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Autore: Kim WinterNight    18/02/2021    2 recensioni
[Scritta per il compleanno del mio scapestrato Ethan Murphy ♥]
Rastrellare le foglie, tosare le aiuole fino a dare loro un aspetto simmetrico le uno con le altre, strappare le erbacce che imbruttivano l’ambiente: ecco qual era il lavoro del cazzo che mi ritrovavo a fare alla veneranda età di cinquant’anni.
Anziché andare a caccia di nuove avventure, ero intrappolato tra quei viali pieni di alberi e cespugli da sistemare e rendere meravigliosi; in effetti, però, mi piaceva: era affascinante plasmarli a mio piacimento, un po’ come facevo con il mio corpo e il mio aspetto fisico. [...]
Fu in quel momento che mi innamorai perdutamente.
Genere: Comico, Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In Pieces'
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I was just doing my community service when…
 
 
 
 
 
 
Rastrellare le foglie, tosare le aiuole fino a dare loro un aspetto simmetrico le uno con le altre, strappare le erbacce che imbruttivano l’ambiente: ecco qual era il lavoro del cazzo che mi ritrovavo a fare alla veneranda età di cinquant’anni.
Anziché andare a caccia di nuove avventure, ero intrappolato tra quei viali pieni di alberi e cespugli da sistemare e rendere meravigliosi; in effetti, però, mi piaceva: era affascinante plasmarli a mio piacimento, un po’ come facevo con il mio corpo e il mio aspetto fisico.
Molti degli uomini con cui ero stato mi avevano definito narcisista, e non ero certo venuto al mondo per contraddirli.
Solo che in quel momento stavo pagando per uno stupido errore di calcolo che avevo commesso e dovevo sottostare alle regole: infinite ore di lavori socialmente utili per redimermi dai miei sbagli.
Io, Ethan Murphy, spacciatore esperto da una vita, mi ero fatto beccare con un po’ di marijuana nelle tasche; per fortuna gli sbirri non avevano trovato altro e mi era toccata una pena ragionevole, ma del resto non ero così idiota da farmi scoprire con altre sostanze addosso. Sapevo fare il mio lavoro e avevo smesso da un po’ di farmi di eroina.
Fischiettando, appoggiai il rastrello alla parete e quello cadde di traverso sul marciapiede; non vi badai più di tanto, accaldato e sudato com’ero: mi chinai a raccogliere la bottiglia d’acqua semivuota che avevo abbandonato su un muretto lì accanto e cominciai a prendere lunghi sorsi.
Rischiai che il liquido non troppo fresco mi andasse di traverso e cominciai a tossire, sputacchiando qua e là; mi pulii la bocca con il braccio destro e mi diedi un’occhiata dall’alto in basso: con quella tuta simile a quella di un meccanico e la maglia sdrucita color avorio, sembravo un barbone. A completare il tutto ci pensavano i miei capelli scarmigliati in maniera impossibile e il viso punteggiato di barba incolta e imperlato di sudore.
Puzzavo e mi veniva da vomitare.
Non era certo quello l’aspetto che avrei voluto sfoggiare, ma quando c’era da lavorare non si potevano fare tante storie; o almeno, questo era quello che mi avevano spiegato, dato che io non avevo mai lavorato in vita mia, se non come spacciatore. Quello del gigolò romantico era un modo per rilassarmi e divertirmi, anche perché in cambio chiedevo solamente affetto e bellissimi sorrisi.
Sbuffai e mi passai una mano tra le ciocche scure, tirandole indietro: non osavo immaginare quanto sarebbe stato difficile scioglierle, avrei dovuto impiegare almeno mezza confezione di balsamo ristrutturante e armarmi di pazienza con la spazzola professionale che avevo ordinato poche settimane prima su internet.
Udii appena un ticchettio e delle voci in lontananza, ma non ci feci troppo caso, anche perché quella era una strada piuttosto frequentata, nonostante non si trovasse in una zona estremamente centrale di Los Angeles.
Sbuffai ancora e sentii la gola secca, così finii di bere l’acqua e accartocciai la bottiglia di plastica, infilandola in un sacchetto in cui riponevo i rifiuti che trovavo per strada – ah, ecco, raccogliere la spazzatura che la gente maleducata lasciava in giro era un’altra delle mie interessantissime mansioni.
