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Autore: Bibliotecaria    10/03/2021    1 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell'autrice: Ehi, ragazzi, vi volevo solo avvisare che il prossimo capitolo potrebbe arrivare in leggero ritardo dato l'insieme di impegni e la compressità dello stesso. Intanto spero che questo capitolo vi piaccia, alla prossima!



15. Incrocio Ferri-Galvano
 
 
Come previsto ci incontrammo con il resto dei Rivoluzionari al incrocio tra via Ferri e via Galvano nei pressi di un edificio apparentemente abbandonato usato dalla polizia per preservare delle armi. Non potei fare a meno di chiedermi a cosa mai potesse servire un magazzino dove conservassero solo armi da fuoco, così distanti dalla base principale per giunta; solo in seguito avrei scoperto che tali magazzini erano stati creati in previsioni di occupazioni o assedi alla base principale. Serviva essenzialmente per evitare che situazioni come quelle del secolo scorso si ripresentassero e per fornire un maggior supporto alle forze del ordine regolari che sarebbero intervenute.
Mia nonna mi aveva raccontato che in gioventù aveva più di una volta assistito a casi in cui la base S.C.A. era stata isolata dal resto del mondo e che spesso la polizia, non essendo stata addestrata a gestire queste situazioni d’emergenza, peggiorava lo stato delle cose, per questo negli anni successivi si era incrementato il numero di armi a disposizione delle forze del ordine e magazzini simili servivano originariamente per un supporto ulteriore.
 
“Eccovi, iniziavo a temere che non sareste più arrivate.” Disse Orion a modi saluto. “Scusaci, i genitori di Diana ci hanno bloccate prima d’uscire.” Disse Felicitis avvicinandosi trotterellando. “Avete il materiale?” Si assicurò Orion penetrandoci con i suoi occhi gialli che brillavano attorno alla sua pelle nero-bluastra e al buio del vicolo. “Sì.” Affermai liberandomi del peso della borsa. Una volta arrivati i rimanenti ragazzi iniziammo a passarci i vari materiali che da soli non erano pericolosi, ma se combinati divenivano efficaci attrezzi da scassino e nelle giuste mani addirittura pericolosi. “Sei pronta?” Mi chiese Felicitis prima di iniziare; mi misi su il passa montagna e mi assicurai che la pistola fosse carica. “Ora sono pronta.”
 
Da lì tutti sapevano cosa fare. Per primo Gin, un folletto di quasi quarant’anni, che disattivò l’allarme tagliando di alcuni cavi esterni al edificio donandocene il pieno controllo. “Bene giovani potete entrare.” Disse Gin una volta assicuratosi che tutto fosse pronto mentre le sue ali di libellula frullavano per l’eccitazione. Orion scassinò la porta sul retro con estrema facilità, evidentemente questo magazzino non era più curato da anni, probabilmente era dagli anni settanta o ottanta del novecento, ma c’erano ancora diverse scatole con armi e pallottole di modelli relativamente recenti.
Sapevo che quel magazzino veniva adoperato dalla polizia per tenere le armi in eccesso che il governo gli forniva, per giunta veniva usato come deposito per le armi che sarebbero dovute andare in demolizione dato che, per un motivo o per un altro, la polizia non poteva più usare. E il giorno in cui compimmo la rapina precedeva il giorno in cui il magazzino sarebbe stato svuotato. Quindi il furto sarebbe passato temporaneamente inosservato dato che nessuno badava troppo al inventario del magazzino e il nostro intento non era quello di ripulirlo.
Una volta entrati ogni uno si sparse nelle varie zone per svolgere i suoi compiti. Non mi servivano gli occhi per sapere cosa stava accadendo. Nella zona nord dell’edificio Nohat stava scassinando la cassaforte nella remota speranza di trovare denaro o documenti interessanti, Felicitis stava portando sul furgone di Orion intere cassette di proiettili, Lucanor, un ragazzotto sulla ventina che a guardarlo pareva un gigante grigio, si stava procurando alcune armi molto più potenti di quelle che avevamo mai potuto trovare al mercato nero, mentre nella zona sud la sotto scritta stavo facendo la medesima operazione assieme ad altri due ragazzi, Gin era fuori nel furgone a fare da palo, e Salemar, un demone dalla pelle molto scura e gli occhi rossi, mio coetaneo, era sul posto del guidatore pronto a far partire il furgone in caso di fuga rapida.
Fu proprio perché sapevo cosa tutti avrebbero dovuto fare che notai con la coda dell’occhio che Orion non stava seguendo il programma, mi avvicinai insospettita e preoccupata. “Or…” Mi morsi la lingua: in missione non si chiamava mai per nome qualcuno. “Cosa stai facendo?” Gli chiesi a metà tra la furia e la preoccupazione. “Non sono cose che ti riguardano ragazzina. Torna a fare il tuo lavoro.” Mi rispose, eseguii l’ordine ma avevo una brutta sensazione. Continuai a compiere la missione e contemporaneamente tenevo d’occhio le mosse di Orion ma fu intellegibile.
Se avessi capito cosa stava facendo lo avrei fermato subito.
 
