Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Euridice100    20/02/2021    4 recensioni
"Bruno Bucciarati sa sempre come agire, e lui da soldato deve solo fidarsi di ciò che dice il suo comandante, senza metterlo in discussione.
Ma Abbacchio conosce la verità – e conosce quegli occhi azzurri che inseguono i suoi, l’esitazione che può costare mille futuri. Lui li conosce bene e ha giurato a se stesso che non accadrà mai più. Bucciarati è troppo buono, si preoccupa troppo per il prossimo e questa sarà la sua rovina, Leone ne è certo; ma se lui può fare qualcosa, anche la più piccola cosa per risparmiargli dolore, allora la farà.
Anche a costo di infliggergliene un altro in apparenza più grande.
(Anche a costo di infliggersene un altro che diventa sempre più grande.)"
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bruno Bucciarati, Leone Abbacchio, Narancia Ghirga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima notte felice del mondo

 
 
La più grande dote di Leone Abbacchio è la sua capacità di ricordare
I poteri di Moody Jazz non sono certo un caso.
Non sarà geniale quanto Fugo, ma quando studiava per entrare in Polizia, gli bastava leggere una volta una pagina per imprimersela nella memoria. Chiudeva gli occhi e ogni articolo, ogni procedura gli tornavano in mente.
Non deve sforzarsi, anzi. Lui deve sforzarsi per non ricordare. 
Da venti giorni, quindici ore e trentatré minuti, la più grande dote di Leone Abbacchio è diventata la sua maledizione. 
Perché ricordare, ora, significa ricordare lui
 
Non dire una parola
che non sia
d’amore.
 
