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Autore: Yunomi    14/03/2021    2 recensioni
"I pianti, le isterie, i lanci di innocenti gerani oltre i balconcini, gli sguardi accesi dalla passione e dal fuoco che non si placava mai, né con il sesso né con le conversazioni alle tre di notte, aggrovigliati come senatori romani tra le lenzuola bianche, le sigarette, i vizi dannosi, le corse in Corvette. L’amore. Quell’amore deleterio, malsano, quell’amore che mi aveva consumata come un fiammifero e che mi aveva ridotta ad un pugnetto di ossa stanche, il cui unico sostentamento era costituito da niente di più che libri e sigarette. No. Non più"
Sequel assolutamente non richiesto di Big God. La lettura è fortemente consigliata per capirci qualcosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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7

Questi ridicoli teatrini
 
 
 
 
 
 
 
 
Il tavolo della colazione quella mattina è popolato per lo più di individui stanchi di tutto.
Si passano tazzine svedesi colme di caffè italiano, e i cornetti alla crema vengono distribuiti pacificamente come corpo di Cristo – amen – alla Messa, senza recriminazioni o appropriazioni indebite. In silenzio.
Il solo rumore proviene dal lieve clangore delle tazze che si appoggiano sui rispettivi piattini e da quello del burro che si spalma sul pane tostato; i commensali si guardano a malapena a vicenda.
E’ imbarazzante, pensa Molly, mentre nasconde una smorfia di disappunto dietro la propria tazza di caffè.
Lancia uno sguardo a Thomas, che è seduto a capotavola e sta impiegando ogni fibra del suo aplomb londinese per cercare di ignorare quella tensione imbarazzante, quasi tragicomica, se vogliamo dirla tutta; Thomas si umetta un indice con la lingua e volta la pagine, alla ricerca della sezione Arte e Spettacolo. C’è da dire che è l’unico che ci riesce divinamente, ma è anche vero che è dotto nella sottile arte dell’elusione.
Si schiarisce la voce; sembra essere sul punto di dire qualcosa, tanto che quattro teste si voltano al suo indirizzo, interrompendo qualsiasi azione di versamento di caffè o spalmamento di marmellata.
Thomas si sente osservato.
Alza lo sguardo dal giornale.
Le tre teste – Molly sa tenere testa al suo fidanzato – tornano a concentrarsi sulle proprie questioni mattutine. Molly intercetta il suo sguardo una frazione di secondo prima che l’uomo riporti gli occhi sul Times.
“Per quel che mi riguarda può finire anche subito, questo teatro dell’assurdo.”, esclama lei, appoggiando con veemenza la tazzina sul piattino. Il rumore è fastidioso come un urlo.
Thomas alza un sopracciglio. “Prego?”
“Sono solo le sette del mattino.”, si lamenta la Papessa, che non si sente particolarmente allodola quel giorno, e infatti sfoggia un paio di patches al cetriolo sotto gli occhi per arginare la piaga delle borse dovute alla mancanza di sonno. “Pietà.”
Chloe non osa alzare lo sguardo dal suo cornetto. E sì che si è anche svegliata di buon umore, dopo il trattamento riservatole da Lucifer la sera precedente – complice anche il buongusto della Papessa in fatto di lingerie. Si sente una bambina in ginocchio sui ceci.
Thomas sospira; appoggia il giornale, prende un sorso di tè. Alza gli occhi verso Molly. “Io adesso devo andare a lavorare. Ne parleremo con calma stasera. E una volta per tutte.”, dice, con tono severo da pater familias.
Molly annuisce e glissa lo sguardo verso Lucifer. “Hai capito, canguro dei miei stivali?”
Lucifer, dal canto suo, sorseggia caffè e risponde con una scrollata di spalle. “Ho fatto quello che avrebbe fatto lui.”
“Pensavo avessimo chiarito che siete due deficienti.”, dice la Papessa, massaggiandosi le tempie con gli indici. “E che con le botte non si risolve mai nulla. Ora, finito il ripasso delle regole di coabitazione per individui in età prescolare, vi prego: almeno fatemi finire il caffè.”
Thomas si nasconde di nuovo dietro il giornale.
Molly sbuffa.
Thomas riabbassa il giornale. “Pensavo avessimo chiuso il discorso.”
Molly alza un sopracciglio. “E io intendo riaprirlo, vossignoria. Dobbiamo per forza avvelenarci l’aria così, fino alla loro partenza?”
“Già.”, le fa eco Chloe, rinvenendo improvvisamente. “Non possiamo semplicemente metterci una pietra sopra?”
