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Autore: saitou catcher    09/03/2021    8 recensioni
"Quando era bambina, aveva sognato di costruirsi una collana con le proprie lacrime."
A volte, piangere è segno di forza.
[Rosalie! centric- angst ma neanche troppo- character study- accenni al mangaverse e al postcanon- di quando cresci e ti rendi conto che Rosalie è una forza della natura- storia di Catcher]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le cercava ovunque e ne trovava dappertutto. Le raccoglieva a mani nude, con cura. Le infilava una ad una

Quand’era bambina, aveva sognato spesso di costruirsi una collana con le proprie lacrime.

Non era stata un’idea sua, a dire il vero: era stata Jeanne a suggerirgliela- Jeanne nera come il corvo e nera come il carbone, con il viso sempre storto dalla fame e gli occhi brillanti e affilati come i cocci di vetro sparsi sulla strada. Se almeno piangessi perle, ci potremmo fare collane e potremmo venderle e non avremmo più fame, le aveva detto una volta, tirandole le trecce con cattiveria, e Rosalie aveva pianto ancora più forte, singhiozzi grossi e impastati che le avevano riempito il naso di muco. Ma poi ci aveva pensato, incastrata contro il corpo di sua sorella in un lettino troppo piccolo, le ossa troppo sottili che sfregavano tra loro sotto i muscoli rattrappiti, e l’idea l’aveva fatta sorridere. Tipico di Jeanne, pensare sempre a come trasformare anche le cose più comuni in cibo e moneta sonante, si era detta allora, ma lei non era fatta così. Le sue lacrime avrebbe voluto raccogliere, questo era vero, ma non per farne moneta.

Le avrebbe raccolte perché dentro di esse avrebbe trovato ricordi, ogni momento brutto e ogni momento bello, ogni dolore che le si era inciso sul corpo e ogni sofferenza che le era rimasta annidata nel cuore, dissolvendosi come rugiada al mattino; aveva pianto tanto di quelle volte, Rosalie, che il gusto caldo del sale le era diventato ormai familiare e così la sensazione degli occhi che bruciavano, la gola che si chiudeva, il corpo che si faceva piccolo e stretto cercando di schivare l’ennesima stoccata della vita. Le lacrime erano dolorose e scomode e ti succhiavano via tutta la forza che avevi, ma se avesse potuto, Rosalie le avrebbe raccolte tutte, una per una, e se le sarebbe appese al collo come medaglie al valore. Perché c’era un segreto che lei aveva sempre saputo, anche se non lo aveva mai svelato a nessuno: a piangere non sono i deboli. Se sei ancora in grado di piangere, allora puoi sopravvivere. E non aveva ancora incontrato niente che fosse in grado di ucciderla.

 

Erano di foglie, per il tempo trascorso e che non tornerà

Le capita di ripensare a Charlotte, a volte, soprattutto dopo che suo figlio è nato e le ha insegnato cosa significasse sentirsi un’altra vita sotto il cuore, spingere e torcersi per consegnare il tesoro che hai dentro ad un mondo malfatto. Le capita di ripensare a Charlotte, a quanto era stata bionda, biondissima, a quanto era stata bella, come se l’avessero fabbricata con la porcellana e poi avvolta in stoffe finissime, il meglio che ci potesse essere: lei, Rosalie, era stata soltanto il primo tentativo, la bambola andata male che era stata lasciata nel cesto, a dimenticare e prendere polvere. Ma era stata più forte, alla fine, di quell’altra bambola, quell’altra bambina, quella povera Charlotte che si era spezzata contro l’asfalto in mille frammenti di porcellana, così candida da acceccare. Charlotte era stata bionda, biondissima, ed era stata bella, ma si era strappata via dalla vita come una foglia che abbandona il ramo prima dell’inverno, pur di non essere venduta e Rosalie non la ricorda mai senza provare un nodo alla gola, una stretta cocente che le serra il petto in una gabbia di spine. Il tempo che non hanno passato insieme è fatto di foglie appassite prima dell’estate e le lacrime che Rosalie versa per lei hanno il sapore polveroso del rimpianto e di un abbraccio che non potrà mai assaporare.

Charlotte era stata bionda ed era stata bellissima e sarebbe quasi potuto sembrare uno scherzo, perché l’altra sorella che Rosalie aveva avuto non era stata né una cosa né l’altra. O meglio, forse Jeanne era stata bella, agli occhi voraci del mondo, questo Rosalie non poteva saperlo- ma lei continuava a ricordarla nei giorni dell’infanzia, lurida e piena di spigoli come un coltello affilato male, con gli occhi lucenti come biglie infrante e denti sempre snudati. Jeanne non era mai stata bella e Rosalie ricorda quanto fosse oscura, scuri i capelli e scuro il cuore, sempre imbrattata dalla smania di essere altro, di essere meglio: l’amore più luminoso a Jeanne non sarebbe mai bastato. Le si era dissolta tra le dita come fumo, lasciandole il cuore e i polpastrelli sporchi di cenere, e Rosalie aveva deciso di consegnarla anche se ancora l’amava, anche se era la sorella a cui aveva tenuto la mano nei giorni di febbre; perché se non l’avesse fatto, Jeanne non si sarebbe mai fermata e avrebbe bruciato il mondo riducendosi in cenere. Era bruciata comunque, alla fine.

