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Autore: Picci_picci    09/03/2021    5 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
.
"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Marinette si mosse a disagio sulla sedia del bar, girando svogliatamente il suo cappuccino. Avrebbe fatto tardi a lavoro di quel passo… Monsieur le aveva concesso solo due ore di permesso e, solamente, perché lei gli aveva promesso che se quell’incontro fosse andato a buon fine, sarebbe successo un miracolo.

A quel punto, vinto anche dalla curiosità, Gabriel aveva accettato e le aveva dato due ore di tempo. E ne era già passata una. Sospirò e per la milionesima volta guardò lo schermo del suo cellulare. Era passato solo un minuto.

Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre batteva velocemente il piede calzato Louboutin sul pavimento. Bevve un sorso di cappuccino, attenta a non sporcare la camicia bianca con le maniche esageratamente a sbuffo. La collana con il ciondolo di Agreste brillò momentaneamente colpita da un raggio di sole.

Sospirò di nuovo con il corpetto nero che indossava sopra la camicia e le bloccava il respiro. Ma perché delle cose così belle erano anche così scomode?

Finalmente, vide da lontano la persona che stava aspettando. 

Occhialoni tondi da diva, capelli dorati in perfetta piega, completo giacca e gonna firmato Chanel. Chloè era sempre dannatamente perfetta.

Si sedette di fronte a lei, mentre posava il bauletto bianco di Prada sulla sedia accanto. Non si dissero niente, mentre Chloè ordinava una brioche e un caffè. Solo quando arrivò la sua ordinazione, la bionda si tolse gli occhiali da sole e puntò gli occhi celesti sulla mora, “quindi? Perché mi hai chiamato ieri sera, Marinette?”

La ragazza finì di bere il cappuccino, poi rispose, “devo chiederti un favore.”

“Ci stai prendendo l’abitudine.” 

Marinette sorrise, “ma non mi hai detto di no.”

“Hai detto che era per Adrien.”

La mora annuì e la guardò negli occhi, “ho bisogno di una tua consulenza, possiamo dire.”

Chloè ghignò, “per come rendere decenti i tuoi capelli? Mi spiace, ma non c’è rimedio a quello.”

Marinette strinse il bordo del tavolo e chiuse gli occhi. Calma, non saltarle al collo.

“No. È una questione più tecnica.”

La bionda addentò il cornetto con perfetta grazia, senza nemmeno fare una briciola, e inarcò un sopracciglio. Ma come faceva ad essere così perfetta?!

“E perché hai chiamato me?”

“Perché si da il caso che tu sia la figlia del sindaco e che abbia terminato a pieni voti una laurea in scienze politiche.”

“Sei informata bene.”

“Ho fatto le mie ricerche come tu le hai fatte su me.”

“Touchè.”

Finì la brioches e tamponò la bocca con un fazzolettino di carta, stando attenta a non sciupare il rossetto.

“Sono tutta orecchie, Dupain-Chen.”

Marinette le spiegò la sua idea dettagliatamente e, quando ebbe finito, gli occhi celeste ghiaccio di Chloè brillarono.

“Non pensavo che l'avrei mai detto, ma ben fatto, Marinette.”

Si sorrisero a vicenda e si concordarono su come agire; tempo cinque minuti dopo, si salutavano con un cenno della mano e imboccavano strade differenti con tutte e due gli occhiali da sole calati sul naso.

***

Corse nell’atrio della maison fino a raggiungere gli ascensori, con il corsetto che le comprimeva i polmoni e i pantaloni attillati neri che facevano attrito.

Entrò di corsa nell’abitacolo dell’ascensore e premette il tasto per l’ultimo piano. Appena fu sola, si tolse gli occhiali da sole, ficcandogli nella sua solita borsa nera, mentre cercava di regolarizzare il respiro.

“Brava, Marinette!”

Aprì gli occhi e guardò Tikki che le volava davanti.

“Ho solo fatto quello che mi era stato chiesto: avere un’idea.”

“Oh, ma hai fatto molto di più”, esclamò la piccola su di giri, “hai messo da parte la rivalità con Chloè e avete collaborato per il bene della maison.”

Marinette annuì, mordendosi il labbro, “Chloè non è male...va solo”, si interruppe cercando di trovare il termine adatto, “capita, ecco.”