Thomas sbatte il giornale sul tavolo. I caffè tremano di paura nelle tazzine. “No, mia cara. E sai perché? Perché quello che continuiamo a nascondere sotto le pietre sta iniziando a superare la pietra in questione in termini di densità e larghezza. Non è il modo in cui sono abituato io a gestire i problemi. Speravo mi concedeste la decenza, quantomeno, di farmi incominciare la giornata senza rodimenti di fegato, ma evidentemente le buone usanze della California sono diverse da quelle a cui sono abituato io, indi per cui: Lucifer, penso abbia capito anche questa zuccheriera che non mi piaci. Non ti ho mai totalmente perdonato perché, nonostante sia laureato in Cristologia, non ci ho mai creduto granché alla puttanata del porgere l’altra guancia. Hai usato Molly come il tuo personale punch-ball emotivo, e se lei è riuscita a volerti bene nonostante tutto, io non posso dire di poter fare lo stesso. Quindi mi dispiace, ma non mi dispiace. Dal canto mio, sono disposto a cedere ad una quieta coesistenza senza vicendevolment rugarci il cazzo.”
Lucifer alza il sopracciglio infastidito. Stringe in pugni sul tavolo ma, con grande sorpresa dei presenti, incassa il colpo e tace. Il suo orgoglio non lo esime dal trarre un grosso sospiro carico di disapprovazione, tuttavia. Ma Thomas lo ignora, passando a puntare l’indice verso Chloe.
“Quanto a te.”, inizia Thomas, investendola con uno sguardo che fa quasi ghiacciare il tè nelle tazze, “Avanzi delle pretese che onestamente stanno iniziando a rompere i coglioni. Te la prendi con Molly come se tutti i problemi che hai con questo qui venissero da lei, quando sai perfettamente che il punto è la vostra totale e vergognosa mancanza di comunicazione. Mi sembrate dei liceali arrapati che vivono questa relazione come lo sfogo di una fantasia proibita, e che rifiutano di capire che una relazione non sta in piedi con due moine e una scopata così trascendentale da farti cadere in ginocchio a pregare Iddio. Ci vogliono le palle, nelle relazioni. Bisogna mettersi a discutere, strapparsi la pelle dalla faccia, mandarsi più e più volte a fare in culo e addirittura smettere di parlarsi per qualche giorno. Non si va avanti a furia di Oh, lui è così complesso, lei è così misteriosa, è una persona così criptica! Ma per l'amor del cielo, dove credete di essere, in un fotoromanzo dell'anteguerra pedissequo e vagamente retrogrado? Uscite le palle anche fuori dalla camera da letto, per Dio.”
Chloe ascolta tutto con la bocca semiaperta. Lucifer si passa la lingua sui denti, e a Molly colpisce il dubbio che il suo cervello stia macinando a vuoto nel tentativo di trovare una risposta quantomeno degna di ciò che Thomas ha appena detto loro. Dal silenzio che cala in seguito a quell’uscita, Molly si risponde che il cervello di Lucifer ha sparato a salve.
Sente una punta di orgoglio assolutamente inappropriato alla situazione fiorirle nel petto, proprio sotto lo sterno: sta con l’uomo che è riuscito ad azzittire il Diavolo. Cerca di sorridere con discrezione.
La Papessa scuote la testa, abbandonando definitivamente la prospettiva di una colazione tranquilla. Il caffè, tra le altre cose, ormai si è freddato.
Chloe si morde un labbro e abbassa lo sguardo, colpevole; Thomas spiega il giornale con un fare decisamente ottocentesco e dice soltanto: “Ora devo finire di leggere la recensione del Troilo e Cressida, se mi volete perdonare.”
Molly sorride, e si accende una sigaretta. “Buongiorno, caro. Dell’altro caffè?”, dice, ironica, stanca, eppure contenta. Assurdamente contenta.
Sono dei disadattati, tutti quanti.
Forse solo la Papessa si salva, ed è solamente perché si è ritirata da un pezzo dalla ribalta delle relazioni sentimentali. Sono stupidi, loro, gli idioti che ancora sprecano tempo ad innamorarsi: anzi, si istupidiscono come scaldabagni quando si innamorano. Non capiscono più niente, e non fanno altro che inciampare nei loro stessi piedi, rischiando di perdere quattro incisivi nello scontro con la realtà dei fatti: eppure, senza denti, sorridono ancora.
Molly lancia uno sguardo a Chloe e Lucifer, che sembrano bambini che hanno appena ricevuto una sonora strigliata. Sorride tra sé, scuotendo la testa, e annuncia la sua dipartita da quello sfacelo di colazione. Thomas le strizza un occhio da sopra il Times.
“Questi ridicoli teatrini del cazzo.”, si dice tra sé, mentre sale le scale.
E intanto sorride.
 
