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Autore: DanceLikeAnHippogriff    25/02/2021    1 recensioni
"L'inizio che non avrei voluto" o di come un povero e ignaro bardo si è ritrovato alla mercé di un culto di veneratori di draghi, è scampato alla morte e, per la sfortuna delle orecchie del suo pubblico, ha composto la ballata delle sue epiche imprese.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di draghi e Dragomanni'
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Sbatté le palpebre incollate dal sonno e mise a fuoco il tenue bagliore che rischiarava la grotta. I tizzoni ardenti del falò si erano affievoliti; i ciocchi carbonizzati cedevano di tanto in tanto e, sbriciolandosi, sfrigolavano piano. Le sue iridi rifletterono quei pochi guizzi di luce, brillanti. La penombra non era mai stata un problema per lui.

Trattenne uno sbadiglio, la mente ancora ovattata che lavorava per recuperare frammenti di sogni che forse aveva fatto. Non era da lui svegliarsi nel bel mezzo della notte. Sempre che fosse notte. Gli altri, perlomeno, sembravano ancora tutti addormentati.

Le sue narici vennero investite da una zaffata di bruciato e cenere, e Horo si abbandonò a un secondo sbadiglio, godendosi la mascella che scrocchiava.

Un momento... Quel rumore non era la sua mascella.

Si voltò di scatto, ritrovandosi faccia a faccia con il druido, che lo fissava con occhi stralunati, accucciato alle sue spalle.

Trasalì a scoppio ritardato, specchiandosi in quelle pozze scure che sembravano scavargli dentro per riportare alla luce chissà quale sporco segreto.

Quello si portò un dito alle labbra. Horo annuì, aguzzando le orecchie e con una strana tensione nelle gambe, pronte a scattare.

Gli fece cenno di seguirlo, accomodandosi vicino alle braci, fievoli, di un giallo quasi malato. Lo seguì senza fare storie, il più silenzioso possibile, con mille ipotesi che gli affollavano la mente.

Si sedette guardingo al suo fianco, studiando i dintorni, frugando con lo sguardo dietro gli anfratti, cercando di non farsi spaventare dalle ombre. Poi, riportò lo sguardo su Kahfs, confuso, ma aspettò che fosse lui a rompere il silenzio.

Passarono i minuti.

Il druido continuava a fissare un punto lontano dall’altra parte della caverna, carezzando delicatamente le piume alla base del collo del falco. La sua concentrazione aveva un che di inquietante.

Per un po’ lo imitò, ma si stancò quasi subito e prese a tamburellare con le dita sulle cosce, poi sul terreno. Il ritmo gli prese i piedi, e iniziò a dondolarsi piano, canticchiando un motivetto sommesso per tenersi compagnia. Sentire una voce nel buio lo rassicurava. Anche il chioccio di Rufus. Il falco sembrava l’unico capace di ingraziarsi il suo scontroso e ora muto padrone, e si beava della protezione che godeva in caso di malefatte. Ma quel pollo arrogante non lo preoccupava; era Kahfs che non riusciva a comprendere. Lui e il perché l’avesse svegliato col solo potere dello sguardo. Raggelò ripensando a come gli avesse quasi ficcato quel suo naso aquilino nell’occhio da quanto incombeva su di lui.

“Kahfs…” Sussurrò, facendosi coraggio e preparandosi mentalmente alle sue risposte spazientite.

Il druido non rispose, ma fece un cenno indicando che poteva continuare. Rufus schioccò il becco, irritato dal rumore improvviso della sua voce.

“C’è qualche motivo per cui sono, sai, sveglio?” Si sporse leggermente in avanti, cercando di sondare la sua reazione. “Fossi in te, mi sentirei più sicuro seduto nel buio con uno dei miei compagni di viaggio più che con un completo sconosciuto.” Concluse, gongolando un poco per la lieve frecciatina.

“So bene cosa sei.”

Sentì il sangue gelarsi nelle vene.

“Sono un druido, le creature viventi non hanno segreti per me.” Spiegò lui con semplicità, anticipando la sua domanda. “Rufus ti ha individuato subito, kitsune. Puoi evitare di nasconderti con me.”

Horo deglutì a fatica, ma si lasciò pervadere dal familiare pizzicore della trasformazione che gli scorreva sottopelle. Mutò lievemente aspetto, mantenendo le caratteristiche umane che si era costretto ad assumere in tutti quegli anni, e rimase a fissarlo muovendo appena le orecchie, la coda tesa. Non era il caso di tornare alla sua forma animale, se qualcuno l’avesse anche solo intravisto sarebbe stato peggio che cercare di nascondere il fatto che avesse un paio di orecchie e una coda da volpe. Quelle le avrebbe potute giustificare dando la colpa agli occhi pieni di sonno di chiunque l’avesse beccato.

