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Autore: kagome123    20/02/2021    3 recensioni
Durante il terzo episodio di Hanyou no Yashahime, si è dato poco risalto a Moroha e ai membri originari della famiglia Higurashi.
In questo One Shot ho deciso di parlare dei giorni in cui Setsuna e Moroha si trovano a vivere nel ventunesimo secolo, incontrando per la prima volta Towa e il resto della famiglia Higurashi.
Si tratta di una scena che avrei voluto tanto vedere animata e che mi è venuta in mente dopo aver visto il 20esimo episodio della serie.
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Inuyasha, Kagome, Moroha | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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ODORE DI MAMMA
 

Moroha si accorse di quell’odore quasi immediatamente.
Era debole, ma abbastanza distinto da impossessarsi quasi immediatamente dei suoi pensieri.
Il suo primo impulso, una volta terminata la battaglia ed essersi ripresa completamente dal viaggio nel tempo, era stato quello di mettersi ad indagare per tutto il tempio Higurashi.
Qualcosa, però, l’aveva fermata dal compiere quell’intento.
Una strana sensazione, infatti, aveva preso possesso del suo corpo. Una sensazione che mai, nei suoi solitari quattordici anni di vita aveva mai provato.
C’era qualcosa in quell’odore che la metteva in allerta.
Non poteva negarlo.
Forse era paura.
O forse si trattava di qualcos’altro.
Più ci pensava e più si sentiva confusa.
E così, cercando di dare sollievo alla sua mente tormentata, si abbandonò completamente alle nuove distrazioni di cui era pieno quel “nuovo” mondo in cui si era magicamente venuta a trovare.
Fece amicizia con i compagni di Tai Chi del vecchio “nonno” Higurashi, prese in prestito la carta di credito di suo “zio” per fare acquisti e scorte e, infine, esplorò l’immenso villaggio di nome “Tokyo” fino a sera inoltrata.
Tutto per evitare quell’odore.
Ma perché? Perché un misero odore stava avendo quell’effetto con lei?
Cosa la spaventava a tal punto?
Lei era Moroha, l’impavida cacciatrice di taglie.
Lei era Beniyasha, la distruttrice di terre.
Nulla la spaventava!
E così, dopo aver salutato Towa che si recava in un misterioso luogo chiamato “scuola” e la compagna di suo “zio” mostrava a Setsuna il “violino”, Moroha sgattaiolò fuori dall’appartamento per recarsi al tempio Higurashi.
Fu sollevata di scoprire che la signora Higurashi, la donna che affermava di essere sua nonna, era fuori a fare la spesa. Il vecchio, invece, era impegnato con una coppia di turisti che volevano visitare il tempio.
Aveva campo libero dunque.
Ora poteva tranquillamente dedicarsi a quell’odore.
Una finestra semiaperta situata al piano superiore della casa attirò la sua attenzione.
Era da lì che quell’odore proveniva.
Moroha saltò fino a raggiungere facilmente il davanzale della finestra.
L’aprì e si infilò dentro.
Si trattava di una camera da letto, molto simile a quelle che aveva visto nell’appartamento in cui viveva Towa.
Inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi.
Era leggero e flebile, come quello che aleggiava tutt’intorno alla casa.
Era vecchio, si, ma sembrava quasi non voler abbandonare quel luogo.
Fece qualche passo in avanti, fino a ritrovarsi davanti a quello che, grazie a Towa, aveva imparato a chiamare “letto ad una piazza e mezza”.
Lo studiò con attenzione, testandone l’elasticità.
Non poteva negarlo.
Questi strani giacigli del ventunesimo secolo erano i migliori che lei, in tutta la sua breve vita, avesse mai provato.
Senza quasi rendersene conto, si ritrovò in ginocchio e con il viso premuto contro la rosea trapunta.
Improvvisamente un ricordo si visualizzò nella sua mente.
Una mano sfocata, ma morbida e calda, che la accarezzava, scostandole amorevolmente una ciocca di capelli dal viso.
Mentre si alzava di scatto e allontanava il volto da lì, le parole della signora Higurashi le tornarono alla mente, stordendola.
“Sai? Hai i suoi stessi occhi!”
Sapeva a chi si stava riferendo.
Lo sapeva benissimo ma…
Lei non aveva mai conosciuto Kagome Higurashi.
Non aveva mai conosciuto sua madre.
Di solito evitava l’argomento, dedicandosi anima e corpo alla caccia e alle taglie, così da poter sopravvivere.
Ma lì, in quella stanza così particolare… non riusciva a fare a meno di pensarci.
Si alzò in piedi e si diresse in direzione della scrivania.
La osservò a lungo.
Non vi era neanche un grammo di polvere ed ogni oggetto sembrava avere una posizione precisa.
