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Autore: Cossiopea    08/03/2021    2 recensioni
La Razor Crest scivola sul mare di stelle, alla volta di Tython.
Din Djarin si ritrova avvolto dal silenzio, immerso nel mormorio dei propri pensieri.
[The Mandalorian] [PoV Din]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Baby Yoda/Il Bambino, Din Djarin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fireflies in your eyes
 

Le stelle non erano mai state così belle.
La Crest scivolava silenziosa nella notte eterna del cosmo, le ali che sfioravano giocose le pulsanti scintille di luce. Vortici di galassie lontane, esplosioni di colori distanti, un gaio intreccio di energia, vita che rinasce in infinite forme differenti. Pianeti mai esplorati che si stendono senza tregua sopra un tessuto oscuro ma pullulante di esistenza. Mondi che lo scrutano al di là del definito orizzonte celeste, ammantati di mistero, la protezione di indefiniti enigmi.
E loro se ne stavano lì, cauti, in un religioso silenzio, incastonati nella magnificenza di un universo inesplorato, frammenti dello schema che li componeva tutti, schegge di una vetrata attraversata da raggi di luce.
Din spalancò gli occhi, svegliato da lampi di furiosa emicrania che sbriciolarono la lastra fragile dei suoi sogni.
Non si era neanche accorto di essersi addormentato. Ricordava solo di aver lasciato ricadere la testa all’indietro un istante, cullato dalla staticità regnante nella cabina di pilotaggio. Lo specchio lucido del beskar si era riempito del riflesso di decine di stelle, la cui luce veniva deformata dalla superficie curva dell’elmo in una danza di stringhe argentate.
Solo un istante, ricordava di aver pensato. Nulla di più. Un secondo di tregua dopo giorni di occhi spalancati sullo spazio, la mente annebbiata da pensieri ingarbugliati e malati di una nota tetra, il pessimismo che lo assaliva ogni volta che il sonno aveva la meglio sulla solita rigida lucidità.
Din strizzò gli occhi per disperdere i residui dell’intontimento e si portò una mano guantata alla testa, benché il palmo scivolò inevitabilmente sul metallo. Doleva ancora; lievi fitte insistenti. Più fastidio che dolore, in realtà.
Abbassò lo sguardo sui comandi. Solo poche lucette rilucevano a intermittenza sui vari pannelli di controllo, pigre e svogliate, senza un vero senso di restare accese visto che il motore era momentaneamente disattivato. La nave avanzava per pura inerzia nell’immensità del cosmo, un modo come tanti altri per assicurarsi un attimo di tregua e riprendere fiato senza che venissero rintracciati da qualche pirata malintenzionato o, peggio, residui imperiali. Aveva scelto volutamente una rotta poco battuta, a pochi parsec dalla loro meta, alias la strana roccia magica di cui aveva parlato quella pseudo-Jedi di Ahsoka Tano. Tython. Se non fosse andato a controllare sulle mappe spaziali è probabile che non sarebbe mai riuscito a trovare l’ubicazione di quel piccolo pianeta disperso. Per un fastidioso momento aveva temuto che Tano se lo fosse inventato.
Il silenzio era totale, opprimente, e, in qualche modo, riusciva a metterlo in soggezione, nell’innocente desiderio che un suono lo rompesse. Eppure l’idea di riaccendere i motori e frantumare quell’insolita quiete era altrettanto spiacevole, una singolare contraddizione cognitiva che lo indusse a temporeggiare. C’era tempo. La fine di quell’odissea era talmente vicina da poterla accarezzare con un dito e l’ultima cosa di cui aveva bisogno al momento era un’altra corsa sfrenata o sorprese indesiderate. Scosse piano la testa e si decise a levarsi dalla scomoda postazione di guida, distendendo i muscoli intorpiditi dalla prolungata immobilità.
Anche nelle viscere della Crest regnava la penombra, intaccata solo dalle opache luci di emergenza che, nel silenzio, risultavano sinistre come smorti spettri rosati.
Un improvviso vagito lo spinse ad puntare il visore in direzione dei propri piedi.