Il tempo che hanno trascorso insieme è fatto di foglie annerite e ormai calpestate e anche se sono passati anni, ci sono notti in cui Rosalie si sveglia, la bocca impastata di pianto e sa di aver sognato lei.

 

Erano di cristalli, per le parole d'amore dimenticate o mai avute

Le prime lacrime d’amore che aveva versato erano appartenute ad Oscar. Non aveva mai avuto il tempo, prima, di piangere per amore- i crampi della fame oscurano il cervello più delle contorsioni di un cuore spezzato. Poi era arrivata lei.

Era arrivata lei e non se n’era andata via, mai più. Sono passati così tanti giorni, così tanto tempo che le è rotolato addosso riempendole il corpo e il cuore di segni, e lei è rimasta lì, circondandole il cuore di radici che non potrebbe staccare senza farne fuoriuscire il sangue. Le prime lacrime d’amore che Rosalie aveva versato erano state per lei, per quella donna che donna non era, che uomo non sembrava, ed era stato un dolore fragile e dolce e purissimo, come neve nuova sulle montagne, come pioggia che lava via la sporcizia. Era stato un cristallo pronto a spezzarsi alla minima pressione, ma lei lo aveva custodito nel cuore e nel petto e non aveva permesso a niente di sporcarlo. Né al dolore né alla morte né al tempo.

Anche Oscar era stata bella, dorata come un eroe da leggenda, con quegli occhi azzurrissimi e quella voce piena di tempesta, ma fragile non lo era stata mai. Non con Rosalie, almeno, e non fino all’ultimo- era stata Oscar a rimettere insieme i pezzi che la Polignac aveva calpestato indifferente sotto le ruote della sua carrozza, era stata Oscar ad aggiungere i calli della spada a quelli della vita di strada, era stata Oscar che l’aveva tenuta stretta e cullata persino dopo aver fermato un pugnale diretto contro sua madre. Era arrivata con la mano tesa e da allora non era più andata via.

Non era andata via, però era morta, e nel dolore che Rosalie aveva provato allora non c’era stato niente di puro o di dolce: era stata una sofferenza bastarda come è bastarda la morsa della fame, un pieno che le si era gonfiato dentro piantandole spine avvelenate nel cuore, un pieno di tutte le cose che Oscar non avrebbe mai detto, mai fatto, mai sognato, tutte le vite che i proiettili della Bastiglia le avevano strappato via dal petto sotto forma di sangue. Perché Oscar era stata bella, dorata come un eroe da leggenda, con quegli occhi azzurrissimi e quella voce piena di tempesta, ma alla fine anche lei si era rivelata fragile, e se avesse potuto odiarla per questo, Rosalie l’avrebbe fatto. Se avesse potuto odiarla per essere morta, perché non sarebbero mai invecchiate insieme, perché non avrebbero mai riso accanto al calore di un fuoco, brindando a tutto ciò a cui erano sopravvissute, l’avrebbe fatto. Le aveva lavato il sangue dal viso, quand’era morta, e avesse potuto, l’avrebbe maledetta. Solo che non poteva. E Oscar non era qualcosa che avrebbe mai potuto sporcare.

Le prime lacrime d’amore che ha versato appartengono ad Oscar e Rosalie le porta nel cuore ancora adesso, perle in fondo ad un oceano di memoria e di vita. Il tempo che hanno trascorso insieme è limpido e rilucente come cristallo e Rosalie lo custodisce con cura tra dita sicure, sorridendo quando la luce del sole accende d’oro i capelli di suo figlio.

 

Erano di fiammella, per ogni ingiustizia che gli occhi avevano visto, che l'anima aveva subito

Non aveva mai pianto per Bernard, prima che lui morisse. Se ci riflette, forse è uno dei motivi per cui lo ha amato come ha fatto; perché Bernard era sicurezza e calore e un petto saldo a cui aggrapparsi, Bernard le avrebbe sempre permesso di essere debole e non avrebbe mai scordato quanto in realtà fosse forte. Gli aveva chiesto come si fosse innamorato di lei, una delle loro prime notti da sposati, e lui aveva sorriso, spingendole via i capelli dal viso. “La tua rabbia” aveva risposto “E la forza che ti brillava negli occhi, persino mentre guardavi tua madre morire. Mi hai avuto fin da quel momento.”

