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Autore: Yunomi    19/02/2021    2 recensioni
"I pianti, le isterie, i lanci di innocenti gerani oltre i balconcini, gli sguardi accesi dalla passione e dal fuoco che non si placava mai, né con il sesso né con le conversazioni alle tre di notte, aggrovigliati come senatori romani tra le lenzuola bianche, le sigarette, i vizi dannosi, le corse in Corvette. L’amore. Quell’amore deleterio, malsano, quell’amore che mi aveva consumata come un fiammifero e che mi aveva ridotta ad un pugnetto di ossa stanche, il cui unico sostentamento era costituito da niente di più che libri e sigarette. No. Non più"
Sequel assolutamente non richiesto di Big God. La lettura è fortemente consigliata per capirci qualcosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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n.d.A.: il punto di vista oscilla ad ogni stacco tra quello di Molly e degli altri personaggi, in modo da permettere una panoramica anche su ciò che provano e pensano gli altri quando Molly non è presente.
Questo capitolo è un tantino ino ino più rosso, non tanto da dover cambiare il rating della storia, però: leggete a vostro rischio e pericolo.

 


Una vita in coma etilico 
 
 
I

Adesso basta
 
 
 
“Sai. Sono stato fin troppo paziente con te. Ti ho permesso di attraversare l’oceano per continuare a romperci le palle, nonostante ti riuscisse benissimo anche da casa tua. Ma ho detto va bene. Molly ci tiene. È importante per lei. Va bene. Di norma sono poche le ammirevoli teste di cazzo che riescono a innervosirmi a tal punto, e quelle di solito riesco a sopportarle con una certa condiscendenza. Ma stavolta… stavolta è la volta che ti strangolo.”
Thomas aveva pronunciato quelle parole con una calma inquietante.
Chloe si portò una mano alla bocca, aspettandosi il peggio.
“Qualcuno raccolga il purè.”, feci io, tentando di distrarli. Ma Lucifer e Thomas avevano gli sguardi dei pugili prima di salire sul ring; l’aria bolliva intorno a loro.
“A ‘fanculo, il purè.”, replicò Thomas. Si avventò su Lucifer, digrignando i denti; io e Chloe ci lasciammo sfuggire un urlo che aveva un che di tragicomico, a conti fatti. Un urlo che avrebbe potuto benissimo scrivere un drammaturgo russo del primo Novecento.
Urtarono il tavolo, nella foga, e un lembo della tovaglia si impigliò in quel groviglio di corpi, facendo rovinare sul pavimento tutto ciò che stava sopra il tavolo. Una sinfonia di stoviglie rotte e improperi difficilmente riconducibili ai vari mittenti.
Una scena da psicodramma, davvero; io mi lanciai verso di Thomas per liberare Lucifer dalla presa, che intanto seminava pugni nel costato di Thomas per costringerlo a mollare la presa. Temendo per la mia incolumità, Chloe mi afferrò un avambraccio e mi tirò indietro, mentre Thomas schiacciava Lucifer contro il muro con una violenza e un’aggressività che mi spaventarono. 
“BASTA.”, sibilò la Papessa, mettendosi in mezzo. Rischiò di prendersi una gomitata in piena faccia, ma appena una delle sue mani delicate si frappose tra i visi sfigurati dalla rabbia, i due si divisero come il mar Rosso davanti a Mosè. Lanciò ad entrambi uno sguardo di pura, didascalica furia.
Le lampeggiarono gli occhi chiari per qualche istante; tuttavia, parlò con un tono fermo e solenne; il tono di chi è furibondo oltre ogni limite.
“Siete due deficienti. Scemo e più scemo. Ma quanti anni avete, quindici? Siete vergognosi.”, disse, prendendoli entrambi per le braccia e scortandoli in salotto. Li mollò sul divano come se fossero due bambini in castigo. “Ora vi sedete qui e guai se fiatate.”
Lucifer aprì la bocca per protestare, ma l’indice perentorio che la Papessa gli puntò addosso lo fece desistere. Thomas fissava un punto del tappeto, mentre con la mano torturava il bracciolo del limite estremo del divano in cui era stato esiliato; la bocca, una linea retta.
Io credevo di essere in un sogno. Mi passai una mano sulla fronte, e quando la ritrassi mi resi conto di quanto avessi sudato freddo: era successo tutto nell’arco di pochi minuti, eppure mi sembrava di essere in piedi in cucina da ore intere. La Papessa comparve di nuovo in cucina, squadrandoci con più disgusto e delusione di quanta ne avesse riservata agli altri due.
“Sedute.”, ci ordinò.
Obbedimmo.
“Ora,”, disse lei, accendendosi una sigaretta, “parlate. Non me ne frega un cazzo se vi devo tenere chiuse qui fino all’alba. Adesso basta.”
Si chiuse la porta della cucina alle spalle, lasciandoci con una cena spiaccicata per terra, un tappeto di piatti infranti e un senso di sgomento che prese posto al tavolo insieme a noi.
Ci guardammo negli occhi e deglutimmo sonoramente.
“Ha detto cazzo.”, dissi io, fissando con insistenza un punto del tavolo. “La Papessa non dice mai cazzo.”
 
