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Autore: Lady_Whytwornian    24/02/2021    0 recensioni
La guerra tra il Bene e il Male in una trilogia - passato, presente e futuro.
Protagonisti demoni e uomini in uno scontro che è iniziato nella notte dei tempi.
Una guerra contro le Ombre che prendono corpo e forza dalla paura e dai sentimenti negativi. Nessuno è troppo bianco o troppo nero per appartenere al Paradiso o all'Inferno
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Iniziarono a muovere prima dell’alba. Il re guardò allontanarsi a piedi la piccola compagnia dove sua figlia avrebbe seguito le indicazioni di un demone: un demone li avrebbe guidati all’inferno.
Immerso in questi pensieri spostò lo sguardo ad est dove un’alba fredda stava per dare inizio al nuovo giorno. Un gelido vento accompagnò il primo raggio di sole. Un brivido corse lungo la sua schiena e non sapeva dire se fosse per il freddo o fosse un presagio di funesti avvenimenti. Chiuse gli occhi. Poi spostò lo sguardo verso la montagna. Da qualche parte, tra le rocce, la debole speranza stava avanzando.
Elbereth si voltò. Fece un profondo respiro mentre guardava la valle e poi avvicinò le mani alla bocca per riscaldarle. Il gelo penetrava nelle ossa e il vento si stava alzando seguendo il ciclo del sole.
Erano in cammino da alcune ore e si muovevano con fatica tra le nere rocce di basalto che caratterizzavano il fianco della montagna segno di un passato segnato da potenti eruzioni.
Le rocce erano lisce e la bruma ancora fresca le rendeva viscide e scivolose.
Arrivarono su una balza dove ne approfittarono per fermarsi a bere e riposarsi un po’.
L’aria fredda che penetrava nelle loro narici rendeva difficile e affannoso il respiro. Si raggomitolarono a terra cercando riparo dietro ad alcune nere colonne di roccia lavica avvicinando la testa alle ginocchia per poter cercare di respirare aria più calda.
L’unico che non pareva risentire dell’ambiente era Damian.
I suoi occhi si muovevano rapidi a scrutare il cammino che ancora li separava dalla loro meta.
Elbereth si alzò e si avvicinò al demone: - cosa stai cercando?
Il demone senza togliere lo sguardo si limitò a rispondere un enigmatico: - la strada.
Se ne stavano lì in piedi su quei resti desolati di roccia nera, desolati come i loro animi e neri come il loro umore.
- Dobbiamo muoverci – aggiunse – il tempo stringe.
Gli altri si alzarono sospirando. Erano ancora provati dal difficoltoso cammino e la via che li aspettava era ancora più impervia. Uomini avvezzi a lunghe e faticose marce ora si trovavano spossati solo dopo poche ore.
Un’ombra cupa si stendeva sulle loro teste. Guardarono l’immenso e desolato paesaggio.
Solo silenzio e ombre che si stendevano lungo tutta la fiancata della montagna. I raggi del sole non riuscivano a vincere la loro forza.
Come una valanga stavano ricoprendo la roccia scendendo verso l’empia valle che si apriva ai loro piedi.
Elbereth si strinse nel lungo mantello di lana.
- Muoviamoci. Ci siamo attardati fin troppo.
Ripresero il cammino. Gli animi oppressi come opprimente era l’aria che li circondava e che respiravano.
Il sentiero che stavano seguendo si inerpicava tra le fredde rocce coperte di muschi e licheni. Qualche arbusto coraggiosamente affondando le sue radici nella nera roccia vulcanica sfidava l’ambiente ostile e mostrava con orgoglio alcune tenere verdi foglie.
Salivano in silenzio. Alcuni cercavano conforto rievocando nelle loro menti le storie d’amore. L’amore. Unico baluardo alla sensazione di paura che si stava insinuando nelle coscienze e che inesorabilmente si stava impadronendo della loro anima. Elbereth ricordava costantemente loro di non cedere alla tentazione, di non arrendersi e di continuare a mantenere salda la loro fede. Ma l’oscurità diventava sempre più forte e l’incertezza sempre più grande man mano che il pericolo si faceva più vicino. L’inquietudine derivava dalla consapevolezza che avrebbero dovuto affrontare qualcosa che non si poteva conoscere o identificare. Dalla certezza che non sarebbe stata una battaglia a loro nota.
