Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    03/03/2021    3 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tredicesimo
 

Un altro urlò lacerò il silenzio che si era creato negli ultimi dieci minuti;
Tallulah non aveva osato parlare da quando avevano sentito il primo. Era curva sul tavolo con il mento poggiato sulle braccia e gli occhi fissi sulla fiammella debole che illuminava la stanza. Cercava di concentrarsi sul quel tremolio e sul leggero calore che irradiava, un paio di volte era stata sul punto di cedere alle palpebre sempre più pesanti; poi però le grida strazianti la scuotevano fin nelle ossa e gli occhi tornavano vigili. La porta si aprì di colpo ed il Capitano entrò nella stanza, facendole sobbalzare il cuore nel petto.
«Hanje non è ancora arrivata?» chiese e quando i ragazzi scossero la testa, sbirciò l’orologio «Di sopra ci sono dei bagni, le tubature sono vecchie, ma funzionano. Andate a turni a fare una doccia».  
Le sembrò di essere invisibile perché non la degnò di uno sguardo e non seppe se esserne ferita o sollevata. O spaventata.
Levi stava torturando Djel Sannes con le stesse mani con cui l’aveva toccata nemmeno un paio d’ore prima. Eppure, benché le sue le sue dita fossero state rudi, sapeva che erano anche indulgenti e morbide. Le aveva sentite sulle guance, sul collo, lungo la schiena e-. 
Strinse le gambe, risentendosele quasi addosso.
No, per quanto poco lo conoscesse, era certa che non gli piacesse infliggere dolore. Soprattutto nell’ultimo periodo aveva cominciato a notare piccoli gesti che mostravano quanto, nel suo silenzio severo, si preoccupava per i suoi compagni molto più di sé stesso, quanto fosse attento ai bisogni dei suoi sottoposti. Ricordava la sua espressione quando gli aveva pianto addosso o quando si era arrabbiato perché non si era accorta della sella sistemata male. Non voleva che lei morisse, che nessuno morisse. Lui era gentile. Quel pensiero la rattristò perché nonostante tutto combatteva senza battere ciglio. Uccideva. Solo qualche ora prima aveva lacerato la pelle di chissà quanti soldati e non le era sembrata proprio la sua prima volta.
Sotto l’acqua della doccia Tallulah continuò a cercare di mettere ordine nella sua mente sovraccarica. Nonostante l’odore di stantio e gli asciugamani consunti, fu un vero sollievo togliersi di dosso quella sensazione di sudicio; erano in un vecchio casolare, non aveva idea di chi ci abitasse o ci avesse abitato, ma a quel punto gli agganci di Erwin non la stupivano più. Mentre indossava il cambio pulito che aveva nello zaino guardò il riflesso di Mikasa intenta a frizionarsi i capelli.  
«Pensi che quel tizio ci dirà dove sono Eren ed Historia?». 
La corvina alzò le spalle «Se continuano così non potrà durare a lungo» 
«Vorrei ci fosse un altro modo» mormorò Tallulah, chiudendo la fila di bottoni della camicia bianca. Odiava quelle urla.
«So a cosa stai pensando» rispose Mikasa con voce incolore «Ma è come quella volta, con Ymir. Eri pronta ad attaccare una tua compagna solo perché ci stava intralciando. È così, è la guerra. Rende inumani»
«So com’è la guerra» disse, stupendosi del tono stizzito che le uscì. Forse stava soccombendo sotto tutte quelle sensazioni contrastanti. Si costrinse ad addolcire la voce «Ma mi fa schifo».
Per qualche secondo ci fu silenzio, tanto che Tallulah pensò che la conversazione fosse finita lì.
«Anche a me» sussurrò tuttavia Mikasa «Ma Eren è più importante di tutto».  
Tallulah sgranò gli occhi e si voltò verso di lei, trovandole addosso tutta la tristezza che probabilmente aveva represso fino a quel momento. Con passi veloci la raggiunse e l’abbracciò, non curandosi del suo sussulto di sorpresa.  
«Lo troveremo. Alla fine, ci riusciamo sempre».  
La schiena Mikasa si rilassò e ricambiò quella stretta, rimanendo con il capo sulla spalla della riccia per qualche secondo. Tallulah chiuse gli occhi, sentendosi immensamente meglio ed allo stesso tempo sull’orlo delle lacrime. Per un attimo, l’idea di raccontarle tutto ciò che era successo con Levi le balenò nella mente. Forse sentirlo ad alta voce l’avrebbe aiutata.