 


 
Now we’re in the ring, and we’re coming for blood
Lorde, Glory and Gore
 
 


 
 
II

Pas de deux
 


 
 
La Papessa entrò in salotto: l’aria era gravida dei respiri affannosi dei due uomini, e odorava di sangue. Esalò un lungo sospiro, rivolto a notificare loro che ne aveva piene le balle. E sì che la convivenza era incominciata da appena più di un giorno.
Prese la sigaretta tra le dita, osservandone la brace ardente. Poi alzò lo sguardo su Thomas, che distolse lo sguardo dallo scaffale dove teneva i suoi libri dei poeti post-elisabettiani, come se qualcosa nella sua testa si fosse connesso automaticamente ai segnali irradiati dalla presenza della Papessa.
“Tu sei un deficiente.”, disse lei, indicandolo con la sigaretta tra le dita. “Stavolta è la volta buona che ti strangolo… ma non farmi ridere.”
Lui scosse leggermente la testa, abbassando gli occhi. Lucifer venne temporaneamente estromesso dalla crepa nello spazio-tempo che era stata creata dalla Papessa nel momento in cui aveva aperto bocca.
“Ascolta-“
“Ascolta tu. Sei un deficiente.”
“E questo l’ho capito.”
“Ma come ti è venuto in mente di fare una scenata del genere? Sei retroceduto di qualche decade nella notte?”
“E’ questo qui che mi fa uscire dalle grazie.”, sputò Thomas, indicando Lucifer con un gesto sprezzante.
La Papessa arricciò le labbra. “Non sei un po’ troppo grande per incolpare gli altri a questo modo?”
Thomas si alzò di scatto; Lucifer sussultò per lo spavento. Non era abituato a vederlo muoversi così repentinamente, così violento e fuori controllo. Si massaggiò il collo, ancora leggermente contuso dalla stretta delle dita di Thomas.
“Ascoltami, Iris. Lo so che non è stato il modo ideale di affrontare la questione…”
“Il modo ideale.”, lo scimmiottò la Papessa, che in realtà si chiamava Iris Angelina Burke; lo risentì silenziosamente per aver svelato la sua vera identità così, senza nemmeno pensarci, e cercò di ignorare l’alzata di sopracciglia che Lucifer le scoccò, come a voler rimarcare che finalmente il suo segreto era uscito allo scoperto.
“Lo so, va bene? Lo so. Sono stato un bambino, sono sceso al suo livello, uno scimpanzé avrebbe avuto più autocontrollo davanti a queste provocazioni. Lo so.”
“Potevi innanzitutto evitare di baciare la mia donna.”, ribatté Lucifer, velenoso.
“Non so se il tuo angelo te lo ha detto, ma è stata lei a baciare me.”, rispose Thomas con un sorriso offensivo, poi tornò ad ignorare lui e l’espressione tetra che assunse il suo bel viso.
Si rivolse verso la Papessa, che aveva preso posto nella sua poltrona, e fumava silenziosa e imparziale come la Morte. “Tu non hai visto in che condizioni era Molly, in California. Si trascinava a lezione come un fantasma, si sedeva in mezzo ai compagni ma lo vedevi nei suoi occhi che non era lì, non davvero. Aveva questa patina grigia che le annebbiava lo sguardo: mi si è spezzato il cuore una dozzina di volte solo guardandola. E poi un giorno si è presentata nel mio ufficio, uno scricciolo di donna che annegava nei suoi vestiti, due polsi che sembravano quelli di una bambina di dieci anni. E mi parlava di Milton, mi chiedeva consigli per la bibliografia della tesi, ma lo vedevi negli occhi che aveva una parte di cervello sintonizzata su tutt’altro canale. E quando ho saputo che cosa ha fatto questo qui,”, e indicò di nuovo Lucifer, che si sentì come tagliato da una lama invisibile, “come l’ha usata, come l’ha sputata appena non ne ha più avuto bisogno… Dio. Molly ha dovuto tenermi per la giacca, perché fosse stato per me sarei andato a casa sua a deturpargli i lineamenti a mazzate.”
