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Autore: Old Fashioned    15/03/2021    20 recensioni
Una storiella poco impegnativa che mi è venuta in mente durante un viaggio nei parchi naturali americani.
Un giovanotto di città decide di andare a fare il ranger in un parco sperduto. È zelante e preparato, ma detestato senza riserve da tutti i suoi colleghi, che lo considerano un vanitoso damerino.
Toccherà proprio a lui scoprire una ferrea legge non scritta del parco, la legge dell'orso.
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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LA LEGGE DELL'ORSO





In cielo non c’era una nuvola, l’aria era immobile. Gli unici suoni che si sentivano, a parte lo scalpiccio dei passi sul terreno polveroso, erano il frinire delle cicale e qualche raro cinguettio.
L’area di sosta era deserta, come se da anni non ci passasse nessuno. Persino il gabinetto chimico, occultato in una graziosa capanna di legno, non emanava che un lieve odore di detergente.
Con un sospiro di frustrazione, Corinne spiegò la mappa su un tavolino da picnic, rimase a studiarla per un po’, quindi sollevò lo sguardo e lo fece girate tutt’intorno: un susseguirsi di picchi color ocra, punteggiato qua e là di alberi verde chiaro, si perdeva all’orizzonte.
Girò la mappa di centottanta gradi. “Ma si può sapere dov’è il nord?” gemette.
Adrienne abbandonò il thermos rosa dal quale stava bevendo e le si avvicinò. Scrutò a sua volta la cartina, poi puntò il dito su un vistoso cerchio rosso con scritto in almeno cinque lingue ‘voi siete qui’. “Questa è l’entrata del parco,” disse, con l’aria di aver dato un gran contributo.
Poco lontano, Sophie annunciò: “Il cellulare non prende.”
A quelle parole anche Jasmine tirò fuori il proprio apparecchio. Osservò il display e confermò: “Neanche una tacca.”
Le quattro si guardarono. “E adesso?” chiese Adrienne. Tirò fuori di nuovo il thermos rosa, ma dentro non c’erano rimasti che pochi sorsi di tè verde senza zucchero. Frugò nello zaino, ma anche il thermos minimal chic comprato a caro prezzo da Muji era desolatamente vuoto. “Sto per mettermi a piangere,” annunciò.
Le altre non risposero.
Corinne riguardò la mappa, che di nuovo non le diede altre informazioni che le pubblicità stampate ai due lati di essa. Ce n'era una che vantava le comodità e il lusso di una spa ricavata da una grotta naturale e sembrava proprio messa lì apposta per prenderla in giro. “Non so cosa darei per una doccia,” sospirò. “Quanto sarà che camminiamo?”
Jasmine guardò ancora una volta il cellulare silente, poi disse: “La prossima volta me ne vado con Jacques in Bretagna dai suoi, altro che vacanza per sole donne in America.” Fece una pausa, durante la quale fece scorrere lo sguardo sulla desolazione del paesaggio, quindi aggiunse: “Sono stufa di portarmi le valigie da sola.”
Calò il silenzio. Per un po’ le quattro turiste rimasero sedute al tavolo da picnic ponderando il da farsi, infine Sophie propose: “Torniamo indietro per la stessa strada?”
C’erano mille deviazioni,” piagnucolò Corinne, “non ho idea di dove siamo. Rischiamo di perderci ancora di più.”
E allora che facciamo?”
L’altra si guardò intorno. “Non lo so, come fa la gente in questi casi?”
Ci mettiamo a urlare?”
Magari attiriamo gli animali feroci.”
Erano a quel punto della discussione quando cominciò a farsi udire un rumore di zoccoli. Prima che le turiste potessero fare ipotesi in merito, sbucò nello spiazzo un ranger a cavallo.
Le quattro rimasero a fissarlo a bocca aperta: poteva avere al massimo venticinque anni, aveva delle belle spalle larghe e dalle maniche rimboccate spuntavano braccia decisamente muscolose. Dava l’idea di essere anche alto. Sotto lo smokey cap che gli ombreggiava il viso si intravedevano lineamenti regolari e occhi celesti. La pelle aveva il color bronzo dorato dei biondi che passano molto tempo in sane attività all’aria aperta.