Raggiunsero una stretta forcella tra le guglie. Passarono la notte riparandosi in un anfratto senza accendere fuochi.
Poco dopo l’alba ripresero a salire e svalicarono che il sole era ormai a mezzogiorno.
E finalmente giunsero davanti alle porte di Shadow.
E di fronte a loro si ersero le mura. Un’imponente costruzione di pietre che divideva il mondo degli uomini da quello delle anime perdute. Un freddo silenzio si diffuse tra i soldati che ammutolirono alla sua vista. Continuarono ad arrancare fino a giungere all’entrata principale.
- Non di lì. Da questa parte – disse Damian
Proseguirono su un viottolo che costeggiava l’intera costruzione che pareva non aver mai fine.
Il demone conduceva quegli uomini mortali su un cammino che a stento poteva essere riconosciuto. Si stavano inerpicando ormai a caso calpestando rocce che non avevano mai avvertito il contatto dell’uomo. Il sentiero terminò d’improvviso. Il pendio sottostante, che diventava sempre più ripido man mano che avanzavano, era finito e si tuffava nel vuoto abissale. Vapori e fumi si sollevavano come se fossero generati dal suo sprofondare nella terra. Una nebbia fluttuante dai colori cangianti nascondeva ai loro occhi l’infinità sotto i loro piedi. Alla loro destra un muro scosceso e perfettamente liscio privo di ogni appiglio.
- Che scherzo è questo? – si chiese Elbereth guardando il vuoto davanti a lei. Era la domanda che tutti si stavano facendo.
Si fermarono: la profondità dell’orrido li metteva a disagio.
- Ora dobbiamo scendere – disse Damian intuendo i pensieri che stavano affollando le menti degli umani.
Elberth si voltò verso il demone.
- Non temere. Conosco la strada.
Con un balzo sparì alla loro vista. Rimasero sbigottiti da quel gesto a prima vista folle e sconsiderato.
- Ho detto: dobbiamo scendere! – una voce dal baratro giunse a loro
Vincendo la paura uno dopo l’altro lo seguirono imitando i suoi movimenti. Si calarono nel precipizio uno alla volta: appena ebbero passato il bordo videro infissa una catena. Pareva fosse nata insieme alla roccia: gli anelli spuntavano dai massi. Era invisibile agli occhi di chiunque si fosse sporto dal baratro a meno che non avesse avuto il coraggio di sporgersi fino al limitare. La afferrarono e si lasciarono penzolare nel vuoto e con loro stupore i loro piedi si appoggiarono su qualcosa di solido. Un ballatoio dove si apriva l’ingresso di una caverna.
Un’atmosfera immobile avvolgeva ogni cosa. Maledetta e inquietante. Un alone ostile impregnava l’aria gelida che respiravano. Si portavano appresso questa sensazione fin da quando avevano iniziato a salire sul sentiero, miglia e miglia più sotto. Ma allora non era così definita e chiara.
All’inizio si trattava di una vaga sofferenza, un qualcosa di anonimo e indescrivibile. Un retrogusto amaro. Ma poi quell’indefinito era cresciuto in sconforto e inquietudine interna mai provati prima, una sensazione di oppressione al petto come una corda o come una morsa che stringe il torace che li faceva ansimare. Ogni passo costava loro enorme fatica.
Una fitta nebbia permeava l’intera area e la luce si smorzava cercando di penetrarla. L’atmosfera diventava sempre più pesante costringendoli in un affanno sempre maggiore: soprattutto si chiedevano se mai ci fossero effetti dovuti al respirare quest’aria mefitica.
Uno dopo l’altro varcarono la bocca di quella spelonca avanzando chini e a tentoni fintanto che i loro occhi non si abituarono all’oscurità. Annaspavano ad ogni respiro che riempiva di aria gelida e umida i loro polmoni.