Thomas aveva riacquisito il suo tono fermo, e cercava con tutte le sue forze di reprimere il tremito che gli aveva rapito le mani. Si abbassò a prendere una sigaretta dal pacchetto che era stato abbandonato sul tavolino: la Papessa alzò leggermente un sopracciglio, stupita da quel gesto.
Thomas non fumava da anni. Almeno da quando aveva divorziato da sua sorella. Un periodo grigio, quello, fatto di telefonate piatte, di parole vuote e di scatoloni pieni di libri e maglioni, un andirivieni di chincaglierie e suppellettili che erano stati comprati in due, in un momento di trascurabile felicità, e che avevano subìto il processo di smistamento che segue ogni separazione.
L’uomo si levò gli occhiali, riaccomodandosi sul divano. Alla Papessa sembrò invecchiare sotto i suoi occhi. La sigaretta, spenta, tra le labbra,  pareva la concretizzazione di tutto ciò che avrebbe voluto aggiungere e che però non aveva più la forza di articolare. Stava ferma, pendula, non ancora incendiata – forse Thomas ne aveva abbastanza, dei fuochi incrociati, del fuoco, degli incendi.
Com’era logico, Chloe e Lucifer non potevano sapere quali fantasmi infestassero il passato di Thomas; riservato com’era, faticava a parlarne persino con Molly. Ma era questo il compito della Papessa: assistere equanime, arroccata nel suo castello di apparente freddezza e distacco, e indicare la strada con una mano inanellata di quarzo e ametista. Come una madre spirituale, il cui giudizio era insondabile e al contempo lampante, evidente. E come tale aveva assistito, quasi vent’anni prima – vent’anni erano passati! – allo sbocciare dell’amore tra la propria sorella maggiore e quell’uomo, allora un ragazzo magro e silenzioso appena laureato, che ancora poneva la propria fiducia negli altri e nel futuro. Lo aveva sostenuto, gli aveva cambiato le lenzuola quando, dopo il divorzio, non si alzava dal letto per giorni interi; gli aveva ordinato i libri sugli scaffali e cucinato minestre e stufati. Lo aveva spronato ad accettare quel posto di lavoro all UCLA.
Lucifer si alzò, nonostante percepisse il peso del senso di colpa gravargli sul petto: si fermò davanti a Thomas.
Thomas schiuse gli occhi su di lui.
Uno schiocco di accendino riempì il silenzio come un maremoto; la sigaretta di Thomas prese fuoco, e lui aspirò avidamente. Rivolse a Lucifer un cenno col mento – forse un grazie che il suo orgoglio gli impediva di articolare nei consueti cinque fonemi?
“Mi dispiace. Per il pugno.”, disse Lucifer, accomodandosi di nuovo all’altro lato del divano. Si accese una sigaretta. “Anche per tutto il resto, in realtà.”
La Papessa riempì due grossi bicchieri di whiskey e li lasciò sul tavolino di fronte a loro.
“Vi lascio un po’ da soli, d’accordo?”, fece, concedendo loro uno sguardo un po’ più morbido, un po’ di mamma.
“Grazie, Iris.”, disse Lucifer.
La Papessa dava ormai loro le spalle, diretta in cucina, ma si irrigidì impercettibilmente a sentire pronunciare il proprio nome. Qualcosa fece vibrare i suoi dendriti e schioccare le sinapsi, connettendola improvvisamente con quella parte di sé ultraterrena e inarrivabile, quella che la portava a parlare con le piante e leggere i fondi del caffè.
Si voltò al rallentatore.
Squadrò il volto di Lucifer.
Girò di centottanta gradi e si avviò verso la cucina.
Eppure era convinta… le era sembrato di vedere, fugace come un battito di ciglia, un rossore trascendente ardere al posto dei soliti occhi scuri…
Volle convincersi che era colpa dell’ipoglicemia; che non aveva mangiato, che aveva fumato una sigaretta troppo forte. Che stava leggendo troppi manuali esoterici, ultimamente.
Scosse la testa; lei non si faceva venire questo genere di dubbio.
Represse un brivido freddo che le era scivolato come un cubetto di ghiaccio lungo la spina dorsale.
Il Diavolo
Aprì la porta della cucina, scuotendo la testa, e si chiuse tutto alle spalle.
 
