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Autore: Mercurionos    22/02/2021    1 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Capitolo 20 – Piano per lo Scombussolamento dei Saiyan, Parte 1 – Anno 2, 11 Germinale
 
“Ehi, senti…”
“Mmh? Che c’è?”
“Secondo te… Perché Goku vuole diventare più forte?”
Yamcha si sollevò dal lettino che gli era stato assegnato dal maestro Muten. Era lo stesso piccolo giaciglio che Goku aveva utilizzato fino a qualche settimana prima, quindi era un po’ scomodo per il ragazzo del deserto. Avrebbe dovuto chiedere a Bulma di procurarne un altro. Forse, però, lei avrebbe risposto che si sarebbe dovuta procurare un nuovo ragazzo, uno che almeno ogni tanto la porti a mangiare il gelato alla fragola. Yamcha scosse la testa, allontanando timoroso quei pensieri.
“Ah, non saprei. Non riesco ancora ad inquadrarlo bene, quel ragazzino.”
 
Crilin si lasciò cadere dal proprio letto. Atterrò dopo essersi esibito in un paio di inutilissime capriole in aria e, una volta che fu a terra, la sua testa rotonda e scintillante illuminò di luna tutta la stanza: “Nemmeno io, e ho passato mesi interi con lui… Però è così forte! È riuscito ad arrivare pure in finale, al torneo, poi si è messo contro al Red Ribbon, ma continua ad avere quel sorrisetto da rincretinito. Che cosa vuole fare con tutta quella forza, esattamente?”
“Non devi preoccuparti così tanto, prima o poi riuscirai a capirlo e potrete essere normalissimi amici. Dopotutto sei più giovane di lui, non demoralizzarti!”
Crilin si voltò di scatto, il rossore sul suo volto si era infiammato come i tramonti scarlatti sull’isola del loro maestro: “Io sono più vecchio di Goku! Sono soltanto un po’ più basso, tutto qua!”
 
Gli occhi di Vegeta si spalancarono terrorizzati. Ancora una volta, quel sogno. Lanciò lontano le ingombranti coperte del letto troppo grande per lui, con il suo metro e poco altro di altezza. Guardò fisso il soffitto bianco, carezzandosi le tempie madide di sudore con due dita. Scosse la testa, il vano tentativo di allontanare quell’immagine, ma nulla. Rotolò verso destra, un paio di volte (il letto era davvero grande per il minuto saiyan), e si ritrovò a mezz’aria. Scese, lento lento, fino al pavimento. Tastò il terreno con le dita dei piedi, fredde nonostante la notte tiepida. E sì, anche Vegeta ha i piedi. Un fatto di cui, tuttora, anche sua moglie si meraviglia. All’inizio della loro relazione, Bulma si era convinta che Vegeta dormisse con gli stivali. Per fortuna era riuscita a convincerlo a farsi una doccia, una volta ogni tanto. Il rosa donava parecchio a quel ragazzaccio.
 
Vegeta chinò il capo, ancora leggermente turbato dai propri incubi, e non vide Radish: il suo letto era vuoto, le coperte ammucchiate in un angolo, il cuscino per metà in terra. Pump invece era al suo posto. Scomposta come un puzzle appena inaugurato dormiva per metà dentro e per metà fuori dal letto, un soprammobile contorto e di cattivo gusto. Il principe ammirò per qualche istante le abilità contorsionistiche della compagna, ma i suoi pensieri ritornarono a quel sogno. Di nuovo scosse la testa, infilò i guanti e gli stivaletti lattei con l’eleganza di un dio e, dolcemente, fece scivolare nella parete la porta della stanza, trattenendola con due dita. Gettò un’altra occhiata, e Pump stava ancora dormendo, e svanì nel corridoio.
 
