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Autore: meiousetsuna    26/02/2021    7 recensioni
Storia partecipante al contest “Storie incrociate” indetto da mystery_koopa sul Forum di EFP
Avviso: tematiche delicate – blasfemia + mild!language
C’è un uomo pericoloso che proietta la sua ombra sulla famiglia Romanov, già provata dalla malattia dell’unico erede, la disastrosa condizione economica della Russia, e dal rombo che annuncia l’imminente Grande guerra. Il suo nome è Grigorij Rasputin, il monaco nero; è un demone, o un santo?
La sua influenza è stata considerata troppo pericolosa, ma la sua fine, in una fredda notte di dicembre del 1916, ha visto avverarsi le sue più oscure profezie…
Buona lettura, R&R, se vi va
vostra, Setsuna
Genere: Drammatico, Noir, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista
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Storia partecipante al contest “Storie incrociate” indetto da mystery_koopa sul Forum di EFP
elementi usati: Prima Guerra Mondiale/Noir/Veleno/Palazzo reale
Avviso: tematiche delicate – blasfemia
mild!language
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“Lukin, ferma quelle megere prima che le faccia calpestare dai cavalli!”
Il capitano Gorkij era un uomo col quale non si discuteva a cuor leggero, almeno non prima che fosse completamente ubriaco, operazione non semplice; erano necessarie un paio di bottiglie di vodka, di quella buona, quindi il denaro per pagare tale piccolo lusso in epoca di guerra. Ma in quello speciale frangente il soldato scelto Igor Lukin dovette far ricorso a tutto il coraggio che possedeva.
“Non è davvero possibile capitano, sono troppe! Tutte queste invasate sono uscite col freddo che c’è avvolte solo in uno scialle e stanno prendendo anche delle bastonate… se le carichiamo ci odieranno tutti, sono delle nonnine, delle poveracce ignoranti, non fanno niente di male”.
Gorkij trapassò il suo sottoposto con uno sguardo gelido, ma non ostile. In fondo che facessero pure, chissà che cosa credevano di ottenere da quelle bottiglie piene d’acqua sporca.
Il potere del diavolo’, era stata la risposta uscita dalla bocca sdentata della prima donna che avevano bloccato con maniere alquanto brusche; quello che si era propagato – non che possedesse un tale vocabolario – dal cadavere grottescamente contorto di Grigorij Efimovič Rasputin, ripescato dalla Malaja Nevka ed esposto alla folla. La corda che doveva bloccare le braccia e le mani era spezzata a metà, e queste, rilasciate, si erano piegate verso l’alto con le dita curve come per ghermire un nemico invisibile.
“Il demonio l’ha liberato!” Tutti i presenti si erano fatti lesti il segno della croce, e le popolane superstiziose erano corse nelle loro case a procurarsi un recipiente, a costo di sfidare la polizia per accaparrarsi quella specie di reliquia infernale. Tutto quello che ne avrebbero ricavato sarebbero stati i geloni, proclamava Gorkij, che era conosciuto come un uomo prosaico. Non di meno, egli non poteva ignorare il tremito che scuoteva il suo buon cavallo, che cercava di farsi indietro dall’argine del fiume. Il capitano sputò a terra, per poi allontanarsi di qualche metro. Non vedeva l’ora che fosse tutto finito, anzi, se fosse stato per lui non sarebbe dovuto iniziare affatto: la fortuna di quel pervertito doveva finire male, com’era avvenuto. Chissà com’era successo che un contadino quasi analfabeta, grossolano e chiaramente pazzo, fosse entrato nelle grazie della famiglia imperiale, nove anni prima. O persino nel letto della Zarina, per quel che si diceva. Ora però era bell’e morto, e tutto sarebbe tornato in ordine. O no. Forse quel mondo che conosceva prima della sua ascesa era finito per sempre. Decisamente quella era una notte da trascorrere tra puttane e vino fino a crollare a terra, brindando all’anima nera nel monaco maledetto, quasi a blandirla, a versare un contributo perché la sua profezia non si avverasse. Perdere la guerra non era proprio possibile… Gorkij girò lo sguardo alle sue spalle, ma tutto quello che vide fu una distesa di neve candida che pareva avanzare, silenziosa e terribile, coprendo la città, ghiacciando l’acqua negli abbeveratoi, posandosi senza riguardo sulle persone come se fossero tante statuine. Quando cercò di inghiottire l’eccesso di saliva, la gola si strinse in una morsa.