- Scattiamoci una foto, dai!
Dopo Natale, Bruno Bucciarati aveva sviluppato una repentina e quanto mai stramba passione per la fotografia. Aveva comprato tre diverse macchinette professionali con tanto di annessi e connessi e vagava per casa immortalando dettagli insignificanti. Aveva già consumato decine di rullini. Del resto, se lo poteva permettere: negli ultimi tempi giravano parecchi soldi.
Leone Abbacchio cercava di non pensare all’origine di quel denaro. Malgrado la cieca lealtà verso Bucciarati, il suo senso di giustizia sussultava ogni volta che rifletteva sulle attività che ora lo coinvolgevano.
A essere onesto, nelle ultime settimane Leone Abbacchio cercava di non pensare a molte cose.
A come stava evolvendosi il rapporto con colui che sarebbe dovuto essere il suo capo-e-basta, per esempio.
Era riconoscenza, avrebbe voluto poter dire. Ma sarebbe stata una bugia, e di bugie lui ne aveva dette fin troppe in vent’anni di vita.
Bucciarati – anzi, Bruno, come gli aveva detto di chiamarlo – l’aveva salvato e lui l’avrebbe seguito in capo al mondo, se fosse stato necessario. Ma l’avrebbe fatto per motivi che andavano ben oltre la fedeltà che lega il soldato al comandante. Lui aveva prestato giuramento all’organizzazione, non a un ragazzo improbabile guida di bambini sperduti. Se mai avesse dovuto scegliere, la ragione non avrebbe avuto dubbi: sarebbe stato uomo di Passione.
La ragione, non il cuore.
Dopo i suoi errori, aveva promesso a se stesso di diventare una macchina: fredda, precisa, incapace di provare emozioni. Finora ci era riuscito, e senza neanche troppi sforzi. Ma allora perché quel ragazzo stava mettendo in discussione la sua nuova realtà?
Bucciarati riponeva fiducia massima in lui. Ad Abbacchio ciò sembrava incredibile, considerando il suo passato, ma era un dato di fatto. Bucciarati gli affidava compiti delicati, dava peso al suo parere e approfittava di ogni occasione per fermarsi a fumare con lui e a parlare letteralmente di tutto.
Forse perché Bucciarati aveva un’idea tutta sua del comando, o forse perché alle volte si sentiva troppo solo e carico di responsabilità e aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno che tra i suoi mille difetti almeno non annoverava la completa immaturità, o…
O forse semplicemente perché Bruno Bucciarati era una persona gentile e lui stava viaggiando troppo con la fantasia.
Qualunque fosse la ragione, non cambiava la semplice e dura realtà. Non era la prima volta nella vita che gli piaceva qualcuno; era la prima volta nella vita che gli piaceva così tanto qualcuno che era un suo superiore, un uomo per giunta.
- Ho appena comprato un’istantanea. Mio papà ne aveva una, sai? – Bruno si stiracchiò – Mi scattava foto a ogni compleanno, ogni primo giorno di scuola, ogni dente caduto... Sempre, finché ha potuto, – la voce si perse per un istante prima di ricominciare – Insomma, a casa ho decine di album. La prossima volta che ci vado, li prendo e te li mostro.
La ricerca di complicità. La spontaneità con cui raccontava episodi dell’infanzia, la naturalezza che si colorava di intimità. Non era lo stesso modo in cui si comportava con gli altri. Perché lo faceva?
- Insomma, – Abbacchio dovette ridestarsi dai suoi pensieri – Questa foto? Ce la scattiamo o no?
E perché lo stai chiedendo proprio a me?
In un istante ebbe la meravigliosa, terribile certezza che Bucciarati gli avrebbe fatto la stessa proposta anche se non fossero stati soli in casa.
- Non mi piace essere fotografato.
Il ragazzo aggrottò un sopracciglio.
- Perché no? Secondo me sei fotogenico. 
Piccolo adulatore dagli occhi azzurri. Non per il complimento, ma per i modi, per quel sorriso furbo che gli faceva spuntare due fossette sulle guance. Come dirgli di no? Ogni richiesta era un ordine, e non per mera obbedienza. Lui questo lo sapeva, come avrebbe poi confessato l’aveva capito da più tempo di Leone stesso. Non se ne approfittava mai, però, se non per sciocchezze come questa, o come il gusto del gelato da comprare.
- Vabbè. 
Abbacchio gli si avvicinò. 
- Così lontano non appari in foto. 
Il suo odore era una carezza dolce. Leone si sentiva un tamburo in petto. Perché quel suo dannato Stand non aveva sviluppato qualche abilità fisica tipo, per dire, fermare a piacimento il battito del cuore? Deglutì.
L’altro scattò una, due volte, in quel preciso istante.
Oh cazzo.
Attesero in silenzio che le immagini emergessero dalle pellicole.
- Insomma, – Bucciarati sospirò sconsolato innanzi alle foto – Un sorriso non lo sai proprio fare.
L’altro si strinse le spalle.
Bruno si voltò ridendo. Era vicino, così vicino che i loro visi quasi si sfioravano. Leone poteva scorgere ogni dettaglio, ogni segno sulla sua pelle.
Il solco delle occhiaie.
Una minuscola cicatrice sullo zigomo destro.
Le labbra socchiuse.
Bruno non rideva più. Il suo sguardo pareva frugarlo dentro, tra i suoi pensieri più profondi.
La distanza tra noi è un errore.
(Lo so.)
In futuro, Leone Abbacchio si sarebbe detto che era prevedibile. Una simile vicinanza – di corpi, di anime – tra persone che si piacciono senza osare confessarlo porta a una e una sola conseguenza.
Una radio lontana passava una canzone dei CCCP.
Non dire una parola che non sia d’amore.”
Bruno posò le labbra sulle sue.
E, per un istante, tutto fu pace.
 
Per me, per la mia vita
che è tutto quello che ho.
È tutto quello che io ho
e non è ancora
finita. 1
 
Quel giorno Bruno ha scattato due foto, una per ciascuno.
Ma a Leone la foto non serve – la sua immagine la porta tatuata sulla retina, gli ritorna agli occhi ogni istante. 
Bruno Bucciarati è ovunque, anche in quella casa in cui ha messo piede solo una volta. Non esiste luogo dove non gli torni in mente.
Non hanno mai definito la loro situazione. Del resto, erano coinvolti in questioni ben più grandi di loro, non potevano perder tempo in sdolcinatezze. Era la cosa più sensata da fare, giusto?
Si piacevano, stavano bene assieme, si sostenevano a vicenda. Questo bastava.
Forse è stato solo sesso, forse è…
(Era solo sesso, quindi? Quando Leone ridisegnava con le dita i suoi tatuaggi, quando Bruno cercava le sue mani, i loro sguardi quando si sfioravano di nascosto, era solo sesso?
Tutti i segreti che si sono confidati.)
Entrambi conoscono la verità: magari fosse stato solo sesso. Sarebbe finita senza rimpianti e senza rancore.
Forse non si sono mai messi insieme per non lasciarsi, ma il risultato non è stato comunque simile?
Ed è successo per amore.
 
