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Autore: Yunomi    05/03/2021    1 recensioni
Zacky chiamava incessantemente, ma sia il cellulare di Brian che quello di Beth risultavano spenti. “Rispondi, lurido pezzo di-”
“Un momento di attenzione, prego.” , fece Matt, piantandosi al centro della navata e con le braccia aperte come un predicatore.
L'officiante lo guardò male.
Tutti gli occhi, compresi quelli gocciolanti di disperazione di Michelle, gli si appiccicarono addosso. “Jimmy qui ha qualcosa da dire.”
Jimmy qui lo guardò come se avesse voluto scuoiarlo e fare paralumi da soggiorno con la sua pelle. Matt, sconvenientemente solenne, gli fece spazio, e si piazzò di fianco a lui con le mani giunte all'altezza della cintura: sembrava un bodyguard di Madonna.
“Ehm...” , iniziò Jimmy, schiarendosi la voce, trovandosi a cercare le parole per la prima volta in vita sua. “Dunque... praticamente, in sostanza, essenzialmente, in concreto, alla luce dei fatti, effettivamente, realment-”
“JAMES OWEN PARLA, per cortesia.” , ululò Valary.
“L'unica cosa di cui siamo certi al centodieci per cento è che Brian ha abbandonato la cappella e mi ha fottuto la macchina.”
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Kulešov effect
 
L’effetto percettivo prodotto dalla successione di immagini è rapido, inconscio e quasi automatico: 
ordinando le inquadrature di una scena in una particolare sequenza, la pellicola induce aspettative negli spettatori
.
La giustapposizione consecutiva di immagini tende a suggerire, alla grande maggioranza delle persone, che esse siano in relazione. Vedendo le immagini, vengono formulate ipotesi immediate sul significato narrativo degli eventi e inconsciamente li si mette in connessione. In altre parole, collocando un’immagine o sequenza prima di un’altra si costruisce tra esse un’unione semantica.
 
 
 
 
 
“Mamma mi diceva sempre che bisogna fidarsi solo degli uomini che ti parlano d’amore con la voce dei cantautori, di poeti, scrittori, artisti; quando iniziano a usare le loro, di parole, è meglio se levi le tende e scappi, diceva, perché vuol dire che sei diventata un blocco di argilla tra le loro mani; sei una musa, ormai, un’idea, non più una persona, e quindi puoi essere lanciata contro un muro senza alcun rimorso, calpestata, masticata a piacimento, succhiata come una buccia di anguria finché non c’è più polpa e poi lasciata sul ciglio di un marciapiede bollente.”
“Celeste.”
“Sì?”
“Ti ho solo chiesto com’è andato il viaggio.”
I sospiri detti per telefono hanno lo straordinario potere di risultare notevolmente amplificati, all’orecchio di chi li riceve.
Quello che le labbra di Celeste si sono fatte sfuggire è già di per se un grosso sospiro. Beth, dall’altro lato, discosta il cellulare dall’orecchio, perché le sembra di essere al telefono con una divinità ellenica dei venti.
Deglutisce.
Sono le tre del mattino, in California, e lei è sdraiata a stella marina sul letto che una volta era di Celeste, e indossa una delle magliette che Celeste ha lasciato lì, nel loro vecchio appartamento – non si sa se per sbaglio o per preciso volere.
Fatto sta che c’è il silenzio proprio della notte fonda; un qualche uccello notturno plana sul sicomoro fuori dalla finestra e sbircia dentro la casa coi suoi occhi d’ambra. Beth alza la testa di scatto, e per un attimo un caschetto di capelli castani le incorona i pensieri. Si è tagliata i capelli di netto appena Celeste le ha mandato un SMS dicendole che traslocava a Galway, con un movimento preciso e rabbioso, e i suoi lunghi capelli si sono divisi a metà nel momento in cui le due parti delle forbici si sono riabbracciate; sono caduti a terra come un sipario e Beth ha riso fortissimo.
L’uccello notturno – un assiolo forse? – si volta imbarazzato, colto in fragrante. Beth riabbassa la testa sul cuscino.
“Quindi?”, chiede di nuovo, sentendo un silenzio inquietante e lungo come un velo dall’altro capo.
Una lenta partita a scacchi con l’Oceano Atlantico come scacchiera: la Regina inizia a muoversi di qualche casella più a sinistra.
La Regina è una nostalgica del cazzo, pensa fugacemente Beth.
Celeste sospira di nuovo.
“Turbolenze. Tantissime turbolenze.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
To be twisted by something
A shame without a sin
Like how she twisted the bog man
After she married him
(Hozier, Run)
 