Come se la signora Higurashi volesse preservarla intatta e, soprattutto, esattamente come la figlia l’aveva lasciata il giorno in cui era partita.
Passò la mano artigliata curiosa tra le carte impilate, sulla lampada, nel portapenne.
Aprì uno dei cassetti.
Erano pieni di strumenti che lei non conosceva.
Ne aprì un altro e uno strano libro di pelle nera attirò la sua attenzione.
Corrugò le sopracciglia, dubbiosa, prima di aprirlo e cominciare a sfogliare tra le sue pagine.
Era pieno di ritratti.
Ritratti stupendi che mai aveva visto fare a nessun pittore della sua epoca.
Era quasi come se le persone all’interno fossero state catturate in un preciso momento della loro vita ed impresse su un pezzo di pergamena lucida.
Con la punta delle dita ne toccò i volti fino a fermarsi, sicura, su quello di una persona in particolare.
Una persona che il suo istinto conosceva perfettamente.
La sacerdotessa Kagome.
Sua madre.
Per tutta la sua vita aveva sentito innumerevoli storie su di lei.
La sua bellezza, la sua grazia…
Del fatto che fosse la reincarnazione della venerabile sacerdotessa Kikyo.
Una volta il vecchio Myoga le aveva raccontato che sua madre odiava tantissimo venire paragonata a lei.
Sebbene avesse ereditato i suoi poteri spirituali e la sua forza, la sua personalità era completamente diversa. E poi, era stata Kagome a sconfiggere Naraku e non Kikyo.
Moroha ritornò con lo sguardo su quella figura.
Non indossava un vestito da sacerdotessa ma bensì un qualcosa di più corto e colorato, che lasciava intravedere fin troppo le gambe.
‘Forse è un tipo di abito cerimoniale di cui non sono a conoscenza?’ Si ritrovò a pensare Moroha, dubbiosa.
Riprese a sfogliare le pagine e, quello che vide, la lasciò a bocca aperta.
Kagome era lì, radiosa, che si stringeva al braccio di un uomo dai lunghi capelli argentati e le buffe orecchie canine.
Non impiegò molto a capire di chi si trattava.
“Inuyasha… mio padre.” Disse in un sussurro.
L’uomo sul ritratto era chiaramente imbarazzato e confuso. Come se non sapesse come rispondere all’affetto che invece Kagome mostrava palesemente a lui.
Tremò.
Moroha sapeva di aver ereditato molte cose dalla madre per quanto riguardava l’aspetto fisico.
La signora Higurashi poi gliene aveva dato la conferma.
Ma, mentre osservava il ritratto, capì che molto del suo carattere chiuso e schivo lo doveva ad un mezzo demone che non conosceva.
Irritata per la marea di emozioni, chiuse il libro e lo ripose nel cassetto, chiudendolo rumorosamente.
“Moroha?”
Alzò lo sguardo.
Nonno Higurashi entrò zoppicando nella stanza, guardandola con curiosità.
“Oh, eri tu. Per un attimo ho pensato che tua madre fosse tornata da noi.” Commentò.
Moroha distolse lo sguardo.
“Scusami. Non sapevo fosse la sua stanza. Ho solo seguito il suo… odore.”
“Ahhh, ricordo che tuo padre diceva sempre di poter seguire il suo profumo ovunque. Non ho mai capito come potesse farlo ma, suppongo che, essendo lui figlio di un demone cane, anche tu abbia ereditato questa facoltà.” Disse, facendo qualche passo ed entrando anche lui nella stanza.
Moroha scosse la testa.
“Devo andare ora. Scusa se ho ficcato il naso dove non avrei dovuto.”
Gli occhi dell’anziano uomo si spalancarono.
“Dove non avresti dovuto? Piccola mia, tu appartieni a questo posto tanto quanto me! Sono sicurissimo che tua madre avrebbe voluto che ci incontrassimo. E poi, questa era la sua stanza. Quindi ora è anche…!”
“Io non la conosco, hai capito?!” Urlò, interrompendolo bruscamente.
Barcollò, indietreggiando di alcuni passi e si morse un labbro.
Aveva giurato a se stessa di non dire nulla del fatto che lei non avesse alcun ricordo dei suoi genitori.
Aveva deciso di non farli preoccupare.
Dal primo momento in cui aveva messo piede sul suolo di quel tempio, aveva promesso di tenere tutto racchiuso dentro di lei ma, le emozioni travolgenti che provava e aveva provato in quella stanza, avevano mandato a farsi benedire tutti i suoi buoni propositi.
Era troppo, troppo da sopportare.
“Mi dispiace, nonnino. Io… senti… promettimi di non dirlo a tua figlia. Io… i miei genitori… non li ho mai… incontrati.”
“Ma… ma… come può essere?”