Una volta caricato sul camion quel che ci serviva, ci dividemmo per garantirci un alibi. Nel mio caso andai a bermi un sorso di birra ad un bar poco distante e molto frequentato con Felicitis. Il colpo era andato perfettamente e nessuno si era ancora accorto di nulla quindi mi concessi un’oretta di pausa dal resto del mondo prima di rincasare.
Una volta a casa trovai mia madre intenta ad aspettarmi. “Dov’è la tua amica?” Mi domandò irritata dal fatto che fossi tornata più tardi del previsto. “È tornata a casa.” Le risposi non curante, mia madre mi lanciò un’occhiata perforante, di quelle che probabilmente usava con i suoi sospettati, i suoi occhi scuri parevano bruciarmi l’anima e mi sentii piccola per un istante, poi però le lanciai uno sguardo confuso. “Mamma, non fare l’incattivita per una birra, dai.” Scherzai allontanandomi. “Ho bevuto ma era una sola! Giuro!” Continuai ignorando, per quanto fosse possibile, le braci ardenti di mia madre. Arrivata in camera mi buttai nel letto cercando di calmare il mio battito cardiaco, era così potente che temevo che mi avesse sentita.
 
 
Il risveglio che mi attese il giorno seguente, 13 gennaio del 2024 della terza Era, fu uno dei più amari.
Un rumore assordante invase le mie orecchie, pareva una bomba. Caddi giù dal letto dallo spavento e mi alzai di scatto per controllare se ci fosse qualcosa fuori: ovviamente vidi solamente la parete del edificio accanto.
Quando uscii di tutta fretta dalla mia camera vidi mio padre ancora mezzo svestito intento a mettersi su la sua divisa nera in tutta fretta correndo fuori. Mia madre invece era attaccata al telefono probabilmente ad aggiornarsi su ciò che era accaduto. Io accesi la radio che avevamo in cucina e mi sintonizzai sul cinegiornale e sentii subito la diretta. L’incrocio tra via Ferri e via Galvano e una parte degli edifici assestanti non esisteva più e tra le macerie c’erano morti e armi. Dopo dieci minuti in cui ascoltai il giornalista sul posto descrivere il disastro avvenuto, un’unica parola fuoriuscì dalle mie labbra. “Orion…”
Stavo per uscire, ero con già le chiavi in una mano e lo zaino nell’altra quando mia madre si mise tra me e l’uscita facendomi capire che non se ne parlava di lasciarmi uscire in questa situazione. Frustrata mi diressi a passi pesanti in camera mia per cercare di capirne qualcosa in più e avrei voluto fare qualche chiamata ma il telefono era occupata da mia madre o da chi la cercava.
A quel punto afferrai la radio e mi sintonizzai su una frequenza che non ascoltavo più spesso come un tempo ma restava un’ottima fonte di informazioni.  Mi misi su le cuffie e ascoltai le notizie annunciate da quella voce nasale e acuta che a tratti risultava fastidiosa ma che per qualche strana ragione era affascinante. “Gentili spettatori!” Ringraziai gli Astri di non essermi persa nulla. “Oggi la città di Meddelhok è stata risvegliata da una terribile sveglia: una bomba piazzata nel cuore di quella che sembra un’armeria della S.C.A., da quanto dichiarato finora sembra che ci tenessero un carro armato per l’esattezza.” Lo trovai strano poiché non ce n’erano lì, probabilmente era una falsa notizia. “Non si sa nulla di certo sulle dinamiche della disgrazia, anche se secondo me la polizia e la S.C.A. sanno già tutto… la versione ufficiale, data finora, è che una bomba è stata piazzata all’interno d’un parcheggio per carri armati ufficiale del esercito.… come facesse l’esercito a tenere un carro armato o più in un’area civile e poco sorvegliata non si sa, così come risulta un mistero il motivo per cui nessuno prima di questa mattina sapesse nulla del esistenza di tale armeria.” Malgrado la tragedia non potei che farmi sorgere un sorrisetto amaro, il presentatore era pungente come al solito. “Comunque, i miei informatori dicono che probabilmente questa è una grande bufala: se l’avessero messa dentro un carro armato, o al interno d’un parcheggio di questi, l’esplosione sarebbe dovuta essere ben più potente di questa per distruggerli. È invece più probabile, ed è quello che qui in studio e molti altri sostengono, che nel edificio vi fosse materiale instabile o una discrete quantità di esplosivo, quindi sarebbe bastata una piccola esplosione per generare un effetto a catena nell’armeria… in altre parole vi è stato un effetto domino che ha portato alla distruzione di mezzo isolato.” Ripensai un secondo alle scritte presenti in diverse scatole e mi resi conto che in molte, se non tutte, era segnalata la presenza di esplosivo e dove stava trafficando Orion avevo intravisto qualche segnale che indicava la presenza di materiale in stabile. “La gente si è chiusa nelle proprie case e si guarda le spalle.” Riprese il commentatore mentre mi rendevo conto che se l’esplosione fosse stata anche solo leggermente più forte probabilmente tutto il quartiere si sarebbe ridotto a delle macerie. “Ora vi chiederei di urlare con me le vittime di questa tragedia.” Non ripeterò i nomi dei morti perché so di non essere degna di pronunciarli, eppure ce li ho stampati molto bene nella mia mente, non è stato necessario che li trascrivessi nel mio diario mentre li elencavano solennemente. “Bene e ora prima dell’ora di musica commemorativa per questo evento, vi ricordo di seguire radio due due zero per la vostra…” mi tolsi le cuffie.
Misi le mani giunte e vi racchiusi il pendente donatomi da Adelaide, le labbra e la punta del naso, i miei occhi socchiusi fecero uscire le lacrime e iniziai a respirare lentamente per tentare di calmarmi.
Mi chiesi come avevo potuto essere così sciocca e come mai Malandrino non ci avesse informati di un fattore così importante e giurai a me stessa che avrei ammazzato Malandrino per questo.
 