«Ehi! State stringendo un patto d’amicizia senza di me?!» la voce indignata di Sasha, appena uscita dalla doccia, interruppe i suoi pensieri. Non fecero in tempo a girarsi verso di lei che si era precipitata su di loro e le aveva circondate.  
«Noo, sei tutta bagnata!» 
«Sasha! I vestitii».
Anche se solo per pochi minuti, si dimenticarono di guerre, morti e giganti.  
 
Era ormai l’alba quando lasciarono il rifugio. Le ore si erano susseguite velocemente da quando Hanje era arrivata, altrettanto velocemente lo sgomento aveva preso piede nelle loro espressioni non appena ascoltato le notizie che portava. L’unica nota positiva di tutta quella inquietante faccenda era che adesso sapevano dove si trovassero Eren ed Historia. Affrontare Rod Reiss, tuttavia, era un altro paio di maniche, soprattutto in una situazione come quella: erano praticamente diventati dei fuggitivi.
 
Ascoltare i suoni del bosco non le dispiaceva, anche se le fronde erano altissime e il sole vi penetrava solo in alcuni punti più radi. Ogni tanto si sentiva qualche cinguettio e il vento che soffiava tra le foglie.
«Fermiamoci qui».
La voce di Levi, poco più avanti a lei, sembrò propagarsi nel silenzio come un’eco. Erano arrivati in una piccola radura, la conformazione dei massi era favorevole per accamparsi per qualche ora e la fame cominciava a farsi sentire. I ragazzi cominciarono a sparpagliarsi, posando gli zaini sull’erba e scambiandosi qualche parola, e Tallulah tirò fuori la borraccia. Bevve avidamente, ascoltando il Capitano fare il punto della situazione.
«...E qualcuno dovrà andare in città per comprare da mangiare, magari riusciamo anche a raccogliere qualche informazione in più sulla situazione. Qui siamo fuori dal mondo».
Una lieve nota infastidita tinse le sue ultime parole e Tallulah si chiese se fosse lui a star diventando più espressivo o lei più abituata al suo modo di essere.
«Posso andare io. Ho un viso anonimo e passerei inosservato» si propose Jean e Levi lo fissò scettico. Era alto, giovane e attraente.
«No, se ci andassi da solo. Mikasa, Armin, andate con lui. Massima prudenza»
«Ricevuto Capitano» rispose la corvina scambiandosi con gli altri un cenno della testa. I preparativi durarono pochi minuti, non potevano perdere tempo. Poco dopo Armin si avvicinò a Tallulah sfiorandole un braccio.
«Vuoi venire anche tu?» le chiese e Tallulah accennò un sorriso. Anche in quella situazione Armin era sempre attento a lei, sapeva bene che le sarebbe piaciuto vedere la città, le avrebbe tirato su il morale anche se in veste di fuggitivi.
«Saremmo in troppi, è meglio non attirare l’attenzione. Sto bene, non preoccuparti» lo rassicurò, stringendogli la mano. Non le piaceva l’idea di allontanarsi da Levi; nella situazione in cui erano poteva succedere di tutto in ogni momento e non avrebbe tollerato non essergli accanto. Il biondo si limitò ad annuire, combattendo per mantenere un’espressione normale piuttosto che cedere al disappunto: eppure, ormai aveva capito. Ingoiò una spiacevole fitta e si costrinse a concentrarsi sulla missione.
«Mi raccomando, state attenti».
 
Levi stava pulendo il suo dispositivo con un panno in tessuto, quando li vide parlare dall’altra parte dello spiazzo. Le sue mani si fermarono e seguì il movimento di Armin sul braccio di Tallulah; non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo, ma lei non si era tirata indietro, anzi, gli aveva sorriso e la mano aveva stretto le dita del biondo. Aggrottò le sopracciglia, distogliendo lo sguardo, tornando a sfregare il dispositivo con rinnovata forza. Tallulah era una distrazione. La missione, la squadra, Erwin, avevano bisogno della sua totale concentrazione. Eppure, Levi non riuscì a fargliene una colpa; tutto sommato, il suo comportamento era stato esemplare dopo ciò che era accaduto la sera prima, no, dopo il primo bacio che si erano scambiati. Non una parola, non una scenata, aveva continuato a stargli accanto, a stare attenta a lui. Gli ricordava Petra, la cui presenza confortante era stato qualcosa da cui si era sempre tenuto lontano. Con Tallulah non ci era riuscito.
