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Autore: Bibliotecaria    24/02/2021    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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14. Guardare al futuro
 
 
Il giorno seguente mi ritrovai a fare un giro con tutta la combriccola per le strade degli artisti: non c’ero mai stata prima ed ero curiosa di vedere il quartiere, in cui, alcuni di quelli che sembravano essere un branco di artisti squattrinati, diventarono gli artisti più famosi della nostra generazione; per giunta avevo un bisogno di allontanarmi da casa.
“Non vedevo tutti questi colori dall’ultima volta che ho festeggiato l’arrivo della primavera a Lovaris.” Ammisi stupita guardandomi in giro con occhio critico. “La primavera? Si vede che siete un branco di contadini del sud.” Lanciai un’occhiataccia a Nohat. “Ti faccio notare che la contadina del sud indossa solo un giacchetto con sotto un maglione e una sciarpa.” Dissi mettendo in evidenza la mia giacca in pelle. “Tu, invece, sembri dover andare in una qualche missione esplorativa al estremo Nord.” Dissi divertita dal suo giaccotto spesso, la pesante sciarpa, guanti imbottiti, pantaloni in lana grezza e altri tre strati di vestiti pesanti. “Ne riparliamo tra due settimane.” Si lamentò Nohat mettendosi a posto il suo berretto di lana.
Mi passai annoiata una mano trai capelli: l’arte moderna non era un mio grande interesse, però non potevo negare che molti quadri, foto, sculture, canzoni e scenette erano incredibilmente suggestivi.
Camminammo pacifici finché un’esposizione di foto una attirò l’attenzione di Felicitis. “Diana, Giulio.” Noi due ci voltammo confusi e un istante dopo sbiancammo. “Oh, porca puttana…” Sussurrai. “Cazzo.” Mi fece eco Giulio.
 
Avete presente quella gigantografia dei primi anni di Lorenzo Menagalli, che rappresenta due amanti che camminano abbracciati, con sguardo innamorato, in una grigia giornata di Meddelhok meglio conosciuta come Gli Amanti? Ecco la ragazza meticcia dai disordinati capelli biondi sono io e il ragazzo arrossato dal freddo è Giulio.
Sinceramente mi ero totalmente dimenticata della questione, ma nel istante in cui vidi la gigantografia di quel attimo rubato mi sentii invadere da un’ira incontenibile. Scannerizzai l’area con fare omicida fino a che non individuai un viso vagamente familiare. “TU!!!” Esclamai con fare iracondo avvicinandomi a passo cadenzato al fotografo che si stava placidamente facendo un viaggio con qualcosa di particolarmente efficace perché come mi vide mi sorrise. “Oh, salve. Serve qualcosa sorella?” Mi domandò quel mezzo scapigliato decadentista dalla faccia da schiaffi più grande del mondo. “Sorella?” Domandai tirandomi su le maniche mentre un leggero tic apparve al mio occhio sinistro. “Sì, sai, se ci pensi discendiamo tutti dalla stessa creatura monocellulare, quindi questo rende te e me fratello e sorella.”
“Risparmiami le tue cazzate da figlio dei fiori. Sono qui per quella gigantografia.” Dissi serissima incrociando le braccia. “Oh, Gli Amanti, ti piace? Non è esattamente il mio stile ma… la luce era stupenda e quei due ragazzi così persi dal giogo del amore, forse è un po’ troppo romantica, però il fatto che siano un umana e un licantropo rende tutto così piacevolmente proibito.” Spiegò con la calma tipica di chi è strafatto di erba. “Come fai a dirlo: umani e licantropi sono dannatamente simili.” Domandai irritata iniziando a schioccarmi le dita. “Sono un attento osservatore e i licantropi tendenzialmente hanno peli e capelli più fulvi e di una consistenza diversa da quella delle altre razze, per questo raramente diventano pelati, sai?” Mi raccontò per poi tirare un altro profondo respiro di quella roba dal odore acre e dolce allo stesso tempo, tossii leggermente infastidita. “La ragazza invece… i vestiti parlavano da sé: non era roba nuovissima quella che indossava, ma era di una qualità che un Altro comprerebbe solo per delle feste, ma un’umana con delle medie entrate si può permettere qualche vestito da tutti giorni di quella qualità.” Mi spiegò. “Non hai pensato che potrebbero non essere d’accordo?” Domandai seccata. “Non ho scritto un codice identificativo, le persone possono leggere in quella foto quel che preferiscono. L’arte non può essere spiegata.” Disse il giovane uomo che mi guardò seriamente per la prima volta e sbiancò. “Oh.” Sussurrò facendo inclinare la canna tra le sue labbra. “Esattamente. Oh.” Dissi fissandolo in cagnesco. L’artista rimase immobilizzato per qualche istante poi si mobilitò. “Tesoro!” Chiamò Lorenzo Megagalli ed uscì un giovane uomo dalla pelle molto scura, probabilmente la sua famiglia doveva avere origini nelle zone del Deserto come il mio nonno paterno. “Dimmi amore?”
Ebbi un secondo di smarrimento, non compresi se si erano fatti di qualcosa di particolarmente pesante o se fossero effettivamente ciò che credevo.
“Mi tieni d’occhio i miei figlioli. Devo parlare con questa gentile signorina.” Disse alzandosi e baciando, sulle labbra un altro uomo, nel ventitré, a soli tre mesi di distanza dall’ultima volta che avevano castrato un altro omosessuale, davanti a tutti.
Sapevo dell’esistenza degli omosessuali e transessuali, ma prima di allora non ne avevo mai visto nessuno dimostrarlo, tantomeno così apertamente.
Il fotografo prese un’altra boccata e mi fece cenno d’entrare. “Se vogliono possono venire anche i tuoi amici.” Mi informò facendomi spazio per entrare. Mi voltai un attimo per controllare se il resto della combriccola mi stesse seguendo e notai con piacere il modo in cui l’amante di Lorenzo Menagalli fece un occhiolino a Galahad che arrossì vistosamente dopo un’istante di confusione più totale, non resistetti a trattenere un sorrisetto sulle mie labbra.
 
