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Autore: Blablia87    22/02/2021    3 recensioni
John Watson, ex medico militare, non ha mai utilizzato - benché gliene sia stato fornito uno come sostegno durante il periodo di riabilitazione a seguito di un ferimento in missione - un R'ent. 
Preferisce continuare a percepire la realtà attraverso i sensi, invece di riceverla sotto forma di impulsi elettrici.
John Watson non comprende come possano esistere persone, i Ritirati, che decidono di isolarsi in modo permanente dal mondo lasciando ai propri Sostituti il compito di unico filtro tra loro e l’esterno.
John Watson è convinto che, per lui, la guerra sia finita.
Fino a quando il R'ent di un Ritirato, Sherlock Holmes, non compare sulla porta del suo studio in cerca di aiuto.
[Sci-Fi!AU][Johnlock][“Android”!Sherlock]
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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21.
(ovvero di abissi e stabulari)

 

 

 

Il silenzio irreale che si era venuto a creare attorno a loro si infranse di colpo, rotto dalle note acute di una suoneria. John trasalì, sentendo il proprio cellulare vibrare con forza attraverso la stoffa della giacca. Sherlock, il pugno sospeso in aria a pochi centimetri dalla porta, si voltò verso il medico con aria interrogativa. Lui scosse le spalle, iniziando a cercare l’apparecchio in modo frenetico. Riuscì ad afferrarlo dopo un paio di tentativi, convinto di vedere sul display il numero della clinica. Invece, in un bianco acceso su sfondo scuro, comparve la scritta “numero non disponibile”. John la osservò per qualche secondo, confuso.

«Da’, è per me» intervenne il R’ent, allungando la mano verso l’altro. Il medico lasciò cadere il telefono sul suo palmo aperto, mentre la suoneria riprendeva a suonare dal principio.

«Spero ne valga la pena. Lo sai che odio essere controllato» rispose Sherlock, allontanandosi di qualche passo dalla porta con il cellulare all’orecchio.

John si voltò, guardandolo muoversi sicuro attraverso la piccola piazza.

«Oh» lo sentì poi dire, riuscendo a cogliere una vena di sorpresa nel tono basso del R’ent. «A chi è affidato il caso?»

Il medico inclinò la testa da un lato, indeciso sul da farsi. Lanciò un’occhiata alla porta alle sue spalle, poi al detective. Alla fine, dopo un’ultima sbirciata al portone, si allontanò a sua volta.

«Metti Lestrade a capo delle indagini. Saremo lì fra poco» terminò Sherlock, chiudendo poi la telefonata con un gesto rapido. Mosse gli occhi avanti e dietro per qualche secondo, seguendo il filo dei propri pensieri. Alla fine, un sorriso leggero gli increspò le labbra.

«Andiamo» si scosse, lanciando il cellulare a John, che lo afferrò con un movimento lievemente impacciato.

«Dove? E che ne facciamo degli hacker dai cappelli neri?»

«Non si va a tentoni in cerca dei componenti di un’equazione, quando si ha l’opportunità di dare un’occhiata da vicino al risultato» rispose il R’ent, sibillino.

«Chi diavolo era, al telefono? E perché aveva il mio numero?» riprese John, con ancor maggior enfasi.

«Tutto a suo tempo, Dottor Watson, tutto a suo tempo» si limitò a sussurrare l’altro, avviandosi verso in vicolo.

«Che poi sarebbe il tuo tempo, dico bene?» lo apostrofò lui, respirando nervosamente prima di mettersi anche lui in marcia.

«Il tempo non è di nessuno» rispose con noncuranza Sherlock, accertandosi che il medico lo stesse seguendo. «Il tempo è relativo. Il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.»

«E cosa stiamo facendo, esattamente, in questo istante?»

 

«Ci prepariamo a dare uno sguardo nell’abisso.»

 

 

***

 

 

John si appoggiò la punta del pollice sinistro alla fronte ed iniziò a muoverlo distrattamente avanti e indietro, quasi quel movimento oscillatorio potesse aiutarlo a diradare la foschia densa che sentiva avvolgere i pensieri.