 


 
III

Folie à deux


 
 
Emil Cioran una volta disse che due nemici sono lo stesso uomo dimezzato.
Pensavo a questa frase mentre osservavo Chloe seduta all’altro capo del tavolo, anche se a dirla tutta guardavo oltre. Era questo ciò che eravamo diventate, io e Chloe? Nemiche? Ricadute nel più bieco dei cliché, quello delle donne che competono per l’attenzione di un uomo? Mi rifiutai di crederlo. Ragionai piuttosto sulla possibilità che io e Chloe fossimo molto più simili di quanto pensassimo. Ma scartai anche questa ipotesi: avevo fatto un grossolano errore di calcolo. Non era Lucifer, il buco nero della nostra galassia. Lui era la stella, il portatore di luce che bruciava chiunque gli volasse troppo vicino.
Era forse Chloe, allora, l’imbuto cosmico verso cui tutto stava andando, ineluttabilmente diretto nel gorgo oscuro che distrugge ogni stella, ogni luce? Ero forse io?
Riportai violentemente i piedi a terra, riscuotendomi dalle digressioni psicologiche che mi avevano portato a fluttuare tra supernove e buchi neri; presi un tiro dalla sigaretta e mi appoggiai contro lo schienale della sedia.
Aveva incominciato a piovere, fuori. Dalla finestra lasciata basculante si intromise un odore di foglie bagnate che mi calmò quasi istantaneamente. Pensai che avesse calmato anche Chloe, perché la vidi inspirare a pieni polmoni e socchiudere gli occhi.
Stavo aspettando che iniziasse a parlare.
Era lei a doversi chiarire con me. Io l’avevo fatto a profusione, da quando ci conoscevamo, e francamente ero stanca.
Mi tremavano ancora le mani per la scena a cui avevamo poc’anzi assistito, ma cercavo di ostentare calma –come avevo sempre fatto in vita mia, in fondo.
Chloe aveva i capelli strettamente legati in una crocchia e i lineamenti tirati dalla preoccupazione; stava impiegando ogni libbra del suo essere per evitare di guardarmi direttamente negli occhi.
Io fumavo, lentamente, senza sapere quanto questo stoicismo simulato la stesse mettendo a disagio. Okay, forse me ne rendevo perfettamente conto: mi sentivo vendicativa e per niente ispirata dalla Maria Maddalena a cui avevo rubato il nome.
“Mi dispiace, d’accordo?”, fece Chloe ad un certo punto, sgonfiandosi come un palloncino. Appoggiò le mani sul tavolo. Ancora non aveva il coraggio di guardarmi negli occhi. “Mi dispiace di aver baciato il tuo fidanzato. Non avrei dovuto.”
“E fin qui direi che stiamo a sottolineare l’ovvio.”, dissi io, piatta come il mare di primo mattino.
“Ero ubriaca.”
“Non è una giustificazione valida.”
“Ero confusa.”
“Vedi sopra.”
“Molly.”
“Che vuoi?”
“Non me la stai rendendo facile.”
Eruppi in una risata decisamente impudente. “Io sono stufa di renderti le cose facili, Chloe. Non è il mio compito. Hai baciato il mio fidanzato. Sia che fossi stata ubriaca o Santa Maria Goretti, mettiti in testa che ti stavo per saltare al collo.”
Calò di nuovo il silenzio; distolsi lo sguardo da lei con malcelata stizza.
“Se l’hai fatto per farmi del male, ci sei riuscita.”
“Non volevo farti del male. Consapevolmente.” Sospirò. “Ho solo pensato che è un uomo così diverso da Lucifer…”
“E’ il mio uomo.”, rimarcai, preda di una vergognosissima gelosia tutta femminile.
Schiacciai la sigaretta nel posacenere che avevo appoggiato sul piano del tavolo: le stoviglie erano ancora tutte a terra, quindi mi accinsi a dare una sistemata a quello sfacelo di ceramica.