Finalmente giunsero ad una grande sala, o così pareva, dato che ora riuscivano con grande sollievo a mantenere una posizione eretta.
Una luminescenza naturale rendeva la volta brillante, come fosse puntinata da stelle.
Si guardarono intorno e videro fissate alla parete delle torce.
Presero degli stracci e li avvolsero e poi li accesero con un acciarino. Ben presto tutte le torce erano in fiamme e poterono finalmente guardarsi meglio attorno.
I brusii che accompagnavano questa esplorazione improvvisamente furono smorzati alla vista di un gigantesco custode che apparve ai loro occhi. Una enorme statua scolpita in una stalagmite si ergeva ponendo i piedi su massi giganteschi: pareva sorgere direttamente dalle fondamenta della Terra e dominava l’intera sala come fosse stata posta a guardia dell’ignoto.
Li osservava con occhi rosso fuoco che parevano braci ardenti. Li fissava e nessuno riusciva a distogliere lo sguardo. Erano come rapiti in un vortice temporale che stava risucchiando loro le forze. Damian era l’unico a non risentire di questo effetto. Strattonò Elbereth e dopo che ebbe recuperato un minimo di forze cercarono di risvegliare gli altri dallo stato di apatia in cui erano caduti.
Passarono in silenzio oltre quella muta sentinella aggrappandosi alle sporgenze di pietra che trovavano man mano che avanzavano. Tastando con le mani la roccia umida potevano aiutarsi infilando le mani nelle nicchie che erano state scavate per metterci candele per illuminare il cammino forse durante qualche processione. Potevano ancora sentire il sego e la cera solidificata al loro interno.
Quando giunsero alla fine della grotta poterono vedere altri incavi intagliati dove ancora qualche traversa di legno era infilata, probabili residui di un’antica scala che pareva portare in superficie. Aggrappandosi a questi spuntoni risalirono attraverso un pozzo fino a trovarsi in quello che parve oro un imponente complesso con cortile centrale circondato da un porticato a grandi arcate. Il chiostro era interamente invaso da rovi e rampicanti morti di cui si vedevano i rami secchi e spogli ancora aggrappati ai muri.
Foglie secche e accartocciate dalle sfumature gialle, oro, marroni, venivano trascinate tutto intorno dai mulinelli creati dal vento bisbigliando sommessi sussurri di funesti presagi.
I loro sguardi furono attratti da un possente portone di legno intagliato sorvegliato da una spaventosa statua che ne sbarrava l’accesso.
I loro sensi erano vigili temendo un’imboscata o un agguato. Erano pronti con le spade in pugno. Ma nessuno pareva essersi accorto della loro presenza. Erano soli.
Con occhi abituati alla ricerca dei pericoli nascosti scrutarono attentamente il cortile e ogni sua rientranza sempre fissando l’ingresso che si trovava dall’altra parte. Ancora silenzio.
Si avvicinarono al muro del porticato e, restando radenti ad esso, si mossero con agilità e velocità, sempre tenendo d’occhio la porta cui volevano avvicinarsi cercando movimenti inaspettati.
- Andiamo – bisbigliò Elbereth
Arrivarono indisturbati davanti la porta. Solo in quel momento si resero conto delle reali fattezze della figura presente a guardia di essa.
Un demone. Solo il guardarlo dava loro senso di ribrezzo. Lo osservarono con timore e terrore.
- Asmodeo – si limitò a dire Damian – compagno di Lilith.
La scultura era così perfetta da sembrare viva: era raffigurato un essere in sella a un dragone che brandiva una lancia e uno stendardo. Aveva tre teste, la prima con le sembianze da toro, la seconda di uomo e la terza di un ariete. Dalla sua bocca parevano fuoriuscire eruttazioni di fiamme e vomito di fuoco dirette verso chiunque osasse avvicinarsi.
Elbereth lo guardò a lungo e sollevando un sopracciglio commentò: - possibilità di incontrarlo?