«Attento!»
Sollevai il capo e misi a fuoco due ragazzi: dovevano avere circa trent’anni, uno moro dalla carnagione olivastra e l’altro chiaro di capelli e di pelle, ed erano ormai vicinissimi al rastrello che avevo lasciato sul marciapiede.
Feci per aprire bocca, ma il tizio dai capelli castano chiaro – doveva essere cieco, dato che usava un bastone bianco per sondare ciò che lo circondava – inciampò nel manico del mio attrezzo da lavoro e rischiò di cadere in avanti.
Per fortuna il moro fu rapido e lo trattenne per un braccio, lanciandomi uno sguardo preoccupato.
Fu in quel momento che mi innamorai perdutamente: era talmente bello e virile che mi venne voglia di donarmi completamente a lui, di farmi ammirare e di ricevere le sue attenzioni; i lineamenti del viso erano marcati ma non spigolosi, le sopracciglia spesse donavano ai suoi occhi neri e caldi un aspetto misterioso, il naso importante lo faceva apparire ancora più tenero e le labbra… ah, quelle labbra!
Sospirai con aria sognante – anche se alla mia età non avrei dovuto, come spesso mi ripetevano, ma la verità era che io non ero mai cresciuto davvero. Ne ero consapevole e mi andava bene così, perché trovavo che le persone, una volta divenute adulte, perdevano lo spirito di vivere e di godersi le belle cose.
Mi riscossi soltanto quando notai il ragazzo cieco tremare di rabbia. Un attimo dopo esplose in un’imprecazione e cominciò a sbraitare: «Ma chi è il coglione che ha lasciato questo arnese in mezzo al marciapiede? Che cos’è, poi? Ahi, mi ha graffiato la gamba, cazzo!»
«Joe, calmati… per favore…» L’altro ragazzo lo guardava con fare apprensivo.
«No, un cazzo!»
«È un rastrello, okay?» mormorò il moro, per poi sussurrargli qualcosa all’orecchio.
«Non me ne frega un cazzo se qui vicino c’è un tizio che ci fissa, okay? Che mi senta pure! È mai possibile che i disabili devono sempre ritrovarsi certe barriere architettoniche tra i piedi, eh? Ti pare giusto?» proseguì a frignare il tizio non vedente, agitando una mano mentre il suo viso si arrossava per la rabbia.
Io, che certamente non volevo farmi insultare in quel modo, mi feci avanti e incrociai le braccia al petto. «Ehi, tu! Ce l’hai con me? Di’ un po’, ma credi che le persone siano tutte perfette? Ho dimenticato di spostare il fottutissimo rastrello, amico, calmati!» sbraitai.
Quello fece una smorfia di disappunto e strinse più forte il manico del bastone. «Tu sei il tizio che lavora qui?»
«Ethan Murphy in tutto il suo splendore, per servirti! Peccato che tu non possa vedermi, sono uno schianto!» mi pavoneggiai, lanciando un’occhiata ammaliatrice al ragazzo moro e bellissimo che gli stava accanto.
«Pensa un po’ che razza di idioti vengono assunti da quelli del comune per ripulire le strade» sibilò il riccio dai capelli chiari, digrignando i denti.
«Scusa?! Ma come ti permetti? Ti ho detto che ho dimenticato di togliere il rastrello! Sei in cerca di guai?» mi inalberai, facendo un altro paio di passi avanti.
Il moro si frappose tra noi e mi fissò negli occhi – oh, cazzo, sarei morto volentieri in quel momento! Era dannatamente affascinante e giovane, già immaginavo quel suo corpo tonico e muscoloso contro il mio, quelle mani grandi che mi accarezzavano e quelle iridi scure pronte ad ammirarmi.
Anche se in quel momento avevo un aspetto orribile, tentai di farmi accattivante. «Ehi, bello! Non voglio fare niente di male al tuo amico, ma mi dà fastidio quando la gente mi insulta senza motivo.» Mi esibii in un’espressione da cane bastonato e inclinai appena la testa all’indietro, schiudendo le labbra carnose. «Sono un brav’uomo…»
«Io non sono il suo amico» intervenne il riccio, stringendo forte il braccio della mia preda.
Li osservai con circospezione. «Ah no? È il tuo accompagnatore o robe simili?»
«È il mio fidanzato, idiota. E smettila di provarci con lui! Credi che non me ne accorga solo perché non posso vederti?» sbraitò, circondando la vita del moro e abbracciandolo con fare possessivo.
Sgranai gli occhi. «Oh, cazzo, che peccato…» Sospirai. «Il mio cuore si è infranto!»
«Martin, fammi passare che lo gonfio di botte!» sibilò ancora il mio rivale in amore.