“Non è ironico?”, chiesi, sventolando un frammento di piatto. “Ancora una volta ho a che fare con i cocci di Lucifer.”
“C’entra anche Thomas.”, si sentì di rimarcare lei.
“E’ la prima volta che mi obbliga a sistemare un casino che ha combinato lui.”, ribattei ferma. “Non mi ha mai messa nella condizione di doverlo aggiustare. Mi ha fatto capire che non è il mio compito. Non avrebbe mai dovuto esserlo. Ho sbagliato dal primo giorno con Lucifer.”
Sussultai violentemente quando la sentii sbattere un pugno sul tavolo. Mi voltai verso di lei con gli occhi sbarrati.
“La puoi smettere con questa farsa da Santissima Addolorata?”, mi chiese a denti stretti. “Mi ha rotto le palle. Non lo sopporto più. Puoi, per una dannatissima volta comportarti come un essere umano e… e… incazzarti? Cristo, perfino Lucifer ha agito in modo più umano, lui che non lo è neanche per scherzo! Sei sempre così… perfetta. In ogni situazione. Misurata. Io non riesco a starci dietro. Io non sono più in grado di reggere il confronto.”
“Ma quale confronto?”
“Non fare la finta tonta, Molly.”
“Non sono finta, solo tonta.”, ribattei io, incredula di ciò che stavo sentendo.
Chloe strinse i pugni, le labbra, gli occhi: per un istante temetti che volesse sferrarmi un gancio in pieno volto. Invece lasciò andare un sospiro stremato.
“Tu sei stata… perfetta con lui. Siete uguali. La stessa cosa. La stessa materia oscura e magnetica che obbliga chiunque a guardarvi. Vedervi parlare, ridere insieme è come assistere alla prova vivente che l’amore esiste.”
“Lucifer non mi ama.”, scandii io, avvicinandomi lentamente. “Non mi ha mai amata.”
Chloe sbuffò, spazientita.
“Chloe. La devi smettere di credere che io voglia rubartelo.”
“Non è forse così?”
“No, cazzo.”
“Ma tu lo ami ancora.”
Soppesai le parole con l’attenzione di un cerusico, prima di parlare. “Non penso che smettere sia un’eventualità contemplabile, per me.”
“Come diamine pensi che io possa convivere con questa cosa? Cosa pensi che debba fare per stare tranquilla?”
Alzai le sopracciglia, mentre cercavo due bicchieri per versarci da bere. “Beh. Sicuramente…  non cacciare la lingua in bocca al mio fidanzato potrebbe essere un ottimo punto di partenza.” dissi io.
I nostri sguardi si incontrarono a mezz’aria: i suoi occhi azzurri si scontrarono coi miei, oscuri e magnetici, come diceva lei, e lo scontro produsse la più impensabile delle reazioni.
Scoppiammo a ridere, ridere di pancia; di quelle risate genuine che ti obbligano a sederti, che ti contraggono dolorosamente gli addominali e fanno colare il mascara.
“Oddio.”, disse Chloe, riprendendosi prima di me. Aveva tutt’altra luce sul viso: sembrava una pesca illuminata dai raggi del primo sole dell’estate. Si sciolse i capelli, spettinandosi leggermente.
Crollai a sedere sulla sedia – stavolta di fianco a lei. Ci versai due abbondanti bicchieri di vino rosso.
“Che situazione.”
“Davvero. È imbarazzante.”
“Roba che nemmeno gli adolescenti.”
“Ma davvero.”
“Dovremmo contattare uno sceneggiatore. Sai che picchi di ascolti, se facessero una serie su di noi?”
“Oppure uno psichiatra bravo.”
“Ma che è tutto questo cicalare?”, chiese la Papessa, entrando in cucina.