Lasciami qui,
lasciami stare.
lasciami così.1
 
- Perché l’hai fatto?
- Cosa? – lo stupore di Bruno era sincero.
- Perché hai esitato? Perché sei tornato indietro ad aiutarmi?
La missione era andata di merda. Non c’era altro modo per definirla. Sì, avevano avuto la meglio e ne erano usciti tutti sani e salvi, ma quanto successo non poteva essere ignorato.
Per la prima volta da che Abbacchio lo conosceva, Bruno Bucciarati aveva esitato. La maschera del boss impeccabile era andata in frantumi. Era stato un attimo, un momento così rapido da apparire irreale, ma era successo – e il responsabile aveva un nome e un cognome.
Abbacchio avrebbe potuto giurarlo: se non fosse stato lui in pericolo, Bucciarati sarebbe sì tornato ad aiutare il compagno, ma – in una situazione simile, in cui non c’erano davvero altre possibilità – non avrebbe avuto remore nell’urlare l’ordine.
E invece, aveva esitato, e l’aveva fatto perché in gioco c’era la vita di Leone Abbacchio.
Non ne avevano mai parlato, tanto era ovvio. L’organizzazione veniva prima del resto. E se ciò era valido per tutti, doveva esserlo ancor più per chi ambiva a comandare qualcosa di più di un gruppo di sbandati.
Ma se tra il leader del gruppo e uno di quegli sbandati nasce qualcosa – dillo, codardo, perché non ammetti cos’è nato tra voi? –, ecco che ogni principio va a farsi benedire.
Ed era esattamente ciò che era successo.
Sulla via di casa, Leone Abbacchio aveva fatto un patto con se stesso e, anche se loro ancora non lo sapevano, con Bruno Bucciarati e i loro compagni.
Non sarebbero più stati più in pericolo a causa sua.
A qualunque costo.
- Uno dei miei era in pericolo. Cos’avrei dovuto fare?
- Andare avanti. Non tornare indietro, se questo significava metterti in pericolo.
Bucciarati lo guardò dritto in volto.
- Eseguo gli ordini e proteggo i miei compagni. La difficoltà di guidare un team sta proprio nel fare entrambe le cose. E io so farle, – il tono non ammetteva repliche – Non chiederò scusa per aver fatto il mio dovere.
Abbacchio gli scostò la frangia senza aprir bocca. Il taglio che aveva sulla fronte aveva i contorni slabbrati. Sticky Fingers non se ne era ancora occupato
- Andiamo, non dirai sul serio! Stai davvero paragonando un graffio alla tua vita?
- Devi essere pronto a qualunque sacrificio per eseguire gli ordini. Tanto più se un giorno diventerai Capo.
Un’ombra attraversò il viso del giovane.
- Se e quando sarò Capo, non mi interessa. Sai che non parlo mai dei programmi dei nostri superiori, figurati in questo momento.
- Allora pensa agli altri. Tu sei la loro guida, il loro punto di riferimento. Se succede qualcosa a te, cosa pensi succederà loro?
- Non provare a colpirmi nel mio punto debole, – la risata di Bucciarati era amara – So benissimo che per te gli ordini vengono prima di tutto. Ma ti ricordo che io sono in Passione da quando avevo dodici anni. Conosco il mio dovere. Se sono tornato da te, è perché sapevo quello che stavo facendo. E in tutta onestà, – non mancò di aggiungere – Mi stupisce che sia proprio un soldato a mettere in dubbio le mie azioni.
Proprio come lui, Bucciarati aveva deciso di giocare senza esclusione di colpi. Ricordare ad Abbacchio il suo passato, rimarcarne l’insubordinazione era qualcosa che questi si aspettava, ma che in fondo non aveva preventivato accadesse davvero.
- Ma che cazzo stai dicendo? – digrignò i denti – Sai che sei l’unico al mondo di cui mi fidi. Non ti metterei in dubbio neanche se mi chiedessi di ammazzarmi. Se lo facessi, ci sarebbe un motivo. Solo, non puoi esitare per me. Se sono l’anello debole, se metto in pericolo te e il gruppo, allora devo fare un passo indietro. Dovevi lasciarmi indietro. E sai che ho ragione.
- E anche questo lo decidi tu? Non il tuo superiore?
- Questo lo dimostrano i fatti.
Bucciarati scosse il capo.
- Io non ti chiederei mai di ammazzarti. Non lo chiederei mai agli altri, e non lo chiederei mai a te. 
- Ed è lì che sta il problema.
Le parole caddero come un velo gelato tra loro, un velo che in un istante li separò forse più di mille anni.
(Quante volte Leone Abbacchio ha rivissuto questa scena? L’ha sezionata, scandagliata ogni giorno da allora, e ogni volta ha trovato un dettaglio in più del dolore che ha di nuovo inflitto a chi gli voleva bene.
Bruno che arretra appena, all’impercettibile ricerca di un sostegno che non incontra.
i suoi pugni chiusi.
La consapevolezza che gli offusca i lineamenti.)
Ma Bruno Bucciarati non chinò lo sguardo.
Quando riprese a parlare, i suoi occhi azzurri erano ghiaccio lontano.
- Sai cosa dicono nella Squadra Esecuzioni? Prima si compie l’azione, poi la si dichiara. Tu, invece, stai dicendo tante belle parole, ma non stai agendo, – gli sputò contro le parole, un crescendo impossibile da fermare – Perciò avanti – vuoi fare questo passo indietro, anello debole? Dimostramelo.



