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Autore: Nexys    15/03/2021    1 recensioni
L’ultimo Yaksha è un’anima maledetta. Non ha modo di espiare la crudeltà che permea la sua esistenza. Le sue mani grondano del sangue di innumerevoli vite, strappate in nome di cause che vorrebbe aver dimenticato. Ha perso frammenti di sé di secolo in secolo, e da millenni si è posto in esilio per fare ammenda. Un allegro bardo, con le sue mentite spoglie, farà affidamento alla dolcezza del vino - ignaro - per lenire l’anima corrotta del guerriero che ha voluto proteggere. In vino veritas.
[XiaoVen] [Spoiler!] [Fluff] [OOC?]
Alla mia musa ispiratrice preferita.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Venti, Xiao
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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A Chiara, una dichiarazione poetica sull’amore per loro due.
Grazie per aver condiviso con me la dolcezza di questo loro legame, e per avermi suggerito la canzone perfetta per sviluppare l’idea.

 

 

 

 





 

Armonia.

Era lo stato d’animo più diffuso in quel momento, tra le vie di Liyue Harbor. La gente passeggiava tra le bancarelle in festa, con il naso all’insù, con gli occhi sognanti puntati verso un cielo terso e costellato di sogni e speranze.

Il Rito delle Lanterne era un’occasione di gioia e spensieratezza, in cui ciascuno cittadino - o turista - si concedeva il lusso di sperare per il meglio.

Dall’alto del suo ruolo maledetto, l’ultimo Yaksha si ritrovava ad invidiare in silenzio la leggerezza che permeava la fragile natura umana. Quelle lanterne non erano altro che fantocci luminescenti recanti frasi che probabilmente nessuno al mondo avrebbe mai letto. Xiao però, avrebbe sempre percepito il peso di ognuno, senza avere bisogno di leggerli concretamente. 

Amore, fortuna, denaro, salute, erano i desideri più gettonati e formulati da quelle vite così effimere, tanto da essere quasi inconsistenti.

Non avrebbe mai osato toccare una lanterna, per l’oscuro timore di insozzare tutte quelle buone intenzioni e sogni con le sue orride mani macchiate di sangue.

Alle volte lo Yaksha permetteva alla propria mente di vagare tra futili speranze e sterili fantasie; si sentiva costantemente fuori posto, indegno di continuare ad esistere, infliggendo a se stesso la solitudine come fustigazione in nome di tutte le innumerevoli vite che aveva strappato.

La guerra era un’arte tramandata da millenni, e lui ne era l’artista che la plasmava tra sangue e metallo nudo, tinteggiando la tela che rappresentava il creato, di morte.

Nato maledetto, con il compito di custodire gli uomini ed i loro desideri, anche quelli più insulsi e privi di scopo. Praticamente un controsenso, ai limiti del paradosso, ma Xiao aveva smesso da secoli di porsi domande alle quali non avrebbe mai avuto una risposta. Non gli era rimasto nient’altro che una rassegnata accettazione del proprio dannato - forse anche ingiusto - destino.

 

All’improvviso, una musica lieve come la carezza di un’arpa benedetta, sfiorò il suo fine udito. 

Non era solo, non in quel momento.

Normalmente avrebbe falciato l’aria con la propria lancia, nel lasso di tempo di un battito di ciglia, ma la melodia - così gentile, quasi familiare - gli impedì di dare sfogo al proprio istinto guerriero. Fu allora che lo vide, con una piccola cetra in mano, un flauto legato alla cinta ed una coppa di chissà quale filtro avvelenato, stretta tra un braccio ed il petto esile.

“Non dovresti rimanere da solo durante il Rito delle Lanterne”, lo ammonì la voce gentile del bardo che gli si era letteralmente manifestato accanto. Venti, così si faceva chiamare dai mortali, vestito come un musicante, ma avvolto da uno spesso alone di mistero intraducibile.

“E’ il mio destino, il mio desiderio, questo”, proferì lo Yaksha, con finta calma, evitando accuratamente il suo sguardo interessato, quasi indagatore. C’era qualcosa, in quegli occhi, qualcosa di davvero potente, che lo faceva sentire fragile e disarmato. Non era avvezzo a sentirsi così. L’apparenza di fanciullo con cui aveva deciso di reincarnarsi, altro non era che un simulacro, delle misere spoglie terrene. In fondo al suo cuore maledetto, Xiao sapeva la verità. Se la sentiva scorrere dentro come un fiume benedetto in grado di lenire le aride sponde che erano la sua anima.

Era diventata ormai una consuetudine trovare qua e là una chissà quale reincarnazione divina e Barbatos non aveva fatto eccezione. Sfiorò la cetra e gli sorrise comprensivo.