†††

Nessuno si sarebbe avventurato nelle strade di San Pietroburgo in una notte dicembrina come quella, che pareva l’opera di un pittore in preda alla disperazione. La città era deserta come se avesse deciso di essere sua complice, pensò Felix; una tela bianca sulla quale scrivere una pagina di storia e firmarla col suo nome. Finalmente avrebbe goduto della considerazione che meritava, anche se la missione era ancora tutta da compiere. Ma cosa poteva andare storto? Lui e Puriškevič avevano passato il pomeriggio a farcire di cianuro gli invitanti pasticcini che ora erano adagiati su delle alzatine del più scintillante argento, un’esca per una gazza ladra, anzi, un corvo maledetto, di quelli che banchettano con carne umana. I dolcetti al cioccolato erano sicuri, quelli alla crema avvelenati, così come il madera e anche la vodka. Certo allo scaltro monaco non poteva sfuggire che lo si volesse ricevere in uno scantinato, per quanto agghindato, e che il fantomatico incontro con la principessa o altri invitati non si sarebbe realizzato. Una stilla di sudore freddo scese dall’attaccatura dei capelli al colletto del principe Yusopov. Non era superstizioso, era un giovane di mondo, colto e moderno; non di meno, per non vedere le proprie mani tremare, dovette stringerle intorno all’orlo del tavolino coperto da una tovaglia ricamata.
Quand’ecco che il batacchio risuonò una, due, tre volte.
‘Don Giovanni, a cenar teco, m’invitasti, e son venuto’
‘Non l’avrei giammai creduto!’
Perché quelle parole spaventose gli tornavano in mente proprio in quel momento? La statua del commendatore si era sì presentata, ma per trascinare il colpevole all’inferno. Invece doveva succedere il contrario, era lui nel giusto. Le parole di quell’esaltato che aveva insistito con lo Zar perché la Russia restasse neutrale nel conflitto mondiale che avrebbe mostrato finalmente la loro grandezza erano inaccettabili, pericolose. Finché quel truffatore si era limitato a influenzare alcuni aspetti della vita privata della famiglia imperiale, pur se scomodo poteva essere sopportato, forse corrotto o manipolato. Tutti hanno un prezzo, anche se Rasputin non era parso particolarmente attaccato al denaro. Peggio per lui, aveva fatto la sua scelta; uscendo dal suo ruolo di consigliere spirituale per immischiarsi nella politica aveva compiuto un fatale passo falso. Eppure né i servizi segreti inglesi, né i due attentati subiti erano riusciti a scalfire quella creatura inquietante, e neanche il peso del parere della principessa Yusupova di allontanarlo dal palazzo imperiale aveva sortito alcun effetto sulla Zarina. Era tempo di farsi coraggio, e passare all’azione.

†††


“Mammina, tuo figlio guarirà. Papà, fidati di me. Io posso salvare vostro figlio. Portatemi da lui”.