Mista lo aveva inseguito per chiedergli cosa stesse succedendo. Aveva ignorato ogni domanda. Come avrebbe potuto rispondere, del resto? Non sapeva spiegare neanche a se stesso cos’era successo. Sapeva solo di aver fatto la cosa giusta.
Mentre Abbacchio se ne andava, Bucciarati preparava il caffè in piedi alla cucina. Non si era voltato. 
Ma me lo merito.
Ora Bruno non avrebbe più avuto distrazioni, più esitazioni
Perciò Leone non se ne poteva pentire.
Perdonami, ma vali troppo per rischiare tutto a causa mia.
Anche se tutto stava andando di nuovo in malora. Se ne era reso conto quella stessa notte mentre si voltava e si rivoltava in un letto che non era più suo da troppi mesi. Quella casa conservava ricordi troppo brutti, che non sapeva – non poteva – gestire da solo. Cosa gli era venuto in mente, tornando lì? Dopo una giornata del genere, poi…
Fai un passo alla volta.
Resta presente a te stesso.
Inspira, espira.
Concentrati sulle piccole cose.
Perché la voce della ragione suonava tanto simile a quella di Bruno?
Alle due di notte Leone Abbacchio spazzò il pavimento. Fece la lista della spesa. Dov’erano finite le lenzuola?
Due bottiglie di vino, residuo di una vita precedente, lo osservavano dalla dispensa.
Disfece la borsa. Una polaroid cadde per terra. Non c’era bisogno di coglierla per sapere chi raffigurasse.
Si chinò comunque a coglierla.
Alle tre di notte, Leone Abbacchio era ubriaco fradicio.
 
You've always been my North Star
and I have to tell you something,
I'm still afraid of the dark.2
 