 
 
 
 
 
 
Michelle aveva riaccolto Brian esattamente come Jimmy aveva pronosticato; dopo che aveva aperto la porta, si era lasciata cadere le braccia lungo i fianchi e aveva piegato il capo di poco. Brian aveva cercato di mantenere intatta la sua maschera di indifferenza, ma si sa che le crepe con l’età diventano faglie di San Andreas. E comunque i suoi occhi lo avevano sempre tradito; occhi di bambino che non vuole scendere dall’altalena.
Lei gli aveva teso una mano, lui si era fatto guidare in casa, docile, lasciando sullo zerbino le scarpe impolverate e una matassina di nebbioso disorientamento, una cupezza di cui non voleva più avere bisogno. Michelle gli aveva messo davanti un piatto di minestra, quando si era seduto al tavolo, e gli aveva dato un bacio dolce su una guancia, lasciandogli anche un sono incinta vicino all’orecchio, sullo zigomo appuntino.
 
Fuori, la Mustang stava pazientemente parcheggiata nel vialetto, col motore acceso, putacaso che la Sorte non avesse avuto lo stesso ottimismo di Jimmy. Ma la Sorte aveva dovuto dargli ragione ancora una volta, seppur controvoglia, perché è risaputo e noto che la Sorte è un po’ una primadonna.
Le luci di casa Haner si spensero al piano di sotto, e la casa rimase immersa nel buio per qualche interminabile istante. Celeste, seduta davanti, appoggiò una mano sul ginocchio di Jimmy, e Jimmy interpretò correttamente quel gesto come un gesto di assoluto, evangelico sollievo. Le scoccò un sorriso che voleva dire è finita, piccina.  
Beth, seduta sul sedile posteriore, si morse forte un labbro e strinse uno scampolo di tulle color corallo nel pugno.
Disse solo Parti, Jimmy, parti, e non parlò più con nessuno, nemmeno con Celeste, finché casa sua non sostituì quella di Brian nella cornice del finestrino.
Scese dalla macchina, aprì la porta di casa facendo cadere le chiavi almeno venticinque volte, e crollò a dormire sul divano.
 
 
 
 
 
 
Ade personale
ma il luogo
o
la persona?

 
 
 
 
 
 
“Quindi ora si vede con coso, Finnegan-qualcosa?”
“Si chiama Hades.”
“Ma non ci credo.”
“Te lo giuro. Si chiama proprio Hades.”
“Beth.”
“Jimmy.”
“Non dirmi puttanate. Brian, questa ragazzina mi dice puttanate.”
Brian alza la bottiglia di birra verso Beth, sussurrando benvenuta nel club.
Beth lo omaggia di un’asettica sbattuta di palpebre. Si volta verso Jimmy. “Non te le dico.”
“Mh.” Jimmy si accende una sigaretta. “E che fa, Hades, nella vita, oltre che regnare gli Inferi?”
“E’ un musicista. Si sono conosciuti a Galway.”, continua Beth. Inizia a grattare con l’indice l’etichetta della bottiglia di birra. Celi, celi, celi. Sempre Celi. Prende un grosso sorso.
Jimmy prende un tiro dalla sigaretta. “Sei mesi.”, dice solamente. Scuote lievemente la testa, lieve come un tic nervoso, ma Brian fa in tempo a notarlo.
“Cosa ti aspettavi, Jimbo? Che ti rimanesse devota e fedele fino alla fine dei suoi giorni? Che non si guardasse intorno e si consumasse d’amore per te? Ha ventitré anni, per Dio.”, dice Brian.
“L’uomo che, anni fa, aveva fatto la sua missione di far piangere Dio, e si misurava con assoli che sentivano solo i cani e le foche, ora chiede a Dio un’opinione.”, dice Jimmy. “Sei invecchiato.”
Brian sorride, distratto da un ricordo che indossa una cuffia coi teschi.
“Siete vecchi. Tutti e due.”, asserisce Beth.
“Vai a giocare con gli altri bambini, se il tavolo dei grandi ti è noioso.”, dice Brian, passandosi assorto una mano sul mento.
Beth gli fa la linguaccia. “Comunque sembra simpatico.”
“Chi, Dio?”
“No, Hades.”
Hades.”, rincara Jimmy, ancora incredulo. Beth lo ignora.
“Lei lo chiama il Diavolo. Sapete com’è fissata con certe cose. L’altra sera ci siamo sentite su Skype e Celi indossava un vestito lilla con dei fiori, e lui si è avvicinato da dietro, tutto vestito di nero. Ha questo viso affilato e questi occhi strafottenti e neri, proprio neri. Le ha dato un bacio sul collo.”
Beth non sa bene perché abbia detto questa cosa. Sente l’aria farsi ghiacciata intorno a sé.
Jimmy fissa l’alone che la sua bottiglia ha lasciato sul tavolo del Johnny’s Saloon. La fissa e la realtà si fa all’improvviso sfocata e distante, un vociare che quasi disturba lo sbobinare dei suoi pensieri. Arriccia le labbra. “Betty?”
“Sì?”
“Una cortesia.”
“Tutto, per te.”
“Parliamo d’altro. Non mi è mai piaciuto granché, il ratto di Proserpina.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Se io capissi
quel che vuol dire
– non vederti più –
credo che la mia vita
qui – finirebbe.
 