 
 
 
 
And I know that it's so complicated
But I'm a loser in love,
so baby raise a glass to mend
 all the broken hearts of all my wrecked-up friends.
(Lady Gaga, Speechless)
 
 
 
 
 
La mattinata scorre veloce e indolore.
La Papessa lavora da casa, e si è appropriata di un angolo del salotto; scorre plichi interi di bozze, canticchiando vecchie gighe irlandesi a mezza voce. Tiene la sigaretta in bilico sulle labbra, e aspira di tanto in tanto senza usare le dita.
Lucifer e Chloe hanno rinunciato al turismo perché piove.
Lucifer ha agguantato un libro dalla libreria comune di Molly e Thomas, e scorre tra le righe. Anche se la prospettiva è di rimanere in casa tutto il giorno, non ha rinunciato al tre pezzi; non si piegherà mai alla tuta, dice.
Chloe in compenso cerca di comunicare con Los Angeles, ma la connessione fa le bizze per via del maltempo.
Alla fine lancia il telefono sul divano. Lucifer alza gli occhi dal libro.
Chloe si prende la testa tra le mani, e crolla a sedere accanto a Lucifer.
La Papessa alza gli occhi dal foglio, ma li abbassa subito dopo. E’ avvolta in una nuvola di fumo, e sembra proprio una medium che naviga nelle spesse nebbie del tempo.
Lucifer chiude il libro e si volta verso la donna. “Avresti preferito stare con un uomo più… normale?”, le chiede, incrociando le dita intorno al ginocchio accavallato.
Chloe incrocia le braccia al petto. Gli occhi di Lucifer sono quieti, stranamente, e lui sembra davvero intenzionata a starla a sentire. Chloe non vede più la sua pelle fremere di agitazione, e lei da parte sua non sente la solita ansia che ha cercato il più possibile di nascondere da quando stanno insieme: l’ansia di vedere di nuovo la sua faccia diabolica. Forse è un bene che ci sia la Papessa lì. Non oserebbe rivelare il suo volto davanti ad un’estranea, no?
“Pensavo che sarebbe stato più facile.”, sospira lei, ed è come se all’improvviso si fosse lasciata cadere un enorme zaino dalle spalle.
Lucifer non la guarda ferito né dispiaciuto: glissa lo sguardo verso il tavolino, dove sono appoggiate le sigarette di Molly. Ne estrae una e se la accende.
“Nel senso che sono sempre stata convinta che l’amore potesse risolvere qualsiasi problema. Che bastasse avere la persona giusta al proprio fianco per affrontare qualsiasi sgambetto che la vita avrebbe teso. Non è così.”
Lucifer le prende una mano. “Non sono una persona facile.”
“No, non lo sei.”, gli risponde Chloe, teneramente. “Ti ricordo che ti ho sparato, una volta.”
Lucifer si lascia sfuggire una risata. “Ricordo bene.”
Si guardano in silenzio, e per un po’ è solo la pioggia a parlare. Batte con il suo ritmo fluviale contro le finestre, rifrangendo la luce lattea in cui è immersa quella mattina.
Chloe non può più fingere di essere una persona normale: non ha fatto altro che danni, in vita sua, cercando di contenersi entro rigidi schemi e in ruoli imposti da terzi. Si è amputata troppe volte, ed ora è una donna matura, ed è stanca di dover cucirsi addosso il costume di ciò che non è.
Lucifer non parla molto.
E’ un uomo troppo abituato al silenzio, riguardo ciò che è. In quegli anni sono state innumerevoli le volte in cui Chloe ha intravisto lo spiraglio di qualcosa che si stava finalmente aprendo, ma che lui puntualmente richiudeva a tripla mandata. Come quando tempo addietro si era azzardata a sfiorare le piaghe dove una volta spuntavano le sue ali, e lui le aveva stretto il polso in una morsa di acciaio. Gli aveva letto negli occhi un dolore così ancestrale, così profondo, che per un attimo aveva vacillato.
Un dolore così lei forse non l’avrebbe mai compreso.
Spinta da questi pensieri, gli accarezza il volto. Lui chiude gli occhi, come se il contatto con la pelle profumata della donna gli dia un fresco sollievo dalla febbre incessante che lo divora.
“E’ abbastanza, quello che ti do?”, chiede lei, avvicinandosi a lui sul divano.
Lui apre gli occhi. “E’ tutto.”
Chloe sente il bisogno impellente di prendergli il viso e baciarlo come se dovesse morirne, se non lo facesse subito. Si limita a sospirare.
“Io so che Molly è arrivata a toccare una profondità da cui tu mi stai tenendo lontana. Lo vedo per come è con te; c’è questa complicità tra voi due, qualcosa che ho paura non avremo mai. Come se a lei fossero spalancate tutte le porte che invece io non faccio che prendermi in faccia. Cos’ha lei che io non ho?”
Lucifer esita.
Chloe abbassa la mano, che cade inerme sul divano. Abbattuta.
“Non mi ha mai amato.”