Per un istante, il volto senza vita della ragazza si sostituì al cadavere di Petra.
Serrò la mascella e scacciò con violenza quei pensieri.
 
Tallulah posò l’ultima roccia e completò il cerchio per accendere il fuoco: ora doveva solo aspettare che Sasha e Connie tornassero con della legna adeguata. Levi si era allontanato per una veloce ricognizione, quindi era sola con i suoi pensieri. Si rialzò e batté le mani per sbarazzarsi di terra e polvere, ripensando agli ultimi avvenimenti, a come tutto stava cambiando velocemente. Avrebbero fatto in tempo a salvare Eren? Con Mikasa era stata così sicura delle sue parole, ma nel profondo non riusciva a fare pronostici. Prima l’ignoto era solo fuori dalle Mura, adesso sembrava circondarli ovunque andassero. Se avessero perso Eren, che possibilità avevano? No, no, non doveva cedere all’ansia, doveva essere positiva. Non avrebbero vinto se non ci avessero creduto.
La differenza è nel cuore.
Tallulah ripensò alla bambina che aveva salvato, le aveva promesso che sarebbe tornata a trovarla. Voleva davvero rivederla. Voleva continuare a stare con i suoi amici, voleva baciare ancora Levi. Perciò, dovevano vincere e vivere.
«..., ma continuavi a sbagliare strada»
«Potevi dirmelo! Sei tu che hai vissuto nei boschi, questi cespugli sembrano tutti uguali».
Le voci dei ragazzi interruppero il silenzio e Tallulah andò loro incontro per aiutarli con i rami.
«Spero che gli altri portino qualcosa di buono. Ho fame» si lamentò Sasha e Connie si portò una mano sullo stomaco.
«In effetti anche io»
«Non abbiamo molto, ma si può cucinare qualcosa» disse Tallulah, indicando con la testa il sacco marrone di fianco al suo zaino. «Non siete riusciti a cacciare nulla?».
«Figurati. Questo testone ha fatto scappare ben due lepri» bofonchiò Sasha, sistemando la legna. Connie le fece il verso e Tallulah ridacchiò. Quando riuscirono ad accendere il fuoco, la riccia lasciò che si occupassero del pasto e andò a cercare il Capitano.
 
Lo vide pochi minuti dopo vicino ad un grande tronco e ci mise un po’ a trovare coraggio per avvicinarglisi. Cosa le era permesso quando erano soli? Poteva parlargli normalmente? Poteva toccarlo? Inspirò per calmare il cuore troppo veloce; non era mai stata così tesa in sua presenza, nemmeno la prima volta che si erano incontrati in veste di Capitano e soldato. Si morse un labbro e si guardò attorno, giusto per precauzione, poi si affrettò verso di lui e lo scalpitio dei suoi passi veloci attirò l’attenzione di Levi. L’uomo si fermò e aspettò di vederla fermarsi al suo fianco, i capelli ricci legati in una mezza coda e due occhiaie violacee che lo preoccuparono. Da quanto non dormiva?
«Ciao», gli disse lei, sperando che quella voce stridula che le era uscita fosse solo una sua impressione.
«Non ci siamo appena incontrati, mocciosa. Non c’è bisogno di salutare»
«Giusto» ridacchiò a bassa voce, rilasciando l’aria che aveva trattenuto. Levi continuò a guardarla, notando le guance accese e gli occhi che si posavano ovunque tranne che su di lui. Era nervosa, glielo leggeva in faccia fin troppo chiaramente. 
«I ragazzi sono tornati?»
«No», scosse la testa «Sasha e Connie stanno cucinando qualcosa».
L’uomo annuì e la superò, facendole segno di seguirlo.
«Dove andiamo?»
«Ci dovrebbe essere un ruscello qui intorno».
«Come lo sai?»
«C’è odore di muschio bagnato».
Tallulah inspirò, facendo attenzione al profumo, ma non sentì nulla di particolare; qualche metro più in là, tuttavia, cominciò a sentire un suono scrosciante.
«Lo sento!» esclamò con un sorriso, affrettando il passo.
«No, non di là» la richiamò Levi, alzando gli occhi al cielo «A destra».
Quando sbucarono sulle rive del corso d’acqua, aprì le labbra in un sorriso. L’aria era più fresca, il rumore più forte e quel profumo adesso lo sentiva chiaramente.