Poi si mise a studiare la serratura della porta: era intarsiata con eleganza, questo la stupì molto.
Strane figure decoravano quella che pensava fosse la toppa. Si rese conto che non era un sistema noto nelle terre a lei conosciute. Doveva essere più un marchingegno meccanico realizzato da mani molto esperte e da qualcuno con conoscenze che andavano ben oltre quelle umane.
Non c’era maniglia o pomello. Non c’era nemmeno la possibilità di infilare qualche chiave.
- Dovranno pur aprire in qualche modo questa porta!
Si allontanò di qualche passo per poter vederla nel suo insieme. La soluzione era nella decorazione. Ne era certa. Solo chi fosse pratico nelle arti oscure sarebbe così stato capace di decifrare le immagini e aprire la porta.
- Potrei descrivere tutto questo come il mio incubo peggiore – disse rivolgendosi a Damian.
Un groviglio di maschere agghiaccianti e corpi che si sfibravano, che si contorcevano in figure che sfidavano ogni legge della natura, di mani imploranti e di artigli infilzati su volti trasfigurati dalla sofferenza e che afferravano le carni dei condannati alle profondità dell’inferno.
Elbereth era rapita dalle immagini che erano raffigurate: innumerevoli tormenti erano descritti in questo inferno. Strumenti di tortura e demoni che affliggevano i dannati. Le Ombre venivano rappresentate come orridi mostri che offrivano esseri umani in sacrificio.
Simboli alchemici ed esoterici mescolati in quella che era una terrificante allucinazione. Tra essi cercava di decifrare le scritte di cui intuiva la presenza. Ma nessuna delle lingue da lei conosciute era in grado di leggerle eppure più cercava di intuirne il significato più quei simboli riecheggiavano nella sua mente come volessero impadronirsene.
- Questa non è lingua parlata dai mortali – disse Damian, risvegliandola da uno stato di torpore in cui era caduta – nessuno di voi può conoscerla, nemmeno il sacerdote più anziano ed esperto. E mi stupirei del contrario.
Il demone si avvicinò alle immagini intagliate e con la mano le sfiorò una ad una.
Si voltò e disse loro: - nella lingua umana vogliono dire questo:
L’Antico palazzo spalanca le porte
La Tenebra risplende nell’Ombra
La Morte è soltanto l’inizio
Osservò a lungo il bassorilievo. Le sue lunghe e bianche dita continuavano a tastare le figure che parevano prendere vita sotto i suoi tocchi inaspettatamente delicati. Fra le tante riconobbe un Arcano che frustava con la sua lunga coda un dannato mentre stringeva un cranio da cui con i suoi artigli toglieva la carne.
- Qualsiasi essere ci sia oltre questo confine - disse – ha avuto origine prima dei tempi
Lord Hamilton stava perdendo la pazienza: - allora? Sai aprire questa porta o no?
- Un attimo di pazienza, umano – ringhiò Damian – il tempo qui ha un significato diverso da quello che tu sei abituato a dare.
Girò il teschio scarnificato e si sentirono degli ingranaggi ruotare. Si fermarono. Poi un rumore secco più forte fece aprire una fessura che diventava sempre più ampia fino a quando il portone era completamente spalancato davanti loro.
Rimasero per un momento fermi sull’ingresso. Guardarono con attenzione il lungo corridoio che si era aperto: era completamente immerso nell’oscurità. Nessuna finestra rischiarava il passaggio stretto e alto. Non riuscivano a vederne il soffitto. Mossero le torce a destra e sinistra e, così facendo, individuarono dei bracci che sporgevano dai lati e che reggevano delle lampade. Le prime due erano alla loro portata.
- Speriamo che ci sia dell’olio.
Uno dei soldati allungò il braccio e riuscì ad incendiare lo stoppino. Lo stesso fece con la lampada sul lato opposto. Un fievole chiarore iniziò a dare luce ad un luogo che doveva essere rimasto immerso nell’oscurità da molto tempo.
La tenue radiazione si diffuse nell’aria e fu sufficiente per vedere che più avanti altre due lampade gemelle alle precedenti erano appese.