Portava corti guanti di pelle chiara, scuriti qua e là dall’uso, pantaloni da cavallo aderenti e stivali.
Oddio sto per svenire...” mormorò Jasmine.
Non vuoi più andare in Bretagna con Jacques?” le chiese Sophie.
Oh, sta un po’ zitta!”
Il ranger smontò con mossa agile da cavallo, e tenendo l’animale per le redini si avvicinò. Chiese qualcosa.
Le quattro si guardarono desolate, ognuna di esse rimpiangendo di non aver imparato un po’ meglio l’inglese quando andava a scuola, infine Corinne tentò: “Français.”
Ah, ma certo, scusate,” rispose disinvolto il giovanotto, in un francese che l’accento americano rendeva secondo le ragazze decisamente sexy. “Vi siete perse?”

§

Il ranger Reyes stava distribuendo opuscoli nella reception del parco. Una specie di gallina legnosa, precocemente ingrigita e vestita di cotone grezzo, lo squadrò con sospetto e gli chiese: “I sentieri sono cruelty free?”
Senza battere ciglio, l’uomo le chiese: “Che intende dire, signora?”
Non è che per rendere i percorsi più facili avrete distrutto qualche habitat, vero?”
Impassibile, Reyes rispose: “No di certo, signora. Del resto, questo è un parco naturale, nasce proprio per tutelare la flora e la fauna.”
La visitatrice annuì, senza preoccuparsi di nascondere il fatto che le rassicurazioni del ranger la convincessero fino a un certo punto. “A Yosemite hanno addirittura abbattuto degli alberi per fare un dormitorio,” lo informò, “e si spacciano per un parco naturale.” Lo fissò come sfidandolo a controbattere, poi chiese: “Il servizio di ristorazione del parco include menu vegani?”
Reyes annuì come se la domanda non potesse presupporre altro che una risposta affermativa. “Ma certamente, signora.”
Meno male, altrimenti avrei lascito un feedback negativo. Gli opuscoli sono gratis?”
Certo, signora.”
La donna cominciò a fare man bassa di ogni pezzo di carta in esposizione. Quando ebbe raccolto un pacco di fogli che sembrava la Bibbia, si girò e uscì.
Reyes la guardò allontanarsi, quindi si voltò verso il collega Cooper, che stava trafficando al computer, e brontolò: “Neanche mezza parola, ‘sta stronza.” Poi, imitando il tono sussiegoso della visitatrice: “Non avrete mica tagliato degli alberi per fare i sentieri, vero?” Alzò le spalle. “Ma no di certo, signora, se vuole visitare il parco le diamo un machete e si arrangia.”
L’altro alzò le spalle. “Lascia perdere. Hai presente la tizia dell’altro giorno?” Anche lui fece la voce in falsetto: “Come fate a far sventolare tutte la bandiere nella stessa direzione?”[1] Stava per aggiungere altro, ma si interruppe e indicò attraverso l’ampia vetrata della reception un gruppetto in avvicinamento. “Guarda là,” disse.
Un ranger camminava tenendo il cavallo per le redini, in sella all’animale vi era una ragazza con un paio di short e una camicetta annodata sotto il seno. Altre tre ragazze, macchina fotografica alla mano, attorniavano il ranger e di quando in quando immortalavano lo svolgersi degli eventi. Fin da quella distanza, con tanto di barriera del doppio vetro termico, si sentivano gridolini e risate.
Ma tu guarda,” brontolò Reyes.
Cooper aggrottò le sopracciglia. “Chi è?”
Non hai riconosciuto il palomino? È quello stronzo di Boston.”
Che gran testa di cazzo,” brontolò l’altro. “Il fottuto primo della classe delle mie palle.”
Nel piazzale, intanto, le quattro ragazze stavano consumando la memoria dei loro cellulari rosa a forza di foto e filmati.
Testa di cazzo,” ripeté Cooper. “Non poteva starsene nella sua fottuta città? No, se ne viene qui, in mezzo a gente che nei boschi ci è nata e cresciuta, a fare il saputello. L’altro giorno dovevi esserci: arriva questa famiglia di non so dove, il bambino chiede se è vero che qui abitano Cip e Ciop. Sto per rispondere quando passa quello stronzo di Turner, con la sua faccia da pubblicità dei detersivi, e fa: certo, si tratta di scoiattoli appartenenti al genere degli sciuridi, comunemente detti tamia o chipmunk.”