Il giorno seguente uscii come un tornado dalla porta di casa e, mentre camminavo per le strade della città, pareva che la strada venisse sgomberata al mio passaggio, persino i semafori divenivano verdi all’istante.
Spalancai la porta in ferro fregandomene delle procedure ed entrai nella sala urlando. “Dov’è Malandrino!?!” I presenti vennero riscossi dalla mia presenza e una voce flebile sussurrò qualcosa di simile a suo e ufficio. In un lampo vi piombai e lo trovai intento a parlare con Orion quatto quatto. “Cosa cazzo significa tutto ciò!?!” Gli sbraitai buttandogli la prima pagina del giornale a un centimetro dalla faccia. Il titolo d’apertura era 26 MORTI, 24 FERITI, 2 DISPERSI!. Fu allora che con una sicurezza impressionante mi rispose. “Qualche rapina non avrebbe fatto notizia. Dobbiamo far vedere la nostra forza.” Disse con una tale calma che mi fece abbassare il giornale e a quel punto, con estrema calma, mi piegai sulla scrivania e vi appoggiai le mani. “Uccidere dei civili la chiami forza!?!?” Al inizio la mia voce era appena un sussurro poi sulla fine ero esplosa. Ero a un niente dal suo volto, i suoi occhi erano un pozzo di tranquillità quando lo disse. Mi ci volle un po’ per comprendere quell’unica parola, quella singola sillaba, quelle due lettere. “Sì.”
Mi allontanai disgustata e adirata. “Sono ventisei morti: sei uomini, tre centauri, quattro mannari, due vampiri, quattro demoni, due folletti, cinque orchi. Sono ventiquattro feriti…” “Non mi interessano questi stupidi numeri.” Mi bloccai a quelle parole chiedendomi quale creatura potesse pensare una cosa del genere, non provare un briciolo di rimorso, persino Orion si spaventò a quella affermazione. Sentii che avrei potuto distruggerlo adesso, in quel momento togliergli tutto in un istante ma mi imposi di controllarmi: se lo avessi fatto avrei condannato l’intera città alle fiamme del drago.
“Allora, qualche altra lamentela, ragazzina?” Mi domandò Malandrino alzandosi e fissandomi con ira. Mi morsi la lingua: se avessi parlato avrei fatto solamente danni. “ALLORA!?!” Mi urlò addosso, strinsi i pugni e mi imposi di mantenere la calma. “No…” Sussurrai aspramente a capo chino. A quel punto Malandrino mi sollevò il mento e mi obbligò a guardarlo negli occhi. “Ragazzina mettitelo bene in testa: tu non sei ancora morta perché mi servi, ma se anche solo sospettassi qualcosa neppure la tua famiglia ti potrebbe proteggere dalla mia ira, sono stato chiaro?” Mi domandò con uno di quei suoi falsi sorrisi. “Cristallino.” Sussurrai cercando di contenermi in qualche modo. “Bene, potete andare.” Decretò e uscii da lì senza dire una parola.
 
Stavo per andarmene dalla base ma una grossa, nera e callosa mano mi serrò il braccio. “Diana… non lo sapevo.” Stavo per digliene quattro soddisfando sedici delle mie fantasie di quel ultimo giorno e mezzo, però non feci nulla. Quando vidi quegli occhi sempre duri, sempre severi, sempre rimproveratori ora liquidi, stravolti e deboli compresi che non stava mentendo, ma non addolcii i miei a quella realizzazione. Orion continuò a parlare. “Credevo che avrebbe solo distrutto l’edificio ma non… questo.” Sentire quella voce roca e dura divenire debole e strozzata era spossante e mi sentii in colpa per ciò che avevo pensato.
Mi imposi di calmarmi, di trattenere quel fuoco distruttivo che bruciava in me, e, con voce rotta e severa, gli impartii un ordine. “Niente sorprese quel giorno. Anche a costo di disobbedire ad un ordine.” Lui capì e mollò il mio braccio.
 
