il capitolo è anche un po' lunghino, dai! E poi, siamo alle ultime battute ormai... mancano pochissimi capitoli e potrò dichiare conclusa anche questo mio impegnativo progetto che voi tutti avete letto e sostenuto, e non potete capire quanto questo mi renda felice e orgogliosa!!
Un bacio,
Cassie
   
 
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