La torre dei dormitori era immersa nel buio. Lontano, le finestre in fondo all’androne filtravano la tenue luce della luna. Quale delle due fosse, a Vegeta non importava. La terribile visione che lo aveva nuovamente visitato quella notte non gli usciva dalla testa. Il ticchettio dei suoi passi rintonò per l’edificio, silenzioso arrivò fino alle scale, quando il ragazzo ricordò: sapeva volare. Certe volte ci si dimentica delle proprie abilità più basilari. Ma non degli incubi più traumatizzanti. Ciaff! Vegeta si colpì al volto, ma nulla. Allora accelerò, sibilando per l’aria buia del grattacielo, su e più su, sempre più in alto per la rampa di scale quasi immacolata. Spalancò la porta in cima alla torre e il vento lo investì urlando. Fresco quasi gelido, una goduria in quella notte atipicamente afosa. Vegeta si avvicinò alla ringhiera metallica appoggiandovisi e col respiro tranquillo stette ad ascoltare la melodia del vento, nel faticoso tentativo di allontanare quel ricordo induttore di molteplici incubi.
 
Il vento era disturbato. Vegeta aprì gli occhi, chinò il capo qua e là in cerca di quei suoni lontani che credeva di aver udito. Nulla, poi di nuovo: una scudisciata, un fischio sommesso e lontano. Veniva da sud. Il ragazzo si librò nell’aria piacevolmente refrigerata, saltando oltre il parapetto, giù verso il cortile vuoto. Galleggiò oltre la titanica entrata dell’accademia, sopra il vialone che portava verso la città. Sulla destra, il campo del club di combattimento era occupato. Una singola figura danzava nelle ombre della notte, sollevando terra con violente sferzate. Movimenti rapidi, forti, tanto da spaccare un macigno; salti, capriole, atterraggi saldi e spaventosamente precisi. L’aria si svuotava tra le sue mani, schioccando rotta dalla velocità dei colpi. Ogni tanto il sudore freddo colò verso terra, solo per svanire nella sabbia.
 
Ad un tratto, si fermò. Radish aveva notato lo sguardo di Vegeta puntato su di sé. Espirò, esiliando tutta la tensione dal suo corpo gonfio e stanco. Si massaggiò con forza una spalla, il braccio alzato, il bicipite contratto e scolpito. Chiunque vedendo quei due saiyan uno accanto all’altro avrebbe visto più potenziale, più prestanza fisica nel ragazzo grande, quello dai capelli lunghi e dalla corporatura più che aitante. Quel signor chiunque non sarebbe stato capace di sondare il divario incolmabile che li separava.
 
“Ehi.”
Radish ricevette in risposta soltanto un grugnito.
“Non riesci a dormire?”
Vegeta ignorò la sua domanda e fece qualche passo verso il ragazzo capellone.
“Ti serve un compagno?” chiese il principe, alzando un pugno stretto in segno di sfida.
 
Radish non seppe come rispondere. Tra sé e sé pensò di dover dire di sì, ma non ne aveva voglia. Nei suoi occhi si era cicatrizzato il volto di Pump. La smorfia di dolore dell’amica che non era stata in grado di confidarsi con lui. Gli occhi stanchi e contenti di quando aveva potuto rivedere Vegeta, dopo la sua assenza alla fine della missione qualche giorno addietro. Il saiyan non riusciva a comprendere le proprie emozioni, né a sondarne l’intensità, tanto che aveva cominciato a costargli il sonno. E sonnambulo si era comportato esattamente come avrebbe fatto Vegeta, cosa di cui si era già accorto e che per nulla gli piaceva, come il principe era solito fare si era rintanato in un solitario allenamento. Alzò lo sguardo, pronto a scacciare Vegeta, o in alternativa ad andarsene. Ma rimase di sasso: sottilissimo, impercettibile per quelli che non lo conoscevano, ma un leggero sorriso si era insinuato tra le labbra di Vegeta. Confuso, Radish disse soltanto: “Sì.”
 
Vegeta piegò le gambe, alzò le braccia, allargò i gomiti. L’altro gli era già sopra. Una capovolta, e Vegeta si trovava già lontano, pronto a rispondere al prossimo attacco. Un maglio calato sull’incudine non ancora calda, Radish piombò nuovamente su di lui. Lo mancò, rovinando in terra. Getti di sabbia schizzarono verso il cielo albeggiante. Non demorse. Balzò in avanti, allungò le mani come una belva fa con gli artigli affilati. Prima, la destra, dritta sul collo. Niente da fare, Vegeta lo intercettò e gli bloccò il polso. Allora la sinistra, meccanica, ma sinuosa. Di nuovo venne fermato e stretto nella salda presa del principe.
 