“Dimmi cosa vuoi.” Le parole gli uscirono soffiate, quasi un ringhio sordo. La sua unica speranza era che non osasse sfruttare il suo segreto ricattandolo; sembrare minaccioso sembrava una buona strategia, per quanto campata per aria.

“Risparmiati lo spettacolo, conosco bene la tua specie. Ladri, bugiardi e ingannatori. Ti si legge in faccia che fare il duro non è che un ruolo come un altro per te.” Ridacchiò.

Profondamente svilito, Horo si alzò in piedi di scatto e sfogò rabbia e vergogna in un soffio basso, appiattendo le orecchie.  “Il tuo unico scopo era prenderti gioco di me?” Al diavolo il controllo e la voce bassa, gliel’avrebbe fatta vedere lui a quel pallone gonfiato. “Perché se è così, me ne torno a dormire.”

Kahfs si agitò sul posto e tentò di afferrargli un braccio per fermarlo. Mancandolo clamorosamente. La sua mano annaspò nel vuoto accompagnata da colorite imprecazioni.

Horo lo guardò perplesso, indeciso sul da farsi. La situazione sembrava aver preso una piega imbarazzante, e non per lui.

Il druido, il volto in fiamme, borbottò qualcosa in tutta fretta senza guardarlo. Ma non perché volesse distogliere lo sguardo. Stava proprio guardando da un’altra parte.

Le sue orecchie ebbero un fremito. “Cosa?” Sussurrò, scocciato.

“Sièspento…” Ripeté lui, con voce flebile.

Horo frustò l’aria con la coda, impaziente, e il druido si decise a parlare chiaro: “Si è spento il fuoco…”

Il bardo sentì l’irritazione montare.

“…e non ci vedo…”

L’irritazione divenne rabbia.

“…e tu sei l’unico che può vedere al buio… Per il turno di guardia…”

Sentì le labbra torcersi in un sorriso sofferente. Avrebbe voluto prenderlo per il bavero di quella sua stupida tunica e spalmarlo sulla parete a suon di schiaffi.

Mai una buona volta che riuscisse a dormire…

***

Merdamerdamerda! Sfoderò gli artigli per la disperazione, lottando contro la forza di gravità che lo trascinava verso il basso. La roccia gli sfuggiva da sotto le dita, scivolosa. Spalancò gli occhi, il panico che gli sfracellava a mazzate ogni piano razionale per evitare una rovinosa caduta. Resistette all’impulso di ritornare alla sua forma animale e squagliarsela, fermato solo dalla paura di eventuali reazioni se avessero scoperto la sua identità. La sua caduta si arrestò a pochi centimetri dalla fine della stalattite, il piede che penzolava inerte nel vuoto.

Si lasciò sfuggire un guaito per la sorpresa e il sollievo, piantando ancora più saldamente le unghie nella roccia, abbracciando quanto poteva quello sperone che lo separava dalla caduta. Alzò cautamente lo sguardo; il resto del gruppo si destreggiava in salti e arrampicate, quasi fossero capre di montagna. Gli unici rimasti indietro, e sulla stessa stalattite per di più, erano lui e il druido. Deglutì, cercando di dar sollievo alla gola secca, ma per poco non si strozzò con la saliva a causa del nodo che ancora gli bloccava il respiro. Se l’era vista brutta…

Sembrava che dopo avergli fatto passare una notte insonne, quell’infame di Kahfs avesse sviluppato una strana forma di riguardo nei suoi confronti. Che fosse perché aveva fatto una figuraccia lagnandosi del buio come un poppante o perché aveva apprezzato il suo aiuto, poco cambiava. Non riusciva a scollarselo di dosso, perfino nell’assurda scalata di quelle grosse stalattiti; ma gli andava bene, almeno poteva sperare che qualcuno lo acchiappasse prima di sfracellarsi a terra. Non poteva esserne sicuro, ma la speranza era l’unica cosa che gli rimaneva.

Fece un cenno al druido col capo, rassicurandolo e incoraggiandolo a continuare, e lo osservò mentre saltava goffamente alla stalattite vicina.

Si concesse di riprendere fiato, crogiolandosi nella presa sicura su quella superficie gibbosa. Le spalle e la schiena chiedevano pietà e non era affatto sicuro che fermarsi fosse stata la soluzione giusta. Ora aveva solo voglia di lasciarsi cadere e non pensarci più.