L’Ispettore Gregory Lestrade – capelli brizzolati e viso abbronzato – lo affiancò con un sospiro, inclinando la testa da un lato. Portò gli occhi scuri sul medico, cercando di capire se quanto avevano di fronte lo stesse turbando più del dovuto. Sherlock, che con passo frenetico aveva immediatamente iniziato a muoversi nel grande capannone nel quale si trovavano, aveva garantito per lui, ma questo non voleva necessariamente dire che lo avesse fatto con sufficiente cognizione di causa.

Lestrade aveva imparato, con gli anni, che il detective tendeva a sottovalutare la componente umana nelle persone quando si trovava particolarmente in sintonia con loro. Era come se, per lui, il mondo si dividesse in due enormi categorie, ben distinte e opposte: chi giudicava indegno della propria attenzione e chi, stimolandola, veniva tollerato. Gli appartenenti al secondo gruppo, però, raramente venivano trattati come esseri dotati di una sensibilità propria: per Sherlock le emozioni erano – per sua stessa ammissione – quanto di più insensato, tossico e distruttivo si potesse scegliere di seguire. Per cui, per quanto gli era stato dato di capire e vedere nel corso della loro collaborazione lavorativa, chiunque godesse in un qualche modo della sua stima veniva trattato come se non ne avesse affatto.

«Va tutto bene?» domandò dopo qualche secondo, cercando di decifrare quali riflessioni e scenari si stessero snodando di fronte allo sguardo attento e fisso dell’altro. «Non è obbligato a restare, se vuole» tentò, mentre Sherlock iniziava ad analizzare un’altra corsia, le mani dietro la schiena e gli occhi veloci su ogni viso, lembo di stoffa, espressione.

«Sono tutti R’ent?» chiese John, girandosi verso l’ispettore ed ignorando la sua domanda.

«Quasi tutti, sì» confermò lui. «Quelli alla base della pila, sistemati laggiù – puntò un dito verso il fondo del capanno industriale, dove una decina di corpi giacevano a terra supini, sporchi e con i volti ricoperti di muffa verdastra – erano dei cyborg. Ma sono la minoranza.»

John annuì distrattamente, portando l’attenzione sul detective.

«Se vuole, può aspettare fuori…» provò Lestrade, con tono accondiscendente.

John ebbe un fremito, tanto che l’ispettore penso che stesse per voltarsi ed andarsene. Invece, si rese conto con sorpresa, quel piccolo sobbalzo era servito solo a sottolineare il sorriso stanco che gli era apparso sul viso.

«Sono un Capitano dell’esercito in congedo. Ho visto cataste di corpi più grandi di questa» commentò il medico, lanciando un’occhiata veloce all’uomo accanto a sé. «E nessuno di loro era fatto di metallo e silicone» aggiunse lentamente, come se trovare le parole fosse divenuto improvvisamente difficile, pesante.

«Capisco» annuì Lestrade, prendendo un respiro profondo. «Mi dispiace.»

John si morse il labbro superiore, socchiudendo gli occhi. L’eco di un’esplosione lontana nel tempo e nello spazio gli esplose nella mente, azzerando per qualche attimo ogni pensiero. Una fitta di dolore bollente gli attraversò la gamba sinistra, costringendolo a piegare il ginocchio.

«Non dev–» iniziò, venendo interrotto dalla voce emozionata di Sherlock. Nonostante la conformazione del sintetizzatore vocale dei Sostituti non fosse pensata per riprodurre l’intera gamma di intonazioni umane, l'eccitazione nel tono usato dal detective apparve evidente.

«Ma certo…! Si è evoluto!» gridò, allargando le braccia.

Lestrade aggrottò la fronte, muovendo un passo verso di lui. «Cosa intendi esattamente?» domandò, liberando le mani dalle tasche.

«Vieni a vedere!» continuò il R’ent, ignorandolo.