Quando rientrai nella sala tutti mi stettero lontani ancora sconvolti per la mia sfuriata. Nessuno osò parlare finché non fui io a spezzare il silenzio. “Avete delle novità?” Domandai sperando che la smettessero di fissarmi come un fenomeno da baraccone. “Seconda è in prigione.” Abbassai leggermente la testa.
Seconda era una delle persone che ci passava informazioni dal governo attraverso un sistema postale e si era fatta beccare, la buona notizia era che non conosceva le nostre facce né nulla sul piano di cattura del drago, quella cattiva che avrebbero potuto torturarla fino a farla parlare, tuttavia una cosa era certa: non sarebbe sopravvissuta a lungo.
“Impiccagione o la…” Non riuscivo a dirlo. “Le faranno la Tortura…” Abbassai il capo, non osai immaginare come si dovesse sentire. Sapevo che questa pratica barbarica consisteva in una serie di scariche elettriche abbastanza potenti da farti soffrire come una bestia ma troppo deboli per uccidere qualcuno singolarmente ma se ripetute portano alla morte, avevo sentito storie di persone impazzite durante questa procedura. Non per niente era anche usata per la pena di morte. “La sua famiglia?” Chiesi. “In prigione per dieci anni, i figli in riformatorio per altrettanto.” La notizia non mi stupì, non avevo mai conosciuto Seconda, ne sapevo il suo vero nome, ma mi dispiacque per lei, nessuno si merita un destino simile.
 
 
Quando tornai a casa trovai Giulio ad aspettarmi alla porta d’ingresso pieno di polvere e con ferite alle mani. “Ho fatto del volontariato oggi. Non è che sia servito a molto….” Stava parlando ma sentivo che non si stava riferendo a me. Una morsa mi invase a vedere Giulio devastato, purtroppo avere un buon cuore alle volte è distruttivo. “Nohat e Vanilla mi hanno detto che hai conciato per le feste il Mandarino.” Continuò con un falso sorriso. Non ce la facevo a vederlo così: dovevo distrarlo in qualche modo così aprii la porta del complesso. “Quel pazzo si merita di peggio.” Iniziai facendogli spazio per farlo accomodare. “Entri? Ho della carne in frigo.” Ero riuscita a fregarla a mio padre il giorno precedente, nella fretta di andarsene se l’era dimenticata. Notai un leggero bagliore nei suoi occhi che si spense bloccato dalla vergogna probabilmente. “Non ti faccio schifo quando mangio carne umanoide?” Non mi stupì la domanda: ero conscia che ad alcuni questo aspetto delle nostre religioni lo trovavano efficiente ma disturbante. Tuttavia non rientro tra quelli.
“No. Sono già morti a cos’altro potrebbero servire?” Risposi con freddezza conducendolo verso l’ascensore e al appartamento. Camminammo fino alla dispensa e tirai fuori la carne per lui e uno yogurt per me. “La preferisci cotta o cruda?” Gli chiesi pacata. “Cruda? Scherzi?” Mi domandò divertito. Feci spallucce, tuttavia fui felice di vederlo scherzare. “Andrea la mangia sempre cruda, e Lukas preferisce bere il sangue quando è ancora caldo.” Gli raccontai divertita. “Per favore, capisco le tradizioni ma a me fa senso anche solo l’idea di mangiarla cruda, figurarsi farlo.” Con un mezzo sorriso aprii il sacchetto in plastica in cui era conservata e la passai a Giulio che la mise in forno. “Sei sicura che posso?” “Alla S.C.A. hanno riserve immense e continue da ogni tempio, l’ho fatto milioni di volte e nessuno si è mai lamentato.” Gli confessai placida.
Giulio divorò la Carne affamato, ogni tanto passava dalla forma umana a quello di lupo e viceversa e ciò mi causò un ricordo, non riuscii a trattenere una risatina. “Perché ridi?” Mi chiese alzando lo sguardo con mezzo boccone in bocca. “Fai la stessa cosa quando facciamo l’amore.” “Cosa?” Mi chiese ancora più confuso. “Muti forma quando facciamo l’amore, continuamente, alle volte parti come umano e diventi più lupo, ti spunta la coda, cose così.” Risposi divertita. “E cosa c’è da ridere?” Mi chiese scettico non capendo cosa ci trovassi di così esilarante. “Mi chiedevo se lo fai solo quando provi grossi piaceri, e il fatto che tu trovi mangiare carne umanoide piacevole come fare l’amore con la sottoscritta mi fa ridere.” In risposta lui mi lanciò addosso un tarallo e finì di mangiare con un mezzo sorriso in volto.
Restammo assieme per un po’ parlammo del più e del meno, scherzammo: la amabile noia. Dopo un tempo indeterminato se ne stava per andare e mi sussurrò all’orecchio. “Grazie, mi serviva.” Mi baciò l’orecchio con dolcezza e risposi al gesto strusciandomi a lui.
Un’ora dopo ci salutammo e, rimasta sola, mi trascinai in camera per ridefinii i dettagli del piano.
 