Al interno del laboratorio-casa-museo c’erano almeno altre cinque persone e potei vedere diverse foto parecchio esplicite sull’omosessualità e anche diverse coppie miste. “Vuoi diventare una voce bianca per caso?” Domandai sconcertata, lui fece spallucce. “Tanto non mi sento un uomo quindi mi farebbe quasi piacere e per scopare non mi serve l’uccello.” Sbiancai, avevo sentito dire che la gente dichiaratamente appartenente a quel mondo non aveva peli sulla lingua, ma questo era troppo anche per una come me.
E prima che qualcuno mi dia della vecchia vi ricordo a tutti che era il ventitré, che l’omosessualità era un tabù enorme e che la transessualità non esisteva ufficialmente, e venivano entrambe considerate alla stregua di una malattia mentale fino al 2036 dall’organizzazione nazionale della sanità. Oramai non si usava più castrarli o sterilizzarli a priori come si faceva quando i miei genitori erano giovani però, se qualcuno veniva classificato come pericoloso per la buona norma, ed era, guarda caso, un omosessuale, veniva castrato senza tanti ritegni.
“Ti potrebbero mandare in prigione per quel che dici, lo sai?” Lui mi lanciò un’occhiata annoiata e fece spallucce. “Meglio me che i miei compagni.” Disse entrando in una stanzetta, nel frattempo sentivo Felicitis squittire per la vergogna e anche Vanilla era chiaramente a disagio, invece per me, paradossalmente, non fu così assurdo: essendo cresciuta praticamente circondata da maschi oramai ero abituata a vedere certe riviste, ed ero abituata alle lunghe estati passate mezzi nudi sulle rive del fiume, quindi non ero particolarmente scandalizzata dalla nudità, ciò che mi metteva realmente a disagio era il fatto che tutto, anche le pose più provocatorie, avevano un qualcosa di sacro e di elegante, non erano mai foto volgari, per di più vedevo spesso gli stessi modelli e modelle posare per foto sia dolci che provocatorie.
 
“Chiedo scusa per il disordine e per il disagio, ma per me la sessualità è qualcosa di cui bisognerebbe parlare a cielo aperto.” “Certo, e se la vedono dei bambini?” Domandai, fece spallucce, era chiaro che non gli interessava. Nel frattempo Giulio mi si avvicinò. “Quello che hai fatto è una violazione della legge sulla riservatezza.” Commentò il mio compagno seccato. “No. Eravate in uno spazio pubblico, non ho condiviso informazioni sensibili su di voi, è tutto legale. Vi avevo anche proposto di vedere il mio lavoro.” Intuii che l’effetto della droga stava diminuendo, per fortuna, ne dedussi, oltretutto, che ne dovesse consumare parecchia per riuscire a riprendersi così velocemente.
“E la mia offerta.” Disse Menagalli iniziando a cercare dentro ad un cassetto fino a quando non trovò una versione più piccola della gigantografia lì fuori. “Rimane sempre valida.” Concluse passando a Giulio la foto, lo vidi esitare per qualche secondo e lanciare un’occhiata interrogativa a Menagalli. “È un regalo di scuse, conservatela, siete venuti bene e tra qualche anno varrà una fortuna.” Non era decisamente un tipetto umile, all’epoca pensai che fosse solo un galletto troppo pieno di sé, ma dato il suo enorme successo si può dire che in realtà era molto confidente nelle sue capacità.
 