Non si capacitava di come la situazione fosse precipitata in poche ore. E detto da lui, vittima di un culto di sadici ignoti, significava molto. Mentre teneva compagnia al druido durante il turno di guardia, Kahfs aveva percepito chissà quale strano segnale e aveva svegliato tutti preso da una strana urgenza. Si erano addentrati ancora di più nelle viscere di quella montagna, l’aria sempre più rarefatta e rovente, e chissà come, si erano persi girando a vuoto a sufficienza perché a Horo tornassero le vesciche. Poi, dopo un rombo per niente rassicurante, si erano ritrovati nell’ampia caverna in cui si trovavano al momento. Anya, con un sorriso sulle labbra, aveva ridacchiato e detto che, senza ombra di dubbio, si trovavano nel tratto pre-digerente di un drago.

Il terreno era maledettamente caldo perché quella montagna o bestia che fosse li stava probabilmente digerendo! Non voleva neanche pensare a quale fosse la loro unica via d'uscita da quella situazione.

Con la forza della disperazione e una buona dose di rancore, Horo si diede uno slancio e si spiattellò con mala grazia sulla stalattite accanto. Sputò un paio di sassi che gli erano finiti in bocca dopo quel bacio non voluto con la roccia, e si apprestò a seguire il druido, maledicendo le sette di tutto il mondo, i draghi, Aennìleas che lo aveva convinto a infilarsi nella montagna e il giorno in cui aveva deciso che fermarsi in quel villaggio era stata una buona idea.

***

Calma.

C’era troppa calma.

L’aria in quella montagna non era mai stata così immobile come in quel momento, come in quell’esatto luogo. Forse era perché stavano tutti trattenendo il respiro.

L’elfo lo scostò gentilmente per passare, e Horo si lasciò spingere senza opporre alcuna resistenza, imbambolato com’era dallo spettacolo che gli si parava di fronte.

Dopo aver attraversato una pozza di lava bollente, il gruppo sgangherato si era infilato in una fessura nella roccia, sperando di trovare sollievo dalla calura che ormai non lasciava più nessuno indifferente. Non si aspettavano di certo che quello che avrebbero trovato raggelasse loro il sangue.

Si trovavano nell’ennesima caverna, molto più piccola ma infinitamente più alta delle altre. Neanche piegando il collo si riusciva a scorgere la volta; sembrava continuare all’infinito. E di fronte a loro, dalla parte opposta, uno specchio. Grande, immenso, che occupava la parete seguendone la curvatura naturale, incastonato con naturalezza, come se ne facesse parte da sempre. Rune antiche iscritte lungo i bordi sembravano aspettare occhi voraci che svelassero i loro segreti sepolti da tempo in quell’oscurità, i loro contorni tremuli nella danza delle torce.

Era scuro come l’abisso.

Ti risucchiava, quel nero. La sfumatura della superficie liscia, grigia ai lati e sempre più nera al centro, sembrava voler catturare la luce e non lasciarla andare mai più. Rubava, invece di riflettere. Attirava. In un modo ipnotico quasi malato. Non volevi distogliere lo sguardo, perché cosa poteva esserci di più intrigante di un’occhiata, anche solo una, al nulla assoluto?

Horo era lì, intento a osservare il debole baluginio latteo della sua figura che lottava per non essere assorbita dal nero. Anche gli altri, come lui, erano stati tutti catturati dalla magia ancestrale dell’ignoto.

Allungò una mano, sfiorando quella superficie fredda che subito gli assorbì il calore delle dita. Sentiva voci, troppe voci, una cacofonia nella sua testa che lo incitava e lo ammoniva al tempo stesso. Nella sua mente apparvero immagini che non aveva mai voluto richiamare dalla memoria. Ricordi che avrebbe voluto estirpare, sbagli che avrebbe potuto correggere. Non avrebbe dovuto pensarlo, ma quel nero era così invitante. Dentro di lui, sentiva che non avrebbe potuto resistergli.

Altre tre mani si unirono alle sue, sondando il nero, cercando immagini e promesse.

Fece scivolare il palmo sulla superficie liscia.

Un rumore di tuono gli lacerò le orecchie, continuando ovattato verso l’alto, sempre più in alto, squarciava la roccia, scuoteva la montagna, riempiva tutto, non si fermava più.

Non ebbe neanche il tempo di pentirsene.

Il gelo lo prese.

Il buio gli entrò negli occhi.

Lo specchio si spezzò.

 

  
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