- Sembra che ci sia dato di poter vedere solo pochi passi alla volta.
Tastarono il pavimento per verificare che non ci fossero trappole nascoste tra le lastre che lo ricoprivano e si incamminarono con prudenza fino a giungere alle lampade successive.
- Va bene. Proseguiamo.
Non sapevano dire se salissero o scendessero. Non credevano nemmeno di avere mai fatto svolte o cambi di direzione. Le lampade accese ora erano numerose. Si voltarono e solo adesso videro che ai due lati si trovavano delle porte. Fecero qualche passo indietro e provarono a spingerne una. Era chiusa.
Damian sorrise: - queste porte non saranno mai aperte. Non da voi almeno.
Lord Hamilton gli si avvicinò e gli puntò la spada alla gola: - cosa sai che noi non sappiamo?
- Nulla. Nessuno lo sa. Destino e Libero Arbitrio si contendono equamente gli uomini.
Non aggiunse altro lasciando un attonito William a fissare quella porta chiusa.
Elbereth, dopo aver sentito quelle parole, fece andare avanti gli altri e quando il demone la raggiunse lo fermò.
- Cosa volevi dire?
- Aspettate ad accendere le prossime lampade e ti farò vedere.
Allungò il braccio tastando il muro fino a quando sentì di aver raggiunto una porta. Bastò spingerla e si trovarono dentro un’altra stanza.
- Passatemi una torcia.
Entrarono. Era una stanza completamente spoglia. Appesa ai muri si trovava una lampada simile a quelle viste nel corridoio. La accesero e videro un’altra porta dall’altra parte.
- Non facciamo deviazioni – disse Elbereth – torniamo al corridoio principale.
Fecero per voltarsi, ma la porta da cui erano entrati si era chiusa e per quanto si sforzassero non erano più in grado di riaprirla
- Cos’è questo scherzo? – urlò Elbereth spingendo Damian contro il muro
- Siete liberi di fare le scelte che volete. Ma una volta fatte, non si torna indietro.
- Cosa aspettavi a dircelo?
- Non lo hai chiesto – rispose con naturalezza il demone.
Elbereth spostò lo sguardo verso l’altra porta: - non abbiamo altre possibilità. Andiamo da quella parte.
Lasciò la gola del demone e si avvicinò alla porta che si aprì appena spinse. Un altro corridoio simile al precedente.
Lo percorsero senza ulteriori deviazioni malgrado la presenza di numerose porte che davano su di esso.
Arrivarono davanti ad una scalinata che scendeva e che dava su un ballatoio che a sua volta conduceva ad una vasta sala semicircolare con una porta di vetro colorato. La spinsero con cautela e questa si aprì su una stanza che si inondò di luci colorate appena fecero il loro ingresso.
Un’incredibile danza di colori si presentò ai loro occhi: rosso, blu, giallo che si mescolavano dando origine ad un incredibile caleidoscopio.
Le luci diffuse mostravano un’ampia stanza circolare.
Lungo la parete erano fissati degli specchi che rimandavano l’un l’altro le luci delle fiaccole creando così il gioco di luci che vedevano.
Tra uno specchio e l’altro si trovavano statue in alabastro nero.
Rappresentavano figure metà uomo e metà animale. Erano tutte armate con lance e scudi e le loro teste erano tutte rivolte verso una stessa direzione.
- Altri Arcani – spiegò Damian – queste statue raffigurano esseri creati molto prima dell’uomo. Sono state generate per fare la guardia a qualcosa di ancora più antico.
Elbereth alzò la torcia per fare più luce nella direzione dei loro sguardi
- Ancora porte – sbuffò William
- Non penserai che si possa entrare in questo posto con facilità – disse sarcasticamente Damian.
Di nuovo il demone cominciò a studiare la miriade di immagini e figure sovrapposte che ricoprivano il pannello della porta. Iniziò dallo stipite e dalle sue iscrizioni e una volta trovato il filo conduttore seguì un percorso che ad occhio inesperto pareva casuale, ma invece rappresentava un preciso cammino logico passando da un elemento all’altro in un groviglio di piante, animali uomini e demoni. In questo modo si creava una storia che aveva un principio e una fine. L’ultimo elemento era la chiave per aprire la porta.