Mi avvicinai a Giulio e osservai meglio la foto: era stata plastificata, prima di allora non lo avevo mai visto fare. Giulio la osservò per diversi secondi, stava chiaramente rimuginando su qualcosa. “Non hai detto a nessuno che…” “Nessuno lo chiede di dorma, poiché alla gente interessano le apparenze, in quella foto non si capisce bene che cosa siete, solo un attento osservatore ci riuscirebbe. Fin tanto che è una giovane coppia etero inter-razza nessuno dice nulla. Ma appena scoprono che siede una coppia intra-razza quei vecchi bavosi iniziano a fare storie. Per questo mi è piaciuta così tanto da farne una gigantografia.” Ci spiegò Lorenzo Menagalli recuperando la una sua macchina fotografica, per un istante credetti che la volesse pulire o altro, poi vidi il flash che colpiva Vanilla intenta a guardare in imbarazzo un bacio tra due donne. La ragazza si voltò sorpresa.
“Ti dispiace?” Domandò Lorenzo Menagalli mostrando la sua macchina, Vanilla accennò negativamente. “Se mi paghi…” “Di solito chi pago mi fa vedere le bocce.” Sottolineò Menagalli e per riflesso gli afferrai il colletto della camicia. “Ma non mi sembra il caso di spingersi a questo.” Continuò terrorizzato. “Bravo.” Borbottai uscendo seccata e trascinando via Vanilla e Felicitis.
 
“Porco.” Sussurrai irritata una volta fuori. “Diana…” Mi riprese debolmente Felicitis. “Le ha chiesto di mostrargli le tette.” Controbattei prima che Felicitis potesse aggiungere altro. “Ma… tanto a lui non interessano le donne.” Disse Vanilla cercando di liberarsi dalla mia presa senza alcun successo. “Dubito. E anche se fosse queste richieste sono disgustose.” Continuai seccata. “Diana, stava solo scherzando…” Continuò Vanilla nervosamente. “Non si scherza sull’intimità altrui.” Continuai camminando a passo svelto. “Diana ti vuoi calmare! Non sono una bambina, so badare a me stessa!” Esclamò Vanilla dandomi uno strattone e a quel punto la lasciai andare, trassi un profondo respiro e risposi. “Senti Vanilla, non sono una santarellina, e se proprio ci tieni lo puoi fare, non sta a me giudicare. Però ti prego di ragionare: queste foto resteranno in circolo per chissà quanto tempo, potresti finire nel muro di qualche officina e non saperne nulla o in qualche rivista sconcia, cosa credi?” La ripresi con ira. “Credi che non lo sappia? Ma, Diana, a me i soldi servono. E quello che mi da… il capo non mi basta per badare alla mia famiglia. Non tutti sono fortunati come te Diana.”
Ci fu un istante di silenzio in cui mi morsi il labbro inferiore: aveva ragione, malgrado non ci andassi d’accordo, i miei non mi avevano mai fatto mancare nulla e dei soldi di Malandrino, di fatto, non me ne facevo nulla. “Scusa, è che… sei una ragazza sveglia oltre che carina, se ti servono soldi ci sono altre alternative e tu lo sai.” Risposi cercando di calmarmi. “Sì, ma a me i soldi servono ora. Non tra un anno.” Trassi un profondo respiro. “Te ne potrei anticipare una parte io, se ti servono.” Le proposi malgrado fossi conscia che non avrebbe accettato. “Non se ne parla.” Decretò Vanilla e a quel punto tornò dentro a parlare con Menagalli.
 
Quando restammo sole Felicitis si appoggiò a me. “Tranquilla, Vanilla non è stupida, sa quello che fa.” Cercò di rassicurarmi lei e a quel punto la abbracciai dolcemente. “Lo so, ma comunque mi preoccupa.” Continuai, a quel punto Felicitis si strinse a me. “Senti, Diana, tu hai mai conosciuto un… omosessuale.” Mi sussurrò Felicitis deviando il discorso. “No.” Ammisi. “Anche io non avevo mai conosciuto uno finora.” Mi confermò Felicitis. “Guarda che siamo ovunque tesoro.” Tutte e due ci voltammo verso il ragazzo, amante o in qualsiasi modo gli piacesse essere definito, di Lorenzo Menagalli. “Solo che molti non lo vogliono ammettere, e… un po’ li capisco, però non siamo diversi da te e dal tuo ragazzo, cara.” Stavo per spaccargli la faccia quando mi accorsi che quello non era un insulto bensì empatia.
Il ragazzo se ne doveva essere accorto perché mi sorrise. “Lo so che Lorenzo è un po’ stronzo e un amante infedele, ma è un brav’uomo, a modo suo combatte per i suoi diritti e anche per i tuoi dolcezza.” Distolsi lo sguardo più perché non avevo un vero modo per ribattere e perché sapevo che aveva ragione. “Non è la stessa cosa.” Borbottai con la coda tra le gambe, ma una parte di me si rendeva conto che mi stavo comportando così solo perché ero stata ferita nel orgoglio con quella battutaccia.
 