E tu hai avuto me, da quel momento, avrebbe potuto dirgli Rosalie, se mai ne avessero riparlato: mi hai avuta dal momento in cui mi hai guardato nel cuore e hai compreso quanto potessi odiare il mondo intero, quanto potessi voler distruggere, quante lacrime avessi versato per ciò che era ingiusto. Avrei sgozzato l’assassina di mia madre con un coltello di fronte alla Regina di Francia senza pensarci due volte e lo stesso mi hanno creduta debole. Tu per primo hai capito quanto non lo ero.

Aveva amato Bernard per non averla mai fatta piangere e lo aveva amato perché gli aveva sentito nel cuore la stessa rabbia che aveva lei, la stessa intima certezza che il mondo era ingiusto e andava disfatto e rifatto da capo, cercando il futuro tra le macerie come l’oro nel fango. E tuttavia Rosalie aveva compreso il segreto, uno che a suo marito non aveva mai rivelato: che il mondo finisce e ricomincia ogni volta che sorge il sole e il meglio che facciamo non durerà per sempre. Per questo, quando la Rivoluzione aveva iniziato a spegnersi, sotto ogni testa tagliata e ogni colpo della ghigliottina, non aveva pianto come aveva fatto lui.

“Sopravvivremo” gli aveva sussurrato, accarezzandogli i capelli. “Ricominceremo da capo. E faremo di nuovo del nostro meglio.”

Era rimasta ad ascoltare i suoi singhiozzi per tutta la notte, tenendogli la mano, e dentro di sé aveva ringraziato. Finché erano in grado di piangere, potevano dirsi vivi.

Non aveva mai pianto per Bernard, prima che lui morisse, e poi la lascia anche lui. Il tempo che hanno avuto insieme è caldo e splendente come una fiamma sempre accesa nelle notti d’inverno e Rosalie sa che non avrà mai più freddo.

 

“Mamma” è suo figlio a chiederlo, la voce venata di preoccupazione “perché stai piangendo?”

“Perché sto ricordando” Rosalie sorride, anche se il pianto le gonfia il cuore, anche se pensa che ancora una volta il mondo è andato in pezzi e dovrà rimetterlo a posto da sola. “E perché sono ancora viva.”

Una lacrima le bagna la guancia ed è sua madre che le bacia la fronte, l’ultima risata che ha sentito da Jeanne, è l’abbraccio di Oscar e il sapore delle labbra di Bernard. È la memoria di tutto ciò che è perduto e di tutto ciò è stato e che non lascerà mai andare.

Nel sapore delle lacrime, il mondo ricomincia e Rosalie respira.

Il bello di riguardarsi da adulta le cose che ti hanno lasciato un segno quando eri bambina è che hai modo di accorgerti di tante cose che prime ti erano sfuggite o che non avevi gli strumenti per valutare ed è una sensazione che, nel suo essere destabilizzante, può regalare grandi soddisfazioni. E così è successo che, a ventitré anni suonati, uno si mette una mano in fronte e si rende conto di aver snobbato Rosalie per anni, giudicandola una piagnona senza spina dorsale quando è forse il personaggio femminile più forte di tutta la storia; anche più forte (e lo dico consapevole che non tutti saranno d'accordo con me) della stessa Oscar. Perché sì, Rosalie piange, ma Rosalie è anche la stessa ragazzina che ha fatto chilometri a piedi per vendicare la madre, che sarebbe stata pronta ad affrontare la morte per portare a termine quella stessa vendetta, che decide di rinunciarvi unicamente quando ha capito da sola che è la cosa giusta da fare, che piange per l'ingiustizia di aver visto la sorellina undicenne morire suicida, che consegna alla giustizia l'unica altra sorella che le è rimasta per rispetto al suo senso morale, che accetta di tornare alla miseria pur di non farsi usare come merce di scambio da una madre che lo è solo di nome,  che perde tutto e tutti e in qualche modo rimane sempre in piedi. E da questa riflessione nasce questo tributo ad un personaggio che, dopo anni e anni di frequentazione in questo fandom, è riuscito a guadagnarsi il rispetto che le avevo negato troppo a lungo.
Ciò detto, spero abbiate apprezzato il lavoro in questione e condivido una precisazione: anche se non l'ho citato per nome, il figlio di Rosalie è ovviamente Francoise e la scena finale è un riferimento al destino finale suo e di Rosalie, che si trasferiscono in Svizzera dopo che Bernard è deceduto in un fallito attentato alla vita di Napoleone. Le frasi in corsivo vengono da un libro illustrato di Franca Pertini intitolato L'infilatrice di lacrime, che mi è stato di spunto per la one shot in questione.
Alla prossima!
Catcher

 

  
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