L’Ispettore fece per avvicinarsi, venendo immediatamente bloccato da un rapido gesto della mano di Sherlock.

«Non tu. John» gli spiegò velocemente, senza nemmeno guardarlo negli occhi. «Vieni a vedere!» ripeté, facendo cenno al medico di raggiungerlo.

Lui sollevò le sopracciglia, sorpreso, aspettando che il poliziotto gli indicasse cosa fare.

Lestrade chiuse gli occhi per qualche istante e ispirò lentamente, cercando di calmarsi. Poi, senza nascondere il proprio disappunto, annuì. «Vada. Basta che Sherlock ci dia una pista valida, alla fine dello show» sospirò.

Il detective rimase impassibile, immobile al centro di due file di corpi sistemati l’uno di fianco all’altro, supini.

John lanciò un ultimo sguardo all’ispettore passandogli accanto, come a chiedere un’ulteriore conferma a poter procedere. Lui si limitò a ricambiare lo sguardo, affondando nuovamente i palmi nelle tasche del cappotto.

«Non mi sembra il momento di perdersi in enigmi, mezze frasi e affermazioni criptiche» sussurrò il medico a Sherlock non appena furono sufficientemente vicini, muovendo la testa verso Lestrade, alle sue spalle. «Gli stiamo facendo perdere tempo.»

«Lui vuole una pista. Meglio ancora, un movente ed un sospettato. Tutte cose che richiedono tempo e pazienza» rispose il Sostituto, riprendendo a muoversi in direzione del fondo del magazzino.

«E conti di trovare tutti e tre qui?» domandò John, scettico, affiancandolo.

«Per la verità, no» ammise l’altro. «Ma ho già trovato qualcosa di interessante» gli confidò, abbassando capo e voce.

«Davvero? E cosa?» ribatté il medico, serio, assumendo lo sguardo attento di chi è pronto ad un ascolto scevro da pregiudizi.

 

«Un percorso di crescita» rispose Sherlock, con un sorriso. «Questo non è un cimitero, John. È lo stabulario di un laboratorio.»



Angolo dell'autrice:

l'ultima volta che ho pubblicato un capitolo di questa storia era il 19/06/2018 ed io... ero al quinto mese di gravidanza.
La mia vita, potete ben immaginarlo, da allora è profondamente cambiata.

Pochissimi giorni fa, senza un vero perché, mi sono ritrovata nuovamente tra le storie di questo sito. Di questa sezione.

Ho trovato tante, tantissime recensioni che negli anni non avevo visto. Messaggi. Richieste, alcune anche piuttosto accorate. 

Mi sono sentita profondamente in colpa, per aver lasciato alcune storie così. Sospese, incomplete, senza una fine. Questa, che è stata una di quelle che più ho amato, mi ha richiamata a gran voce. E mi sono ricordata che, nello scorrere dei mesi poi divenuti anni, ero arrivata quasi alla sua conclusione (sul manoscritto). Più di 465 cartelle world piene di parole e vita, piene di una storia ben chiara nella mia mente e nel mio cuore. 
E, quindi... ho scelto di darle una seconda possibilità.
Di darmi, una seconda possibilità.

Dei nomi di autori e recensori che ero solita conoscere, ho visto, ben poco è rimasto. 

Il fandom, e questa sezione - com'è giusto e naturale che sia - è andato avanti. 

Ma io - che al caso non credo mai ma vi affido sovente la mia vita - sento che dev'esserci un perché, se sono tornata a scorrere queste pagine.

Quindi, per chiunque si ricordi chi io sia: ben ritrovati! Sì, sono proprio Blablia87.
Per chi non sapesse chi io sia, ben trovati. Questo luogo, anni e anni orsono, è stato a lungo la mia "casa". Ed è con un po' di emozione che, ancora una volta, poggio sul suo pavimento caldo le mie valigie.

A tutti, come sempre e di cuore, grazie per aver letto fino a qui.

A presto,
B.

   
 
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