 
Quando ci fummo allontanati a sufficienza Giulio mi batté leggermente un dito sulla spalla, mi voltai e mi fece vedere la foto. “Sarà anche uno stronzetto, ma la foto è bella.” Mi disse Giulio gentilmente, gli sorrisi. “Sì.” Sussurrai osservandola da vicino: si vedeva veramente bene che eravamo noi due e la spontaneità della foto era incredibile. “Ah, prima che me ne dimentichi.” Disse Giulio tirando fuori dalla sua tasca il vecchio pendente a forma di quarto di luna. “La nonna mi ha ordinato di rendertelo.” Lo guardai stupefatta. “Ha insistito, gli ho detto che non serviva ma lei sosteneva che lo doveva a tua nonna e cose così.” Mi spiegò Giulio, a quel punto lo presi tra le mani e con solennità me lo misi al collo, doveva essere in argento poiché pesava parecchio. “E i miei vecchi hanno detto che se vuoi puoi venire a cena da noi, qualche volta.” Sussurrò Giulio in imbarazzo. A quel punto gli sorrisi e gli baciai dolcemente la guancia. “Sarebbe un piacere.” Risposi, poi il discorso di mio padre sulla sua famiglia mi tornò alla mente e probabilmente notò il cambiamento nella mia espressione poiché mi strinse a sé e mi baciò la fronte. “Qualcosa non va’? Non mi hai ancora detto com’è andata con tuo padre ieri sera.” Sussurrò Giulio preoccupato. Abbassai lo sguardo di riflesso. “Parliamone quando siamo soli, non voglio far preoccupare gli altri.” Decisi continuando a camminare.
 
Conclusasi l’uscita mi fermai al solito parco con Giulio e gli raccontai in maniera abbastanza sommaria e fredda quello che ieri mio padre mi aveva raccontato. Giulio mi lasciò parlare, limitandosi ad annuire e ad attendere che continuassi tra una pausa e l’altra. “Non sapevo nulla di questa questione di famiglia fino a ieri.” Gli confessai, sospettato da tempo che mia madre avesse fatto fatica ad avermi ma non avrei mai immaginato che fossero arrivati a questo. “Mi dispiace, non oso immaginare come ti sia sentita.” Si limitò a dire Giulio. “Non preoccuparti, starò bene, è solo… parecchio strano.” Ammisi per poi fissare il parco per qualche istante.
“Senti Giulio tu… prima del matrimonio di Lillà ti eri mai trasformato?” Gli chiesi preoccupata. “No, perché?” Mi chiese confuso. “Nulla, una pulce che mi ha lanciato addosso mio padre ieri e non riesco a liberarmene.” “Quale pulce?” Mi domandò il mio ragazzo fissandomi dritto in viso, sospirai e risposi. “Che tu abbia qualche contatto con gli Antichi.” Lo vidi fare una faccia strana e confusa. “Credi nell’esistenza di quella setta?” Mi domandò Giulio confuso. “Io non credo nella loro esistenza Giulio, io so della loro esistenza. Uno dei motivi per cui a Lovaris c’è una base S.C.A. è anche perché si crede che lì attorno ci sia una loro base o qualcosa di simile. Il fatto che questo tenga alla larga la mafia è solo un extra molto piacevole.” Spiegai per poi tronare a guardarlo. “Quindi tu non sai nulla su di loro?” Chiesi ulteriore conferma fissandolo dritto negli occhi. “No! Diana, te lo avrei detto se fosse.” “Ma allora come hai fatto ad imparare così in fretta a… sai… mutare.” Sussurrai malgrado non ci fosse nessuno nei dintorni. Giulio fece spallucce. “Non lo so. Più spesso lo faccio più mi risulta semplice. So che è strano ma mi sento bene quando muto, è quasi come se finora avessi sempre indossato un abito mio ma troppo stretto, ora invece… mi sento meglio… pienamente me.”
Probabilmente lesse la mia preoccupazione in viso e mi sorrise. “Questo non vuol dire che resterei eternamente un lupastro selvatico. Però… mi piace, non credo che sia così diverso da quello che provano Fate, Folletti e Gargoil quando volano, non trovi?” Trassi un profondo respiro. “Non lo so. La magia come sai non è esattamente uno dei talenti umani.” Ammisi con un sorriso amaro. “In compenso siete ottimi a fabbricare armi.” Continuò Giulio, gli sorrisi. “Sì, questo è vero.” L’abilità nel costruire armi da fuoco era stato quello che aveva permesso agli uomini di conquistare pima tutto l’ovest ed in seguito l’est, in fin dei conti l’umanità aveva vinto per l’avanzamento tecnologico.
“Diana so che sembra spaventoso e, fidati, anche a me spaventa, però quando lo faccio so di fare la cosa giusta, so di stare seguendo la mia vera natura, e dopo un po’ diventa quasi come respirare.” Gli sorrisi. “Va’ bene. Mi fido e non intendo fermarti, però… ti prego, stai attento: non c’è nessuno qui che potrebbe aiutarti a tornare umano nel caso restassi bloccato nella tua altra forma.” Giulio mi sorrise, mi strinse a sé e mi baciò il volto consolandomi, in risposta gli diedi un pizzicotto giocoso sulla guancia e gli donai un bacio vero a cui non esitò a rispondere un istante. Sentii le sue mani stringermi la vita e in risposta mi aggrappai al suo collo venendo inebriata dal suo profumo così dolce ed intenso di legna, di fuoco, di licheni, mi lasciai invadere dalle sensazioni e in men che non si dica venimmo interrotti da una famiglia con bambini che correvano nella nostra direzione, imbarazzati ci separammo totalmente evitando l’uno lo sguardo del altra. Poi, quando quel vociare squillante si allontanò allungai una mano e strinsi la sua, sentii il suo sguardo sul mio e mi baciò dolcemente dietro l’orecchio.
“Adesso è meglio che vada.” Mi sussurrò per poi darmi un ultimo e tenero bacio a fior di labbra. “Certo, ci vediamo domani a scuola?” Ricevetti un cenno affermativo.
 