Ma per me la terra
è soltanto la zolla che calpesto
e l’altra
che calpesti tu:
il resto
è aria
in cui – zattere sciolte – navighiamo
a incontrarci.
(Antonia Pozzi)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Non vuoi che ti accompagniamo in aeroporto, Celi?”
Beth stava appoggiata allo stipite della porta e osservava Celeste fare le valigie da almeno due ore.
Ma Celeste la ignorava; canticchiava in italiano, momentaneamente persa nel suo noumeno personale, e non avrebbe risposto nemmeno a Dio, se si fosse degnato di scendere gli scalini.
Beth scosse la testa, e incrociò le braccia al petto. Le uniche parole che riusciva a carpire, di tanto in tanto, erano Peter Pan, juke-box, rock’n’roll: per il resto, buio linguistico.
Stava iniziando a scocciarsi.
Celeste, invece, sembrava spensierata come una bollicina in un bicchiere di spumante: aveva una maglietta bianca che continuava a scivolarle dalla spalla e i capelli scuri legati con uno di quegli elastici di stoffa, leopardato. Canticchiava, piegava spessi maglioni e li depositava con cura sul fondo della valigia aperta. Poi li tirava fuori, cambiava la disposizione dei suoi effetti nel trolley, e si fermava a contemplare l’incastro. E così via, all’infinito.
Faccio il pirata ma non mi va…
 Insopportabile. Era insopportabile.
Beth era quasi sollevata che Sua Maestosità avesse deciso di levare le tende per uno po’. Si sentì in colpa per due secondi esatti per aver pensato quella cosa, poi ritornò in sé.
Tanto sarebbe tornata, si disse. Come sempre, le decisioni che prendeva Celeste duravano giusto il tempo di una canzone di Bennato.
Poi rinsaviva, rifletteva, ritornava sui suoi passi.
E quando le avrebbe telefonato per dirle che aveva bisogno di un posto dove vivere per un po’ lei sarebbe stata lì, ormai quasi certamente fuoricorso, nella casa sulla spiaggia a pochi isolati da casa di Brian; avrebbe aperto le finestre della camera di Celeste, che sarebbe rimasta sempre impressa nella memoria collettiva come la camera azzurra, avrebbe rifatto il letto e preparato i posacenere sui comodini.
“Non torno più.”
Beth pensò che la porta le avesse fatto il brutto scherzo di spostarsi di colpo, negandole supporto all’improvviso: invece era stata la voce di Celeste che, abbandonate le canzoni, aveva iniziato a parlare, e lei era trasalita in maniera assolutamente ingiustificata.
La ragazza aveva smesso di giocare a Tetris con la valigia e aveva fatto cadere le braccia lungo i fianchi: la maglietta scese ancora di più lungo la spalla, lenta come una valanga alpina.
Celeste le aveva puntato gli occhi addosso, ed era seria come una vestale. Beth fece un passo indietro, per procura.
“Non torno, B. Stavolta per davvero. Tutto questo sole finirà per cuocermi a puntino.”
Fuori, in realtà, pioveva ininterrottamente da giorni. Ma Beth non disse nulla.
“E poi, è tutto troppo.”
Celeste guardò la valigia con un sospiro; la chiuse, facendo squittire le cerniere. La tolse dal letto e la appoggiò per terra.
Muovendosi sul pavimento a piedi scalzi come Cristo sulle acque, si avvicinò a Beth e si incastrò tra le sue braccia, stretta. Beth si irrigidì qualche istante, perché l’effetto di stare così vicina a Celeste le faceva sempre venire i brividi, come se una farfalla disinteressata si fosse appena posata su di lei. Le posò una mano delicata sulla nuca, quasi timorosa che si frantumasse sotto il suo tocco.
Inspirò il profumo di cedro del suo shampoo, la consistenza della sua pelle, fresca e liscia come il marmo, e si lasciò abbracciare, troppo invidiosa di tutto per ricambiare, e decisamente incredula che quello sarebbe stato l’ultimo abbraccio che Celeste le avrebbe mai dato. Eppure.
Celeste si staccò. Le rivolse uno sguardo dolce, e Beth si odiò profondamente perché le voleva così bene.
“Mi fai un favore?”, chiese Celeste, aprendosi in un sorriso da persona che Sta Facendo le Cose nel Modo Giusto O Almeno Così Crede.
Beth annuì.
“Ricorda a Brian di ascoltare Dopo il liceo che potevo far almeno due volte al giorno. Ti raccomando, è importante.”
 