Il potente Zar Nikolaj Romanov impallidì di rabbia. Tutti nel palazzo imperiale si attenevano al più umile degli atteggiamenti nei confronti suoi e degli altri membri della famiglia; si inchinavano, parlavano solo se veniva loro rivolta la parola. Quel miserabile, uno starec poco avvezzo all’uso del sapone, da quel che vedeva, si stava rivolgendo ai suoi sovrani come se fosse nella catapecchia di un vecchio amico, o come se desse per scontato di essere considerato alla stregua di un sant’uomo. Sua moglie era rimasta perplessa per un momento, ma già leggeva sul suo viso che era passata oltre. Una madre ragiona diversamente, pensò Nikolaj: per accontentarla avrebbe tollerato quel bifolco per una volta, poi l’avrebbe fatto cacciare a calci da una delle porte per i domestici. Era un’illusione sperare che potesse fare qualcosa laddove i più quotati dottori stavano fallendo. Eppure non era riuscito a frenare la richiesta della Zarina e, forse, una piccola parte di lui sentiva risvegliarsi il desiderio di comprendere meglio il popolo, esigenza che acquistava urgenza in vista dei minacciosi venti di guerra che soffiavano sulla Russia. L’anticamera dello zarevic Aleksej era incredibilmente ricca grazie alle tende di broccato carminio, l’enorme stufa di maiolica, il mobilio decorato d’oro zecchino, i vasi di porcellana cinese; i tappeti turchi di soffice lana azzurra e rosa attutivano il rumore dei passi per non turbare il riposo del malato, e provvedevano nel contempo a isolare il pavimento dal freddo. Due cameriere personali assistevano mute alla scena, senza poter frenare uno scambio di sguardi piuttosto scandalizzati. Ma la particolarità dell’abitazione si trovava nella vera e propria stanza da letto. Tutte le pareti, il bordo del giaciglio e i mobili – che erano allineati lungo le pareti – erano imbottiti da soffici piumini d’oca, per eliminare il rischio che il minimo urto portasse a un sanguinamento interno. Il bambino si lamentava nel sonno, come succedeva
durante i suoi attacchi, preda della febbre alta e dei dolori. C’erano i più famosi medici convocati da ogni parte dell’impero, ma non dall’estero: le condizioni dell’erede non potevano essere note, questo avrebbe significato la fine del potere dei Romanov. Una mano gigantesca si posò sulla fronte imperlata di sudore del bambino, e dopo un paio di minuti questi aprì gli occhi.
“Padre Grigorij…”
“La crisi è passata, da oggi starai meglio, Aleksej. Vuoi pregare con me?”
La Zarina stava per precipitarsi a stringere il piccolo, ma suo marito la fermò, sussurrandole all’orecchio.
“Sei stata tu a dire ad Aleksej il nome di questo taumaturgo?”
“No, Nikolaj, non aveva modo di saperlo… forse è davvero un santo!”
“Da oggi non darete più allo zarevic nessuna medicina, neanche la salicina che state sicuramente usando”.
Il gruppo dei dottori aprì bocca come un sol uomo, ma quando Rasputin si voltò a fissarli in volto, nessuno osò fiatare. Gli occhi azzurri del siberiano erano accesi di fiamme, ma non celestiali, bensì quelle dell’inferno: apparivano incandescenti, quasi disumani. Nel più perfetto silenzio la Zarina si avvicinò, e senza badare minimamente alle esclamazioni dei presenti, represse per non contraddirla, posò un ginocchio a terra baciando la mano del guaritore.
“Diteci quello che dobbiamo fare, padre, nulla è più importante della vita del mio unico figlio maschio”.
Il monaco sorrise, ma non c’era calore nella sua espressione; i domestici si sarebbero fatti volentieri il segno della croce tre volte, da bravi ortodossi. Era il sogghigno di un essere malefico, che proiettava la sua lunga ombra scura sulla donna. Naturalmente questo era solo dovuto all’ingannevole gioco delle candele, considerate più riposanti della luce elettrica. Nulla era lasciato al caso in quel palazzo di fiaba con le finestre ad arco del barocco petrino, dove scale d’alabastro si snodavano passando di fronte a vestiboli ricoperti d’ambra, alle stanze delle collezioni, che custodivano le inestimabili uova Farbergé che brillavano d’oro, diamanti e splendidi smalti, al salone da ballo lungo ottanta metri, il cui soffitto affrescato era sorretto da colonne di marmo giallo. Eppure tutte quelle ricchezze non portavano la felicità nella famiglia imperiale, che si sentiva maledetta.
‘Ho paura di morire’. Questa era la frase che Aleksej ripeteva più spesso, ma forse quello era il miracolo che stavano aspettando. La Zarina soffriva anche di cuore, ma lo Zar era convinto che fossero le preoccupazioni a esigere il loro prezzo; in fondo restava di indole semplice, essere tedesca la faceva considerare da una parte troppo schietta e ingenua, dall’altra una donna rigida, non ben vista dai cortigiani tranne per un dettaglio: la sua grande religiosità.