 
I giorni si susseguirono in fretta e nel giro di breve le vacanze invernali finirono. Con l’avvicinarsi degli esami tutti i miei compagni sembravano essere impazziti ma a me e ai miei amici non poteva interessare di meno. In classe i professori mi torturavano per la questione della tesina, una qualche specie di piccola tesi in cui ad un argomento centrale si connettono materiale studiato da due o tre materie, tuttavia ci passavo su solo un milionesimo della mia giornata. Ovviamente la preside notando il mio poco interesse ritenne necessario farmi un discorsetto. Disse più o meno così o comunque il nocciolo della questione era questo, non mi fido troppo di quel che scrissi nel diario quella notte, ero parecchio irritata. “Signorina Dalla Fonte i suoi voti sono sotto le aspettative di tutti i professori. Ora io e lei sappiamo che ha libero accesso a tutte le università che vuole quindi se desidera entrare in una qualche università prestigiosa le consiglio di alzare i suoi voti.” Appena uscita da quella stanza emisi quello che doveva essere un urlo strozzato di liberazione. “Vorrei vedere quella pomposa rompi coglioni della preside alle prese con una rivolta nella rivolta e riuscire a mantenere una media del otto.” Era questo quello che bofonchiai o pensai appena uscita dal ufficio.
 
 
Pochi giorni dopo, io e Felicitis stavamo lavorando una ricerca per cercare di distrarci dall’assurda situazione che ci circondava, ma più proseguivamo con la ricerca più i miei occhi cadevano su qualcosa che li distraeva ed ogni volta che ciò avveniva un insolito dolore al petto non tardava ad apparire. “Tutto bene?” Mi voltai verso Felicitis in uno scatto, mi stava fissando in maniera confusa e preoccupata, senza accorgermene mi ero incantata sul nulla per un po’ troppo tempo. “Sì, ero solo sovra pensiero.”
Fissai ancora un istante gli oggetti che riempiva la mia mente: una pila di brochure dell’università che mia madre mi aveva lasciato sulla scrivania.
Felicitis spostò lo sguardo su quei libretti colorati e poi me con fare confuso. Le accennai di riprendere con la ricerca e di non badare a me, in risposta mi lanciò una lunga occhiata perplessa ed in fine riportò il suo sguardo sulla vecchia enciclopedia appartenente ad una collezione che mia madre aveva insistito a regalarmi per prepararmi all’entrata al liceo. Erano libroni inutilmente costosi data la loro genericità ed inaccuratezza, tuttavia erano un ancora di salvezza per molti studenti dato che avevano un po’ di tutto. Mia madre li esibiva in biblioteca come se fossero l’orgoglio della casa, io invece li avrei bruciati volentieri o anche semplicemente venduti, odiavo quella sottospecie di soprammobile a forma di libro.
 
