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Autore: Yunomi    25/02/2021    1 recensioni
Zacky chiamava incessantemente, ma sia il cellulare di Brian che quello di Beth risultavano spenti. “Rispondi, lurido pezzo di-”
“Un momento di attenzione, prego.” , fece Matt, piantandosi al centro della navata e con le braccia aperte come un predicatore.
L'officiante lo guardò male.
Tutti gli occhi, compresi quelli gocciolanti di disperazione di Michelle, gli si appiccicarono addosso. “Jimmy qui ha qualcosa da dire.”
Jimmy qui lo guardò come se avesse voluto scuoiarlo e fare paralumi da soggiorno con la sua pelle. Matt, sconvenientemente solenne, gli fece spazio, e si piazzò di fianco a lui con le mani giunte all'altezza della cintura: sembrava un bodyguard di Madonna.
“Ehm...” , iniziò Jimmy, schiarendosi la voce, trovandosi a cercare le parole per la prima volta in vita sua. “Dunque... praticamente, in sostanza, essenzialmente, in concreto, alla luce dei fatti, effettivamente, realment-”
“JAMES OWEN PARLA, per cortesia.” , ululò Valary.
“L'unica cosa di cui siamo certi al centodieci per cento è che Brian ha abbandonato la cappella e mi ha fottuto la macchina.”
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contro la paura
 
 
 
 


 
“Devi andare a chiederle scusa.”
“Non ritengo che sia necessario.”
“Non è una proposta. È una cordiale imposizione.”
Synyster Gates sbuffò il fumo di una sigaretta leggera verso il soffitto. Beth gliela tolse dalle dita. “Dai.”
“Veramente è lei che mi ha tirato un ceffone, dunque dovrebbe essere lei a scusarsi. Gioco di mano, gioco di villano, ne hai mai sentito parlare?”
Beth gli dedicò un’alzata di sopracciglio che diceva tutto e niente.
“E’ una ragazza manesca! Che modi hanno di comunicare, in Italia?”
“Lei ha vissuto in Italia sì e no i primi tre anni della sua vita.”
“Guarda che è quell’età in cui si forma il carattere.”
“Synyster Gates, eminente pedagogo.”
Synyster Gates, eminente pedagogo, scoccò un’occhiata pietosa verso il Cielo, aprendo i palmi: il Cielo gli riversò il suo disinteresse attraverso lo sfarfallio del lampadario della stanza. Rinunciando al suo ingombrante alter-ego per qualche secondo, Brian si stropicciò un occhio e si concesse un sospiro stanco.
“Ti assicuro che ti saresti meritato di peggio.”, esalò Jimmy, le dita incrociate sul petto e gli occhi chiusi per ragioni note solo a lui.
Brian si alzò con riluttanza, riappropriandosi della sigaretta dalle dita di Beth.
Beth aveva la testa appoggiata sullo stomaco di Jimmy, e si osservava la manicure sbeccata, stanca di tutto. Jimmy, dal canto suo, teneva gli occhi chiusi: che si fosse improvvisamente dato alla meditazione, questo nessuno avrebbe potuto stabilirlo con certezza.
Fatto sta che Brian non lo aveva mai visto così immobile per così tanto tempo: non poté negarsi di provare una lieve inquietudine, che si tradusse in un lieve tic nervoso alla palpebra sinistra.
“E voi restate qui? Così?”, fece Brian, gesticolando scompostamente verso di loro.
“Già.”, ribatté Beth, giocherellando con l’orlo del vestito.
“Per l’appunto.”, le fece eco Jimmy, sempre con gli occhi chiusi.
Brian coprì la distanza fra il letto e la porta. Si girò di centottanta gradi. “Niente sostegno morale?”
“E’ una ragazza, non Yog-Sothoth.”, ribatté la ragazza, chiudendo a sua volta gli occhi.
 