Menzogna. Ma sono qui per condividere qualcosa con te... di divino”, disse, con un fare tanto solenne quanto teatrale. Xiao si voltò a guardarlo - finalmente - trovandolo a dir poco ridicolo - per non dire blasfemo. Condividere qualcosa con uno come lui?

Con lui, proprio?

Di divino?

Era più che assurdo, oltre al fatto che lo avesse appena etichettato come bugiardo. Nel momento esatto in cui fece per impugnare la lancia e fargli pentire di quanto avesse appena detto, il bardo tese la coppa che aveva con sé, verso di lui.

“Assaggia!”, proferì, con un luccichio entusiasta nello sguardo.

In tutta Teyvat, Venti era noto per essere un bardo dalle vesti fanciullesche, caratterizzato dal vizio del bere. Per questa ragione, Xiao incurvò l’espressione truce in una smorfia di sdegno. “No”.

Con chi credeva di parlare? Con che coraggio, poi.

In un antro recondito della propria coscienza, la risposta aveva la forma eterea di un nome benedetto nei millenni della storia. Barbatos.

Venti non si scompose minimamente, come se il rifiuto non fosse mai stato pronunciato e neanche concepito, e con la leggerezza di un dente di leone si accomodò al suo fianco, tendendo la coppa vicino - pericolosamente vicino - alle labbra dello Yaksha. Xiao dovette far appello a tutto il proprio autocontrollo pressoché inesistente per non fendere il suo simulacro, o fuggire via. Poteva sentire il suo odore mescolarsi con quello del liquido scarlatto che gli stava offrendo. Il risultato era una fragranza sconosciuta, ma al contempo familiare, estremamente familiare.

“Solo qualche sorso. Sono sicuro che ti piacerà! E’ vero e proprio nettare di Mondstadt, parola di Arch... bardo, volevo dire bardo!”.

In quel momento, Xiao macchiò i propri pensieri con l’umana e mortale definizione di “paraculo”, biascicata tra i denti stretti, che associata a quel musicante assumeva una connotazione deliziosamente blasfema. Abituato a stare da solo, la sua insistenza con annessa vicinanza, lo metteva estremamente a disagio. Aveva finito tutta la pazienza dei secoli a venire con lui, o almeno di questo si era - erroneamente - convinto.

Prima di dare in escandescenza a suo modo, lo Yaksha sospirò e conto fino a cinque secondi mortali.

“Se lo faccio, mi lascerai in pace?”, chiese con evidente rassegnazione, di fronte ad un’espressione di puro godimento dipinta sul fanciullesco volto del finto bardo. Venti ne stava gioendo come un ragazzino in brodo di slime.

“Certo che sì!”, mentì spudorato e lieto di averlo così facilmente convinto, o ingannato che dir si voglia.

Xiao scosse la testa in segno di disapprovazione, lasciando andare la lancia ed afferrando la coppa di vino che gli veniva con così tanta brama, offerta. Il profumo che il liquido emanava era una piacevole mescolanza di Whirlwind Aster e semi di Dandelion, forse aggiustata dal sentore delle bacche di Wolfhook. 

Il primo sorso lieve che diede, appoggiando quasi timidamente le labbra sul bordo della coppa, fu come ricevere un bacio dal calore del sole in primavera. Il sapore di quel vino recava note antiche di vita vissuta, la leggerezza del vento estivo e della pace silenziosa dopo la guerra. La quiete dopo la tempesta.

Non ci mise molto tempo a finire di bere, davanti allo sguardo inebetito ed incredulo del bardo colpevole. Ciascun sorso aveva lasciato nella bocca del guerriero il retrogusto dolce e amaro della tregua, lasciandolo sospeso in uno stato di estasi quasi inconsapevole.

Il fatto che non fosse abituato in alcun modo a bere alcolici, era senza ombra di dubbio un altro paio di importanti maniche. 

Il tepore del vino gli scaldò la gola, le guance pallide e le antiche membra provate dal passato, dolenti di stanchezza e, senza rendersene conto si ritrovò seduto accanto al suo Dio salvifico, con il capo delicatamente appoggiato alla sua piccola spalla.

“Ricordo... la melodia”, sussurrò, con lo sguardo ormai languido e liquoroso rivolto al cielo. “La pace, la vita”, aggiunse, mentre il bardo assumeva un’espressione dapprima confusa, poi sorniona ed infine attenta. Da che ne avesse ancora memoria, era la prima volta che sentiva lo Yaksha proferire più di qualche monosillabo in fila, in croce.

Lo aveva fatto ubriacare davvero, e così facilmente?