Trascorsero diversi minuti con il capo chino su quel enciclopedia senza effettivamente leggere nulla, l’unica cosa che risuonava nella mia mente era l’ira pervadermi con pensieri sempre più devastanti e tuonanti. Mi domandai che senso aveva andare al università a questo punto. Ero una criminale, un’assassina, molto presto la mia vita sarebbe entrata in un vortice di violenza, in più io e Giulio non ci saremmo mai potuti sposare o vivere una vita assieme senza rischiare di ritrovarci la S.C.A. o qualche estremista in casa, in più a quale lavoro avrei mai potuto aspirare se fossi stata etichettata come una che va’ a letto con un Altro, un conto è quando si è ragazzi ma ero quasi un’adulta e sapevo che ai datori di lavoro piace usare la scusa della buona morale per non assumere qualcuno, uno studio legale poi era un ambiente terribilmente sessista, non sarebbe mai riuscita ad emergere in quello o in nessun altro campo se qualcuno avrebbe mai scoperto il mio passato.
“Diana?” Mi richiamò Felicitis quando mi vide alzarmi dal nulla, dirigermi alla scrivania e con uno scatto d’ira strappai quei librettini monocromatici con stampato delle foto in bianco e nero granate del edificio principale. Sfogai su quei libretti la mia frustrazione e rabbia fino a quando non ne rimasero che coriandoli e li buttai nel cestino della mia stanza con dei gesti scattosi e nervosi per poi tornare a sedermi sul mio letto e a concentrarmi con un volto corrucciato sul libro.
Felicitis rimase in silenzio per diversi minuti confusa da questo mio comportamento, poi trovò il coraggio di rivolgermi la parola. “Erano così terribili?” Mi chiese con una risatina nervosa, non riuscii a capire se era spaventata o preoccupata, probabilmente entrambe. Ciò però non avrebbe cambiato il fatto che non le risposi. “Diana, mi dici che succede? A te ha sempre entusiasmato l’idea del università.” Mi domandò cauta dopo diversi minuti in cui ero rimasta zitta a fissare fuori con fare nervoso. Mantenni quella posizione per ancora qualche istante, sentii il mio corpo contrarsi, i muscoli irrigidirsi e mi impiantai le unghie nella carne bramosa di un dolore fisico, poiché avrei fatto di tutto per non dover sentire il peso che da settimane mi premeva sul petto. “Che me ne frega dell’università?” Sbottai ad un certo punto. “Che me ne faccio di un pezzo di carta? Niente! E anche se fosse a me non servirebbe a niente studiare! Appena scoprirebbero la relazione che ho con Giulio o coi Rivoluzionari mi scaccerebbero!” Esclamai buttando fuori quello che mi tenevo dentro da settimane.
Felicitis mi si avvicinò con un balzo e mi donò un dolce sguardo di pura e semplice comprensione, questo mi aiutò a calmarmi, trassi un profondo respiro e buttai fuori l’aria cercando di calmarmi e dopo qualche secondo di silenzio ripresi a parlare. “In più dubito che riuscirei a scappare dalle grinfie dei Rivoluzionari una volta adulta. L’unica sarebbe scappare in un’altra città e sperare che io non sia così importante per loro da rischiare la vita. Però anche se lo facessi i miei genitori e voi restereste qui a Meddelhok e farei di tutto pur di non ferirvi.” Ammisi con uno sguardo duro. “Posso prendermi in giro quanto voglio ma scappare dalla città non mi donerebbe la libertà di scelta.” Spiegai rannicchiandomi sul letto per cercare un po’ di calma. “Stai dicendo che dopo la scuola entrerai a pieno in una vita criminale?” Mi domandò Felicitis preoccupata. “Rinunceresti alla possibilità di una belle casa per questo?” Mi domandò seriamente preoccupata. Sorrisi divertita. “Preferisco vivere da criminale ma sapendo voi ragazzi e i miei genitori al sicuro che passare la vita in una prigione di cristallo con il terrore che un giorno qualcuno scopra quella che è la mia vita adesso. Io oramai ho fatto una scelta, retrocedere non sarebbe da me. È solo che non è facile accettare questa situazione: è frustrante.” Le raccontai, ci fu qualche istante di silenzio.
 