 
 
 
 
It's a machine's world
Don't tell me I ain't got no soul

 
 
 
 
Brian entrò nella camera adiacente senza bussare; di fatto, la trovò vuota di qualsiasi presenza umana, eccezion fatta per una scia di vestiti che dal letto portavano al bagno.  
Entrò, abbassò il coperchio della tazza e si sedette, marziale.
“Sei Norman Bates?”, chiese una voce da dietro la tenda tirata.
“Sono Brian.”
“Sono in doccia.”
“Lo vedo.”
La faccia di Celeste, imperlata di goccioline, sbucò per un secondo da dietro la tenda e fissò quella di Brian. “Ti dispiacerebbe andartene?”
Lui la ignorò e si grattò il palmo della mano.
“Volevo chiederti scusa per il mio comportamento infantile.”, ripeté Brian, a macchinetta. A Celeste colpì il dubbio che qualcuno glielo avesse scritto sulla mano e che lo stesse leggendo.
La ragazza si ritirò dietro la tenda. “Okay. Perdonato. Ora te ne puoi andare?”
Ma Brian non se ne andò: incrociò le braccia sul petto e si sedette più comodamente sul water. “Celeste.”
Non rispose. Il getto dell’acqua copriva ogni cosa.
“CELESTE.”, ripeté lui, alzando il tono di un paio di ottave sopra il consueto.
“Per il cielo, gli angeli e i santi…”, fece lei, chiudendo il rubinetto. Venne immediatamente investita da un freddo improvviso. Dense coltri di vapore esalarono come fantasmi dalla sua pelle.
“Mi sembri una ragazza sveglia.”, incominciò Brian. Aveva iniziato a fissare con insistenza una piastrella, come se quella frase fosse piuttosto diretta a quella, invece che alla ragazza nella doccia.
Sentendolo ammutolirsi all’improvviso, Celeste sporse di nuovo il viso fuori dalla doccia.
“Sei spaventevole.”, gli disse, osservandolo con un sopracciglio alzato.
Lui si mise una sigaretta tra i denti, senza distogliere lo sguardo da terra.
“Hai da accendere?”, chiese.
La ragazza tacque, sospirando. “Sì, Brian. Come di consueto, mi porto sempre un accendino sotto la doccia.”
“Ah, già, sei ancora sotto la doccia.”
Ora Celeste iniziava davvero a preoccuparsi. Un paio di gocce precipitarono per terra, dal suo mento. “Non dirmi che è del rimpianto quello che vedo.”
Brian le rivolse uno sguardo glaciale, la sigaretta ancora spenta e penzolante dalle sue labbra.
Si alzò come un automa, e uscì dal bagno, lasciando dietro di sé una scia di gelo e dubbio più densa del vapore della doccia.
 