“Se mi tenete qui, ora, non succederà nulla di male al bambino, ve lo garantisco. Sulla strada dal mio villaggio ho guarito centinaia di persone, anche da malattie più gravi. Ho dei nemici, ma non li odio, e
non possono farmi nulla. La mia unica preoccupazione sarà il bene di questa famiglia e della Russia”.

≈≈≈                 

“La nostra Russia deve rimanere neutrale, papà, lo sai cosa vuol dire la guerra? La fame, la disperazione, la morte! Lascia che i turchi e i tedeschi si divorino tra loro!”
Aleksandra si strinse le braccia intorno alla vita, solo per un momento. Non c’era giorno che non le rinfacciassero la sua origine germanica, in cui non l’accusassero di tramare. Solo il suo adorato Rasputin aveva di lei la più alta considerazione, la prediligeva. Lei lo ricambiava con dedizione assoluta, gli scriveva delle lettere che sarebbero risultate assai compromettenti se fossero cadute nelle mani sbagliate; lo chiamava salvatore, consigliere, e si firmava ‘colei che ti ama’. Certo, in modo spirituale, etereo. O questo era quanto avrebbe sostenuto.
“Migliaia, milioni dei tuoi figli ti malediranno, il trono vacillerà, e sarà la fine della monarchia. Forse neanche io potrò aiutarti allora. Ricordati questo, potente Zar; sono il solo che sa vedere lontano, leggo nell’anima di coloro che sono qui nel tuo palazzo per arricchirsi alle tue spalle, che guadagnerebbero dalla guerra, che vorrebbero vedermi morto, perché cerco di farti capire! Bada alle mie parole: se sarò ammazzato in una rivolta del popolo, non ti succederà niente; ma se saranno dei nobili a uccidermi tu morirai entro due anni”.
Lo Zar tremò per un istante, mentre prendeva una decisione. Far arrestare Rasputin, deportarlo, anche segnando maggiormente l’equilibrio di sua moglie? Inoltre Aleksej aveva avuto davvero meno crisi da quando il monaco era in pratica il suo tutore e dottore, e per quanto detestasse averlo a palazzo, la grande sfortuna che era l’emofilia del suo erede sembrava sotto controllo. C’erano sempre sacche di sangue pronte all’occorrenza, e il ragazzo cresceva fragile e delicato, ma viveva.
“Non una parola di più o ti farò cacciare, fai quello per cui sei qui”.
La Zarina non osò dire nulla; Nikolaj non gridava proprio quando era più inferocito, lo conosceva bene. Era un positivista, disprezzava l’aura magica che circondava l’uomo misterioso che si era preso un posto nella sua corte, uno che non gli sarebbe spettato. Ma quelli che lei vedeva erano miracoli, e anche se fossero stati opera del diavolo, li avrebbe accettati ugualmente.
Quando lo Zar uscì senza sbattere la porta, lei si accostò per fare cenno ai domestici in anticamera di non disturbarla, poi chiuse a chiave, lo sguardo annegato nell’azzurro glaciale di quello del monaco. Era intimidita, ormai non sapeva più qual era il male minore. La fiducia nel suo confessore era solida, ma aveva dei doveri verso il marito, più di qualsiasi moglie russa.
“Aleksandra, vieni da me. Non ti fidi più?”
La Zarina si sentì attraversare da un fremito. Il suo sposo non la chiamava più con nomignoli affettuosi dalla nascita di Aleksej, eppure prima erano davvero innamorati, tanto da sfidare l’opposizione della famiglia imperiale. Lui la definiva la sua felicità, ma di quella gioia restavano ormai solo le ceneri. Rasputin era rozzo, volgare, si intratteneva con innumerevoli donne, lo sapeva per certo, però c’era qualcosa di irresistibile nel tocco delle sue mani callose, nella sua voce profonda e calma; quando non era ubriaco era così. La sua pelle ardeva in modo che avrebbe solo definito disumano; quando glielo aveva detto lui aveva riso con le labbra rosse come una ferita, rispondendole che dopo anni passati a girovagare tra i paesi della tundra siberiana il calore che si godeva nel palazzo era tale da essere quasi insopportabile per lui, ma la donna non gli credeva. Era un santo o un demone, o tutt’e due? Era mai possibile? Lui le stava leggendo nel pensiero, lo sapeva.