La kwami sorrise e si andò a nascondere nella borsa della sua protetta.

Uscì appena le porte metalliche si aprirono, superò di corsa i vari uffici fino ad arrivare al suo. Non si tolse nemmeno la giacca e la borsa da tanto che era agitata, ed entrò nell'ufficio del mastino.

Un paio di occhi verdi e un paio di occhi grigi si posarono su di lei, guardandola spalancati. Poi lo sguardo del suo capo si indurì e alzò un sopracciglio, “ma si può sapere perché non hai bussato?! Adrien ti ha attaccato la sua brutta abitudine?”

Marinette si ammutolì e arrossì: si era scordata di bussare, una delle regole fondamentali di monsieur, insieme a quella di indossare tacchi alti.

“Ecco io-”

“Esci fuori e bussa. Se ti darò il permesso, entrerai.”

Marinette lo guardò strabiliata mentre sentiva Adrien che sghignazzava.

“No, aspetti. Le devo dire una cosa-”

“Me la dirai dopo e solo se ti darò il permesso.”

“Monsieur-”

“Fuori!”

Strinse le mani in due pugni e fece un respiro profondo. Era riuscita a sopportare Chloè, poteva farcela. Poteva farcela.

“Bene.”

Uscì dall’ufficio, posò la borsa e la giacca con calma e tornò davanti alla porta bianca di Gabriel. Sentì un colpetto sulla spalla e si girò verso Natalie.

“Non ha ancora bevuto il suo caffè. Sarà bene che tu glielo porti”, le disse passandole un piattino in ceramica con sopra il caffè fumante.

Si sorrisero complici e, come di rito, bussò due volte e aspettò.

E aspettò.

E aspettò.

Non ci credeva, non la stava facendo entrare di proposito!

Bussò di nuovo con più insistenza, “ho il caffè!”

Monsieur non rinunciava mai alla sua bevanda divina, nera e italiana; Marinette ci teneva a sottolineare il mai.

Sentì le voci di Adrien e Gabriel, poi le arrivò un “avanti!”

Entrò, chiudendo la porta e poggiando il caffè sulla scrivania davanti al suo capo.

Adrien, camicia celestina e pantaloni neri, era in piedi dietro la sedia del padre. La guardava curioso con quel sorriso sfacciato sul volto: aveva la solita faccia da schiaffi che aveva quando si trasformava. 

“Spero che tu abbia qualcosa di davvero importante da dirmi.” 

Marinette guardò Gabriel con un sorrisino di vittoria.

Monsieur posò la tazzina di caffè finita sulla scrivania e la guardò soddisfatto, “ti è venuta un’idea.”

Marinette annuì e al cenno del suo capo, si sedette davanti a lui.

“Perché sembra che mi sia perso un importante segreto di stato?”, chiese Adrien guardando i due che sembravano condividere un segreto tutto loro.

“Perché è così”, rispose il padre, “spiega, Marinette.”

Lei annuì e si sfiorò soprappensiero il ciondolo con la A della collana che portava. 

“Ho avuto un’idea per la location della sfilata.”

Adrien esplose in un sorriso, “chissà perché non mi sconvolge più di tanto, hai sempre avuto idee geniali, lady.”

Gabriel inarcò un sopracciglio, “potete evitare il dramma amoroso davanti a me?”

I due arrossirono ma rimasero in silenzio.

“Ebbene? Marinette, non leggo ancora nella mente; spiegami la tua idea.”

“Qualche giorno fa, Adrien mi ha portato sulla terrazza panoramica della maison e… cavolo, non capisco ancora perché non abbiamo avuto prima questa idea!, è perfetta. Antico e moderno si fondono con eleganza, la linea è pulita e ordinata, ma spettacolare. E, soprattutto, si affaccia su un meraviglioso panorama parigino. Quel posto è la quinta essenza della maison, rispecchia perfettamente lo stile Agreste!”, si prese un attimo di pausa per studiare la reazione di Gabriel, ma lui ovviamente era impassibile, “oggi mi sono incontrata con Chloé.”

“Quella Chloè?”, chiese stupito il biondo.

“Ne conosciamo altre?”, rispose lei retorica.

Monsieur si schiarì la voce.