 
Brian si era seduto sul letto, e fumava, assorto, fissando la luna come un gatto solitario.
Celeste si palesò, lasciando una scia di rugiada dietro di sé; si strinse l’accappatoio intorno al petto. I capelli bagnati le incorniciavano un viso arrossato e tranquillo. Senza dire una parola, sfilò il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni di Brian, e se ne accese una con l’accendino di Jimmy.
Rimase ad osservarlo con il capo piegato. Lui fissava la luna, e sui suoi occhi scuri era calata la patina lattiginosa della stanchezza, oppure quella di una riflessione particolarmente profonda che lo aveva gentilmente ritirato dall’esistenza fenomenica.
Ebbe l’istinto irrefrenabile di dargli un bacio su una guancia.
Lo fece.
Brian si riscosse leggermente, e si voltò a guardarla: aveva negli occhi lo sgomento di chi non ne aveva ricevuti abbastanza, di baci sulle guance.
“Ma che cazzo fai?”, le chiese, e le saracinesche della meditazione si alzarono con un rumore secco e brusco.
Celeste sorrise. “Tenerone.”
Brian storse un labbro, disgustato, e si pulì la guancia con il palmo ben aperto. Celeste lo guardò con ancora più tenerezza, se possibile.
“Che giornatina.”, disse, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Da incorniciare.”
“Non si possono incorniciare le giornate, Brian.”
“Questo è quello che dici tu, piccola.”
“Sei un poeta e nemmeno te ne rendi conto.”
Ma Brian aveva smesso di ascoltarla, di nuovo. I suoi occhi erano nuovamente incatenati ai crateri lunari, e probabilmente il suo cervello stava elaborando un piano per atterrarci sopra che non richiedesse troppa matematica. Era stanco di divisioni e logaritmi.
D’altra parte, l’odore dei capelli di Celeste inviava impulsi violenti in una particolare zona del suo cervello; li sentiva quasi pulsare, i dendriti, mentre rispondevano a quel profumo. Un profumo di bagnato, di tavole imbandite sotto ad alberi mediterranei coi rami carichi di frutti, in un viavai di vespe e mosche, di fumi isterici sprigionati dalle salamelle premute sulla griglia. Lenzuola al vento, bianche di ammorbidente e sapone di Marsiglia, e risate di bambini che erano finalmente riuscite a superare la barriera delle bocche adulte.
“Perché non dici a Jimmy che ti piace da morire?”, chiese, ad un certo punto, sulla scia di quel profumo.
“Pensavo volessi parlare di Michelle.”
“Dopo. Ora rispondi.”
“Perché sono una ragazza spaventata. Ho paura di tutto; ho paura del rifiuto, dei pensieri delle altre persone, delle aspettative che mi sono imposta e che mi pesano sopra la testa come la lama di una ghigliottina; e guarda caso ci sono io, con un cappuccio in testa e la leva tra le dita. Ho paura di quello che potrebbe dire se non gli piacessi, e ancora di più di quello che potrebbe dire se gli piacessi. Perché lui è un bicchiere di acqua fresca e io sono una tazza di tè in cui qualcuno ha messo troppo zucchero.”
Brian assunse un’espressione colpita, senza smettere di guardare la luna. “Sei molto brava a dissimulare.”
“Lo so.”
“Ti abbiamo sempre presa per la stronza con la figa di legno e il cuore di ghiaccio.”
Il pugno di Celeste si scontrò pigramente contro il braccio di Brian, producendo un rumore piuttosto stupido. “Visto? Un poeta.”
“Facciamo una cosa.”, disse Brian, posizionando meglio la propria guancia contro il capo della ragazza.
“Dai.”
“Scappiamo.”
“Oh, ma sei fissato, allora.”
“Scappiamo io e te. E lasciamoli qui.”
“Loro chi? Jimmy e Beth?”
“Sì.”
“Mh.”
“Lo so che lo stai seriamente considerando.”
Celeste gli rivolse uno sguardo dolce. Brian le ricambiò lo stesso sguardo. Non si può, dicevano i loro occhi. Non si deve.
“Jimmy non ci può stare, senza di te.”, rispose Celeste, che fu improvvisamente colpita da un freddo che non veniva da fuori. “Non se la riesce a immaginare una vita senza di te. Lui, che immagina l’inimmaginabile. Sei la cosa di cui davvero non può fare a meno. Ti ama immensamente. Puoi andartene da Michelle, da Beth, da tua madre. Ma se te ne vai via da Jimmy chissà cosa può succedere. Un’improvvisa inversione entropica dell’universo, forse. L’esplosione di tutte le stelle. La ricostituzione della Pangea, perché persino i continenti annullerebbero gli Oceani pur di farvi stare vicini. Ti sei scelto un migliore amico in un uomo come lui; avete fatto un patto di sangue, vi siete legati consapevolmente i mignoli con un filo di seta rossa, vi siete vicendevolmente tagliati e scambiati le rispettive metà. Non puoi pensare di scappare via da lui. Non essere ridicolo. Se vuoi scappa da te stesso, piuttosto. Fai un giro nelle cosce di qualche altra donna che ti rimetta a nuovo, fai in modo di sentirti ancora come se avessi sedici anni e suonassi su un palco con la faccia impiastricciata di cerone e sudore. Ma non provarci nemmeno a scappare da Jimmy.”
Attimi di imperturbabile silenzio.
Così perfetti, piccole gemme una in fila all’altra a formare una collana che riverberava i raggi freddi della luna tutto intorno.
“Mi sembrava di ricordare che provassi un odio viscerale verso Platone.”
Celeste lo guardò con una certa soddisfazione.
“Ti ricordi bene.”
La Luna, intanto, sorrideva compiaciuta: loro non potevano vederla, però, perché dava loro le spalle.
 