“Non vuoi espiare le tue colpe, amica mia? Vieni da me, io ti posso aiutare, questo farà guarire tuo figlio. Per essere assolti prima bisogna peccare, è la natura umana. Sai come mi piace”.
Sì, lo sapeva bene. Lasciò che l’uomo le sollevasse la gonna di broccato, le sottovesti di seta, strappasse la sua biancheria ricamata.
Gloria a Te, Dio nostro, gloria a Te”.
“Brava, mamma, continua, usami per pregare”.
Rasputin sollevò la Zarina come una bambola di stracci, mettendola seduta su un grande secretaire con intagliata l’aquila bicipite, allargandole le gambe.
Re celeste, Consolatore, Spirito di verità, tu che ovunque sei  e tutto riempi, Tesoro dei beni ed Datore di vita, vieni e dimora in noi e purificaci da ogni macchia, e salva, o Buono, le nostre anime”.
Il fiato del monaco, corrotto dall’alcol, evaporò sul collo candido di Aleksandra, la lingua rasposa come quella di un animale che assaggiava il suo sapore, le mani che frugavano senza cerimonie.
Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi misericordia di noi”.
Ora la voce della Zarina era un sussurro soffocato, mentre desiderio e disgusto si impadronivano di lei fino a farle temere di svenire.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, e ora e sempre e nei secoli dei secoli”.
Questo era il timbro cupo e ipnotico dello starec, che dava al verso il senso di una parodia, o dell’evocazione di un folle, gli occhi crudeli che sembravano brillare nella semioscurità complice.
Amen
La parola indugiò sulle labbra della donna, perché era quello il segnale; senza dire nulla lui si sollevò la ruvida tonaca nera, e la prese con un gesto violento, affondando completamente in lei.
“Ne hai bisogno, golub, sei una femmina come le altre, e lui non ti basta, lo so, leggo nel tuo cuore. Ci sono io per te, e c’è il Signore, finché sarai buona andrà tutto bene, lo sai. Ogni volta che starai con me aiuterai tuo figlio a crescere sano e a governare un giorno sulla nostra patria. Dillo, dimmi che hai capito”.
Kyrie, elèison”.

†††

“Avremo fatto bene a scegliere il veleno, Felix?”
Dmitrij Pavlovič Romanov si torceva le mani guantate di bianco, senza osare di guardare il suo amante fisso negli occhi. Da quando egli aveva sposato sua sorella Irina prestavano molta più attenzione ai loro incontri, ma questa era un’altra faccenda. Senza dubbio si trattava di un delitto patriottico, perché l’influenza sulla Zarina e sulla corte tutta non si poteva più tollerare. Le continue richieste del monaco di uscire dalla guerra pesavano a palazzo, e non c’era altro modo. Però un timore inspiegabile li faceva tremare entrambi come mai nella loro vita.
“Non potevamo fare altrimenti, smettila! La polizia è qui a due passi, sentirebbero gli spari, e qualcosa dovremmo pur dire! L’appuntamento è alle undici a casa sua, lo accompagnerò per mezzanotte, vedrai; dobbiamo resistere solo il tempo che il cianuro faccia effetto, saranno pochi minuti, basterebbe per cento persone”.
“È molto tardi per cenare, sospetterà qualcosa, non pensi?”
“Dimitrij, se hai troppa paura vattene, non sarebbe la prima volta che ti tiri indietro!”