Che idiota.”
Chi cazzo l’aveva chiamato, fra l’altro. Ma Mister Pubblicità non resiste: pianta a mezzo anche una scopata, se c’è da mettersi in mostra.”
Reyes scosse la testa. “Per me non ci arriva. Siccome è di città vuole far vedere che anche lui conosce la natura, ma non si rende conto che invece rompe i coglioni e basta.”
Poteva anche rimanerci, nella sua cazzo di città,” brontolò Cooper.

§

Bennett raccolse le chiavi della jeep e si sistemò in testa lo smokey cap. “Io vado,” annunciò.
Dalla sala operativa, Cooper chiese: “Fai il Navajo Trail?”
Sì, ho fatto cambio con Bowers.”
L’altro sollevò con ostentazione le sopracciglia. “Quindi sei con il perfettino di città?”
Chi?”
Turner, no? Quello di Boston.”
Bennett alzò le spalle. “Mi va sempre meglio che a Harris, dai. Vi ricordate quando si trovò nella jeep un serpente a sonagli? Almeno lo stronzetto non è velenoso.” Lanciò in aria le chiavi e le riacchiappò al volo, poi disse: “Ci si vede, ragazzi.”
Uscì sul piazzale. Turner, uniforme impeccabile nonostante il caldo, sedeva al posto di guida. Al suo apparire, si voltò verso di lui e chiese: “Andiamo?”
Senza replicare, Bennet si sedette nel posto del passeggero.
Navajo Trail, giusto?” gli chiese il più giovane.
Come fai a saperlo?”
Turner assunse l’espressione di Sherlock Holmes che sta per dire ‘elementare, Watson’, quindi spiegò: “Ho visto che Bowers era di servizio alla reception, quindi ho immaginato che avesse fatto cambio con qualcuno. Tutte le altre jeep sono già partite, quindi non resta che il Navajo Trail.” Si girò verso di lui con un sorriso che metteva in risalto la dentatura da attore.
Bennett si limitò a tendergli le chiavi.
Turner mise in moto, la vettura partì. Dopo un po’ che procedevano in silenzio, il giovanotto disse: “Quando hai tempo, vorrei portarti su a Knopf Peak. Credo proprio di aver individuato una nuova specie di Pinus che non è né il longeva né l’aristata. Normalmente si attribuiscono alle Balfourianae solo tre specie, ma io penso che lassù ne cresca una quarta.” Lo fissò compiaciuto.
Bennett, che aveva cominciato a fare il ranger a diciott’anni e normalmente partecipava alla manutenzione dei sentieri con ascia e piccone, si limitò a dire: “Eh?”
È un raggruppamento tassonomico del sottogenere Ducampopinus,” precisò Turner.
Ora è tutto decisamente più chiaro,” rispose l’altro, con un tono che poteva significare molte cose.

Proseguirono in silenzio fino a che non raggiunsero un belvedere dal quale si poteva osservare una delle vallate più belle del parco. Gruppetti di escursionisti di varie nazionalità fotografavano il panorama o sedevano ai tavolini consumando pasti al sacco.
I due parcheggiarono la jeep e smontarono. Tutto sembrava a posto, i rifiuti erano negli appositi contenitori, suddivisi per tipologia, i bagni chimici erano in ordine. Cartelli e barriere in legno erano in ottimo stato.
A un certo punto, una voce femminile disse: “Scusate, ranger.”
I due si girarono e si trovarono davanti una donna di mezz’età, con un sobrio completo da trekking e una coppia di bastoncini da escursione che le penzolava da un polso.
Subito Bennett chiese: “Posso aiutarla, signora?”
Oh, sì, per favore.” La donna indicò dei fiori rosa carico che sembravano composti da mazzetti di piume legate insieme. “Potrebbe dirmi come si chiamano quelli?”
Ma certo, signora. Noi li chiamiamo pennelli indiani.”