Lucifer e Chloe saettano lo sguardo verso la figura che si è materializzata in salotto.
La Papessa ha distolto gli occhi dai suoi fogli da un bel po’, senza che loro se ne accorgessero; li osserva da un buona porzione di tempo, soddisfatta. Sorride fra sé, come un fantasma che si gode il suo incredibile privilegio di essere invisibile.
Molly si stringe nel cardigan e si avvicina al divano: i capelli le ondeggiano intorno, e le incorniciano uno sguardo stanco e tuttavia sereno. Lucifer pensa che non l’ha mai vista così, quando viveva in California: il sole, il vento caldo, l’aria di mare non poteva nulla contro la nebbia che si era addensata attorno al suo cuore. Gli viene in mente che gli inferni peggiori sono quelli che si formano dentro di noi, e non quelli che ci costruiscono attorno. Lui dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro.
Molly si siede dall’altro lato del divano e si accuccia come un gatto. La Papessa le porge una sigaretta accesa, violando il divieto che lei stessa le aveva imposto da quando è diventata madre.
Chloe trema un poco vedendo la donna muoversi, come se si fosse materializzata da una dimensione altra all’improvviso. “Mi ero dimenticata che fossi qui.”, le dice, inquieta.
La Papessa le fa l’occhiolino.
“Non è questione che non ti abbia mai amata.”, esclama Lucifer, e per un attimo tutti si irrigidiscono; si percepisce una vibrazione nell’aria. Una tromba che annuncia la resa dei conti.
“Ah no?”, chiede Molly, con il suo solito modo un po’ smaliziato, un po’ provocatorio.
“No. Mi ribolliva il sangue nelle vene a vederti sempre così servizievole. Sono rimasto notti insonni a fissare il soffitto per cercare di capire il perché. Cosa ci vedevi in me? Perché pensavi che mi meritassi di essere amato così disinteressatamente? Io non l’ho mai capito, il significato di amare qualcuno senza alcun tornaconto, senza chiedere nessun favore in cambio.”
Lucifer sospira, poi spegne la sigaretta nel posacenere. Si passa le mani sui pantaloni – è forse disagio, quello che vedo?, pensano le tre donne. Chloe è assolutamente senza parole.
“La verità è che se c’è una cosa che si meritano tutti, ma proprio tutti, è quella di essere amati.”, conclude Molly, incrociando le braccia al petto. “E’ l’unica cosa di cui sono sicura.”
Si rivolge verso Chloe. “Quest’uomo è la cosa più incasinata sulla faccia della terra. È disfunzionale, depresso, autolesionista, assolutamente egoriferito, strafottente, un sadico coi fiocchi. Un narcisista da manuale, fedifrago, infantile e presuntuoso.”
“Quanti complimenti.”, dice Lucifer, alzando gli occhi al cielo.
Molly lo ignora. Fissa Chloe come una leonessa. “Ma è sincero. E ti ama, Chloe. Mettiti in testa che quest’uomo non ama nessun altro. Nemmeno se stesso. Non esiste nessuno su questo ingiusto, schifoso, nevrotico mondo che possa prendere il tuo posto, per lui.”
Chloe deglutisce a vuoto. Si volta verso Lucifer. “E’ così?”
Lucifer sembra sciogliersi all’improvviso, e le rivolge quello sguardo che le rimescola puntualmente le interiora. “Certo. Certo che è così.”
Chloe pensa che potrebbe anche calare il Padreterno con tutte le schiere angeliche, per quanto la riguarda: le sue labbra si scontrano con quelle di Lucifer, e lo stringe così forte che sente il suo cuore rimbombare nella sua cassa toracica.
Molly prende una boccata di fumo, distogliendo lo sguardo. “Ci sono voluti due anni, una psichiatra in evidente odore di santità, un fratello a cui se non è venuta un’ulcera è un miracolo, un incidente d’auto e un trasferimento oltreoceano per convincere questi due di un concetto elementare come due più due uguale quattro.”, dice, rivolta alla Papessa.
La donna la prende sottobraccio, condiscendente e paziente come una fata madrina. “Non pensare di essere messa tanto meglio.”
La ragazza le scocca un’occhiata interrogativa, mentre si chiudono la porta della cucina alle spalle.
La Papessa incrocia le braccia e la guarda con un sopracciglio alzato. “Non è un santo, il tuo Thomas.”
Molly crolla a sedere al tavolo della cucina. Scuote la testa. “Non sono mai finita in ospedale per colpa sua.”
“Per ora è lui che rischia di finirci per colpa tua. Gli hai misurato la pressione, dopo l’amabile soliloquio di stamane?”
“Papessa.”, la ammonisce la ragazza. Ecco che il treno della serenità le sfreccia un’altra volta di fronte, senza che lei possa avere la possibilità di saltarci sopra.
“Ci parlo io.”, dice la donna, mettendo il bollitore sul fornello. “Tu riposati. Hai la faccia di una che ha visto un fantasma.”
 