“Certo”, riprese la ragazza, “le ho chiesto se era possibile organizzarla in così poco tempo e mi ha risposto che la maison è un edificio privato, quindi nessun documento o affare burocratico ci può mettere i bastoni tra le ruote. Inoltre, abbiamo avuto un’altra idea: Adrien mi ha raccontato che questo è un edificio che risale alla belle epoque, ma non ha mai avuto nessun riconoscimento. Parlando con Chloé, ha detto, che muovendo i fili giusti, potrebbe riuscirci a procurare la targa onorifica e far rientrare la maison negli edifici storici di Parigi in tempo per la sfilata.”

Dopo aver concluso il suo monologo, si zittì guardando i due Agreste.

Non si aspettava i salti gioia, ma almeno un brava sì.

Invece quei due rimanevano immobili a guardarla, senza nessuna espressione. 

Aveva qualcosa in faccia?

“Marinette è…”, ma le parole di Adrien vennero meno.

Mon Dieu, aveva detto una cazzata, vero? Aveva sprecato tempo per niente, giusto?

Iniziò ad arrossire e ad aprire bocca per iniziare a scusarsi, ma un sorriso di Gabriel la interruppe.

“Quello che mio figlio vuole dire, è che hai avuto un’idea geniale. Non mi era mai passato per la testa, ma mi sembra la soluzione migliore e soprattutto la più efficace. Nessuno potrà mai battere questa location, perché, come hai detto prima tu, è la quintessenza di Agreste.”

Annuì convinto e iniziò a dettare ordini, “Marinette chiama i pubblicitari e dai il via a stampare gli inviti, la location sarà la maison Agreste, poi vai in sartoria e dagli una svegliata. Dì a Natalie di convocare una conferenza stampa per mezzo giorno, chiunque dovrà sapere che Agreste non sta fallendo.”

“Certo, monsieur.”

Si guardarono negli occhi.

“Marinette?”

“Sì?”

“Cosa ci fai ancora impalata qui? Muoviti.”

“Sì sì, certo, ha ragione.”

Agitata si girò, ma andò a sbattere contro la sedia e continuò a muoversi, quasi saltellando su quei tacchi, e attentando alla sua vita e a quella degli oggetti presenti fino a che non uscì dall’ufficio.

“È proprio pazza”, sussurrò Adrien guardando la porta chiusa dalla quale era uscita Marinette.

“No, è geniale”, affermò Gabriel.

***

Marinette non aveva avuto un minuto libero da quando aveva sganciato la bomba o, come avevano iniziato a nominarla in maison, l’idea dell’era Agreste. Perchè avessero sempre bisogno di dare un soprannome a qualunque persona o evento, rimaneva un mistero. Si trovava nell’area caffetteria della maison mentre spelluzzicava qualcosa in attesa del suo appuntamento.

“Bonjour, ma joulie.”

“Sarebbe più adatto bonsoir, Paul.”

Si alzò per salutarlo con due baci sulle guance, poi si sedettero uno di fronte all’altro con Paul che beveva il suo amatissimo cappuccino al caramello.

“Allora? Come sta la salvatrice della maison?”

“Con i piedi doloranti...le Louboutin mi stanno uccidendo.”

“Okay, dimmi qualcosa che non so.”

“Sei incredibile.”

“Ripeto: dimmi qualcosa che non so.”

“Un bagno di umiltà ti farebbe bene.”

“Devo dirlo veramente di nuovo?”, chiese Paul retorico alzando un sopracciglio.

“No, grazie”, rispose lei sbuffando.

“Deduco che a parte l’idea geniale le cose non stiano andando bene con il tuo principe.”

Marinette lo guardò male.

“Direi che non vanno affatto.”

Paul finì il cappuccino, “che posso dirti? Non puoi lavorare da Agreste e pretendere pure di avere altre gioie nella vita. Non ci si può fare niente, è scientificamente provato.”

La mora alzò un sopracciglio, “davvero?”

“Certo”, rispose Paul con stizza, “non vedi? Io sono ancora single! Io, io che sono uno dei più belli e intelligenti ragazzi di Parigi.”

“E anche modesto.”

Il castano mosse una mano in aria, dichiarando che non era importante.

“Hai bisogno di un mano?”