 
 
 
Le mie canzoni poco intelligenti
Che ti ci svegli la mattina e ti ci lavi i denti
Canzoni per chi non ha voglia di pensare o di ascoltare
Canzoni per dimenticare

 
 
 
 
 
“Un giorno di questi, Celeste, verrai a letto con me. Te lo giuro, bambina, succederà: e sarà la notte migliore della tua vita. A parte il fatto che probabilmente non riuscirai a camminare dritta per una settimana o due...”
“Addirittura.”
“…a parte quello, tutto il sesso che hai fatto fino a quel momento ti sembrerà una partita a briscola, in confronto.
Della serie che dopo il tuo cervello dovrà stracciare intere pagine dalla sezione in cui tieni catalogati gli orgasmi in ordine alfabetico, e dovrà scrivere a caratteri cubitali: Synyster Gates mi ha fatto venire come nessun altro prima d’ora.”
“Non sapevo che il cervello stilasse liste di orgasmi.”
“Te lo giuro, bambina. Se quando apri il prossimo cranio ci stai più attenta lo vedi.”

“Ah, capisco. E quindi, se ho capito bene, un giorno di questi semplicemente mi sveglierò con la scimmia che devo venire a letto con te.”
“No, no, no, non mi ascolti. La scimmia ce l’hai già, è che non l’hai ancora accettata. La combatti, pensi
no, non può essere!, ma prima o poi la dovrai accettare, e allora verrai a casa mia in una notte di pioggia, mi suonerai il citofono, ti avvicinerai a me e mi sussurrerai all’orecchio: Brian.
“Chiaro.”
“Non ho finito.”
“Ah, scusa.”
“Mi sussurrerai: Brian. Sono nuda sotto la gonna. Prendimi qui, sulla batteria di Jimmy.
“E che cazzo!”
“Non interrompere, James.”
“Scusa, ma cosa ci fa la batteria di James nell’ingresso di casa tua?”
“Boh, Jimmy si lascia sempre roba dietro. Le sigarette, le chiavi, le fidanzate.”
“La batteria.”

“Sei davvero incommentabile, Brian.”
“Stai zitto, Zacky. State tutti zitti. Non c’entrate, voialtri. È una questione tra Celeste e me.”
“Apriti cielo.”
 
 
 
 
Sono canzoni poco consistenti
Insomma canzoni come me,

che non faccio più ragionamenti
Che voglio solo sensazioni,

solo sentimenti
E una tazzina di caffè
 
 
 
 
Brian crollò sul letto, facendo saltare Jimmy e Beth di qualche centimetro.
“Gesummaria.”, disse la ragazza, che si era appisolata sul torace di Jimmy. Il torace di Jimmy era un ottimo posto su cui appisolarsi.
Jimmy aprì un occhio per controllare: dall’impeto con cui si era sbattuto sul materasso, potevano benissimo essere due persone.
“No, solo Brian.”, rispose, dopo essersi sincerato che, nemmeno quella sera, nessuno dai Piani Alti si era scomodato per un pigiama party. Richiuse gli occhi, mentre Beth si alzava dal suo giaciglio.
Indossava la camicia di Brian, e aveva i capelli legati in quel modo inspiegabile con cui riescono a legarsi i capelli le ragazze, senza forcine né elastici, solo con la forza di volontà. Brian le osservò i capelli con insistenza mentre era voltata.
“Come sta la Duchessa?”, chiese la ragazza, accendendo la televisione.
Brian espirò profondamente. “Jimmy.”, disse invece, deviando la sua presenza come faceva sempre quando in una stanza si trovava una terza persona.
“Eh.”
“Ti giuro.”
“Cosa.”
“Ti giuro, che se non va di là-“
“Eh.”
“Se non vai di là e te la scopi fino a farle perdere conoscenza per qualche ora-“
“…”
“Io ti tolgo la parola.”
 
 
 
 
Canzoni
che parlano d'amore
Perché alla fine,

dai,
di che altro vuoi parlare?
 