 
 
 
 
 
Perché tra un bacio ed il cannibalismo
In fondo la differenza non c'è
Baciami forte fino a inghiottirmi
E vivrò per sempre all'interno di te

Freddie, Pinguini tattici nucleari
 
 
 
 
 
 
“Thomas.”
“Dimmi, Iris.”
La Papessa sopprime un brivido sul nascere, ma questo riesce comunque a raggiungere le dita inanellate che reggono una sigaretta appena accesa. “Non mi chiami mai Iris.”, gli fa presente, prendendo posto sulla sedia di fronte alla scrivania dove l’uomo sta lavorando.
Thomas alza gli occhi dai fogli e le rivolge uno sguardo che sembra di sufficienza, ma che in realtà è solo il suo modo inglese di guardare le cose. La Papessa sta fissando un punto della scrivania, e lo fissa così intensamente che a Thomas sembra di sentire lo scricchiolio del legno che si ritira, si assesta per cercare di sfuggire a quello sguardo. La Papessa scenera nel posacenere di cristallo.
Ha visto tante cose in vita sua, molte delle quali non potrà dimenticarle neanche volendo. E’ una donna aperta, disposta a scostare il velo schopenhaueriano  senza paura delle cose; ha un buon rapporto con i fantasmi. Il Diavolo, tuttavia, non aveva mai messo in conto di incontrarlo.
E di certo non si sarebbe mai aspettata che di prendere il tè con lui e giocarci a carte come una vecchia coppia di amici.
Si porta la sigaretta alle labbra; Thomas la osserva, perché la conosce e sa che certe volte si chiude in una fortezza di mutismo gelido in cui è impossibile penetrare. Aspetta, paziente, che abbassi il ponte levatoio.
La donna riporta gli occhi chiari su di lui; riacquisiscono la loro vivacità innata, nonostante il tempo abbia iniziato ad incidervi intorno rughe sottili.
“Sei pensierosa.”, dice lui, e non è una domanda, non lo è mai, perché tra loro non ce n’è bisogno.
La Papessa gli sorride. “Quando mai non lo sono.”
Non lo sa, dice una voce dentro di lei. Meglio che non lo sappia mai.
“Sei diversa dal solito.”, risponde Thomas, mollando la penna e appoggiandosi allo schienale della sedia; incrocia le mani al petto e sembra trasformarsi in un vecchio druido, saggio e stanco. “Passami una sigaretta.”
La Papessa obbedisce. Thomas si allunga a prendere la sigaretta accesa.
Si passa una mano tra i capelli, si toglie gli occhiali.
“Sei un uomo stanco, Thomas.”, nota la Papessa, allungando i piedi sotto la scrivania. Si stiracchia come un gatto.
“In realtà sto dormendo, in questo periodo.”
“No, sei stanco da quando ti conosco. Credo sia una tua peculiarità ontologica, la stanchezza.”
Thomas stira un lieve sorriso, e le palpebre si fanno pesanti. Sa che non riuscirà mai a trovare un punto su cui lei non abbia ragione.
“Stai prendendo le tue medicine?”, gli chiede, affettuosa.
Thomas annuisce, vago; vuole cambiare discorso, e lo annuncia con un gesto annoiato della mano, grattandosi un occhio.
Cala di nuovo il silenzio delle conversazioni scomode; è un silenzio come un puntaspilli, solo che le punte sono tutte rivolte verso l’esterno ed è difficile muoversi: il minimo movimento rischia di ferire, ed è pericoloso perfino per due persone che si conoscono come i palmi delle rispettive mani. Girano intorno alla questione come due pescecani, e nonostante l’odore del sangue sia un tanfo insopportabile nessuno dei due vuole attaccare per primo; quindi si guardano, fumano, fanno vaghi commenti sulla pioggia e sulle ricette del dottore per gli antidepressivi.
Thomas sospira.
La Papessa pure.
Il non detto aleggia nell’aria e accelera la velocità con cui i loro cervelli pensano, che già supera di molto il limite consueto.
“Possiamo parlare del tuo commento sobrio e pacato sullo stato attuale della situazione?”, chiede la Papessa, dopo essersi schiarita la voce.
“Lo stato attuale è che non lo reggo, quello lì.”, dice Thomas, esalando una nuvola di fumo carica di rassegnazione. “Non lo reggo proprio. C’è qualcosa nella sua persona che mi urta a priori.”
“Potrei dirtene quindici di cose sulla sua persona che ti urtano.”, ribatte piccata la Papessa. “Le altre non mi ci metto neanche a contarle. E guarda caso hanno tutte a che fare con la tua adorabile ragazza.”
Thomas ruota gli occhi così forte che la Papessa teme che cadano e rotolino sul pavimento.
La Papessa sorride. “E come l’ha presa, Molly, la questione del famigerato bacio?”
Thomas alza le spalle. “Come non avrebbe mai dovuto prenderla una ragazzina di quell’età: mi ha perdonato.”
“Quella ragazza corre a perdifiato per cercare di stare al passo con la vita. Mi auguro solo che non cada di faccia.”, commenta la Papessa, con fare consapevole. Thomas guarda fuori dalla finestra. Il cielo è scuro, coperto di nuvole scure fino a scoppiare; la nebbia sta iniziando a scendere come un esercito di spiriti.
Fa freddo; Thomas non lo sente. Ci sono giorni in cui Thomas sente così tanto che preferisce spegnere tutto il resto.
“Io mi auguro che Quello non decida di allungare una gamba.”, ribatte, riportando lo sguardo sulla sua amica.
“Io credo che tu sia un po’ troppo vecchio per odiare così tanto l’ex della tua piccina.”, gli fa la Papessa, divertita.
Thomas è come colto da un improvviso accesso di orticaria, come se il solo pensiero gli ricoprisse la pelle di piaghe. Alza un palmo, intimando alla donna di tacere.
“Sono un uomo, Iris. E decisamente non uno stinco di santo.”
“Un olecrano. Sei un olecrano di uomo normale. Quello che si usa di solito per dare le gomitate.”
Thomas sorride e si porta la sigaretta alle labbra. “Lasciami almeno il piacere di provare astio.”
“Non ti fa bene, Tommy.”, dice la Papessa, spegnendo la sigaretta nel posacenere. “Te la stai vivendo esattamente come fa Chloe.”
“Cioè?”
“Cioè vivi nella paura.”
“La paura è il territorio che conosco meglio.”
“E non ti va di espatriare?”
“Iris. Ti sembro il genere di persona che ha voglia di espatriare?”
La Papessa alza le spalle.
Thomas la guarda di sbieco. “Non sono mai andato più in là di Londra, e quando è stato, è stato per lavoro.”
“Sei stato in California un anno intero.”, gli fa presente la Papessa, saggiamente. “E ti sei guadagnato una moglie e una figlia.”