Le rivolsi uno sguardo dolce e le feci cenno di sedersi con noi. Le porsi un bicchiere di vino.
“Ragguagliatemi.”, disse lei.
“Stavamo contemplando l’idea di scrivere uno sceneggiato su questo terribile triangolo amoroso.”, rispose Chloe, scoccandomi uno sguardo improvvisamente amichevole e bendisposto.
La Papessa annuì, consapevole.
“Come stanno Toro Scatenato e Rocky?”, chiesi, suscitando una nuova risata in Chloe. Iniziai a pensare che l’unica cosa che avrebbe potuto far funzionare tutto quanto era l’alcol. Una vita in coma etilico. Ci riflettei seriamente qualche secondo.
“Stanno parlando.”, ribatté la Papessa, accendendo una sigaretta. “Ora tocca a voi ricevere la strigliata, signore.”
L’aria gioviale che tanto faticosamente avevamo creato si frantumò come una lastra di ghiaccio; ci irrigidimmo come se una folata di vento invernale fosse penetrato sotto la nostra pelle.
“Tu per prima.”, iniziò la Papessa, puntando un dito contro Chloe. “Questa ingiustificatissima insicurezza ti sta divorando. Questo senso di inferiorità nei confronti di chiunque deve essere smantellato, mattone dopo mattone. Ti sfigura, Chloe. Ti obbliga a pensare come una mentecatta accecata dalla gelosia, e io so che non sei una mentecatta. Finiscila. Chiarisciti col tuo uomo, fatti mettere un maledetto anello al dito e concediti di essere felice, per una volta.”
Chloe tacque, osservando il vino nel bicchiere come se lì dentro si fossero concentrate tutte le parole che la Papessa aveva pronunciato.
“Quell’uomo di là seduto ti ama come se non sapesse fare altro nella vita.” Glielo disse guardandola direttamente negli occhi, parlando con quel tono perforante che conoscevo bene; quel tono che mi aveva tirato fuori dal baratro così tante volte, da quando la conoscevo.
Mi punse un ricordo di molte lune prima.
Una corsa sfrenata in taxi verso l’ospedale; una pancia che sembrava esplodere, un dolore lancinante e intervallato dagli sguardi preoccupati di Thomas, che mi reggeva come se fossi una porcellana delicata che aveva salvato da una rovinosa caduta. Un ospedale inglese, un ginecologo dall’atteggiamento marziale e severo, due infermiere che avevo giurato di sgozzare appena ne avessi avuta la possibilità, per come avevano guardato Thomas appena arrivati.
E poi la Papessa che irrompeva in sala parto, che si faceva in là con tenacia, incenerendo con lo sguardo il ginecologo che, povero ingenuo, aveva tentato di fermarla. Le sue mani strette intorno alle mie, i suoi occhi color dei laghi che mi trasmettevano una forza sovrumana; la sua voce che mi gridava: “Sei la persona più forte che io abbia mai avuto l’onore di conoscere.”
“Molly?”, fece la Papessa, sventolandomi una mano davanti al naso.
“Ci sono.”
Mi gettò una sacchetto di boutique sulle ginocchia; lo stesso a Chloe.
“Per te,”, disse la Papessa, indicandomi, “per farmi perdonare le innumerevoli interruzioni. Per te, Chloe… per darvi un colpetto d’incoraggiamento.”
Io e Chloe ci scambiammo uno sguardo interrogativo. La Papessa aprì le porte della cucina e scomparve per qualche istante, per poi ricomparire subito dopo indossando il cappotto, le scarpe, il cappello. Sembrava Mary Poppins.
“Ora vado, mie care. Lasciate la testa un po’ a riposo, e magari stasera usatela per qualcos’altro…”, si congedò, usando un tono malizioso e uno sguardo da sgualdrina.
 