 
 
Jimmy comparve sulla porta come in un film: dentro era buio perché a Celeste era venuto il mal di testa, e quando aveva aperto la porta con la solita malagrazia di un Unno la ragazza aveva sussultato: la figura di Jimmy era una silhouette scura immersa nello sfondo giallo della luce del corridoio. Celeste dovette convincersi che non si trattava di un film.
Si tirò a sedere sul letto: il mal di testa che le affilava il cervello era decisamente degenerato a furia di respirare col naso nel copriletto gonfi di polvere e naftalina. Il cervello barcollava come un marinaio ubriaco tra le pareti della sua testa.
“Brian si è dichiarato al posto tuo.”, disse Jimmy, travisando il convenzionale concetto di privacy e preparandosi ad affrontare il discorso con la porta spalancata sul corridoio. “In qualche modo.”
“Che pezzo di merda.”, disse Celeste, atona, cercando di mitigare il tumulto che aveva tra le costole con un tono indifferente. Scogli d’Irlanda sotto un cielo pugliese.
“Molto vero.”, fece lui.
“Puoi entrare?”
“Perché?”
“Entrano i fantasmi, e vorrei che fossimo solo noi due, stasera.”
Jimmy sorrise. “Non eri una donna di scienza?”
“Sono una donna di scienza con una madre che faceva la cartomante e si dilettava di spiritismo. Entra, ti scongiuro.”
 
 
 
 
Canzoni che ti salvano la vita
Che ti fanno dire "no, cazzo, non è ancora finita!"
Che ti danno la forza di ricominciare
Che ti tengono in piedi quando senti di crollare
Ma non ti sembra un miracolo
Che in mezzo a questo dolore
E tutto questo rumore


 
 
 
“Quando la Situazione qui è risolta, io vado a Sligo.”
“Puoi non parlare mentre ti bacio?”
Celeste assentì, saggiamente.
Sligo poteva aspettare.
Dal momento in cui il piercing di James si era scontrato con il suo mento, liscio e vergine, il suo sangue aveva raggiunto temperature vulcaniche, e si era pericolosamente addensato nelle sue vene.
Percepiva tutto al rallentatore.
Celeste non si era mai goduta appieno il sesso: era sempre stata troppo distratta da spiacevoli esperienze extracorporee che la obbligavano a pensare a qualche linea bianca in rilievo sul fianco, o a quel buchetto di cellulite che si creava quando piegava la gamba in un certo modo.
Ma dal momento in cui Jimmy le aveva avvicinato il viso al proprio, bam. Il suo corpo e la sua mente avevano firmato una tregua momentanea per permetterle di restare lucida in quel momento; perché se Jimmy aveva scelto di baciare quel punto particolare in cui il fianco era un po’ più morbido, allora era perché Jimmy lo riteneva degno di essere baciato. E chi erano Celeste, o la sua vaghissima dismorfofobia, o persino Dio per contraddire ciò che Jimmy riteneva degno di essere baciato?
Che comunque, lucida era un parolone.
Jimmy l’aveva spogliata dell’accappatoio, e nel momento in cui le sue labbra avevano sfiorato la sua pelle, Celeste si era sentita fiorire un desiderio incontrollabile in mezzo al petto. Una sorta di sorpresa che sorpresa non era, ad essere proprio sinceri, perché a livello mentale non pensava ad altro che fare sesso con Jimmy. Una sorpresa di cuore e di pelle, di organi interni sulle montagne russe, una sorpresa di realtà che si intromette violentemente nei sogni, come a voler avvisare che sì, sta succedendo per davvero, puoi concentrarti un attimo? Grazie.
Fatto sta che Jimmy l’aveva presa, forte.
Come se volesse rimarcare un concetto che andava enfatizzato in qualche modo; visto che non riesci a capirlo, te lo spiego per bene.
All’inizio era stato contro il muro; poi sul tavolo, dove Jimmy aveva rispolverato un paio di questioni che Celeste proprio non riusciva a tenere a mente. E infine sul letto, dove Jimmy si era lasciato sovrastare quel tanto che bastava a controllare che Celeste davvero avesse afferrato. Poi l’aveva di nuovo ribaltata sotto di sé e aveva chiuso l’argomento, una volta per tutte.
Forse un altro paio, per sicurezza.
 