Vegeta alzò il mento, in su, con la fronte all’indietro, come una molla carica. Ma Radish si era abituato allo stile del principe e, ancor di più, conosceva il suo modo di pensare. Certo, quando gli diceva di “usare un po’ di più la testa” non intendeva spronarlo a prendere a testate il proprio avversario, e ora quel vizio gli si sarebbe ritorto contro. Radish alzò una gamba e, come programmato, il naso di Vegeta andò a salutare con fin troppo trasporto il ginocchio dell’altro. Non vi fu tempo da perdere, se mai ci fosse stata un’occasione decente di colpire Vegeta, era quella. Le dita strette in un pugno, Radish si lanciò su di lui: aveva proprio voglia di colpirlo al volto, magari di lasciarlo volare lontano, anche qualche metro soltanto. Era fermo, ancora stordito, la sua mano sempre più vicina, fibrillante, scintillava di energia, mancò qualche centimetro, poi soltanto un paio di millimetri. E poi…
 
Lo colpì. L’impatto risuonò sordo nella zona, echeggiando per i campi. L’impeto dell’attacco lo trascinò con sé e Radish ruzzolò in terra, riempiendo la tuta di polvere. La mano era tutta un dolore, cosa che al momento non gli interessava, così si alzò in fretta. Ma Vegeta era ancora lì. Era scivolato per qualche spanna nella sabbia, tracciando dei solchi in terra, ma era ancora sui propri piedi. Sotto lo sguardo attonito di Radish raddrizzò la schiena, poi si voltò verso il compagno. Alzò una mano. Radish si sentì in pericolo, balzò indietro, pronto a rispondere.
 
Vegeta cominciò a grattarsi nervosamente il capo: “Che male.”
L’altro dapprima non rispose. Le sue braccia caddero lasse verso terra.
“Che problema hai adesso? – Chiese Vegeta – Cosa sarebbe quella faccia da ebete?”
Radish non sapeva proprio che dire: “Io, io… Che significa ‘che male’?”
“Sei rincretinito di colpo? Mi hai fatto male. Sì, molto poco, ma l’ho sentito.”
“Io… Tu… Ne sei sicuro?”
“Ma che… Guarda che sono stato colpito io al cranio, non tu! Se vuoi ti martello un po’ quella zucca vuota, poi vediamo se non ti fa male!”
“No no, faccio volentieri a meno.”
“Allora datti una mossa e vai a cambiarti. Ho fame.”
“S-sì, Vegeta.”
Vegeta si voltò, diretto verso l’ingresso dell’accademia: “Perlomeno mi hai fatto passare di mente quello stupido sogno…” E prese a camminare.
“Non mi hai mai spiegato perché certe volte-
“Taci.”
-sogni il signor Nappa che fa il bagno.”
 
Note dell’Autore:
Avete presente Vegeta alla fine della saga di Cell, quando dice: “Non combatterò mai più.”? Ecco, con me accade la stessa cosa ogni volta che dico: “Disegnerò meno scene di combattimento.” Che devo dire, sono un po’ confuso. Se vi va, lasciatemi un messaggio o un commento a riguardo, mi rendereste molto felice.
 
L’inizio della sessione d’esame, il peso di non riuscire ad uscire di casa, le letture che calano (per dire, non mi segue nemmeno più la mia coautrice) e tutti quei simpaticoni che mi scrivono in privato… Ecco, la mia forza di scrivere è proprio scarsa. Forse la pubblicazione raggiungerà la stesura dei capitoli e non sarò più in grado di pubblicare un capitolo ogni settimana. Anche qui, chiedo alla mia dozzina di lettori di farmi sapere cosa ne pensate a riguardo, se vi va. Però magari questo terrore funzionerà come ottimo propellente per la scrittura!
 
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo. L’anno due è pieno di eventi, ma con tutto questo è molto difficile da scrivere! Spero di non deludervi. Grazie per aver letto fin qui.
 
Non perdetevi assolutamente il seguito!
   
 
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