Evitò qualsiasi commento, limitandosi ad accompagnare quel momento così delicato con qualche carezza alla sua inseparabile cetra. D’altronde, il vino che aveva portato per due, era finito e stranamente non a causa sua.

Xiao socchiuse gli occhi, cullato da quella sensazione calda e intima. Si sentiva come avvolto in una coperta calda e profumata di libertà e comprensione, circondato da della musica che gli ricordava alla perfezione il momento in cui un Dio aveva deciso di salvarlo.

Salvarlo da se stesso.

Nella sua mente annebbiata dal piacere del vino, il volto di Barbatos lo guardava con quello che gli umani avrebbero definito amore. E lui avrebbe per sempre rivolto un pensiero di devozione a quella divinità che tra tutti, lo aveva scelto, e che gli stava accanto, suonando per lui.

Venti chinò il capo per appoggiarlo al suo, emettendo un sospiro mite, continuando a sfiorare le corde del suo strumento. “La mia esistenza non ha più un senso”, lo sentì aggiungere, con il timbro vocale di un soffio di vento. Il Dio si irrigidì, tendendo una mano al suo viso per raccogliere una sua guancia. Xiao non oppose resistenza, come se fosse stato all’improvviso alla sua mercé.

“Sono stanco di cercare di colmare questo vuoto che sento...”, mormorò ancora. “Di tenere insieme i pezzi della mia anima maledetta, compiendo un destino che non sono sicuro di avere... scelto”. Nessuno avrebbe mai pensato che quelle fossero le parole di un ubriaco, ma Barbatos aveva imparato a sue spese un detto comune tra gli esseri umani, in un’antica lingua: “In vino veritas”. 

Lo Yaksha stava parlando di un vuoto, ammettendo senza alcuna remora di essere poco più che un guerriero in pezzi. Era la prima volta in tutta la sua esistenza, in cui si ritrovava spiazzato da un eccesso così evidente di sincerità. A quel punto, accarezzò il capo del ragazzo - mai stato tanto umano in millenni - e prese il suo corpo tra le braccia. Xiao tossì un singhiozzo molto simile ad un rantolo, sollevando lo sguardo per incrociare quello del suo salvatore, in cerca di una benedizione.

“Quanti uomini e demoni dovrò uccidere, per riempire il vuoto che sento proprio qui?”, domandò a bassa voce, prendendogli una mano per premersela al petto, con forza disumana. Venti sostenne il suo sguardo, e all’improvviso non fu più umano, ma il Dio che tanto Xiao segretamente venerava. Sorrise comprensivo, diffondendo un alone di energia gentile che abbracciò entrambi, sotto alla luce tenue delle lanterne volanti.

Premette la mano sul suo petto, mimando una carezza sul cuore. “Non puoi riempirlo da solo, non esiste vita mortale o demoniaca che possa colmare questa mancanza che senti”, gli disse con gentilezza, ottenendo dal guerriero un’espressione sorprendentemente infelice. Lo sguardo di una bestia ferita. Xiao si guardò le mani. “Le mie mani grondano sangue, Barbatos”, sussurrò, con occhi assenti, proiettati nel passato. “Il vuoto che sento, è dovuto all’aver perso l’anima”, aggiunse, prima che Venti gli coprisse le labbra con una mano. 

Fa’ silenzio”, disse, con un bagliore luminoso nello sguardo chiaro. “La tua anima è con me. La sento risplendere di gloria nei secoli, nei millenni, e accompagna la mia musica”, mormorò.

Lo Yaksha rimase in silenzio, come benedetto da quella che temeva essere un’illusione.

Aveva così bisogno di essere salvato, ancora una volta.

“Suonerò per te finché la mia esistenza non cesserà. Le mie spoglie mortali periranno, ed io rinascerò ancora per lenire la tua anima”, la cetra riprese a suonare, accarezzando i sensi del guerriero ferito. Il suono gentile sfumò nella melodia del flauto che gli aveva salvato la vita.

Xiao chiuse gli occhi. “In te ripongo ciò che resta di chi sono stato”.

Il Dio benevolo sorrise. “E io colmerò il vuoto che attanaglia il tuo cuore”.

Ogni pezzo che aveva perso per strada, nei secoli dei secoli, improvvisamente parve tornare con leggerezza al suo posto, seguendo il ritmo della melodia della sua vita, che non aveva bisogno di parole, per risuonare nella sua anima.

 

 

 

 

 

 

 

 

"And the tears come streaming down your face
When you lose something, you can't replace
When you love someone, but it goes to waste
Could it be worse?
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you"

(Fix You, Coldplay)











 

 

  
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