No time for Regrets
Responsibility
Jin tentava inutilmente di scaricare il peso del piede, mantenendosi in
equilibrio precario su quei benedetti supporti a cui non era abituato. Le
stampelle erano estranee appendici delle braccia in quel momento: non era un
ballerino, non lo era mai stato, non aveva mai avuto a che fare con infortuni
del mestiere.
Una prima volta la sua. Una fastidiosissima, estenuante prima volta. E neppure
legata al lavoro, bensì ad un’immane cazzata che ora aveva assunto tutt’altro
significato, osservandola a posteriori.
La sera prima la signora Choi aveva contattato una guardia medica notturna
nella speranza di una visita a domicilio, negato per motivi di forza maggiore.
Non potendo trasportare il ragazzo fino all’ambulatorio, si avvalse della buona
volontà e dell’esperienza pregressa di Hoseok, il ballerino di punta del
gruppo. Ne aveva strette di fasciature, coinvolgendo articolazioni di ogni
tipo. Stavolta non sarebbe stato diverso, aveva compresso bene il tutto per
tener ferma la caviglia, consigliando riposo e astensione dall’attività fisica
– una buona notizia almeno, disse Jin ridendo.
Ora non aveva nulla da ridere.
Lui, e Jungkook.
No, il dolce far niente del più grande s’era tramutato in ansia, palesata con
il solito atteggiamento di chi aveva bisogno di attenzioni per scaricare pensieri
negativi e imprevisti non graditi. Ansia che aveva colpito anche il collega più
giovane, presente con lui di fronte alla porta chiusa che li separava dal
manager e dall’insegnante di danza. Aspettavano di entrare, erano stati
convocati giusto poco prima della fine del turno pomeridiano, quando avrebbero
dovuto trovarsi in studio di registrazione a seguire le lezioni di canto. Sapevano
entrambi il motivo della loro presenza lì, anche perché difficilmente era
permesso loro l’esonero dallo studio.
«Ehi, tutto bene?»
Jin lo fulminò con lo sguardo. «Bene un cazzo, è tutta colpa tua. Tua e di quel
cretino di Jimin.»
Rise Jungkook, perché l’accusa mossa verso di loro non aveva alcun senso.
Scosse la testa nascondendo le labbra con la mano, non voleva dare a vedere
d’essere colto da un improvviso e irrefrenabile attacco di ilarità.
«Cosa ridi?! Ne sentiremo come non mai, e tu ridi?»
Il ragazzino esplose senza aver la forza di fermarsi.
«Beh, almeno lo stai facendo.»
«Come?»
«Non sorridevi più. Era triste, mi stavo seriamente preoccupando. E non
arrossire, sei imbarazzante.»
Jungkook non diede peso subito a quelle parole, era fin troppo impegnato a
tentare di non immaginare scenari tragici al di là di quella porta.
«Beh, l’importante è che tu ora abbia fatto pace con lui, così noi potremo
continuare a lavorare in pace.»
«Noi? Come noi? Sei con il piede bloccato perché hai voluto giocare al
supereroe contro una porta.»
«Però è servito, dì quello che vuoi. Se non fosse stato per me, tu saresti
ancora chiuso là dentro a discutere con quell’altro.»
Stava per ribattere quando la loro attenzione venne assorbita da una voce
autoritaria al di là dell’entrata. Si guardarono un’ultima volta, facendosi
seri, ed attraversarono l’uscio col capo chino e il magone a chiudere la gola.
«Allora, quando si muovono? Hanno finito?»
«Taehyung, calmati. La situazione è quella che è, hanno sbagliato entrambi ed è
giusto che ne paghino le conseguenze. Questo è essere persone responsabili.»
Namjoon fingeva un tono distaccato, cercando di giustificare una chiamata così
repentina. Sapeva che la situazione non era certo delle migliori, ma convocare
due di loro senza dargli alcuna spiegazione come rappresentante e riferimento
del gruppo… no, non doveva pensarci, era giusto così. Erano adulti e vaccinati
– più o meno, Jungkook dall’alto dei suoi quindici anni difficilmente avrebbe
potuto considerarsi tale – e quindi capaci di comprendere i propri errori.
Poteva solo sperare in una serie di conseguenze non troppo pesanti.
«Come sta Jin?»
«Non bene. Si è scagliato a gamba tesa contro una porta, solo un deficiente
avrebbe potuto fare una cosa del genere. Sarebbe bastato aspettare un minuto in
più.»
«Hai capito perché l’ha fatto?» Taehyung rimescolava il caffelatte con
insistenza, senza averne ancora preso un sorso.