Martin… aveva anche un nome celestiale! Mi piaceva tantissimo, non potevo credere che fosse già impegnato!
«Tranquillo, amico, non te lo rubo! Beh, in effetti mi piacerebbe, però…» Scrollai le spalle e posai accidentalmente una mano sul braccio tonico di Martin, saggiando appena i suoi muscoli coperti dal tessuto sottile della t-shirt che indossava.
Lui si ritrasse e mi incenerì con un’occhiata – era ancora più sexy quando si arrabbiava, ero certo che sarebbe stato in grado di farmi impazzire in talmente tanti modi che ritenni opportuno scacciare i pensieri peccaminosi che stavo formulando.
«Sono disponibile per una cosa a tre, comunque» buttai lì, leccandomi le labbra.
«Adesso ti ammazzo!» Joe balzò in avanti e tentò di colpire alla cieca – certo, non aveva alternative in effetti –, ma Martin lo artigliò per i fianchi e lo trattenne, stringendolo da dietro contro il petto.
Li osservai meglio e li trovai veramente carini: a pensarci meglio, formavano una bella coppia; Martin era stupendo, certo, ma anche Joe non era da buttare: capelli ricci e castano chiaro lunghi fin oltre le spalle, carnagione chiara e corpo magro, lineamenti delicati e labbra sottili. E gli occhi, beh, erano vuoti, però notai che le iridi erano di un celeste veramente luminoso.
Mi sentii in colpa, mortalmente in colpa; ero uno stronzetto narcisista, non potevo negarlo, però non mi ritenevo insensibile.
Sorrisi senza riuscire a trattenermi oltre, ma stavolta non era malizia quella che mi illuminava il viso: ero profondamente intenerito e consapevole di aver un po’ esagerato con quei ragazzi.
«Scusatemi tanto» dissi.
Joe rimase stupito dalle mie parole – forse anche dal tono mesto che avevo utilizzato – e inclinò il capo verso sinistra. «Sei bipolare?» mi rimbeccò.
Scoppiai a ridere. «Tesoro, di poli ne ho più di due, questo te lo assicuro!» Allungai una mano e sfiorai la sua. «Amico, perdonami. Ho sbagliato a lasciare il rastrello in mezzo al marciapiede.»
Lui storse il naso. «Però non toccarmi» mi ammonì, ritraendosi appena.
«Cazzo, non ne faccio una giusta! E scusa se ci ho provato con il tuo uomo» proseguii, lanciando un’occhiata a Martin.
Lui era tranquillo, le braccia strette alla vita di Joe e gli occhi sereni e caldi – era ancora più bello, ma in quel momento vedevo in lui una bellezza diversa, riuscivo a scorgere la fortuna che il ragazzo tra le sue braccia aveva nel poter contare su di lui.
«Sarà meglio per te» gracchiò Joe.
Ridacchiai e mi chinai a recuperare il rastrello, passandomi una mano tra i capelli sudati. «Ora sparite, devo continuare a lavorare. Altrimenti mi licenziano!»
La mia voleva essere una battuta, ma logicamente loro non poterono coglierla: non sapevano che stavo svolgendo dei lavori socialmente utili perché ero un mezzo criminale.
Martin annuì e lasciò andare Joe, il quale lo prese sottobraccio e insieme cominciarono nuovamente ad avviarsi lungo il marciapiede.
«Ciao, belli, buona vita!» gli gridai dietro in tono allegro.
Prima che svoltassero l’angolo, la voce di Joe mi raggiunse: «Ma tutti noi dobbiamo incontrarli i pazzi?»
Scoppiai a ridere, consapevole che anche quella volta avevo dato l’impressione di essere un folle, forse anche un maniaco psicopatico.
Mi leccai le labbra e ripresi a lavorare di buona lena, pensando a ciò che avrei fatto dopo aver sfacchinato per almeno otto ore: mi sarei fatto bello e sarei andato a caccia.
Avevo l’anima di un ragazzino anche se all’anagrafe avevo quasi cinquantun anni.
Forse potevo essere considerato matto, ma quella follia mi aiutava ogni giorno a godermi il mondo che mi circondava e a vedere la vita come il dono prezioso che era.
La mia missione sarebbe stata sempre quella di essere un uomo diverso da tanti altri.
Sorrisi con gioia al sole che splendeva cocente su di me, ai passanti che mi lanciavano occhiate disgustate, alle foglie che sembravano infinite su quel marciapiede.
Ripensai per un attimo a Martin e il mio sorriso si allargò con tenerezza: avevo già incontrato il mio primo amore della giornata, non potevo essere più felice di così.
Pazzo, forse.
Ingenuo, forse.
Però dannatamente felice.
 