«Stupendo» disse, già china a togliersi scarpe e calze, del tutto dimentica della tensione di prima. Abbandonò il mantello su un grosso masso con cui si aiutò a scendere nell’acqua, mentre Levi si sciacquava le mani e il viso, fissandola con la coda dell’occhio.
«Cerca di non romperti una gamba»
«Uccidiamo giganti, direi che posso arrampicarmi su dei sassi innocui» rispose noncurante e subito dopo rabbrividì al contatto con l’acqua. «È gelida».
Si lavò lo sporco dalle mani e là dove riusciva a raggiungersi senza bagnarsi troppo i vestiti, sospirando a quella sensazione di fresco.
«Vieni?» gli domandò infine, esitante.
«Non entro lì dentro, mocciosa» rispose Levi, continuando a guardarsi intorno attentamente.
«Perché no?»
L’uomo si rialzò e puntò gli occhi azzurri su di lei.
«Chissà che schifezze ci sono sul fondo» disse con una smorfia. Tallulah sorrise e riempì i palmi d’acqua un’ultima volta, bagnandosi i capelli e il viso. Poi, si affrettò a risalire le sponde del ruscello e lo raggiunse; si era seduto poco più in là e la cosa le sollevò le farfalle nello stomaco, voleva dire che non sarebbero tornati subito indietro. Poteva stare sola con lui ancora un po'.
«Non ti piace molto, vero?» gli domandò, prendendo posto al suo fianco, sull’erba.
«Cosa?»
«Vivere così. Accamparsi in un bosco».
Levi scrollò le spalle «A chi piacerebbe?»
«A me sì» rispose Tallulah, lasciando scivolare lo sguardo sui colori armoniosi davanti a loro. «Ma non da sola, sarebbe noioso».
Levi sollevò un sopracciglio, limitandosi a guardarla con espressione sarcastica.
«Tch. Dopo una settimana, pregheresti di tornare agli alloggi»
«Non sono mica schizzinosa come te» roteò gli occhi, per poi stringere le labbra e guardarlo con ansia. Di nuovo, cosa le era permesso dire? E fare? Aveva abbassato la guardia e l’idea di aver commesso un errore la terrorizzava. L’avrebbe perso?
Levi la fissò per un lungo istante, uscendo per un attimo da quella sorta di pace patinata in cui erano entrati. Era già successo che si sentisse così con lei, quando si trovavano da soli. Era facile stare con Tallulah, se ne rese conto pieno in quel momento. Non doveva sforzarsi, tutto filava con una naturalezza che forse non aveva mai provato. Una parte di lui desiderava che fosse lo stesso per lei, voleva cancellare quell’aria tesa con cui lo guardava da ieri sera.
«Non sai cosa vuol dire vivere senza le comodità a cui sei abituata».
Tallulah deglutì e tornò a respirare, sentendosi più leggera ed incomprensibilmente più felice.
«Tu sì?» domandò, riprendendo coraggio. Che gli avesse richiamato ricordi spiacevoli, Tallulah lo capì da come gli si irrigidì la postura. Nonostante ciò, continuò a fissarlo con aspettativa.
«Sì», rispose semplicemente Levi, senza nessuna espressione particolare. La ragazza socchiuse le labbra, esitando e riflettendo su cosa dire. Non sembrava tanto propenso a parlarne di più, ma non si sarebbe arresa così in fretta.
«Mi racconti?» mormorò ed il soldato incontrò il suo sguardo.
«No»
«E dai, non è giusto! Io ti ho parlato dei nonni, è il tuo turno adesso»
«Non credo proprio» rispose, senza più nessuna traccia dell’ironia di qualche minuto prima. Tallulah si morse l’interno della guancia, cercando di capire come potesse approcciarlo.
«Non devi dirmi tutto. Magari qualcosa su...» rifletté per alcuni secondo, pensando a qualche argomento che non fosse troppo intimo. C’erano delle dicerie su di lui che circolavano nel distretto, ma erano confuse e non le ricordava bene. «Magari qualcosa di divertente. Anche se la vita non doveva essere facile, ci sarà stato qualche momento divertente» concluse con voce morbida. Levi tacque e alzò gli occhi verso l’alto, forse cercando il cielo. Da lì, lo si intravedeva solamente. Tallulah non interruppe quel silenzio e si era quasi rassegnata ad una non risposta, quando la voce dell’uomo le arrivò quieta.