 
 
 

You trick your lovers

That you're wicked and divine

You may be a sinner

But your innocence is mine

Please me, show me how it's done

Tease me, you are the one.

(Muse, Undisclosed desires)

 
 



 
Chloe fissava con sgomento la sua immagine nello specchio del bagno.
Decisamente l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di ricevere da una che si faceva chiamare Papessa.
Fissava con sgomento quel babydoll di tulle nero, lungo – si fa per dire – fino a metà coscia, e le sembrava impossibile che fosse addosso ad una come lei.
Quei fiori di pizzo che le coprivano – si fa per dire – i seni avevano un che di decadente.
Lussurioso.
Il fascino macabro e malato di cui parlavano certi poeti francesi nel primo Novecento. Il richiamo irresistibile del proibito.
La Papessa aveva decisamente occhio per queste cose.
Chloe, tuttavia, si sentiva a disagio.
Non aveva più l’età per quel genere di cose.
Era un funzionario di polizia, per la miseria. Era una madre.
Oddio, Trixie…
“Ma non scherziamo.”, si disse a bassa voce, accingendosi a spogliarsi di quel babydoll indecente; quella non era lei. Non era biancheria da Chloe Decker, quella. Fece per ripiegare tutto nel sacchetto, promettendosi di sbatterlo tra le mani di quella sfacciata della Papessa, la mattina seguente.
“Chloe.”
Alzò lo sguardo di scatto: Lucifer era comparso sulla soglia; gli occhi sembravano pozze di benzina che non aspettavano altro che un fiammifero per incendiarsi.
“Adesso me lo tolgo, la Papessa mi ha fatto uno scherzo e-“
“Taci.” disse lui, senza staccarle gli occhi di dosso. Le allungò una mano: Chloe la prese con reticenza. “Vieni qui.”
Lucifer si sedette sul letto.
“Fai un giro.”, disse. Si passò una mano sul mento, squadrandola, mentre un certo appetito si faceva strada dentro di lui.
Chloe obbedì, timida: l’orlo di pizzo del babydoll le sfiorò le cosce, nella giravolta, rivelando per un unico, dolorosissimo istante un angolo di microscopico slip di pizzo nero.
Chloe si sentiva nuda, senza scampo, mentre Lucifer si riempiva gli occhi di quella pelle che conosceva così bene, e del contrasto con il tessuto voluttuoso della sottoveste. Gli occhi di Chloe rilucevano di puro desiderio, e saettavano a cercare quelli di Lucifer, rasserenandosi nel vederli piantati addosso a lei e nient’altro che a lei.
Chloe allungò una mano a torturare il gancio dell’autoreggente.
“Vieni qui. Siediti sulle mie ginocchia.”, le fece Lucifer, senza staccarle gli occhi di dosso.
Le gambe di Chloe rischiarono di improvvisamente negare il loro supporto; le si incendiarono i lombi. Si avvicinò a Lucifer per inerzia, come se fosse lo sguardo di lui a tirarla verso di sé.
 
Incredulo. Era incredulo che lei potesse raggiungere un tale livello di perfezione. Proprio nel momento in cui pensava che non avrebbe potuto essere più perfetta di così.
Il Tentatore per eccellenza che si lasciava tentare da quell’angioletto che giocava a fare il diavolo.
Non appena Chloe si sedette sulle sue gambe, Lucifer sentì di aver definitivamente perso la sanità mentale. Le passò una mano sulla coscia, e appena le sue dita sfiorarono la pelle delicata di Chloe, questa si riempì di minuscoli brividi.
Le scostò i capelli, esponendo il collo.
“Dì qualcosa, per Dio.”, fece lei, in imbarazzo.
“Qualcosa per Dio.”
Lucifer non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Non aveva mai pensato che potesse esistere un lato simile, in una donna come Chloe. Non fu mai così grato dell’operato di un’autorità ecclesiastica.
Chloe si sentì lievemente sollevata, e una parte di lei ricacciò l’imbarazzo in un angolino ben isolato da tutto il resto.
“Dovremmo parlare di quello che è successo con Thomas…”, disse, muovendosi leggermente su di lui. Lucifer si irrigidì, percependo qualcosa svegliarsi nei suoi pantaloni.
“Ti prego, non farmi pensare a Thomas proprio ora.”
Raccogliendo un’iniziativa nuova, ignota, e guidata da una nuova sicurezza, Chloe sospinse Lucifer sulla schiena, salendogli a cavalcioni.
Sentì il suo respiro farsi pesante mentre scendeva su di lui per baciarlo.
Lucifer dovette inventarsi un autocontrollo di cui non pensava avrebbe mai avuto bisogno; la necessità di rigirarla sotto di sé e prenderla senza pensarci due volte cozzava con violenza contro lo stupore che gli suscitava quella nuova Chloe, più sicura di sé, più disinibita. Un altro angelo che aveva smarrito la strada di casa.
Avrebbe potuto restare a guardarla per ore. Tuttavia preferì passare all’azione.
Le strinse le dita intorno alle cosce, giocherellando con il gancio dell’autoreggente nero.
“Non pensavo che lo avrei mai detto.”, fece lui, staccandosi per poco da quelle labbra incendiate dalla passione. “Ma benedetta quella santa donna della Papessa…”
 
 

 
Secrets I have held in my heart

Are harder to hide than I thought

Maybe I just wanna be yours

I wanna be yours


I wanna be yours

Wanna be yours

Wanna be yours

Wanna be yours

(Arctic Monkeys, I Wanna be Yours)
 
 
 
Ho deciso che si meritavano un po’ di tregua, questi due.
Ovviamente spero che vi sia piaciuto, e siete sempre invitati a darmi le vostre opinioni!
Vi ringrazio davvero, vi mando un grosso bacio.
Y.
   
 
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