 
 
 
 
 
♥ ♥ ♥
 
AUGURI ETHAAAAAAN *_____*
Ehm, lettori… okay, lo so che probabilmente starete pensando che il mio tenerissimo Ethan Murphy sia inquietante e pure spostato di cervello, insomma, che gli mancano ben più di un paio di rotelle, ma… lui è fatto così e io lo amo così tanto che mi viene voglia di abbracciarlo!
E avete visto che special guests sono apparse??? I miei adoratissimi Martin&Joe, che emozione! Sembrerò pazza pure io, ma dovete capire che è stato emozionantissimo far incontrare Ethan con Martin&Joe *______* è stato troppo troppo bello!
Anche se la storia che ho raccontato è effettivamente demenziale a livelli osceni, ma dettagli! XD
E comunque questo disadattato deve ringraziare il cielo, perché è stato fortunatissimo a incontrare Martin&Joe ahahahahahahahahah!
Ci credete che Ethan Murphy oggi ha compiuto la bellezza di cinquantun anni? Oddio che ansia AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH non li dimostra affatto e gli servirebbe pure uno psicologo XDD
Avete capito il nostro Ethan che fa i lavori socialmente utili e si imbatte nell’ira funesta di Joe che si incazza per la gente che lascia le barriere architettoniche a discapito dei disabili? AHAHAHAHAHAHAHAH io non ho veramente parole, ma perché tutti i miei OC sono così disagiati? Spiegatemelo voi! ^^
E niente, a parte tutti questi vaneggi… povero POVERO Martin, ma lui cos’ha fatto di male? E siccome il signor Murphy è uno spudorato stronzetto, ha ben pensato (???) di provarci con lui di fronte a Joe – che, cieco o non cieco, non si lascia proprio sfuggire niente! XDD
Spero davvero che questa idiozia vi sia piaciuta, perché io ho perso i neuroni mentre la scrivevo, mi sono divertita troppo!
Grazie a chiunque abbia letto e a chi recensirà, anche Ethan vi manda un bacio ;)
Alla prossima e ancora tantissimi auguri al mio scapestrato ometto mai cresciuto ♥
  
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