Felicitis si guardò attorno con fare silenzioso fino a quando i suoi occhi non incrociarono i miei. “Hai una bella casa.” Commentò semplicemente lei fingendo di non essersi accorta del mio sfogo. “Dove vuoi arrivare?” Chiesi annoiata da tutti quelli che cercavano di addolcirmi prendendo un discorso per il giro largo, cosa che invece mi ha sempre fatto saltare i nervi invece. “Credi che valga la pena di rinunciare alla tua vita? Non avrai più nulla se ci beccano.” La guardai con fare irritato. Credeva veramente che non sapessi quali sarebbero state le conseguenze? Invece le conoscevo benissimo. “Se stai cercando di convincermi a rinunciare a…” Rimasi un attimo in silenzio per controllare il tono della mia voce. “liberare il drago…” Sussurrai sperando che nessuno mi sentisse. “sappi che sprechi il tuo tempo.” Mi voltai e feci per andarmene ma mi resi conto di non poter andare da nessuna parte: in casa c’erano i miei genitori. Mi sentii in trappola.
“Diana, non voglio impedirti di fare nulla. È la tua vita, non la mia. È solo che non capisco: sembri sempre così sicura di te, così determinata. Dal mio punto di vista tu puoi fare qualunque cosa, anche mettere sotto scacco Malandrino e i suoi compagni più fedeli.” Sorrisi all’affermazione di Felicitis. “Mi lusinghi, ma la verità è che non ho la più pallida idea di cosa sto facendo, e se non avessi voi che mi sostenete mi sentirei persa. So di sembrare forte e sicura, ma la verità è che riesco ad essere così solo quando ho un obbiettivo chiaro e persone che mi circondano: senza l’una o l’altra vacillo, ma senza entrambe sento che non riuscirei a fare nulla.” Ammisi pacata. “Non lo immaginavo.” Mi confessò Felicitis con la sua voce dolce e pacata. “Non fartene una colpa: sono io a volere che nessuno sappia, non accetterei mai di essere considerata debole.” A riguardare ciò che confidai all’epoca quasi mi viene da ridere: il destino è stato sicuramente beffardo con me.
“Diana, posso comprendere le tue ragioni, sotto certi punti di vista, ma se ti senti insicura dovresti parlarne con qualcuno. Quindi, se vuoi… io sono a tua disposizione.” A quelle parole un’immensa tentazione mi invase: condividere con qualcuno il peso che portavo nel petto, sembrava un dolce nettare proibito. Sapevo che Felicitis mi avrebbe ascoltata però, allo stesso tempo, non volevo che lei sapesse cosa provavo, non volevo che sapesse quanto mi sentissi impotente. Però in quel momento mi sentivo così fragile e non resistetti al desiderio di alleggerire anche di poco il peso nel mio petto, così mi avvicinai a lei e mi distesi sul letto.
“Secondo te potrò salvare la situazione?” Le domandai fissando il soffitto. “Che intendi dire?” Mi chiese confusa avvicinandosi un poco in più a me. “Spesso mi chiedo se sarò in grado di risolvere la situazione della missione se degenerasse. In fondo sono stata io a mettervi in questa posizione scomoda, se succedesse qualcosa ne sarei responsabile e il minimo che potrei fare è tirarvi fuori dai guai. Per questo mi domando se sarei abbastanza forte per aiutarvi se mai servisse.” Ci fu un minuto di riflessivo silenzio. “Non lo so.” Ammise Felicitis. “Non ci è concesso saperlo. Non sappiamo cosa ci aspetta ne cosa ci succederà. Ma so che tu farai qualunque cosa per aiutarci e questo basta.” Non ne ero convinta. “Ma se veniste feriti o peggio per colpa mia?” “Non avverrà.” Decretò con fermezza e con una flemma invidiabile. “Ma se avvenisse?” Insistetti. “Questo pensiero mi tormenta da settimane. Come potrei affrontare le vostre famiglie, i vostri amici, come potrei accettare che siete morti per colpa mia?”
Quella domanda mi deprivava del sonno da settimane, sapevo che se una qualunque cosa fosse andata storta avrei rischiato di distruggere la vita dei miei amici e l’idea di vederli soffrire per colpa mia mi distruggeva.
“Diana non devi sentirti così responsabile. Tutti noi sappiamo che sei disposta a tutto pur di aiutarci e se verremo feriti la colpa sarà di chi ci ha colpiti, non tua: siamo stati noi a decidere di seguirti, anche Giulio.” Chiusi gli occhi: aveva ragione, non li avevo obbligati ciò però non mi rendeva meno responsabile per loro. Mi assopii nei miei pensieri per qualche istante inspirando affondo. “Lo so, tuttavia c’è un altro problema.” “Quale?” Mi chiese Felicitis. “Mettiamo caso che tutto vada per il verso giusto, supponiamo pure che riusciamo a tornare a casa tutti interi, sani e salvi. Una volta tornati cosa faremo?” Le chiesi guardandola negli occhi, i suoi dolci e caldi occhi marroni mi incantarono per un istante. “In che senso?” Mi chiese chiaramente con le spalle al muro da questa mia domanda. “Come ci dovremmo comportare con chi ci darà dei traditori? Cosa dovremmo fare per impedire loro di vendere i nostri nomi o di vendicarsi sulle nostre famiglie? Potremmo convincerli di stare dalla nostra parte o dovremmo prenderci cura di loro e farli sparire nel canyon?” Domandai fissando il soffitto in finto bianco della mia camera. “Ed in più, ammettendo di riuscire a sopravvivere anche a questa, noi che cosa dovremmo fare se riuscissimo a liberarci dei Rivoluzionari? Continuare le nostre vite così come sono o tentare di trovare una via migliore per risolvere questa situazione?” Domandai, a quel punto Felicitis mi sfiorò il braccio e con imbarazzo mi parlò.
“Senti Diana, io non sono come te o Galahad, non ho la vostra capacità di pensiero, organizzazione o abilità, né sono così dedita allo studio da raggiungere il vostro livello come Giulio, non ho neppure la volontà di Nohat e Vanilla o il coraggio silenzioso di Garred. Però forse proprio per questo riesco a vedere con chiarezza una cosa.” Mi confessò Felicitis. “Che la risposta alle volte è la più semplice e che non devo per forza addossarmi tutte le responsabilità.” Mi sussurrò lei mentre sentivo un macigno opprimermi il petto. “Per quanto riguarda la nostra incolumità durante la missione non puoi farci nulla: per quante variabili e possibilità tu possa calcolare ci sarà sempre qualcosa che non potrai prevedere. E comunque ti garantisco che nessuno di noi vuole lasciarci le cuoia, quindi staremo sicuramente attenti. Mentre per quanto riguarda ai Rivoluzionari… stavo pensando di raccogliere materiale incriminate.” A quelle parole rizzai le orecchie e sgranai gli occhi, notai una leggera nota di confusione in Felicitis mentre mi vedeva alzarmi di scatto dal letto. “Continua.” La incoraggiai. “Sì, ehm… ti ricordi il fotografo?” “Mister faccio le foto a tradimento? Sì, me lo ricordo.” Ammisi. “Ecco, ho guardato in giro e sembra che si possano recuperare delle fotocamere a basso prezzo con dei rullini abbastanza economici. Potremmo usare questi per fotografare i vari membri dei Rivoluzionari stando attenti a non inserirci in queste foto e minacciarli di mandare i negativi alla S.C.A. se tentassero qualcosa contro noi o le nostre famiglie.”
Guardai Felicitis sorpresa mentre questa abbassava le orecchie imbarazzata. “Scusa, è una stupidaggine, fa come se non avessi detto nulla.” Sussurrò in imbarazzo. “No.” La bloccai. “La tua idea è semplice e geniale. A breve per di più compirò diciott’anni e i miei mi regalano sempre qualcosa per il mio genetliaco.” Raccontai e Felicitis sorrise. “Quindi credi che si potrà fare?” Mi domandò speranzosa. “Discuteremo dei dettagli con il resto dei ragazzi ma credo che si possa fare.” Spiegai con un leggero sorriso. A quel punto riuscimmo a parlare serenamente, come non facevo da un po’. Mi erano mancate le chiacchere inutili e vivaci di Felicitis.
 