“No, dovrei aver quasi fatto. Ho tutto sotto crollo, tranne il fatto che Monsieur vuole costruire un nuovo ascensore solo per trasportare gli ospiti fino alla terrazza; ha detto che farli salire all’ultimo piano e poi farli salire le scale di servizio, sarebbe una caduta di stile.”

“Bè, ha ragione.”

“Non dare corda alla sua pazzia!”

“Bè, ma ha ragione!”

“Non si può costruire un ascensore in una settimana.”

Paul assunse la postura brevettata da dispensatore di perle di saggezza: sguardo serio, sopracciglia arcuate e mani sui fianchi.

“Lavorando da Agreste ho imparato due cose: uno, se Gabriel Agreste vuole una cosa la ottiene, due, Monsieur ha sempre ragione.”

Lei alzò gli occhi al cielo e annuì.

“Hai ragione.”

“Dimmi qualcosa che non so.”

“Paul!”

***

Era rimasta fino all’ultimo con Gabriel Agreste in terrazza per definire gli ultimi progetti, poi lui era sceso a prendere i cappotti e lei era rimasta a mettere a posto.

“Oggi non ti sei fermata mai.”

Marinette non si girò nemmeno per rispondergli, aveva già capito chi era, “con tuo padre in questo stato? Impossibile farlo.”

Adrien annuì, anche se lei non riusciva a vederlo. Fissò la sua figura esile che cercava di non far trasparire il dolore che ormai sta provando ai piedi massacrati da quelle scarpe killer. Eppure, rimaneva di una bellezza sconvolgente, tutto in lei gridava: unica.

Unica nella sua bellezza.

Unica nella sua gentilezza.

Unica nella sua determinazione.

Unica nel suo dolce modo di arrossire.

Unica in quel corpetto nero che gli aveva fatto sperimentare pensieri che nemmeno pensava poter partorire da solo nella sua mente. Sempre che quella stesse funzionando a modo...il sangue gli era sceso in parti decisamente meno consone.

“Forza”, disse raggiungendola e prendendola per le mani, “finiremo domattina, ora bisogna riposare.”

Marinette guardò imbarazzata le loro mani, poi arrossì, “ehm, sì...cioè, ecco.. non so”, poi tacque mordendosi la lingua.

Quanto le era mancata la dolce e timida Marinette.

“Milady, ho detto basta. Ora devi pensare solo a riposarti, la tua mente ha già fatto fin troppo per questa maison.”

Ed era vero, si disse Adrien. Aveva visto quanto aveva lavorato sodo, anche prima che lui tornasse da Londra. Aveva lavorato con Gabriel ai nuovi modelli, alla scelta dei tessuti, aveva seguito passo passo la sartoria. Si era occupata di coordinare tra loro i vari uffici e di contattare i vari venditori ed, infine, aveva salvato la sfilata con la sua idea geniale. E pur di farlo aveva collaborato con Chloè, da non credere. Non la finiva mai di smettere di sorprenderlo. Lei sospirò un po’, poi, tolse le mani tra le sue. Adrien si schiarì la voce, riacquisendo lucidità, “dobbiamo andare.”

“Dove?”

“Giù.”

In silenzio scesero le scale fino a raggiungere il loro ufficio dove Gabriel li attendeva con i loro cappotti in mano.

“Marinette, ceni da noi”, disse il mastino porgendole la giacca.

“Oh, la ringrazio, ma i miei genitori-”

“Uno: la mia non era una domanda, due: i tuoi genitori li ho già avvisati io e hanno detto che non c’è nessun problema.”

“Ah”, disse semplicemente la ragazza, rimanendo a bocca aperta.

Gabriel fece loro un cenno del capo e si avviò verso l’ascensore.

“My lady, dovresti chiudere la bocca o ci entreranno le mosche.”

Marinette socchiuse gli occhi e, stizzita, afferrò la borsa nera e raggiunse il suo capo.

***

Il viaggio in macchina era stato piuttosto silenzioso, con Adrien che guardava insistentemente Marinette, la ragazza che si torturava le mani con lo sguardo fuori dal finestrino e Monsieur che borbottava qualcosa di tanto in tanto.

Quando arrivarono alla villa e si sedettero al tavolo (Gabriel a capotavola e i due ragazzi ai suoi lati), il mastino ne ebbe abbastanza.

“Quindi? Passeremo la serata come delle mummie mute e impassibili?”