«Perché vuoi saperlo?»
«Voglio conoscerti» mormorò sicura «Voglio sapere di più su di te».
Di nuovo, un breve silenzio, stavolta interrotto da uno sbuffo lieve; Levi si passò le mani tra i capelli, portandoli appena indietro.
«Stai diventando una vera rompicoglioni» borbottò e Tallulah sorrise appena.
«Sì, me l’hai già detto»
«Ti racconto una storia e basta. Ok?»
«Ok» accettò immediatamente Tallulah e si voltò di più verso di lui, incrociando le gambe.
«Anni fa vivevo con due amici. Loro-»
«Come erano? Come si chiamavano?» chiese Tallulah, gli occhi sgranati come un gufo. Levi alzò gli occhi al cielo trovando quell’espressione alquanto divertente.
«Furlan e Isabel. Non mi interrompere» le disse, senza rendersi conto di pronunciare quei nomi per la prima volta dopo anni. «Isabel si era messa in testa di curare l’ala di un uccellino ferito e quell’esserino aveva presto cominciato a svolazzare per casa»
«Che bello! E cinguettava allegramente?».
Levi storse le labbra «Certo che cinguettava, era un uccello. Non solo, sporcava anche dappertutto, il pavimento era un fottuto porcile. Io e Furlan pulivamo tutti i giorni».
Tallulah sorrise, immaginandosi Levi a rimproverare la creatura come faceva con loro quando qualcosa era fuori posto.
«Un giorno non lo si trovava da nessuna parte ed Isabel frignava come una mocciosa. Solo alla sera lo scovò ai piedi del mio letto: aveva cominciato a farci su il nido».
Stavolta la ragazza non riuscì a trattenere una vera risata e si coprì la bocca con la mano.
«Che tenero, si era affezionato a te» lo prese in giro e Levi scosse la testa; sembrava più rilassato e lo sguardo di Tallulah si ammorbidì. Una parte di lei voleva chiedere di più su questi suoi amici, ma non lo fece. In quei mesi non aveva mai visto Levi con nessuno a parte Hanje ed Erwin e qualcosa le diceva che se non erano nella legione esplorativa, allora dovevano aver tagliato i rapporti. O erano morti.
Un brivido angosciante le percorse la schiena e sospirò, sporgendosi verso di lui e posando la testa sulla sua spalla.
«Dovresti dormire» mormorò il soldato, senza scostarsi da quel contatto, ma evitando di approfondirlo. La sentì scuotere la testa.
«Non riesco»
«Sei preoccupata?»
«Sì. Fuori dalle mura so cosa aspettarmi, ma ora... Vorrei sentirmi più preparata, sapere come agire».
Levi si soffermò a guardare lo scorrere dell’acqua.
«Non puoi sapere in anticipo come reagire a determinate situazioni» rispose, pacato «Devi fidarti delle tue capacità».
Tallulah sbuffò una risata vuota «Non è che ne abbia molte, posso s-»
«Ti sbagli» la interruppe «Non ti ho presa nella mia squadra sulla base del niente».
Tallulah corrugò la fronte e per la prima volta rifletté su quella questione: non si era mai chiesta veramente perché Levi l’avesse scelta, in realtà a parte gli allenamenti con lui, non aveva avvertito il cambiamento di squadra. Non era stata separata dai suoi compagni ed era abituata a fare tutto insieme a loro, quindi le era sembrato del tutto normale che rimanessero insieme. Che sciocca. Tallulah sollevò la testa e Levi incrociò il suo sguardo muto per parecchi secondi.
«Pensi che io sia forte?» sussurrò sotto l’intensità dello sguardo del capitano.
«No», rispose secco Levi «Ma vali molto più di quello che pensi. Devi smetterla di auto sabotarti. La tua morte non servirà a portare in vita nessuno. Cerca di svegliarti e tirare fuori quello che sei in grado di fare».