«Sinceramente? Non ne ho idea. È stato un gesto così stupido che mi ha preso
alla sprovvista. Io ti giuro, certe volte non capisco proprio.» Namjoon si
portò alle labbra la tazzina di caffè bollente, con il solo risultato di
sputarne il contenuto sul tavolo: aveva scambiato il sale per lo zucchero.
Di nuovo.
«Buono?» Rideva l’amico, perché episodi simili accadevano abbastanza spesso.
«Sei tanto stressato?»
Il biondo non capiva il perché di quella domanda: certo che era stressato, era il leader di un
gruppo di ragazzini che spesso dimostravano l’indole da bimbi della scuola
elementare. Doveva tirare le redini, reindirizzare certi comportamenti,
riequilibrare i rapporti personali tra i compagni e nel mentre cercare di
imparare a ballare, continuare a scrivere testi di canzoni fino allo
sfinimento, e mantenere sano l’equilibrio generale. In quei giorni non era
riuscito a fare nessuna di quelle cose, nonostante ci avesse provato. Sbuffò
asciugando la superficie macchiata con uno straccio, per poi accasciarsi sulla
seduta dello sgabello con la testa tra le mani.
«Tae, dove sto sbagliando?»
Taehyung non capì in quel momento quanto sarebbero state pesanti le conseguenze
di una tale domanda, credeva l’altro stesse vivendo uno di quei tanti momenti
di breve sconforto che caratterizzava la vita dei giovani. Solo che loro non
erano ragazzi qualsiasi.
«Non stai sbagliando niente, siamo tutti sulla stessa barca. Stiamo imparando,
stiamo andando avanti, e non è facile per nessuno di noi. Guarda che non sei da
solo, sai?» Taehyung si sporse verso di lui stringendolo in un caldo abbraccio,
donandogli tutto l’affetto ed il sostegno possibile. Si staccò poco dopo
sorridendo, allargando le labbra in una di quelle smorfie che solo lui sapeva
fare. «Fidati di me, andrà tutto bene.»
«L’ultima volta in cui mi sono fidato di qualcuno, ha rischiato di spaccarsi la
gamba imitando Hulk.»
«Jin è Jin, io non sono Jin. Vedi? Ho un’altra faccia, guarda gli occhi, i miei
sono più chiari, più brillanti. I capelli? Vogliamo parlarne? I miei sono più
fluenti, non c’è storia, ed il colore si intona meglio alla carnagione.»
«Non ti preoccupare, ho capito. Stai cercando di farmi stare meglio, e di
questo ti ringrazio. Solo che ci sono delle volte in cui penso al motivo per
cui sono stato scelto come leader… ci sono tante responsabilità, mi stanno
pesando addosso come non mai…»
Si bloccò mordendosi il labbro, la sensazione di stare parlando troppo e a sproposito
lo stava facendo sprofondare nell’imbarazzo. Doveva tenersele per sé quelle
conclusioni, come punto di riferimento non avrebbe mai dovuto mostrarsi debole;
con Taehyung però era diverso, aveva la capacità di tirar fuori tutto ciò che
la mente e il cuore tentavano di nascondere. Rovistò nella tasca alla ricerca
del lecca lecca che teneva
di riserva: il dolce multicolore lo aiutava a scaricare il nervosismo, in barba
ai dentisti. Lo scartò e se lo ficcò in bocca cominciando a morderlo con
insistenza.
«Nam? Ehi? Sicuro che…?»
«Cosa succede adesso?»
«Ti verrà il mal di pancia, tutto qui.»
L’alzata di spalle mostrò un finto disinteresse, ma in realtà il ragazzo amava
quel genere di attenzioni che gli dedicava l’amico, lo faceva sentire
importante ed apprezzato. Si mosse verso il corridoio per schiarirsi le idee e smaltire
la stanchezza della lezione del pomeriggio, quando intravide Yoongi e Hoseok
muoversi verso di lui conversando in maniera attenta: il secondo stava
stringendo tra le mani un blocco per appunti, mostrandogli qualcosa con la
punta della penna. L’altro osservava concentrato sagomando nell’aria qualcosa
con l’indice come a tentare di imprimersi delle immagini precise in testa.
Doleva interromperli, anche perché ultimamente Namjoon s’era accorto che Yoongi
passava più tempo con Jungkook che non con tutti gli altri, e vederli così lo
rallegrava: stavano di nuovo collaborando, era un bene, si disse. I due lo
superarono, Hoseok sorrise per poi cambiare tono facendosi improvvisamente serio.
«Ah, a proposito, sono appena usciti.»
Namjoon corse verso l’ufficio principale sperando di ricevere buone notizie, ma
i volti scuri di Jungkook e Jin sembravano non promettere nulla di buono.