Turner intervenne: “Ma è un nome popolare. Il nome scientifico è Castilleja parvula. Si tratta di una pianta perenne diffusa in tutta la zona dei monti Tushar.”
Oh, molte grazie, ranger!” esclamò la donna, illuminandosi in viso. Poi, con voce vagamente maliziosa: “La farebbe una foto con me?”
Ma certo, signora.”
La donna porse la macchina fotografica a Bennett. “Potrebbe...”
Certo, signora,” grugnì il ranger. Scattò e le riconsegnò l’apparecchio.
Grazie!”
La donna raggiunse un gruppetto di escursionisti. Quando essi si furono allontananti, Bennett con voce gelida disse: “Molte grazie anche da parte mia.”
Turner lo fissò perplesso. “Perché?”
Per avermi fatto fare la figura dell’idiota con quella tizia. Molte grazie.”
L’altro assunse un’espressione se possibile ancora più stupita. “Volevo solo essere d’aiuto,” disse infine.
E allora avresti dovuto stare zitto.”
Perché?”
Bennett scosse la testa. “Proprio non ci arrivi, Turner?”
Il giovanotto si strinse nelle spalle. “È nostro dovere dare tutte le informazioni possibili ai visitatori, no?”
L’altro si limitò a scuotere nuovamente la testa.

Al rientro erano ancora in silenzio. Turner aveva provato ogni tanto a girarsi verso il collega, ma aveva invariabilmente incontrato il suo profilo.
Eppure ci stava provando, a diventare un perfetto ranger, ci stava provando disperatamente: si rendeva utile più che poteva, sostituiva i colleghi se c’era bisogno, studiava giorno e notte per non essere impreparato su niente, si prodigava per aiutare i visitatori, si teneva in forma per dare sempre un’immagine sana e positiva del Corpo… A quanto pareva, però, la strada era ancora molto lunga.
Si chiese se lo tenessero a distanza perché veniva dalla città. Di nuovo fissò di sottecchi il collega, che però si limitò a dirgli: “Tieni gli occhi sulla strada.”
Turner non replicò.
Entrò nel piazzale, parcheggiò il mezzo e spense il motore. Stava per dire 'siamo arrivati', ma prima che potesse emettere un fiato Bennett aprì la portiera e scese. Al più giovane non rimase che stare a guardarlo mentre si allontanava.
Compilò il registro degli spostamenti, si accertò che il freno a mano fosse tirato, scese e chiuse accuratamente la portiera con la chiave, quindi si diresse all'edificio degli alloggi.
Quando entrò, gli altri stavano già mangiando. Bennett, che aveva davanti una pizza coi peperoni e una coca, non alzò nemmeno la testa.
Egli andò al frigorifero, ne trasse il proprio pasto e raggiunse il tavolo. Un collega scrutò il contenuto della sua scatola bento e gli disse: “Lo sai qual è la differenza tra mangiare il sushi e mangiare la figa? Il riso.”
Tutti sghignazzarono alla battuta, da qualche parte qualcuno disse: “Io preferisco la figa, comunque.”
Turner fece girare lo sguardo sul cibo degli altri: hamburger, pizze, ciambelle glassate. La birra era proibita, ovviamente, ma coca cola e bibite abbondavano.
In quell'assortimento di menu da fast food, il suo contenitore minimal-chic di cibo giapponese e la sua bottiglia d'acqua minerale apparivano in effetti decisamente fuori posto.
Come me, si disse. Tirò fuori le bacchette e gli parve di aver tirato fuori l'uccello a una riunione ufficiale.
E dire che non era mica la prima volta che si portava dietro il pranzo giapponese. Lui criticava forse i loro cibi pieni di grassi e zuccheri? Le loro bevande assurdamente gassate? Bere una lattina di coca cola era come infilarsi in bocca sette zollette di zucchero, ma non si era mai permesso di dire niente.
Si chiese quando si sarebbero arresi al fatto che pur essendo uno di città, pur avendo gusti e comportamenti diversi dai loro, era un ranger come loro.