Il ragazzo passò una mano tra i curatissimi capelli biondo cenere, senza poter nascondere il proprio nervosismo. Non era un uomo d’azione, ma quella era una un’occasione unica, nella quale si giocava il futuro di molte esistenze cruciali, e non poteva mancare. Inoltre Felix non gli avrebbe perdonato tanta viltà; sarebbero stati ben sette uomini, più una ballerina che Nikita aveva assoldato per simulare col suo passo femminile la presenza della principessa al piano superiore. Avrebbero danzato, l’unica ≈≈per la quale suo cugino era utile, pensò con disprezzo. E la verità era che morivano di paura. Cosa avrebbe potuto il monaco da solo contro di loro? Oltre al veleno avevano pronte pistole e coltelli… avrebbe evocato il suo padrone, il diavolo, lì nello scantinato, facendoli sparire in una nuvola di zolfo? Neppure la sua balia gli aveva mai propinato tante idiozie, però… Una serie di immagini passò davanti ai suoi occhi. Tutti i contadini che gridavano al miracolo affermando che Rasputin guariva anche trecento persone al giorno, l’incredibile potere di persuasione che aveva su chiunque fissasse troppo a lungo nell’abisso delle sue pupille scintillanti di malvagità, i riti orgiastici ai quali partecipavano molte figure di spicco della corte, specie donne giovani e belle, tutte bramose di farsi montare come cagne da quel mostro.
Era un dovere liberarsi di un essere così perverso e pericoloso, e quella notte – bianca di neve e nera nell’animo – era perfetta.

≈≈≈            

“Non mi piacciono i dolci, Felix, non li mangio mai”.
“Questi sono buonissimi, sono petit four, mia moglie li ha fatti portare appositamente per te. E vorrai qualcosa da bere, c’è del madeira, so che è il tuo vino preferito”.
“Prendo del tè. Dov’è la principessa?”
Yusopov si sentì stringere il cuore; doveva aver capito, era ovvio. Il tè era sicuro perché ne avrebbe bevuto anche lui, ma poteva sempre aggiungere del cianuro nella tazza; però il suo proposito fu fermato dal timore assoluto di essere visto, e che quell’orso siberiano lo facesse a pezzi con le zampe micidiali.
“È tardi, perché siamo ancora soli?”
“Ci sono degli altri ospiti, Rasputin, mi dispiace, Irina non può mandarli via, sono degli ambasciatori; mi ha pregato tanto di trattenerti”.
La bugia era stata provata tante volte, eppure adesso suonava stonata e infantile, e l’espressione d’odio che rabbuiava il volto rozzo e pallido del convitato era la prova che il piano non era poi così ben architettato.
“Questa musica è ridicola, suona tu per me. Ripensandoci prendo un bicchiere di vino”.
Felix fu contento di quel diversivo che gli faceva guadagnare tempo; versato un calice di madeira all’ospite prese la sua chitarra a sette corde, e mentre al piano di sopra la ragazza e i suoi amici ballavano con evidente impegno nel produrre rumore al ritmo di Yankee Doodle, il principe scelse una ballata gitana molto più nei gusti dell’invitato.
In realtà si era fatta l’una prima che i due presunti amici fossero arrivati nella residenza di Yusopov, e un altro paio d’ore erano trascorse. Rasputin aveva cominciato ad assaggiare un pasticcino, poi un altro, poi quasi l’intero piatto, annaffiandoli con quattro bottiglie del vino dolce. Improvvisamente il monaco si portò una mano alla testa.
“Sono ubriaco, Felix, invece tu non mi fai compagnia. Cosa devo pensare?”
“Niente, ho già bevuto troppo a cena. Vado a controllare se gli altri stanno andando via”.
Felix salì le scale con la velocità di chi vuole scampare a qualcosa di terrificante, mentre lo sguardo della vittima lo trapassava dalla schiena.
“Non succede niente! Non muore, è impossibile, ha finito tutto il vino e i dolci, c’era abbastanza veleno per uccidere un bisonte! Non è umano. Signori, stiamo cercando di assassinare il diavolo! E voi continuate a ballare e ridere, fate baccano, non so più che fare! Puriškevič, sei sicuro che fosse cianuro?”
“Completamente certo,” l’uomo appariva molto più calmo, o forse era la sua aria da intellettuale dovuta agli occhiali e la barba bruna a conferirgli quell’aspetto “l’ha preparato il mio speziale ed è sempre rimasto in mano mia. Nessuno potrebbe sopravvivere, neppure un…”
“Non ditelo, Puriškevič, non attiriamo la sfortuna, la mia famiglia è già provata. C’è solo una cosa da fare”.