Gli occhioni di Grogu risplendevano languidi come perle, le orecchie abbassate e la testa leggermente piegata di lato. Se ne stava a meno di un metro da lui, a scrutarlo con il fare lievemente impaziente di chi lo stesse aspettando. Din ebbe il sospetto che fosse davvero così, un dubbio che gli scivolò lungo la schiena come un brivido.
– Ciao, piccolo – lo salutò abbassandosi e puntellandosi sui talloni. Divertito, ruotò la testa in un’imitazione grossolana della sua tenerezza.
Il Bambino parve accigliarsi un poco, in un fremito delle enormi orecchie. Arricciò il labbro superiore e lo fissò con un’intensità che faceva quasi paura.
Sotto al casco, il mandaloriano sorrise.
– Grogu – si corresse, allungando le braccia e prendendolo delicatamente in braccio – Ciao, Grogu.
Il cosino sembrò soddisfatto e drizzò le orecchie in un’espressione appagata, sebbene ancora Din fosse restio a chiamarlo con il suo vero nome, come, del resto, a dispetto del tempo passato insieme, non riuscisse pienamente ad assimilarne la reale età, che nella sua testa stonava fin troppo teatralmente.
Sospirò in una nota malinconica e osservò il piccolo attraverso il velo di oscurità che li separava.
– Lo sai che mi mancherai, sì? – commentò, anche se nel mentre lo attraversò il dubbio che in realtà stesse parlando più a se stesso – Sei stato un bravo ascoltatore, non c’è che dire.
Grogu rispose con un versetto dubbioso e batté le palpebre sui lucidi occhi neri, quasi non avesse ancora elaborato la loro probabile e imminente separazione. Ovviamente ipotizzando il corretto funzionamento del sasso mistico.
Eppure, nonostante tutte le possibili variabili e instabili strade che poteva ancora prendere quella missione e il suo esito, Din aveva l’irritante sensazione che, in qualche modo, sarebbero stati portati a dividersi. Forse per molto tempo.
Si morse un labbro all’interno del casco e avvicinò a sé il corpicino di Grogu, stringendolo con dolcezza mentre il piccolo abbassava le orecchie e si abbandonava contro di lui in un sospiro sereno, impregnato di una tranquilla felicità che portò Din a chiudere gli occhi ed escludere l’universo, lasciando a interrompere l’angoscioso silenzio solo il battito del suo cuore. Impiegò poco più di qualche istante perché si sincronizzasse con il palpito famigliare del Bambino.
Un suono che allontanò tenebre e stanchezza, che li separò dalla galassia e i suoi orrori.
Rimasero solo loro e i bagliori remoti delle stelle che si specchiavano in turbini luminescenti sull’armatura di beskar, spirali di sinuosa energia. Il mal di testa scemò e gli angoli della bocca di Din si piegarono in un sorriso.
Si ritrovò, nella pace della sua mente infusa dal piccolo, a domandarsi se la felicità fosse più vicina di quanto osasse sperare.
Il tempo rallentò intorno a loro e il buio li avvolse in un abbraccio tiepido, fino a quando il Bambino, piano, in un lento sprofondare nelle nuvole, chiuse gli occhi. Fu come un soffio, quasi che il mondo rilasciasse il fiato, e Grogu si era addormentando, lasciando scivolare Din si nuovo nel suo presente.
L’uomo si morse l’interno della guancia, avvertendo il peso delle preoccupazioni ricadere sulla sua mente come una cascata graduale di migliaia di piume. Sistemò gentilmente il Bambino dormiente nel suo giaciglio e lo avvolse con un drappo caldo.
Rimase a osservarlo per un lunghissimo istante, il piccolo ventre che si alzava e si abbassava in un regolare respiro e le manine chiuse a pugno vicino al visetto rugoso che, in qualche bizzarra maniera, era riuscito a scalfire la sua coriacea armatura. Si lasciò andare nell’ennesimo sospiro malinconico, incrociando stancamente le braccia sul petto.
– Che la Forza sia con te – sussurrò infine, annuendo in un movimento quasi impercettibile.
Represse un groppo in gola e distolse lo sguardo.
   
 
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