§

La sala briefing era gremita. Era uno dei rari giorni di chiusura al pubblico del parco e, come di solito accadeva in tali occasioni, c'era la riunione generale. Tutti odiavano l'evento, pomposamente detto Giorno della Crescita, perché nel corso di essa sarebbero stati letti i feedback positivi e negativi che i visitatori avevano lasciato a ogni ranger, dopodiché i contenuti delle lamentele sarebbero stati studiati accuratamente e sarebbero state proposte azioni di miglioramento.
In prima fila, impeccabile, sedeva Turner, con un blocco per gli appunti sulle ginocchia.
Fanculo al Giorno della Crescita,” brontolò Cooper, che invece si era trovato un posto nelle retrovie, “farebbero meglio a chiamarlo Giorno dell'Inculata, farebbero.”
Bowers, che sedeva appena davanti a lui, si girò a guardarlo, ghignò e disse: “Dovresti essere un po' più assertivo, Jim: hai la meravigliosa occasione di lavorare sui tuoi difetti per diventare una persona migliore, non sei contento?”
Fanculo.”
Non ti ricordi i corsi della psicologa? Qual è la prima fase dell'assertività?”
Vuoi un cazzotto, Fred?”
Provaci e io ti lascio un feedback negativo.”
Stronzo.”
Lo scambio fu interrotto dall'arrivo del supervisore. L'uomo, un signore un po’ brizzolato, con l’aria da papà buono, raggiunse il leggio, quindi inforcò un paio d’occhiali e attivò il proiettore. Alle sue spalle comparve una veduta del parco, con in primo piano l'immagine di due bambini in tenuta da trekking, un maschietto e una femminuccia, che si tenevano per mano e sembravano molto felici di essere in mezzo alla natura incontaminata.
Mocciosi del cazzo,” brontolò qualcuno nella penombra che era calata, “rompono sempre i coglioni.”
Il supervisore fece elegantemente finta di non sentire.
Tirò fuori alcuni fogli scritti a mano con penne e grafie diverse, quindi cominciò: “E ora, come sempre, vedremo che cosa dice la gente di noi.” Fece una studiata pausa, quindi soggiunse: “Voi cosa pensate che diranno?”
Alla domanda seguì un silenzio di tomba, nel quale il fruscio del primo foglio che veniva sfilato dalla pila risuonò sinistro.
Il supervisore si schiarì la voce. “Cooper,” disse poi, “cominciamo da te. Una coppia di vegani dice che hai traumatizzato i loro figli.”
Il ranger aggrottò le sopracciglia. “Eh? Cos'avrei fatto?”
Riportano la frase: se andate in quella direzione, trovate un bel ristorante. Hanno di tutto: maiale, pollo e manzo. Le bistecche sono talmente al sangue che muggiscono ancora.”
L'espressione di Cooper divenne perplessa. “Dove sarebbe il trauma?”
Hai nominato le bistecche al sangue.”
L'altro continuava a non capire. “E quindi?”
Il supervisore emise un sospiro e spiegò: “I vegani non mangiano carne, capisci? Sono contro la crudeltà. Se tu gli parli di bistecche che muggiscono ancora, li traumatizzi e fai fare brutta figura allo staff del parco.”
Ma che cazzo, capo!” si inalberò il ranger, “Siamo qui per fare i maggiordomi o per tirare fuori la gente dalla merda quando ci finisce dentro? Si ricorda quei due idioti che erano caduti dentro il Mariposa Pond?”
Quello infatti è un feedback positivo. Hanno detto che sei stato molto efficiente.”
Ah, volevo ben dire.”
Però devi lavorare di più sulla sensibilità ai nuovi bisogni. Ad esempio, la gente ha bisogno di sentirsi capita nelle sue esigenze etiche.”
Cooper brontolò qualcosa di inintelligibile.
Reyes,” chiamò allora il supervisore.
Capo?”
Il supervisore corrugò la fronte e in tono cupo proseguì: “Reyes, qui dicono una cosa molto grave.”
Sarebbe?”
Giunse carica di riprovazione la risposta: “Hai detto a una comitiva di ebrei che li avresti spediti volentieri a visitare Auschwitz, però assicurandoti che ci rimanessero.”
Non la piantavano di rompere le palle su qualsiasi cosa, capo. E poi chi cazzo se lo immaginava che erano davvero ebrei?”
Comunque non si dice.”