“Non è mia moglie.”, precisa lui, con un tono vagamente pignolo che vale alla Papessa una plateale alzata di sopracciglia.
“E non ti pare quasi patetico che ancora non lo sia?”
Thomas alza gli occhi al cielo.
La Papessa continua. “State insieme da due anni e mezzo. Avete una figlia insieme, per la miseria.”
Tace un secondo, poi lo guarda come se volesse alzarsi ad abbracciarlo. Non si muove di un millimetro. “Non sarà come con Margaret.”
Lui la guarda, e cerca di contenere il malessere fisico che lo colpisce ogni volta che sente quel nome. Sono passati anni. Eppure.
“Lo so che non ti piace sentire quel nome, Tommy.”, dice la Papessa, leggendogli nel pensiero.
“Non è che non mi piace. E’ che preferirei non sentirlo.”
“Comunque, non lo sarà.”
Thomas si accende un’altra sigaretta, perché il vizio è facile da riprendere  quando la tua vita ti sembra un inferno, e ha come l’impressione che non riuscirà a sopravvivere ai suoi ospiti senza una dose ragguardevole di nicotina in corpo.
Sulla scrivania, tra i fogli sparsi, c’è una fotografia incorniciata: è Molly, seduta sull’altalena di un parco di Huntington Beach, un pomeriggio soleggiato in cui avevano deciso di andare a fare un giro.
Ha i capelli sciolti che le coprono parzialmente il volto e un vestito smanicato, rosso, troppo grande per lei. Le cade una spallina.
Non guarda verso l’obiettivo, Molly. Guarda un punto distante sulla sabbia come a cercare qualcosa che le è caduto per terra, anche se non sembra certa di sapere cosa sia.
Thomas ha scattato quella foto in un periodo terribile, in cui Molly non mangiava, non dormiva, non faceva altro che leggere stupidi romanzi dalle protagoniste affrante, e fumare sigarette troppo forti.
Se lo ricorda perfettamente quel periodo. Aveva paura a fare l’amore con lei perché sembrava dovesse frantumarsi come un calice di cristallo sotto il peso delle sue carezze.
Quella seduta su quell’altalena con il mare alle spalle è una ragazzina scarna e ferita, uno scheletro nell’armadio di se stessa. Un’immagine di ragazza che più osservi, più speri che da un momento all’altro sollevi il viso verso di te, e ti sorrida. E invece non solleva mai la testa, imprigionata dalla macchina fotografica in un secondo eterno; fissa il suolo come se non ci fosse nulla al mondo per cui valesse la pena alzare lo sguardo.
Svuotata. Quella Molly è una ragazza svuotata.
Thomas mostra la cornice alla Papessa.
“Guardala.”
La Papessa prende delicatamente la cornice tra le mani. Passa un indice sul viso della ragazza nella foto, come a volerle scostare i capelli dagli occhi, o quantomeno tentare di cancellarne i segni delle notti insonni. Ma la ragazzina sull’altalena continua ad avere il volto coperto e grossi solchi violacei sotto le ciglia gentili.
“L’amore non dovrebbe portare a questo.”, continua Thomas, inforcando di nuovo gli occhiali. “Quello non è amore.”
Vorrebbe dire così tante cose; le sente tutte ingombrargli i polmoni, eppure non riesce a parlare. Non fa che pensare a quel corpicino asciutto, alle mani sempre fredde attorno a tazze di infusi in cui lui versava più zucchero di quanto ne servisse per darle un minimo di sostentamento, come si fa con gli uccellini.
Guarda la foto e non fa che pensare a quelle conversazioni dette a mezza voce, alle confessioni della ragazza contro le sue scapole mentre pensava che stesse dormendo, cose che non gli avrebbe mai detto in faccia, da sveglio. Il suo sguardo perso oltre le finestre che teneva sempre aperte, come se offrisse ai fantasmi che la perseguitavano una via per andarsene – o forse per permetterne ad altri di entrare a piacimento.
Pensa a quando l’aveva trovata seduta sul piatto della doccia, mentre l’acqua le scorreva addosso, e lei fissava le piastrelle con una marea dietro gli occhi scuri, e lui le aveva detto amore, tutto bene?, e lei gli aveva rivolto lo sguardo più triste e straziante che avesse mai visto in una persona, e gli aveva detto non mi rimane più niente, ho dato tutto.
Thomas si passa una mano sulla bocca, come se sapesse che sta per esplodere. Trasalisce quando sente la Papessa parlare.
“Per lei sì. È stato amore.”
Lo sguardo che Thomas le rivolge è uno sguardo tradito. Socchiude lievemente gli occhi perché è come se quelle parole gli stessero incidendo tagli profondi sulla pelle.
La Papessa lancia un ultimo sguardo alla ragazzina pelle e ossa della foto, poi la risistema al suo posto sulla scrivania. “Lo ha amato, Thomas. E tutto l’odio che sei in grado di riversargli addosso non potrà cancellarlo.”
“Faresti prima a piantarmi quel tagliacarte nel petto.”
La Papessa sorride. “Sei sempre stato un uomo estremamente intelligente, calcolato e attento.”
Si alza, avvolgendosi un foulard bianco intorno al collo; si libera i capelli con le mani, e per un attimo questi frustano l’aria intorno alla sua testa come spiriti fulvi e gentili. Thomas la guarda, sentendo improvvisamente freddo.
“Se la tua paura è di ridurla di nuovo così, non devi preoccuparti.”, dice la Papessa, indicando la foto.
Thomas si morde un labbro. Come puoi esserne certa?, le chiede con gli occhi, perché a parole non riuscirà mai ad esprimerlo.
“Non la perderai.”, gli dice, e le sue parole assumono la corporeità solenne delle profezie. Le vede quasi uscire dalle labbra tinte di rosso della sua amica.
“L’ho quasi persa già una volta.”, si lascia sfuggire lui, e sente un nodo spinoso formarsi nel centro del petto.
La Papessa circumnaviga la scrivania e gli si avvicina per posargli un bacio sulla fronte. Non gli risponde, criptica com’è alle volte, ma gli dedica un ultimo dolce sorriso e un occhiolino complice.
Esce dallo studio, lasciando dietro di sé un pacchetto di sigarette e un profumo di fiori estivi.
Thomas abbassa lo sguardo sul tavolo: i fogli sono tutti ordinati e allineati col bordo della scrivania, le penne nel bicchiere, il posacenere allineato al telefono. Riordina. La Papessa riordina cose e persone.
 