Fëdor Aleksandrovič Romanov era un giovane che sapeva il fatto suo. Avrebbe preferito essere lui il prescelto per sistemare quella faccenda, non suo cognato, che non stimava affatto. Gli bastò un cenno del capo, e Felix si arrese.
“Ho capito, bisogna sparargli, è l’unica cosa. Dimitrij, vieni con me”.
Ogni passo, ogni scalino, sembrava che lo conducessero al patibolo, ma non in veste di boia bensì di condannato. Quando aprì la porta la figura imponente del monaco era di fronte a lui, minacciosa e incombente.
“Vorresti ammazzarmi, Yusopov? Lo so da quando mi sei venuto a prendere, ma tu non puoi, io sono immortale!”
Se c’è qualcosa che smuove anche il più inetto tra gli uomini, quella è la paura; era Felix a essere armato, ma non era sicuro di uscire vivo da quella notte. Un primo colpo della Webley si piantò nella parte alta dello stomaco di Rasputin, vicino al cuore, un altro nel fegato.
Con una smorfia orribile sul viso, quell’uomo così spaventoso, temuto e considerato esente dalle leggi della natura, era caduto a terra tenendosi il ventre con le mani, mentre emetteva un grido strozzato.
“È finita, Felix, ce l’hai fatta, andiamo a dirlo a tutti!”
Non può essere così facile
Queste parole giravano vorticosamente nella testa del principe, che non avrebbe mai ammesso di desiderare un abbraccio dal suo innamorato, in quel momento.
“Yusopov!”
Tutti i presenti si slanciarono verso di lui, stringendogli le mani e battendogli delle leggere pacche sulla schiena, quel poco che il suo titolo permetteva, pur in quella situazione.
“Bevi, brindiamo!”
Anche Lazovert e Suchotin, che erano rimasti più in sordina, ora si lasciavano andare all’entusiasmo. Dopo poco, però, il disagio era sceso di nuovo tra loro.
“Devo controllare, non sono tranquillo”.
Stranamente nessuno obiettò. Non potevano sussistere dubbi, eppure sembrava giusto volere un’altra prova. Felix ridiscese la scalinata, questa volta riscaldato dalla vodka e dall’adrenalina, e per un attimo tirò un sospiro di sollievo. Il cadavere era lì, fermo dov’era caduto: cos’altro poteva succedere?
Non era fiero del suo operato, in un certo qual modo; non c’era nessuna gloria. Era stata una battuta di caccia, una preda disarmata contro un uomo con un’arma da fuoco, eppure gli pareva di essere stato particolarmente eroico. Lasciare il corpo nel seminterrato era davvero troppo, e infine era meglio portare a termine il lavoro in fretta e poi cercare di passare oltre. Si avvicinò con prudenza, quasi come se potesse svegliarlo, il fiato trattenuto tra le labbra. Il principe si decise a tastare il polso del morto, che difatti non pulsava; lo scosse, quasi un gesto di sfida, ma l’impossibile accadde. Grigorij Rasputin aprì l’occhio sinistro, colmo di un odio mai visto prima. Le sue mani possenti afferrarono il collo di Felix, paralizzato dallo shock, stringendo con tutta la forza che restava in quell’essere sovrumano. Il principe riuscì a malapena a liberarsi, solo perché aveva con sé il suo pugnale, che conficcò nel petto gigantesco per tre volte; ma tutta la capacità di reagire terminò un istante dopo. Il monaco si mise in piedi, e risalì la scala, veloce come se nulla fosse accaduto, fuggendo verso la porta del cortile. Fuori si gelava, e la neve fresca rendeva difficile avanzare, ma niente poteva fermare quel demone che lottava per la sua sopravvivenza. Ormai Rasputin era troppo vicino alla strada perché i congiurati potessero rischiare o arrendersi. Il giardino era lordo di sangue, e non sarebbe stato facile spiegare il perché. Sperando che il rumore non li tradisse, Felix sparò ancora sentendo l’odore della polvere e il rumore che non sarebbero spariti mai più dalla sua mente. Un proiettile raggiunse il monaco al centro della schiena e un altro alla testa. Ormai era fatta, ma Yusopov infierì sul corpo prendendolo a calci in faccia, quasi a voler fare sparire i lineamenti che tanto odiava.