Capo, secondo me è un po' troppo tempo che lei non ha a che fare con i visitatori. Adesso sono diventati un branco di rompicoglioni pretenziosi.”
Devi lavorare di più sulla tolleranza e il rispetto, Reyes.”
La cosa continuò per un po', mentre l'atmosfera si inveleniva sempre di più. Alla fine erano tutti incazzati come iene.
Fu a quel punto che il supervisore disse: “E ora una bella notizia: abbiamo qui un ranger che non ha ricevuto nessun feedback negativo e ne ha moltissimi positivi. Bel lavoro, ragazzo!” Sfilò un foglio, si schiarì la gola e lesse: “Gentilissimo e professionale, molto preparato. Lo ringrazio per avermi insegnato il nome scientifico del pennello indiano.”
L’elogio fu accolto da un silenzio gelido.
Il supervisore sfilò un altro foglio. Aggrottò le sopracciglia e borbottò: “Questo qui l'ha scritto qualche straniero.” Poi, a voce più alta: “Quando è arrivato con suo bel cavallo, noi ragazze pensato che era Lone Ranger.”
Gli manca solo la maschera,” ringhiò Bennett. Rivolse un'occhiata feroce a Turner, che dall’inizio della riunione prendeva appunti come se il supervisore stesse rivelando il sistema per diventare miliardari in tre giorni.
Non siete curiosi di sapere chi è?”
Silenzio.
Il supervisore non se ne diede per inteso. “È il nostro giovanotto di città. Alzati in piedi, Turner, ragazzo mio. Hai lavorato sodo e i risultati si vedono, complimenti! Ti proporrò per un encomio.”
So io cosa ci vorrebbe per quello lì,” ringhiò Cooper fra i denti.
Reyes annuì, poi rispose: “Sì, è parecchio che stanno tranquilli, tra un po’ cominceranno a farsi vivi.”
Beh, direi che lo stronzetto sarebbe l’ideale.”

§

Turner spinse il palomino su un piccolo rilievo del terreno, dopodiché tirò le redini e appoggiato al pomo della sella rimase a scrutare l’orizzonte. In quella zona, il parco era una distesa di alberi radi e contorti, che emergevano da erba così alta da arrivare al ventre dei cavalli. Era una zona interdetta ai visitatori, la sua funzione era di ripopolamento e di ricerca, per cui non c’erano sentieri né segnali.
Si guardò lentamente intorno. Un falco pellegrino attraversò il cielo terso lanciando un lungo strido, qualcosa strisciava nell’erba alta.
Poi a un certo punto colse in lontananza una sagoma che lo spinse ad aggrottare le sopracciglia perplesso.
Si aggiustò il cappello in modo che la tesa gli ombreggiasse maggiormente il viso, poi scrutò di nuovo: c’era un uomo.
Un uomo in abiti civili, alto, con la barba incolta. Per quello che poteva vedere, portava un giaccone mimetico e forse un paio di Jeans. Sulla spalla aveva un fucile.
Si sentì attraversare da un’ondata di adrenalina, quello non poteva essere altro che un bracconiere. “Fred!” chiamò, stando attento a non alzare troppo la voce e a non perdere di vista il tizio misterioso.
Udì uno scalpiccio di zoccoli alle sue spalle, poi la voce del collega chiese: “Che c’è?”
Senza muoversi, Turner sussurrò: “C’è un uomo.”
Dove?”
Il più giovane indicò la macchia. “Là in fondo, vicino ai due alberi secchi. Io scommetto che è un bracconiere.”
Bowers lo affiancò, quindi staccò il binocolo dalla sella e scorse con quello la distesa di erba alta. Infine riabbassò lo strumento e disse: “È tutto a posto, qui non ci sono bracconieri.”
Turner trasecolò. “Tutto a posto? Ma è in una zona riservata, ha un fucile! Certo che è un bracconiere!”
L’altro fece un gesto di noncuranza, poi replicò: “Non fare tutto questo casino, lo vedo anch’io che ha un fucile.”
Ma è proibito, dobbiamo riferirlo immediatamente al supervisore.”
Lo sa già.”
Cosa?”