Leone Abbacchio non ha più incontrato Bruno Bucciarati.
Chiaramente continua a lavorare per lui: le direttive gli vengono assegnate tramite Fugo e restituisce i resoconti allo stesso modo. Quando il team lavora, tutto pare come al solito – eccezion fatta per due membri che non si incontrano mai. Se c’è una certa persona, l’altra manca, e viceversa, con una sincronia studiata a tavolino.
La cosa più tragicomica è che Leone può incolpare solo se stesso. Che modo idiota di troncare una… Qualunque cosa ci sia stata tra loro. È stato lui a iniziare il discorso che ha portato alla rottura, no? Si fosse limitato a ringraziare, adesso sarebbero felici e contenti, più o meno. Il suo compito è fidarsi di Bruno come leader e, prima ancora, come persona. Bruno Bucciarati sa sempre come agire, e lui da soldato deve solo fidarsi di ciò che dice il suo comandante, senza metterlo in discussione.
Ma Leone conosce la verità – e conosce quegli occhi azzurri che inseguono disperati i suoi, l’esitazione che può costare mille futuri. Lui li conosce bene e ha giurato a se stesso che non accadrà mai più. Bruno è troppo buono, si preoccupa troppo per il prossimo e questa sarà la sua rovina, Leone ne è certo; ma se lui può fare qualcosa, anche la più piccola cosa per risparmiargli dolore, allora la farà.
Anche a costo di infliggergliene un altro in apparenza più grande.
(Anche a costo di infliggersene un altro che diventa sempre più grande.)
I suoi giorni scorrono in un flusso monotono. Lavora, lavora e ricade nelle brutte abitudini di una volta. Se ne rende conto. Però, quando arriva sera, quella stanza diventa una distesa infinita e il deserto che ha dentro si popola di tante, troppe voci da mettere a tacere in un modo o nell’altro. E così i bicchieri aumentano e i pensieri rimpiccioliscono, diventano polvere. Basta un soffio e volano via, lontani, sempre più lontani, e torna il deserto. Ci sono mai stati?
Sì, ci sono stati e ci sono ancora. Lo sai.
Vaffanculo a Bruno Bucciarati. 
Vaffanculo a lui, al suo spirito da crocerossina e a tutti i disagiati che lo circondano. 
E vaffanculo a Leone Abbacchio, che annega il presente nel passato.
Da qualche parte ha letto che il cervello impiega ventuno giorni per consolidare un’abitudine. Lui è arrivato a venti e non si è abituato all’assenza. Allo scoccare del nuovo giorno accadrà un miracolo? Si sveglierà, si guarderà attorno e penserà “Basta, devo accettare e andare avanti”? Magari prenderà la foto e la strapperà senza guardarla un’ultima volta.
Seh, credici.
Di solito si ringrazia qualcuno per ciò che dà. Lui, invece, deve ringraziarlo per ciò che toglieva. Tutte le cose brutte che gli girano in testa, i ricordi, il senso di colpa, lui le portava via. Gli svuotava la mente. Solo quando era con lui era in pace. E ora che non è più al suo fianco, beh…
Respira.  
È un momento.
Passa.
Ti giuro che passa.
Lo facciamo passare insieme.
(No, non è più così, lo sai.)
La speranza di poter almeno commemorare da solo (con l’alcool) ventuno anni di amarezza e fallimenti si è rivelata vana. Non ricordava di aver detto ai ragazzi la sua data di nascita, ma tra colleghi le notizie girano – e una certa persona sa benissimo cos’è il 25 marzo.
- Ohhh, ma questa casa è un buco! Ci credo che non ci hai mai chiamati a far festa!
Narancia si è presentato senza avvisare, con una torta semicarbonizzata, una candelina blu e bianca mezza sbilenca raccattata chissà dove e le scuse di Mista e Fugo, mandati in missione da Bucciarati. Il ragazzo ha nominato l’innominabile con una naturalezza tale che Leone non sa se essergliene grato o bestemmiargli contro.
- La torta l’abbiamo preparata noi! Fugo l’aveva detto di lasciarla in forno mezz’ora, ma ho sbagliato a leggere l’orologio. Ma vabbè, meglio cuocerla di più che di meno, no? Io gliel’ho detto, ma lui si è incazzato a bestia e abbiamo litigato, e poi... -
Sì, deve decisamente essere grato a Narancia. Con lui la necessità di interagire è minima. Quasi rimpiange l’assenza degli altri: ci fossero stati, avrebbe potuto alienarsi dalla sua stessa assurda festa a sorpresa. Lro avrebbero chiacchierato tutto il tempo, si sarebbero scannati e riappacificati ogni cinque minuti e, in definitiva, l’avrebbero lasciato libero di starsene per i fatti suoi.
Mangiare una torta preparata da quel branco di ragazzini probabilmente significa regalarsi un biglietto di sola andata per un’intossicazione. Però il loro è stato un pensiero gentile, e i genitori che non l’hanno cercato neppure oggi non sarebbero contenti di avere un figlio maleducato, oltre che mezzo frocio, fallito e corrotto.
- ...e alla fine sai che ha fatto quello stronzo? È andato a dire in giro che era colpa mia! Ma ti pare normale? Ma gliel’ho fatta pagare, cazzo se non gliel’ho fatta pagare! Tu la pensi come me, no?
- Io penso che non me ne frega un cazzo di queste stronzate tra deficienti.
Narancia gli lancia una lunga occhiata inquisitrice.
- Beh, almeno in questo tutto è come al solito. Perché per il resto stai messo male. Ma male male male.
Narancia si comporta da bimbo esaltato, ma è un osservatore nato. I dettagli che restano in secondo piano agli occhi del mondo sono per lui ovvietà. Per quanto Abbacchio abbia cercato di accatastare le bottiglie vuote in uno stipo quando ha visto l’altro comparire alla porta, basta guardarsi davvero attorno per capire che la sua vita è nuovamente allo sbando.