 
Nel corso delle due settimane che seguirono mandai delle lettere a Oreon per gestire al meglio il mio arrivo a Lovaris in groppa al drago, sempre se tutto sarebbe andato come previsto, lui mi aveva garantito che ci sarebbe stato un mezzo di trasporto per me grazie al quale sarei potuta scappare velocemente verso la stazione e da lì direttamente a Meddelhok.
Felicitis e Garred si occuparono di raccogliere quante più informazioni incriminanti possibili con l’aiuto di Galahad che spiegava loro cosa cercare, in oltre questi mi aiutava molto con l’organizzazione del piano per sabotare tutto, così come Nohat, Vanilla e Giulio.
Il grosso problema ora era cosa fare con Malandrino e i restanti Rivoluzionari che sarebbero venuti con noi: ucciderli sarebbe stata la cosa più semplice e veloce, avremmo potuto mentire e dire che erano morti durante la missione, questo ci avrebbe fatto guadagnare tempo, tuttavia avrebbe comunque insospettito il resto del gruppo, ucciderli sarebbe stata una soluzione a breve termine e non mi entusiasmava l’idea di un’esecuzione.
Mi passai una mano trai capelli in cerca d’una soluzione meno sanguinosa e cruenta almeno per il resto dei ragazzi, tuttavia dopo quel che era successo con l’armeria avevo deciso che, se si fosse presentata l’occasione avrei ucciso Malandrino solo non sapevo come e se la forza mi sarebbe venuta a mancare.
 
Il mio flusso di pensieri venne interrotto da un bussare secco, capii subito chi era. “Avanti papà.” Lo invitai annoiata confondendo i miei importantissimi e segretissimi piani con i compiti di letteratura, e se ve lo state chiedendo non era una scelta idiota: se mi fossi affannata per nasconderli meglio avrei insospettito mio padre, invece così sarebbero sembrati solamente note o la brutta copia dei miei compiti. “Diana questa sera abbiamo il mio capo a casa, vedi di sistemarti.” “Sì, sì, lo farò.” Dissi annoiata.
Le cene di lavoro con il capo sono sempre stata la peggiore forma di tortura, da piccola le odiavo dal profondo: niente era più detestabile per me di doversi mettere in ghingheri e stare seduta per tutta la cena accanto a bambini o ragazzi che non conoscevo con cui non avevo nulla da condividere o parlare, per di più crescendo si pretendeva sempre maggiormente la mia presenza come una bella statuina. Ma all’epoca erano altri i problemi che avevo in mente e quella cena mi pareva solo una seccatura di cui mi sarei liberata in fretta.
“L’età dei figli?” Domandai pregando il Sole e la Luna che fossero piccoli, avrei fatto qualsiasi cosa perché a metà serata potessi alzarmi e fare da balia a delle povere e piccole anime innocenti che avevano tutta la mia comprensione se in quel momento avrebbero voluto giocare; era la scusa migliore per andarsene ed evitare di finire a parlare di politica con gli adulti, il che per me equivaleva a dover stare zitta tutta la serata, cosa a dir poco insopportabile. “Il maggiore fa l’università, la minore è di un anno o due più piccola di te.” “Sole e Luna aiutatemi! Ti prego almeno dimmi che non lo conosco o che questo tuo capo si potrebbe ricordarsi di me in qualche modo.” Domandai esasperata. “No, io e Luisa lo abbiamo incontrato fuori dal ufficio una sola volta ad un gala e tu non c’eri, ovviamente.” Ringraziai gli Astri per avermi risparmiato dieci minuti d’imbarazzo in cui cercavano di farmi ricordare un evento avvenuto più di cinque o dieci anni fa che avevo volutamente cancellato dai miei ricordi, per me questa cosa era illegale: le persone non possono pretendere che un adolescente si ricordi d’un estraneo che ha visto da piccolo sì e no una o due volte nel giro di dieci anni. “Almeno questo.” Borbottai annoiata mentre mi annusavo: decisamente serviva una doccia. “Diana è una cena molto importante per me, discuteremo di una mia possibile promozione quindi, per favore, contieniti.” Alzai gli occhi al cielo. “Ce la faccio a recitare la parte della figlia perfetta per una serata, non ti preoccupare.” Dissi portandomi dietro l’abito per le cene d’ufficio che usavo ogni volta.
Quando uscii dalla doccia, già vestita di tutto punto, venni intercettata da mia madre. “Scherzi vero?” Mi domandò con addosso quella ridicola crema anti-età. “Perché? È carino, è formale, è sufficiente.” Risposi facendo per proseguire per la mia strada. “È da ragazzine. Diana sei quasi una donna oramai, dovresti saperti vestire.” Decretò mia madre trascinandomi in camera mia cercando qualcosa che non fosse sportivo o da maschiaccio. “Maledizione… nulla di decente.” Alzai gli occhi al cielo sapendo cosa mi sarebbe toccato a questo punto. “Mamma non ci pensare neppure.” Dissi iniziando a tirare fuori da uno scatolone sotto al letto la roba estiva. “Cosa?” Mi domandò lei. “I tuoi vestiti mi stanno piccoli e male: tu sei uno stecchino con sì e no una prima, ma io ho preso dalla nonna, il che vuol dire curve, ciccia e tette.” Le ricordando evidenziando il concetto stringendo lo strato di grasso sui miei fianchi, sulla braccia e al petto. “Diana tu non sei cicciona. Hai solo qualche chilo in più delle tue compagne oltre che un po’ di muscolo.” Alzai gli occhi al cielo: mia madre credeva che mi vestissi da maschio per dell’insicurezza inesistente verso il mio corpo; ero sempre stata un po’ più robusta della media ma nessuno dei miei ragazzi si era mai lamentato, neanche il peggiore. E a Lovaris nessuno era così temerario o stupido da prendermi in giro seriamente. “Lo so. Però i tuoi vestiti mi fanno sembrare una balena.” Dissi tirando fuori la camicia e i pantaloni che avevo usato al matrimonio di Lillà e mi cambiai davanti a lei. “Meglio?” Domandai seccata, mia madre sospirò. “È un po’ leggero ma andrà bene.” Mi disse rassegnata tornando alla sua maschera di bellezza.
Nel frattempo mi accorsi che avevano iniziato a cucinare, lanciai un’occhiata: i miei avevano pagato un paio di camerieri e un cuoco, che dalle immense ali di pipistrello sulla schiena, dalla pelle grigia e dalle corna che spuntavano dal capo intuii essere gargoil. Sospirai rassegnata. “Che gran bella pagliacciata.” Sussurrai aprendo un po’ la finestra per evitare che la mia stanza venisse impregnata dal odore del cibo.
 