“Dovresti essere fiero di noi”, iniziò Adrien con il tipico ghigno da Chat Noir, “l’abbiamo imparato da te.”

“Adrien, ti prego, non iniziare.”

“Concordo”, aggiunse Marinette bevendo un bicchiere d’acqua.

Fu servita la prima portata e spostarono la non-conversazione su il tema sfilata.

“L’ascensore è un’esagerazione, monsieur.”

“L’ascensore è d’obbligo.”

“Non stiamo...esagerando?”

“Non esiste questo vocabolo quando si parla della mia sfilata.”

“Ma se nell'ultima settimana della moda mi ha detto il contrario.”

“Bè, la situazione cambia da sfilata a sfilata.”

Marinette buttò giù l’ultimo boccone, pronta a controbattere, quando Gabriel si rivolse al figlio.

“Adrien, qual’è il budget rimasto?”

“Ecco”, iniziò pulendosi la bocca con il tovagliolo, “non dovendo pagare una cifra esorbitante per la location, è avanzato veramente molto da-”

“Ti prego!”, lo interruppe Marinette con sguardo di sfida, “non vorrai appoggiare questa pazzia!”

Lui si strinse nelle spalle e la guardò divertita, “non vedo perché no.”

“Visto”, si rivolse Gabriel alla ragazza, vittorioso, “due contro una.”

“Incredibile quanto in realtà vi somigliate”, rispose Marinette incrociando le braccia sotto il seno.

“Suvvia, non fare la difficile.”

“Io? La difficile?”, esclamò la mora alzando la voce di un’ottava.

Il biondo sorrise divertito: ecco il fuoco che le bruciava dentro e che l’aveva fatto innamorare di lei al primo sguardo.

“Pardon”, rispose lei, “non sono una megalomane ed egocentrica come te.”

Lui alzò le mani, “dico solo che negli ascensori capitano le cose più inaspettate.”

Marinette arrossì subito non appena capì l’allusione: il bacio all’angolo della bocca che Adrien le aveva dato davanti all’ascensore, tutte le loro conversazioni dentro quell’abitacolo, e quel bacio, che di casto non aveva niente, che si erano scambiati il giorno dopo che si erano messi insieme.

Cercò di riprendersi scostando lo sguardo da quello verde di lui, “dipende dai punti di vista.”

Gabriel sorrise sotto i baffi, “domani voglio tutti i preventivi sulla mia scrivania.”

Marinette annuì, “oui, monsieur.”

Mangiarono il dolce con in sottofondo i commenti ironici che padre e figlio si scambiavano, poi, venne il momento di salutarsi.

“La ringrazio, monsieur, era tutto squisito.”

“Lo so”, rispose lui facendole indossare la giacca, “davvero bel corpetto.”

Lei si accarezzò la stoffa, sentendo al tatto le stecche di balena sotto di essa, “sa com’è, è Agreste.”

Si sorrisero complici, poi Adrien venne verso di loro con il cappotto indosso.

“Non ti lascio tornare da sola”, rispose lui allo sguardo interrogativo della ragazza.

Marinette aprì la bocca per replicare, ma, “sono consapevole che ti sai perfettamente difendere da sola, che indossi delle scarpe killer ed eccetera, ma sono più sicuro se ti accompagno io.”

“Concordo”, si affrettò ad aggiungere Gabriel per evitare che il battibecco tra i due durasse più del necessario.

Marinette si mise la borsa al braccio, “bene.”

Adrien annuì e andò ad aprirle il portone.

“Ah, Marinette-”

“I preventivi per l’ascensore, lo so.”

Gabriel sorrise vedendo i due avviarsi fianco a fianco verso la corvette nera del figlio.

Eh sì, Monsieur Agreste aveva sempre ragione.



Angolo autrice
Buonasera e scusatemiii, ho fatto un errore madornale: ero convinta di aver aggiornato la storia e, invece, non lo avevo fatto. Sono una frana, davvero! Bè, non voglio dilungarmi molto, ma la storia finalmente sta prendendo la piega giusta, ragazzi. Anche perché, ve lo dico in anticipo, mancano solo uno/due capitoli e l'epilogo ;)
Ringrazio tutte le persone che stanno leggendo e commentando questa storia perché, sul serio, senza di voi, non sarei arrivata fin qui.
Un bacio,
Cassie
   
 
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