Non sa dire quanto tempo sia rimasto a fissare la pagina del libro aperto di fronte a sé; fatto sta che quando Molly entra nello studio si scuote un pelo, e le punta gli occhi addosso come un cervo davanti ad un tir in corsa.
Molly sorride, divertita. “Che faccia.”
“Bambina. Non ti ho sentita entrare.”, dice Thomas, e si accorge di non star respirando da un po’. Si riempie i polmoni di aria mentre osserva la ragazza avvicinarglisi. Molly gli posa un bacio sulle labbra; gli si siede addosso, e il profumo dolce dei suoi capelli lo porta a chiudere gli occhi e abbandonarvisi. Pace. Finalmente un po’ di pace.
Molly gli leva gli occhiali, gli bacia le palpebre. “Amore mio.”, gli dice, con un tono di voce più dolce del miele.
Thomas preme il capo contro il petto della ragazza. “Ho paura di consumarti.”
Molly tace, gli passa le dita tra i capelli. Disegna cerchi concentrici tra i ricci biondi, e gli culla il capo, cercando di ammansire quella tempesta che infuria costantemente dietro la sua facciata calma e condiscendente.
“Scusami.”, gli dice tra i capelli, tra un bacio e l’altro. “Ti ho trascinato dentro questo casino senza pensarci, a quanto ti avrebbe fatto soffrire. Scusami.”
Thomas le prende il viso tra le mani e la bacia così intensamente che sembra volerla inghiottire.
“Non chiedermi scusa. Non ci provare nemmeno per un secondo.”
Molly appoggia la fronte su quella di lui. “Sei troppo buono. Sei l’opposto di Lucifer.”
Si lascia cullare da lui, e lui si lascia cullare da lei, e la terra sembra assecondare quel dondolio per costruire intorno a loro una culla, una bolla tiepida e mite. Vorrebbero poter rimanere così per sempre. Ma non si può-
Stanno inevitabilmente pensando all’Incidente.
A quella notte infernale.
Al suono del telefono che aveva fatto svegliare Thomas di soprassalto, nel cuore della notte. La voce di Lucifer che gli spiega quello che è successo, unita al rumore assordante della sirena dell’ambulanza, è marchiata a fuoco nella sua memoria.
“La Papessa vuole che ti sposi.”, le dice lui, prendendole il mento con le dita.
“Con chi?”, chiede lei, serafica, per cercare di cancellare quella patina malinconica dagli occhi chiari. Ci riesce solo parzialmente, e questo un pochino la conforta.
“Con me. Con chi…”, sbuffa lui, alzando gli occhi. “Tu mi sposeresti, bambina? Un vecchio scorbutico depresso lo sposeresti?”
Molly gli passa una mano tra i capelli, e piega la testa di lato; vuole farsi una fotografia mentale di quegli occhi, di quella bocca, della barba che non si fa da qualche giorno.
“Tu ti sposeresti, se fossi in me?”, gli chiede, tracciando il contorno delle sue labbra con l’indice, prima di baciarle.
Thomas si stacca dal bacio controvoglia. Ci pensa su un attimo. “No.”
“Allora sì. Sì, ti sposerei.”
 