Poche ore dopo mi ritrovai davanti la porta a fare le presentazioni con la famiglia del capo. “Mia moglie Luisa, e mia figlia Diana.” Ci presentò mio padre al suo capo e mi bastò un’occhiata per capire che questo stava ai piani alti: orologio da taschino nuovo di zecca e pesante, giacca nuova, scarpe in pelle nuove, la moglie aveva dei gioielli seri, non la solita collanina di perle che era stata comprata per il matrimonio o qualche vecchio gioiello di famiglia, anche i figli profumavano da ricchi, dalle scarpe di marca della ragazzina, all’orologio dal polso di ultima generazione del ragazzo. Iniziai a pensare che la paranoia di mia madre per questa volta era giustificata, noi a confronto parevamo la plebaglia e non eravamo messi male, però quando mi accorsi che la ragazzina aveva una borsetta firmata li trovai quasi ridicoli. Strinsi con vigore la mano al capofamiglia che rispose con un sorriso divertito. “Un maschio mancato questa qui Claus. Devi esserne orgoglioso.” Trattenni tra le mie labbra la battutina amara. “Sempre meglio di questa femminuccia qui.” Disse scherzosamente dando una pacca al figlio maggiore. Quando la strinsi al ragazzo questo tentò di stringere e in risposta gli stritolai la mano e questi aumentò la presa, in risposta la aumentai e lo vidi compiere una smorfia per poi allentare la presa, mi apparve un sorrisetto soddisfatto nel angolo destro. Le due donne avevano una presa così delicata da sembrare fasulla. Mio padre mi aveva insegnato fin da piccola che la stretta di mano dice molto sulla volontà d’una persona così come guardare o meno la gente negli occhi, quindi trovai strano quando la figlia minore non osò neppure guardarmi in faccia, quasi maleducato.
Mi sedetti nel lato dei figli, accanto a mio padre e alla ragazzina, Maria, ma non parlò per tutta la serata, riuscii a conversare un po’ con Giacomo, lo trovai anche simpatico, mi ricordava Oreon per certi versi, e anche un po’ Galahad. Ovviamente però dovevamo farlo ad un tono di voce tale per cui non avremmo disturbato i due capi famiglia che parlavano dai due lati opposti del tavolo, li maledissi per non essersi seduti accanto. “Diana fa il quinto anno di liceo, giusto?” Domandò Alessandro Magnami, il capo di mio padre. “Sì. Al istituto qui vicino.” Rispose mio padre. “Oh, sì, quella scuola pubblica, non è male.” Mi domandai se si rendesse conto d’essere offensivo o se per lui parlare così era educato, perché se era la seconda sospettai che avesse sbattuto la testa da piccolo o che non gli avessero insegnato le buone maniere. “Ma piuttosto, c’è qualcuno nella vita di sua figlia? Intende sposarsi.” Mio padre fece per rispondere ma intervenni. “Prima di sposarmi intendo fare l’università e trovarmi un lavoro.” “Oh, certo, ora va di moda così tra voi ragazze.” Non sono una Strega ma potei sentire mio padre e mia madre pensare: respira Diana, respira. “Oramai è giusto che sia così, signore. La qualità di vita e le opportunità di studio per i figli aumentano quando entrambi i genitori lavorato e se almeno uno dei due è laureato. L’ho letto su una ricerca Sociologica sui giornali un paio di settimane fa.” Risposi. “Baggianate. E i figli chi li cresce?” La sua era una domanda retorica ma risposi comunque. “Mia madre è una lavoratrice e una madre e svolge entrambi i ruoli egregiamente.” Non era totalmente vero ma qualsiasi cosa per non darla vinta a quello lì, per di più avevo visto fin troppe famiglie in cui era l’esatto contrario. “Certo, come se una donna possa fare gli stessi lavori di un uomo.” Se mio padre avesse potuto si sarebbe infilato le mai nei capelli e avrebbe detto addio alla sua promozione. “Fin tanto che non vengono concesse alle donne pari opportunità mi pare logico che non possiamo ottenere gli stessi lavori.” Risposi con una tale amarezza che sentii Maria tentare di sprofondare nella sedia. “Oh, mi stai dicendo che vorresti vedere le donne lavorare in miniera?” “Sì.” Decretai causando il silenzio tombale per tre secondi.
A quel punto Alessandro si voltò un secondo. “Tu. Gargoil.” “Sì, signore?” Rispose quello un po’ più vecchio dei due camerieri. “Hai mai lavorato nelle miniere?” Domandò Magnami. “Fortunatamente no signore.”
“Ecco, visto? Anche un imbecille come questo ci arriva che voi donne siete fortunate a non dover lavorare.” Desiderai mangiarmelo vivo, poco importava dei segnali sempre meno invisibili che i miei genitori stavano tentando di darmi. “Il punto non è questo.” Ripresi cercando di trattenere quella rabbia bruciante che stava premendo per uscire. “Concordo che lavorare in miniera è orrendo, tuttavia questo non significa che una donna non possa farlo.” Risposi astiosa. “Diana!” Tuonò mio padre. “Adesso basta, rispetta i superiori.” Mi riprese mio padre, alzai gli occhi al cielo. “Signorina le buone maniere.” Mi riprese mia madre.
Ora credo che capiate perché evito gli eventi sociali come la peste. “Chiedo scusa, avrei dovuto esporre le mie opinioni con maggior rispetto.” Dissi guardando seccata Alessandro Magnami che rispose con un gesto d’indifferenza.
 
