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Autore: flaaminia_    18/02/2021    0 recensioni
di come Jean si addormenta aspettandolo
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aaron Hotchner, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Aaron e Jeanie'
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Rientra nel suo ufficio con pesante lentezza, come se avesse paura di tornare alla sua realtà, lontana dai casi, dagli omicidi e dalle efferatezze a cui anche questa volta ha cercato di porre un freno. Il peso degli orrori a cui ha assistito gli chiude le spalle in una morsa di piombo; l’unica cosa che riesce a fargli allentare un minimo la presa sull’uomo, è il sollievo di aver risolto la serie di omicidi e di averne catturato l’autore, particolarmente violento e.. creativo, questa volta. Le persone normali di solito non usano aggettivi anche vagamente positivi, per riferirsi ai serial killer, ma per i profiler è diverso. 

Sulla porta dell’ufficio, nota che la lampada della scrivania è accesa, diffondendo la sua luce calda  in quasi tutta la stanza. Hotch crede di sapere che cosa voglia dire, ed il pensiero di potersi togliere, almeno in parte, quel peso dalle spalle lo spinge a respirare profondamente in anticipo, come se ne avesse già la capacità. 
Fissa la tendina tirata giù sul vetro della porta, come se potesse oltrepassarla in qualche modo e vedere cosa c’è nel suo ufficio. O meglio, chi c’è nel suo ufficio. 
Fa ruotare lentamente la maniglia, cercando di fare molto piano e di evitare rumori forti, poi si fa strada nella stanza. 

Sorride, stanco, quando la vede. Jean è addormentata sul divanetto appoggiato alla parete davanti alla scrivania, rannicchiata tra i piccoli cuscini neri e coprendosi il viso con le braccia, per schermarsi dalla luce della lampada. È così angelica e pacifica, che gli si stringe il cuore all’idea di doverla svegliare. Ma devono tornare a casa, lasciarsi quel posto alle spalle e rifugiarsi in casa loro. In casa loro; sembra così strano, pensare a quella casa come anche sua, dopo tutto quel tempo in cui l’unico abitante era stato solamente lui. Si mette in ginocchio davanti al divanetto, per avere il viso più o meno all’altezza del suo, poi avvicina lentamente la mano e le accarezza la spalla.

“Jean?” le sussurra delicatamente. La vede muovere un po’ la testa, così riprova. “Jeanie? Andiamo a casa” le dà un bacio tra i capelli, non riesce a trattenersi. Questo sembra svegliarla definitivamente. Jean alza lentamente la testa e strizza un po’ gli occhi, prima di metterlo a fuoco. Quando lo vede, sorride con tanto di quell’amore da farlo sentire l’uomo più fortunato della terra. “Ciao” gli dice, e poi lo bacia.
“Ciao” le risponde lui, con un sorriso stanco, ma profondamente felice di vederla. Sente già il peso degli orrori alleviarsi gradualmente. Vuole solo portarla a casa e stringerla nel loro letto, sentirla vicina e sapere che lei c’è, qualsiasi cosa lui senta o provi. C’è per lui, come gli aveva dimostrato più volte e come gli dimostra ogni volta che torna da un caso. Perché anche adesso, come sempre, la prima cosa che gli chiede è: “Come stai?”. 
Una domanda che sembra banale, ma che, con il lavoro che fa lui, non lo è per niente. A volte è una domanda davvero difficile. E Jean la fa per fargli capire che a lei potrà sempre dire tutto ciò che vuole, che lo faccia stare male o bene, ma anche che può stare in silenzio, se vuole, e parlarne un altro giorno. O anche mai. 
La guarda intensamente e per un attimo dimentica tutto ciò che ha visto negli ultimi quattro giorni. Vorrebbe condividere alcune cose con lei, ma stasera è tardi e vorrebbe solo riposare. “Non so” risponde, in modo sincero. Lei osserva il suo viso, l’espressione ancora un po’ assonnata. “Va bene” dice, poi si alza dal divanetto e si dirige verso la sedia dietro la scrivania, dove probabilmente ha appoggiato la giacca. Una volta messa addosso, sorride verso di lui. “Andiamo?” chiede, mentre si avvicina. 
Hotch non vede l’ora di poter stare sdraiato con lei accanto e di poter chiudere gli occhi ascoltando il respiro regolare di Jean che si addormenta. 
“Andiamo” risponde. 

Così lei si avvicina, fa un piccolo sorriso e gli tende la mano. Ha una traccia d’inchiostro sulle dita, forse ha scritto qualcosa. Un biglietto, magari. Chissà se era per lui. 
Le prende la mano e se la mette in tasca per scaldarla, infreddolita com’è dopo essersi addormentata sul divanetto. In ascensore, Jean gli cinge il braccio con il suo libero e appoggia la testa sulla sua spalla, sospirando. 
“Mi sei mancato” sussurra, quasi come se lui non fosse lì e dovesse dirlo a se stessa. Aaron le bacia la fronte e poi le labbra. “Mi sei mancata anche tu”.

E la sente abbracciargli ancora un po’ più stretto il braccio.

   
 
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