Ad un certo punto, senza che ce ne accorgessimo, ci ritrovammo a discutere di sogni. “Sai di recente continuo a fare un incubo.” Iniziai a raccontare sdraiata sul mio letto. “Che genere di incubo?” Mi chiese incuriosita frullando le sue orecchie caprine, me ne accorsi perché aveva appoggiato la sua testa sulla mia pancia a modi cuscino. “È un sogno strano. Sono in una stanza piena di persone che conosco, o meglio io so di conoscere. Ma quando mi rivolgo a loro non mi riconoscono. Cerco di dire il mio nome ma non riesco a pronunciarlo. Tutti mi guardano senza realmente vedermi e ad un certo punto alcuni mi urlano contro. Allora inizio a correre e a correre ma la folla non fa che seguirmi. Poi… poi mi sveglio.” Venni percossa da un brivido al ricordo di quel incubo: il senso opprimente di isolamento malgrado fossi circondata da persone, l’estraneità e l’indifferenza rivolta nei miei confronti, il modo in cui il panico si impossessa di me velocemente, la voce che si blocca in gola ogni volta che tento di pronunciare il mio nome, la sensazione di trasparenza, d’inutilità e poi la fuga, disperata, a perdi fiato, il sudore, la fatica, la pesantezza delle membra ed in fine il risveglio nel panico più totale e la confusione assoluta; spesso e volentieri dopo quegli incubi sussurravo il mio nome, come per essere certa di essere ancora me stessa. “Ce ne sono altri di frequenti?” Mi chiese voltandosi leggermente verso il mio volto. “No.”
Mentivo ce ne era un altro che ancora oggi mi ricordo, del quale però non mi sentivo a mio agio nel parlarne con Felicitis, soprattutto perché mi pareva di avere di già approfittato abbastanza della sua pazienza.
Nel incubo mi trovavo in una stanza senza nessuno nei paraggi tenevo in mano una pistola da cui partiva un colpo che mi trapassava il cuore. Cadevo a terra morta. Assistevo al funerale in cui quelli che mi conoscono piangono la mia morte. Il giorno dopo però alcuni miei conoscenti mi vedono passeggiare per la città con in mano la bandana rossa. Mi segue una folla e dopo un po’ mi butto giù per un burrone. E vado avanti ad suicidarmi finché non mi sveglio.
Il mio corpo venne percosso da dei brividi e un sudore freddo iniziò a disegnare una sottile linea lungo il mio corpo al ricordo, ma lo scacciai dalla mente. A quel punto Felicitis mi raccontò un suo incubo e continuiamo a parlare fino all’ora in cui non era previsto che ci dirigessimo verso il luogo del incontro. Uscimmo da casa mia con una scusa più o meno accettabile e ci dirigemmo al punto prestabilito.
Avevamo un lavoro da svolgere.
 
 
   
 
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