Le sue labbra bisbigliavano parole completamente ignote agli altri. Una lingua dura che nessuno aveva osato parlare da molto tempo.
Attende paziente
Nell’ombra vivente
L’oscuro riflesso
L’ignoto ti attende
Attende paziente
- Ancora enigmi in lingua demoniaca – sbottò William
E di nuovo Damian ignorò l’uscita di Lord Hamilton limitandosi a guardarlo con un certo distacco.
Premette sulla raffigurazione di una torcia e poi ruotò quello che doveva rappresentare la fiamma. Un cupo rimbombo fece capire loro che anche questa porta era pronta per essere aperta.
Avevano raggiunto il Naos, la parte più interna e protetta. Il luogo sacro per eccellenza. Lampade ad olio disposte sulle pareti in maniera sapiente illuminavano l’intero spazio con luce fioca ma uniformemente suddivisa in modo che nessun angolo risultasse in ombra.
Altre statue antropomorfiche erano disposte a cerchio lungo i muri. Silenziosi e grevi guardiani che appartenevano ad un’epoca ormai dimenticata dove miti e leggende si mescolavano e fondevano per confondere la verità.
Le fiamme tremolanti davano vita a queste orride creature: le loro pupille brillavano riflettendo una luce rossa, gialla, verde rendendole ancora più terrificanti.
- Cosa stanno guardando? – chiese William
Al centro della sala videro un altare in basalto sorretto da quattro colonne anch’esse in pietra lavica.
Si mossero con circospetto e avvicinarono le torce ad una sorta di tabernacolo situato al centro dell’ara per poterlo rischiarare e vedere bene di cosa si trattasse.
Una clessidra era messa al centro sulla pesante lastra di marmo.
La clessidra era composta da due fiale coniche unite verticalmente al collo con un disco di metallo forato che pareva essere argento.
I due bulbi di vetro appoggiavano su due piatti, uno inferiore e uno superiore finemente intagliati che erano uniti da tre sottili asticelle che ad un esame più attento si rivelarono essere ossa.
Su di esse erano avvolti a spirale degli intrecci intricati che raffiguravano una pianta rampicante anche questi in metallo.
La sabbia scorreva e inesorabilmente scandiva il tempo. I granelli che scendevano rendevano il tempo reale e visibile.
Quello che attirò l’attenzione di Elbereth fu il fatto che pareva accelerare o rallentare a seconda delle emozioni che provava.
Si avvicinò ulteriormente e i granelli parevano simboli che si contorcevano e ruotavano nel loro precipitare. Man mano che la sabbia riempiva la coppa sottostante prendevano vita parole che sarebbero state altrimenti invisibili.
Nuovamente Damian le rese intellegibili anche agli altri:
Frasi non scritte
parole non dette
Il sigillo è spezzato,
Il cammino è mostrato
Mentre si svuotava il cono superiore altri simboli prendevano vita. La loro natura era ben visibile sulla superficie liscia del vetro. I caratteri nell’arcano alfabeto si rivelavano lentamente ai loro occhi. Damian non aspettò e la lingua nera nuovamente risuonò in quella sala. Con voce grave scandiva le parole che venivano generate.
Articolava le singole sillabe in una cadenza quasi musicale. E su questi toni poi le rese accessibili a tutti:
Dove le Tenebre prendono Forma
Dove il Tempo prende Vita
Sotto il Passato, Sopra il Futuro
Mette fine alla Vita e dà inizio alla Morte
Il Tempo resta mentre la Vita scorre
Il demone guardò Elbereth e le disse, intuendo la sua perplessità: - la porta rimarrà aperta fintanto che la sabbia continuerà a scorrere. È questo il tempo che ci è dato.
- Poi che succederà?
- Si chiuderà. Un’altra volta. E resteremo per sempre qui.
  
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