 
 
 
 
E tu

amami come ameresti te

se fossi me

e viceversa

quindi male e senza capire niente

Lo Stato Sociale









 
 
 
 
Buonasera.
Quanto tempo.
Inizio subito con delle scuse: è stato un periodo strano.
Del tipo che mi venivano delle strane fitte allo stomaco ogni qualvolta aprivo il file di questa storia, seguite da una scarica di odio e biasimo nei confronti di qualsiasi cosa abbia mai scritto. Quindi nulla, chiudevo il computer e mi facevo un cicchetto.
Comunque.
Ho scritto poco per volta, una frasetta o due, giorno dopo giorno, e alla fine è venuto fuori questo capitolo qui.
Ammetto che ho perso un po’ il bandolo della matassa, per quando riguarda questa storia: non la sentivo più mia, non mi sembrava di dire niente che avesse senso. Ma poi mi sono resa conto che in questo preciso momento storico c’è davvero poco che ne abbia – senso, dico – e quindi ho detto non sarò io con questa storia a invertire improvvisamente l’entropia dell’universo tutto.
Aspetto un secondo, vediamo se succede qualcosa.














Nulla.
L’entropia è normale, mi dicono.
Quindi via libera.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ora più che mai ve ne sarei grata. Ho perso la bussola per molte cose, in questo periodo; mi aiuterebbe molto ritrovare il nord almeno in questa.
Come state, care e cari? Per Giove, mi sembra sia passato un anno intero.
Vi bacio anticipatamente.



Con affetto,
Vostra Tazzaditè.
 
   
 
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