Quando noi ragazzi potemmo isolarci fui costretta a portarli in camera mia e no, non ci fu il cliché del tentativo di nascondere documenti vitali lasciati in bella mostra, li avevo già chiusi a chiave nel cassetto della scrivania e la chiave la tenevo in tasca.
“Non vedevo qualcuno tenere testa così a mio padre da un po’.” Disse Giacomo sorpreso. “Ma temo che costerà la promozione a tuo padre.” Aggiunse, lo perforai con lo sguardo. “Allora tuo padre non è solo un sessista e razzista, ma è anche un coglione e un bambino nel corpo di un adulto.” Risposi tranquillamente fissandolo negli occhi. Giacomo pareva divertito. “Forse, ma tu usi suoi stessi mezzi.” Strinsi i denti e lui rispose con un sorriso divertito. “La realtà fa male?” Mi imposi di clamarmi: non avrei vinto prendendolo a cazzotti. “Non è il mio unico mezzo.” Risposi incrociando le braccia con fare molto più rilassato sebbene desiderassi spaccagli la faccia. “Oh, davvero? Qual è l’altro tuo mezzo?”
Gli recitai qualche comma legale sull’illegalità del favoritismo e un paio di concreti esempi di come il nepotismo portasse alla decadenza mentre la meritocrazia, sebbene imperfetta, permettesse un rinnovo e uno sviluppo. “Bene, sai usare le parole, mica male.” Commentò Giacomo annoiato. “Ma non basta. Le persone non prenderanno mai sul serio un cane rabbioso.” Ebbi un déjà-vu, e mi ricordai il discorso del Malandrino, iniziai a sospettare che ci fosse un fondo di verità sul fatto che dovessi imparare a reindirizzare la mia rabbia in maniera costruttiva. “Cane rabbioso?” Domandai divertita. “Ho sentito ragazzini cresciuti in conservatorio dire di peggio.” Lo stuzzicai. “Stai deviando il discorso.” Mi fece notare. “Lo sto facendo volutamente.” Dissi avvicinandomi a lui. “Perché non hai argomenti?” Mi sfidò Giacomo. “Perché ti straccerei.” Risposi incenerendolo con lo sguardo. “Ragazzi, per favore…” Tentò d’intervenire Maria timidamente ma Giacomo la zittì con un gesto e a quel punto partì il dibattito, Maria come unica testimone.
Me la cavai ma non ne uscii vincitrice: Giacomo era chiaramente più abituato e preparato di me, si vedeva che aveva fatto l’università. “Non male per una ragazzina. A quale università pensi di andare?” Mi domandò a fine dibattito incuriosito e con del rispetto nella voce. “Non lo so, spero di entrare in una facoltà di legge.” Questo era il piano che avevo se tutto fosse andato bene. “Per diventare?” “Avvocato difensore, ma non ne sono certa al cento per cento.” Dissi mentre le mie orecchie si rizzavano per un rumore nella scala antincendio, ma non vi badai troppo. “A me sembri piuttosto sicura. Forse dovresti prendere esempio da lei Maria.” Notai come quella ragazzina annuì poco convinta e improvvisamente compresi che stava urlando dentro: era come me ma in maniera profondamente diversa. Anche lei odiava queste cene poiché c’è sempre quel momento in cui i genitori lodato e mettono a confronto i loro figli e questo è orribile poiché si riesce a vedere nei loro volti quel proibito desiderio che il loro figlio sia come quello di un altro, e se non si risponde alle aspettative ci si sente come un giocattolo rotto ma anche stare sul piedistallo vuol dire essere nel occhio del ciclone e basta un passo falso per rientrare nei giocattoli rotti.
Non so cosa avrei potuto dire, poiché qualcuno bussò alla mia finestra. Alzai lo sguardo: era Giulio ma non era previsto nessun impegno per oggi. Scostai Giacomo e attraversai il letto a carponi per aprire la finestra. “Giulio, che ci fai qui?” Domandai confusa mentre il gelo di gennaio mi penetrava nelle ossa, a Meddelhok poi c’era un freddo quasi disumano. “Ecco io…” Ci fu qualche istante di silenzio in cui Giulio fissò la mia stanza. “Ti volevo chiamare per uscire con noi ragazzi ma noto che sei impegnata.” Disse guardando di sotto. “Ci vediamo domani.” Mi disse. “No!” Lo interruppi e guardai i ragazzi. “Avete un coprifuoco?” Domandai, Giacomo accennò negativamente mentre Maria sussurrò qualcosa di simile a mezzanotte. “Vi volete unire a noi?” Domandai, vidi Giulio strabuzzare gli occhi un secondo poi però sorrise. “Non vorremmo arrecare disturbo.” Sussurrò Maria. “Sciocchezze, è una semplice serata tra noi, birra e patatine.” Disse Giulio sorridendo. “Ma non so se nostro padre…” Iniziò Maria venendo brutalmente interrotto da Giacomo. “A papà penso io. Diana?” “Se avete il permesso di andare posso venire anch’io. Però...” Iniziai guardando Maria. “È meglio che ti cambi poiché vestita da bambolina non ti ci porto.” Questa accennò un sì imbarazzata. “Se non ti arreca disturbo.” Sussurrò imbarazzata. Le diedi una pacca sulla spalla. “Quale disturbo?” Domandai e Maria mi sorrise.
 