Quelle sul volersi bene, sul bastarsi da soli sono solo un mucchio di cazzate. Leone Abbacchio non si vuole bene. Leone Abbacchio non si basta da solo. Lui dipende – dal senso di giustizia, dall’alcool, da un capo indiscutibile, ma dipende. È un semplice dato di fatto, come il sole sorge a est.
Bruno lo prenderebbe a male parole se sentisse simili pensieri, ma il problema non si pone – Bruno non fa più parte della sua vita.
Quindi, perché aspettarsi qualcosa di diverso, se la propria parte migliore non c’è più? 
- Qualcosa che non sappia già?
Fermare Narancia prima che sia troppo tardi è vano. 
- Lui sta bene. E non penso proprio che vi sentite, quindi questa è una cosa che non sapevi, no?
(Abbacchio si infila in bocca una forchettata di torta. Non sa di niente, è dura e secca come cartone, ma se tiene le mascelle impegnate a masticare non può rispondere, quindi bene così.)
- Ok, ok, ho detto una stronzata, – persino il ragazzo si rende conto dell’errore – Non sta male come te, ma non sta bene. Lui… Sta. In realtà non lo vediamo granché, è sempre in giro per un motivo o l’altro. Soliti casini.
Abbacchio decide di concentrarsi sulle ultime parole.
- Sarebbe a dire?
- Mah, non è ancora chiaro… Hai presente quel cretino di Luca il Lacrimoso? Ora va in giro lamentandosi di un ragazzino che gli sta fregando la zona dell’aeroporto senza pagare la protezione... Secondo me se l’è sognato, ma tant’è.
Non è un buon segno. Possono sembrare sciocchezze, ma è proprio dalle sciocchezze che si genera il caos; e il caos, si sa, ha sempre un prezzo. Attira attenzioni indesiderate, fa male agli affari – se così può definirli – e, soprattutto, miete vittime i cui parenti cercheranno vendetta.
Il caos genera solo altro caos, lo ha imparato sulla sua pelle.
- Pensi stia arrivando una guerra?
Narancia scoppia a ridere.
- Cazzo se sei esagerato! Ma figurati… E poi, se scoppia una guerra, noi la vinciamo. Tra un anno come oggi staremo festeggiando un altro tuo compleanno e Bucciarati che… Boh, che altro può fare Bucciarati? Conquistare il mondo? Allora Bucciarati che conquista il mondo e il tuo compleanno, tutti insieme! 
Leone Abbacchio resta serio, ma in fondo al cuore invidia quell’irrazionale ottimismo. Lui non riesce a programmare neanche l’indomani, figurarsi il prossimo compleanno. Sempre se arriverà a celebrarlo.
Narancia si ferma per un’eternità. Quando decide che si sta facendo tardi, si alza e va alla porta da solo. Sa che il festeggiato di certo non lo tratterrà oltre, anzi. 
- Domani passano gli altri. Stammi bene, ok?
Decide di ricompensare gli sforzi del più giovane con una smorfia.
- Se non portate altre torte.
Quando chiude la porta, Leone sospira. Si sente esausto, drenato di ogni energia, come sempre quando deve interagire più del dovuto col prossimo. Solo al fianco di una persona non provava simile stanchezza.
Avrebbe potuto trascorrere giorni interi con lui senza rendersene conto.
Gioca col polsino della maglia. Non si era reso conto che si fosse scucito.
Ci fosse stato lui, l’avrebbe già riparato con un tocco.
Il suo potere di unire, tenere allacciate anche cose, persone che per loro natura sono distanti.
Ma alle volte ci sono cose, persone che non vogliono essere tenute allacciate.
Che non possono essere tenute allacciate – perché sono talmente rotte, sfilacciate che solo un miracolo potrebbe tenerle insieme.
E un ragazzo di vent’anni, per quanto potente sia, non può compiere miracoli.
Per assurdo, ciò che più gli manca sono i silenzi. I minuti a guardare il soffitto senza parlare, respirando piano. Spalla contro spalla dopo aver sovrapposto i cuori. Nessuno parlava, ma non ce n’era bisogno – i pensieri facevano rumore.
È stato in uno di quei momenti che Leone ha dato per la prima volta un nome ai suoi sentimenti. 
Anche se l’ha sempre tenuto per sé.
Anche se l’ha negato per proteggerlo.
Ormai è troppo tardi.
Lui allontana i pensieri riordinando casa. Sistema il polsino scucito.
Medita di andare a quattro passi, ma è costretto a cambiare idea: è scoppiato il diluvio universale e lui non se n’è nemmeno reso conto. Spera che Narancia abbia fatto in tempo a tornare a casa.
Fumerà alla finestra l’ultima sigaretta della giornata.
Se ne accorge al terzo tiro. Una sagoma cammina sotto la pioggia. Non ci sono dubbi: si sta avvicinando proprio al suo portone. 
Santo Dio, non ancora!
La sagoma gli è familiare. Strizza gli occhi per metterla a fuoco. 
È un uomo. Porta un ombrello e e indossa un completo bianco.
Ha già vissuto questa scena.
No, no, no.
(Sì.)
L’uomo alza lo sguardo. Si ferma.
Abbacchio non riesce a vederne il colore degli occhi, ma potrebbe giurare che sono azzurri, azzurri come il mare accanto a cui è cresciuto colui che li porta.
I due si fissano in silenzio.
Leone si rende conto di star tremando solo quando le chiavi quasi gli sfuggono di mano. Ha lo stomaco aggrovigliato, prova a respirare, ma il fiato gli si spezza in gola.
Forse è un’esperienza pre-morte. Forse nella torta c’era dell’arsenico e morirà come Emma Bovary.
Che fine di merda.
Coglione, l’arsenico non agisce così in fretta.
Non prende l’ombrello, forse neanche ne ha uno, ma non gli importa nulla della pioggia.
Si porterà nella tomba di aver corso lungo le scale.
- Ciao.
Ma, quando finalmente se lo ritrova davanti, Leone Abbacchio ricomincia a respirare.
Ha un paio di scarpe che non gli ha mai visto prima: nere, lucide, eleganti come al solito. 
Perché nei momenti più importanti la mente fa caso a dettagli insignificanti?
- Hai le scarpe nuove.
Bruno Bucciarati lo fissa serio. Solo dopo un lunghissimo istante, sorride.
Come la prima sera.
- Sì.
 