I suoi occhi cominciarono a riempirsi di lacrime.
“Non dirmi che… loro sono…”
“Non lo so.” Rispose, brusca e fissandolo intensamente per poi alzare gli occhi al cielo.
A volte le capitava di sognarli. Si, certo, spesso i contorni dei loro volti non erano chiari o ben definiti, però…
Quella sensazione.
Ricordava distintamente di essere stata tenuta in braccio da qualcuno.
Qualcuno che aveva lo stesso odore di quello che ancora aleggiava in quella vecchia stanza.
Odorava di… casa.
“Sei proprio una brava bambina”
Quella semplice frase echeggiò nella sua mente per alcuni minuti fino a farle riempire gli occhi di lacrime.
Il bisnonno la guardò preoccupato.
Moroha si passò con rabbia una mano sugli occhi.
“Mi ha abbandonato, vecchio! MI HANNO ABBANDONATO!” Urlò con voce spezzata.
L’anziano scosse rapidamente la testa
“No, piccola mia. Kagome non abbandonerebbe mai nessuno, tantomeno sua figlia!”
“Fhè! Non ci credo. Io sono cresciuta da sola. Non ho alcun ricordo di Kagome o Inuyasha. Mi hanno… abbandonata.” Commentò con la voce rotta dalle lacrime.
Le immagini che aveva visto solo nei suoi sogni si fecero d’un tratto più nitide e chiare.
Vide sua madre abbracciarla e donarle la conchiglia di perle, con il viso colmo di lacrime.
Vide sua madre appoggiarla sul dorso di un enorme demone tanuki.
Vide l’espressione angosciata di suo padre, a pochi passi da lei e con una grande spada luccicante tra le mani.
Vide le mani di sua madre strette in preghiera mentre la guardava allontanarsi sempre più da lei.
Poi i loro volti e le loro voci si fecero sempre più distanti, mentre una sensazione di freddo e abbandono invadeva in suo piccolo corpo.
‘Mi hanno abbandonata’ Ripetette, mentre sgranava gli occhi come per svegliarsi da quel sogno che, per lei, era ormai diventato un incubo.
La rabbia che aveva trattenuto fino a quel momento esplose.
Fu un attimo e Moroha si ritrovò a recuperare l’album di foto e a lanciarlo contro il muro.
Il tonfo pesante che si creò, sparse oggetti per tutta la stanza.
Moroha cadde in ginocchio, respirando affannosamente.
Nonno Higurashi le si avvicinò, preoccupato. “Tutto bene, piccola mia?”
L’odore di sua madre in quella stanza era diventato insopportabile.
Era come se la stesse invadendo e distruggendo dall’interno.
“NON STO BENE!”
Batté un pugno a terra e una cornice con una foto di sua madre cadde rumorosamente sul pavimento.
In un’altra esplosione di rabbia, afferrò la foto e la scagliò lontano.
“Come hai potuto abbandonarmi?  Come hai potuto lasciarmi sola??”
La voce di Moroha si spezzò.
“Dovevi essere la mia luce e guidarmi! Avresti dovuto tenermi al sicuro da tutti loro…!”
“Moroha!”
Il suo bisnonno si inginocchiò accanto a lei e la cinse con le braccia.
“Cosa è successo a quei due? Dimmelo, Moroha!”
Non lo sapeva.
Non lo aveva mai saputo.
Sebbene Myoga avesse da sempre vegliato su di lei, non glielo aveva mai detto.
E, sebbene adesso quei sogni le sembrassero così reali, l’unica cosa che sapeva è che era sempre stata da sola.
Sia durante gli anni dell’infanzia, quando aveva vissuto tra la tribù dei demoni lupo, sia quando era stata affidata alla sua maestra e iniziata alle arti del combattimento.
Moroha si schiarì la gola.
“Scusa, nonno. Non avrei dovuto mettere piede qui. Ho soltanto… perso il controllo. Tutto qui.”
L’uomo avrebbe voluto continuare a farle domande ma le parole le morirono in gola.
In quel momento il volto della sua bis nipotina era come un libro aperto.
Sospirò.
“Moroha, ti piacerebbe unirti a me e ai miei amici per il nostro Tai Chi mattutino?” Disse, dandole una pacca sulla spalla.
Una sensazione di sollievo e di gratitudine avvolse Moroha.
Il vecchio nonno Higurashi era davvero molto saggio.
“Certo, nonnino. Nessun problema!”
Prima o poi avrebbe trovato tutte le risposte che cercava, da sola. Ne era più che certa.
In cuor suo sperava soltanto che, in quello stesso momento, avrebbe potuto condividerle anche con lui e il resto della famiglia.
La famiglia che non aveva mai conosciuto e che aveva sempre sognato di avere.  
 
 
 
 
   
 
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