 
 
A volte basta una canzone
Anche una stupida canzone
Solo una stupida canzone
A ricordarti chi sei

 
 
 
“Sligo.”, fece Jimmy, stringendo leggermente la presa sul suo braccio, come se volesse trattenerla dallo sgusciare via. Come un salmone.
Celeste tracciava con la punta del dito le vie infinite dei suoi tatuaggi; sembravano tutte portare al centro, verso le sette lettere che componevano verticalmente la parola che meglio descriveva quello a cui stavano pensando entrambi.
“Sì.”, rispose lei, premendo forse un po’ troppo l’indice nella carne.
“Ci sono più cadaveri da aprire, in Irlanda?”
“Ci sono i bog bodies, anche se in realtà io devo aprire quelli morti da massimo qualche ora, non vecchi di qualche centinaio di anni.”
Jimmy annuì al buio, perché lui e il buio se la intendevano molto bene.
“Quindi, te ne andrai.”
“Sì.”
“E tornerai?”
“Non credo, Jimmy.”
“E chi pronuncerà il mio nome con quel tono da vedova, quando te ne andrai?”
Celeste lo baciò forte, inspirando a pieno la sua persona; un piccolo lembo di California da portarsi dietro per sempre. Si staccò da lui e lo guardò dritto negli occhi, intensamente come poche altre volte aveva fatto in vita sua.
Gli occhi cilestrini di Jimmy le restituirono tutta la calma e la sicurezza di questo mondo e il successivo, oberati com’erano della conoscenza del Tutto; lei si accoccolò contro il suo collo, cercando di gestire quell’inusuale senso di pace che mai aveva provato, prima d’ora.
 
“E quindi Brian mi ha reso onore, con la sua dichiarazione? Quell’adorabile piccione viaggiatore.”
“Ha sparato una serie di puttanate sull’acqua e zucchero, sulle lenzuola stese ad asciugare al sole.”, fece Jimmy, facendola sorridere. “In effetti, ti ho sempre immaginata in piedi a stendere il bucato in un giardino di fiori selvatici, dentro una sottoveste azzurro cielo; magari con due o tre bambini che ti giocano in mezzo ai piedi.”
Celeste sorrise di nuovo – non avrebbe più smesso, in realtà. Anche quando sarebbe stata triste o sconsolata, o così agitata da aver bisogno di reggersi a qualcosa per combattere contro la forza centripeta del gorgo che si apriva ogni tanto nelle profondità di se stessa: l’anima di Celeste avrebbe sorriso per sempre, da quel momento in poi.
“Non smetterò mai di sorridere, grazie a te.”, disse semplicemente, affondandogli il naso nel collo.
Jimmy prese a tracciare cerchi misteriosi sulla sua pelle, fissando le strisce che la luce di fuori disegnava sul soffitto. Un pianoforte nel cielo.
“E comunque a Sligo non si stende il bucato fuori; piove troppo.”, disse Celeste. 
“E allora stendilo nel mio, di giardino. A Huntington Beach. Ho già un cadavere pronto e facile da aprire. Fresco fresco e a chilometro zero.”
“Ah sì?”
“Sì, si chiama Brian Haner Jr. Senti?”
Tesero le orecchie, in silenzio e con le bocche semi aperte.
Il letto della camera a fianco si era improvvisato percussionista, e riverberava contro il muro le spinte di qualcuno, sopra di esso, che si dava da fare almeno quanto Jimmy poco prima.
Celeste si coprì la bocca con le dita, sconcertata e divertita. Jimmy alzò il pugno in aria, stringendo un labbro tra i denti, in segno di rispetto.
“Ha mollato la moglie all’altare giusto stamattina. Mi sconvolge la sua totale assenza di rimorso.”, disse Celeste scuotendo lievemente il capo.
“E’ tutto l’opposto.”, rispose Jimmy.
“Dobbiamo proprio parcheggiare qualche virgola in questa Situazione, Jimmy.”, disse Celeste, lasciandogli un bacio sul petto.
Di fatto, si girò dall’altro lato, e cadde nel sonno migliore della sua vita.
 
 
 
 
Back to humans.
 



 
 
 
Questo capitolo è interamente dedicato a Crisantemy.
Solo ed esclusivamente a lei.
Perché sa usare le giuste citazioni contro di me,
perché mi ha tolto il bloccasterzo dal cuore e dalle dita,
perché riesce a parlare di teologia, iguane e carte da parati inserendo tutto nello stesso discorso.
Grazie, Crisantemy.
Non so se sai cos’hai fatto; nel caso, questo è uno dei tanti modi con cui d’ora in poi cercherò di dirtelo.
(io ho lasciato andare il volante, e questo è ciò che uscito)

Le citazioni sono tratte da "Canzone contro la paura" di Brunori Sas, e da "Machines" dei Queen.

 

 

   
 
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