Il soldato vide lo sguardo di Tallulah farsi più duro e le labbra socchiudersi. Per la prima volta non riuscì a leggerle il viso e si chiese a cosa stesse pensando. Poi lei si sporse e premette le labbra sulle sue con forza. Non mosse un muscolo e dopo due secondi si staccò, sondandogli il viso con attenzione. Era vicina, tanto vicina che vi lesse ciò che aveva voglia di fare, lo lesse così chiaramente che sentì una morsa piacevole allo stomaco. Anche lui aveva voglia di farlo. Le afferrò la nuca e unì nuovamente le loro labbra, tastando i contorni di quella situazione anomala. Non c’era abituato. Era abituato a resistere, a soffocare i suoi impulsi, quello era familiare, quello era qualcosa che poteva controllare. Questo no, avere voglia di baciarla e farlo senza remore, gli faceva girare la testa. Nemmeno quello fu un bacio dolce, Tallulah stava iniziando ad abituarsi ai movimenti smaniosi, a prendere confidenza con quelle labbra sottili e quella lingua umida che giocava con la sua. Le sue mani avevano trovato posto sulle sue spalle e presto si era trovata in braccio a lui, a stringerlo e a sentire un paio di braccia attorno a sé. Una lotta per la supremazia, una gara a chi sentiva di più il sapore dell'altro. E quanto le piaceva il suo sapore e il suo odore, dio, avrebbe voluto imprimerselo addosso in modo da sentirlo sempre, ovunque andasse. Avrebbe voluto inspirarlo e trattenerlo dentro di lei. E a lui, quanto piaceva essere toccato così, che cosa strana, ed essere libero di toccarla, di sentire quanto fosse reale. Si separarono appena, per riprendere fiato e la ragazza lo fissò, seguendo con le dita la linea della sua mascella. Al vederlo sotto di lei che la guardava con occhi impassibili, come se non le avesse appena violato la bocca, non resistette; si spinse di nuovo su di lui e si infiammò nel non trovare nessuna resistenza. Le palpebre le si fecero nuovamente pesanti per il languore che le si diffuse all’altezza dello stomaco e chiuse gli occhi, insinuando le mani nel collo della sua maglietta. L’uomo sentì i muscoli delle spalle contrarsi al passaggio di quelle dita ed un pensiero cercò di bucare quel calore avvolgente. Dovevano fermarsi. Non era assolutamente il luogo, né il momento adatto. Trattenne un ansito quando Tallulah sfregò il bacino su di lui, probabilmente senza neanche esserne cosciente: come la sera prima, sembrava non avere alcun pensiero razionale e Levi doveva combattere contro lei e contro sé stesso per evitare situazioni disastrose. Di nuovo, Tallulah si strusciò sulla sua intimità e stavolta non poteva essere stato un errore: si staccò e la fissò in cagnesco.
«Attenta» ringhiò con voce pericolosamente minacciosa e Tallulah si leccò le labbra, di riflesso. Non sapeva perché, ma qualcosa di lui aveva acceso un fuoco nelle sue viscere, le sembrava più attraente del solito, forse per il modo in cui i capelli gli ricadevano disordinatamente sulla fronte o lo sguardo azzurro che sembrava volerla mangiare.  
«A cosa?» chiese, facendo la finta tonta, come se non sentisse il sesso di lui tra le sue gambe, come se quella sensazione assurda non la stesse facendo implodere. Un desiderio così accecante non l’aveva mai provato.
«Non sarò sempre così gentile, mocciosa. Alzati, forza».
«No».
Non voleva ancora alzarsi, non era passato così tanto tempo e non voleva perdersi neanche un minuto di ciò che le era concesso. L’espressione di sincero sbigottimento di Levi l’avrebbe anche fatta ridere, in un’altra occasione. Non l’aveva mai vista, forse nemmeno lui ricordava da quanto non ne emergeva una, eppure eccolo lì, con le sopracciglia arcuate, gli occhi azzurri aperti e attoniti e le labbra aperte in una o un po' schiacciata. No, evidentemente Levi si era troppo abituato a dare ordini e vederli eseguiti.
«Scusami?» la minacciò e fu come se l’aria attorno a lui si facesse più pungente.
«No», ripeté semplicemente Tallulah, stavolta con tono compiaciuto. Era la stessa persona che un’ora prima tentennava come un’idiota balbettando un ciao? Un secondo dopo, Levi ribaltò la situazione con un colpo di reni e la schiacciò contro l’erba, portandole i polsi sopra la testa con una mano, senza preoccuparsi di dosare la forza con cui li stringeva: la ragazza sentì un sassolino dietro la testa e stava per protestare, quando la bocca del soldato la troncò sul nascere, rubandole le parole e il respiro, il peso del suo torso sul petto di lei. Le succhiò le labbra e la lingua, trascinandola in un bacio che aveva la palese intenzione di mettere in chiaro le cose. Era lui che comandava, non Tallulah, e la ragazza scoprì che la cosa non solo non la disturbava, ma la eccitava ancora di più. Fin dove poteva spingersi? Fin dove poteva sentirlo? Moriva dalla voglia di saperlo. Levi sollevò appena la testa e osservò soddisfatto lo sguardo vacuo e le labbra gonfie ed aperte per riprendere quanta più aria potesse. Prima che potesse rendersene conto, si sentì afferrare per la mascella e voltare bruscamente il viso; Tallulah sentì il suo respiro caldo soffiare contro l’orecchio e subito dopo dovette soffocare uno squittio perché percepì chiaramente il morso che lasciò sul collo.