“Portate una coperta! Dobbiamo fermare tutto questo sangue, alla svelta!”
La porta orientale del palazzo dava verso la Naberezhnaya, una strada ampia ma di certo deserta, al momento. L’unico modo era portare via Rasputin con la macchina, prima che sopraggiungesse una tormenta di neve a impedire ogni spostamento.
“Signori, mi dispiace disturbarvi”.
C’era davvero la volontà del diavolo a rendere quella notte costellata di spaventi infiniti. La polizia metropolitana raramente osava infastidire i nobili, ma non poteva giungere a ignorare l’uso di una rivoltella.
“Non si preoccupi, ufficiale…” Puriškevič era il più imperscrutabile, era naturale che parlasse lui.
“Bogdanov, vostra altezza”.
L’uomo non si disturbò a contraddirlo, anzi, l’equivoco avrebbe confuso l’eventuale rapporto dello zelante poliziotto.
“La verità è che siamo tutti ubriachi, e un mio ospite per provare una pistola nuova ha ucciso un cane, non è successo nulla. Però vi prego di non raccontarlo, non faremmo una bella figura, capite”.
“Ma certo, principe”.
No, non era certo affatto. Negli occhi intelligenti dell’uomo si leggeva il sospetto, forse non avrebbe taciuto. L’ipotesi rivoltante di freddare anche lui non era possibile, c’era un altro agente rimasto più indietro, e loro non erano volgari briganti. Giustizieri, questo avrebbero dovuto credere per sempre.
Il percorso in macchina era assai breve, eppure sembrava durare un’eternità. I quattro amici contavano ogni metro, ogni secondo, mentre la vettura girava lungo la Neva, passava su un piccolo ponte che portava sulla riva del ramo chiamato Malaja Nevka, infine raggiungendo il ponte Bolshoy Petrovski; proprio al suo inizio c’era una passerella che avrebbe consentito di sollevare il pesante corpo, alzandolo oltre il parapetto per liberarsene una volta per tutte. La scia di sangue era una lunga fascia nera, alla luce sbiadita del poco di luna che si era arrischiata a illuminare una notte come quella; notte di assassinio, di ferocia, di dannazione.
Quando le autorità a seguito del ritrovamento del corpo dichiararono che l’autopsia non aveva riscontrato tracce di veleno, e molte ipotesi furono fatte – c’era chi sosteneva che il monaco fosse ancora vivo quando fu gettato in acqua –, gli assassini seppero che non sarebbero mai stati liberi. L’esilio non era il male peggiore, lo era la paura del giorno in cui sarebbero morti e Rasputin, il folle, l’ombra della Zarina, il figlio del demonio, li avrebbe attesi all’inferno con le braccia aperte, le cavità degli occhi riempite di fiamme eterne. Forse dovevano dargli ascolto? Avrebbe salvato la Russia, invece di perderla?
Avrebbero avuto tempo per pensarci, anni nei quali non avrebbero fatto ritorno a casa, ogni sera prima di cercare di prendere sonno, in ogni incubo in cui una voce come il ringhio di una belva avrebbe sussurrato: 'dobro pozhalovat, amici miei’.

Note
Ho fatto un tentativo: essendo le note poche per un testo abbastanza lungo, non ho “sporcato” la pagina con gli asterischi, nella speranza che la lettura non sia ostacolata, anzi, più scorrevole.
Salicina= nome usato per l’aspirina fino al XIX° secolo circa: non ho trovato l’anno esatto della variazione del nome.
Gulob= colomba. Usato per ogni forma di affezione per una donna.
Yankee Doodle= per quanto la scelta sia bizzarra, ho visionato più documentari e la musica suonata è sempre questa, o è assente.
Dobro pozhalovat= benvenuti
Ho enfatizzato – sperando di dare corpo al genere noir – il dubbio sulle presunte capacità sovrannaturali di Rasputin: solo in un documentario ho trovato menzione anche delle coltellate, ma era quello di History Channel, per cui l’ho preso a prestito… in generale non ci sono invenzioni mie vere e proprie, ma ho solo seguito le maldicenze e le cronache più fantasiose raccontate storicamente.

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