 
 
 
 
Forse per colpa del rock

Forse per colpa del rock, rock

Forse per colpa del

Forse per colpa del rock.
(Edoardo Bennato)
 
 
 
 
Prima di partire dal motel, Brian si era seduto nel piatto della doccia e aveva fatto una lunga telefonata.
Dall’altro lato della porta chiusa, seduta per terra, Beth si mordeva una pellicina.
Celeste cercava un modo per entrare permanentemente negli occhi di Jimmy, stampandosi nella sua retina come il flash di una fotografia, e Jimmy guardava la carta da parati con aria di sfida.
Brian era uscito dal bagno due ore e trentaquattro minuti dopo, ­
- Beth li aveva contati - massaggiandosi la parte bassa della schiena. Troppo vecchio, pensò.
Tre paia di occhi si alzarono verso di lui. Brian si sentì osservato.
Sbuffò; le spalle rimbalzarono un paio di volte verso il basso, mentre lui guardava quella stanza di motel come se volesse fare una fotografia mentale di quelle quattro mura ricoperte di carta da parati oggettivamente oscena – giallo piscio di cane con minuscoli fiorellini lillà. Oscar Wilde l’avrebbe detestata fino a morirne.
“Beh.”, disse solamente.
Perché a volte è l’unica cosa che ti viene da dire: beh.
Un monosillabo che ha un che di sconfitta, di rassegnazione, e che tuttavia racchiude un certo sollievo, nella sua pronuncia a sbuffo. Sarà forse l’acca che finalmente conquista il suo posto nella realtà fonica, e che rivendica un minimo di dignità spingendo su per il canale faringeo un po’ più di aria?
Comunque stessero le cose per l’acca, Celeste, invece, stava seduta sul tappeto con le ginocchia al petto per cercare di arginare qualcosa che le graffiava lo sterno da dentro, e che tratteneva forte per paura che si rovesciasse di fuori. Il vestito da cerimonia color vino era sgualcito come un tovagliolo a fine pasto.
Saettò lo sguardo verso Beth, che si torturava incessantemente la pelle intorno all’unghia del pollice. La ragazza le ricambiò lo sguardo, decretando silenziosamente la fine di qualcosa.
Uno sguardo di commiato, gentile e beneducato. Fu come un colpo su un diapason nervoso.
Si alzarono insieme, Celeste e lei; si presero per mano, raccolsero i sandali.  Jimmy non disse nulla, né con le parole né con gli occhi né coi gesti. Si alzò dal letto e si batté i palmi sulle cosce; poi diede una pacca amichevole sul pettorale di Synyster, il quale aveva le occhiaie di chi non si abituerà mai a sostenere certe conversazioni, e tuttavia gli occhi sereni.
Cancellarono il segno del loro passaggio in quelle camere gonfie di polvere – le ragazze lisciarono le lenzuola, i ragazzi vuotarono i posacenere nel gabinetto.
Poi, come fantasmi, se ne andarono lasciando porte e finestre aperte; pensavano finalmente di aver tracciato una parentesi che avrebbe racchiuso quei giorni in una bolla imperitura nelle loro memorie.
Madame Sally, in arte Ofelia Crespi, in arte mamma di Celeste, seduta sul televisore fino a quel momento, scosse la testa.
Si chiuse meglio lo scialle sul petto; accese una sigaretta, perché certe abitudini trapassano insieme a te, e saltò giù dal suo trono. Gentile e impercettibile com’era stata anche in vita, accostò le finestre.
Riaprì la parentesi con una grande pazienza da mamma.
Se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé, perché lei, al contrario degli altri, era un fantasma beneducato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Forse è stata una pazzia
Però è l'unica maniera
Di dire sempre quello che mi va


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tutto questo è per Edoardo Bennato, il primo che mi ha insegnato a sognare di essere un pirata - prima ancora che arrivasse Johnny Depp.
 
 
 
 
E anche per te.
Non penserai mica che mi dimentichi di te, fiorellino?
 
 
   
 
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