«Non cominciare cose che sai di non poter finire, mocciosa».
La sua voce arrivò ovattata a causa della foschia nella mente, ma fu sufficiente a farle sbattere le palpebre un paio di volte.
«Chi dice che non posso finirle?» ansimò, tendendosi verso di lui quando sentì la sua bocca chiudersi su un lembo di pelle.
«Io. Solo una mocciosa non capisce i propri limiti». 
L’irritazione che le salì a quella risposta si fuse con il piacere per il modo in cui scese ancora a succhiarle la pelle. Stavolta non riuscì a trattenere un gemito frustrato e si morse le labbra, perdendosi in quelle sensazioni. No, no, non voleva più essere la mocciosa ingenua ai suoi occhi. Ne aveva abbastanza.
«Beh-ngh. Ti sbagli» si costrinse a mormorare e Levi si sollevò nuovamente, permettendole di girare la testa ed incontrare i suoi occhi. Per qualche secondo si specchiarono l’uno nell’altro.
«Credi che ti permetterei di toccarmi se non sapessi cosa sto facendo?» esclamò, lampeggiante e con il cuore che batteva nelle orecchie come un tamburo. «C-Cioè, non so precisamente cos’è tutto questo, ma so che lo voglio. Quindi smettila di considerarmi una mocciosa».
Levi guardò quelle iridi miele sentendosi segretamente compiaciuto, ma non l’avrebbe mai ammesso. Adesso sì che quella mocciosa era in guai seri. Tutte quelle ridicole moine gli facevano venir voglia di strapparle i vestiti di dosso. Inspirò profondamente, trattenendosi, e le liberò i polsi, facendo poi leva sul terreno per tirarsi su.
«Andiamo».
 
Armin, Jean e Mikasa non erano ancora tornati dalla ricognizione. Levi era seduto vicino al fuoco con un gomito sul ginocchio, ogni tanto lanciava qualche occhiata ai ragazzi che chiacchieravano tra di loro. Tallulah era allegra, aveva gli occhi animati da una luce diversa: era stato incauto. Prima, al ruscello. Non avrebbe dovuto abbassare la guardia così tanto, baciarla a quel modo quando gli altri membri della squadra potevano vederli in qualsiasi momento. Si era lasciato prendere troppo, trascinato da tutta quella pioggia di calore, e a quanto pare era l’unico a preoccuparsene dato che quella mocciosa era completamente in balìa degli ormoni. Sembrava felice. Perché era felice? Perché lui le aveva messo le mani addosso? Abbassò il viso, le labbra strette, sentendosi disgustoso per quanto la cosa gli piacesse. Nonostante ciò, non poteva più permettersi un errore simile.
Doveva rimanere concentrato.
Per la missione, per la squadra, per Erwin.
Per lei. Non avrebbe perso nessun altro.

 
Ma ho paura che
Possa perdersi
Questo vivere
Sa confonderci
 


Ciao a tutti. 
Sono un mostro, lo so. 
Non solo sono uno, due, no, tre mesi in ritardo, me ne esco anche con un capitolo corto e un po' confuso. Chiedo venia.
E' un periodo di grandi cambiamenti, sto partecipando ad alcuni concorsi di scrittura e sono stata impegnatissima con le consegne. Però sono affezionata a questa storia e soprattutto ad una scena che ho in mente fin dall'inizio e che ancora si deve svolgere, perciò anche se passerà tanto tempo, conto di non abbandonarla! Grazie del supporto che mi mostrate, le visite continuano a salire anche dopo mesi e alcune di voi mi hanno anche scritto, vi ringrazio davvero. Spero che questo capitolo vi piaccia, mi sono davvero impegnata per finirlo e sono curiosa di sapere cosa ne pensate :)
Un abbraccio,
NanaK

 
   
 
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