(La tua assenza non è diventata abitudine.)
 
 
E si spengono i lampioni,
rimaniamo mano nella mano
io e la mia parte che si sta uccidendo,
chissà se rimarremo vivi al nuovo inverno.3
 
 
1Annarella” dei CCCP perché questa meravigliosa canzone tornava sempre mentre scrivevo, quindi l’ho colto come un segno.
2Patricia” – Florence+The Machine 
3 I tuoi bellissimi difetti” – La Municipàl

Il titolo viene dall’omonima canzone dei Baustelle – ormai è vizio!
 
Citazioni sparse da “Le bizzarre avventure di Jojo – Vento Aureo
 
N.d.A.: Ciao!
Rieccomi con una oneshot partecipante al #feBruAbba2K21: un’iniziativa molto carina, 28 prompt per 28 giorni – nello specifico, ho sviluppato a mio modo il prompt #18, “Polaroid”. Chissà, magari in futuro approfondirò qualche altro tema, tempo e ispirazione permettendo!
Circa la fanfiction, non ho molto da aggiungere. Sapete che sono poco oggettiva e ipercritica, probabilmente stavolta a ragione, quindi lascio la parola a voi: fatemi sapere se vi è piaciuta o meno, se i personaggi sono IC o (al 99%) OOCissimi… Insomma, aiutatemi a migliorare!
Come sempre, grazie per aver letto fin qui i miei deliri. L’accoglienza riservata alla precedente storia mi ha davvero emozionata, ben più di quanto queste parole possano esprimere! ♥♥♥ 
A presto, spero, splendori!
Sempre vostra
Euridice100
 
   
 
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