Poco dopo Giacomo convinse suo padre a lasciarli andare e mio padre mi ragguardò sullo stare attenta e di tenere d’occhio Maria. Interpretai questa cosa come un segno positivo, pensai probabilmente mio padre e mia madre avevano lisciato il pelo a quel vecchio bastardo abbastanza a lungo in previsione di una mia reazione esagerata. Noi ragazzi uscimmo dieci minuti dopo, io con un mio vecchio maglione rosso antico e dei pantaloni verde militare, Maria con dei jeans pesanti e scuri e un maglione blu scuro che le avevo prestato, gli stavano leggermente grandi ma le donavano, l’unico che era rimasto in ghingheri era Giacomo ma i maschi possono indossare un po’ quel che gli pare, tanto adoperano lo stesso abito per almeno dieci occasioni diverse. Notai fin da subito che Maria, poverina, era totalmente a disagio in mezzo ai maschi o a delle ragazze come Felicitis, Vanilla e la sottoscritta, per di più era chiaro che nessuno dei due ragazzi era abituato a frequentare persone al di fuori della propria razza. Vederli entrare nel bar a disagio fu soddisfacente.
Tuttavia, quando i due ospiti si ambientarono, mi ritrovai ad essere sola ed immersa nei miei pensieri. “Tutto bene?” Mi domandò Giulio che si era distratto dal dibattito che Galahad aveva instaurato con Giacomo. “Non lo so, sono preoccupata in questo periodo.” Ammisi, sentii la sua mano lungo la schiena, una dolce carezza confortevole. Lo guardai negli occhi e mi accoccolai su di lui. “Non temere, troveremo una soluzione, per tutto.” Lo sperai intensamente ma non ci credevo. Soprattutto perché a pochi isolati da lì c’era la prova che se avessimo fallito di Meddelhok sarebbero rimaste solo ceneri e macerie.
 
Dopo quella serata non rividi mai più quei ragazzi, non so dove le loro scelte li abbiano portati e sinceramente non mi interessa. Anzi prima di rileggere queste pagine mi ero totalmente dimenticata della loro esistenza poiché conclusasi quella serata il tempo mi sfuggì tra le mani. Però tra la scuola, le cene sempre più frequenti a casa Longo, le nostre attività illegali, la preparazione del piano e quel minimo di tempo che lo dedicavo a riposarmi o a distrarmi non c’è da sorprendersi se nel giro di pochissimo tempo mi ritrovai con l’acqua alla gola e a fare il conto alla rovescia per i giorni mancanti. Non c’era più tempo a nostra disposizione, quel che avevamo fatto ci sarebbe dovuto bastare.
 
 
In fine arrivò il giorno prestabilito. Era il 24 aprile del 2024 della terza Era e nel giro di poche ore a Meddelhok sarebbe scoppiata una rivolta che sarebbe rimasta nella storia come la Notte Rossa, tuttavia non vi presi parte, sarei stata lontana di molti chilometri quando la rivolta scoppiò.
   
 
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