Lo sa. Qui vive della gente. Famiglie che stavano qui prima che il Governo dichiarasse questo posto parco naturale, e che continueranno a starci.”
Turner fissò di nuovo il misterioso uomo e si accorse che dalla cintura gli penzolavano due anatre abbattute. Si precipitò a indicarle al collega, che però non parve particolarmente colpito dalla faccenda. Alzò anzi le spalle e semplicemente disse: “Con questa gente bisogna andare d’accordo.” Voltò il cavallo e prese a ridiscendere l’altura. Turner diede un’ultima occhiata all’uomo che stava scomparendo nella vegetazione, poi seguì il collega.
Perché io non ne sapevo nulla?” chiese affiancandolo.
Perché sei l’ultimo arrivato.”
Ma io sono un ranger di questo parco, devo sapere certe cose.”
Tu pensa a studiare i nomi latini dei bacherozzi, e lascia il lavoro vero a chi in questi posti ci è cresciuto.”
Turner non replicò e la cavalcata proseguì in silenzio. Abbandonarono la zona interdetta ai visitatori e raggiunsero il più remoto dei sentieri aperti al pubblico, nel quale normalmente transitavano solo escursionisti esperti.
Andiamo a vedere se a Rattlesnake Point è tutto a posto,” disse Bowers, e senza attendere risposta spronò il cavallo in quella direzione.

Mentre procedevano affiancati li raggiunse da un sentiero di servizio anche Reyes, che spinse il suo cavallo fra i loro due, poi si rivolse al collega più anziano e chiese: “Tutto in ordine?”
Stavo andando a Rattlesnake,” fu la risposta. L'altro annuì grave e a Turner parve che facesse girare lo sguardo intorno, come alla ricerca di qualcosa. Infine disse: “Vengo anch'io.”
Raggiunsero la remota piazzola di sosta e subito fu chiaro che era successo qualcosa: per terra c'erano alcuni dei pali levigati che nel parco si usavano per le costruzioni, spezzati e bruciacchiati. Nell'aria aleggiava l'odore che normalmente si levava dai gabinetti chimici quando era il momento di vuotarli.
Avanzarono ancora e d'un tratto compresero il motivo degli strani rilevamenti: la toilette era stata oggetto di pesanti vandalismi. La porta era sfasciata, la seduta interna sembrava essere stata distrutta a colpi di mazza. Le tegole di legno del tetto erano sparse ovunque, le travi erano state divelte.
La struttura era inservibile.
Turner tirò le redini e per un po' rimase a osservare in silenzio lo scempio. “Chi può essere stato?” chiese, ma non gli giunse risposta.
Si girò verso i colleghi e vide che stavano scendendo da cavallo. Frattanto parlavano fra loro a bassa voce.
Smontò a sua volta e li raggiunse, ma i due continuarono a parlare fra di loro. Bowers diede un calcio a un frammento di legno, poi disse: “Gli orsi si stanno svegliando.”
Reyes assentì. “Questo è solo l'inizio.”
Hanno voglia di carne.”
Il più giovane rimase per un po' ad ascoltarli in silenzio. Non che si intendesse molto di atti vandalici, in fin dei conti aveva scelto di fare il ranger proprio perché l'idea di fare il poliziotto non gli piaceva, ma ciò che stava vedendo non gli evocava nessun animale, per quanto grosso o infastidito dalla presenza umana.
Prestò orecchio allo scambio degli altri due, che invece continuavano a parlare di orsi.
Strinse le labbra infastidito: quello era un comportamento tipico, del quale gli avevano più volte parlato durante il corso di studi per diventare ranger. La gente con molti anni di servizio, svolto magari sempre nello stesso parco, tendeva a farsi delle proprie idee, non necessariamente giuste, e a sostituire quelle alla realtà dei fatti. Ripensò a tutte le volte che era stato pesantemente rimbeccato per aver espresso nient'altro che competenze precise e scientificamente ineccepibili e di colpo si sentì avvampare di rabbia: non avrebbe permesso che le credenze e le abitudini prevalessero sulla razionalità.
Bowers e Reyes potevano avere vent'anni di servizio, ma evidentemente di plantigradi non sapevano proprio nulla, a parte forse qualche leggenda da vecchi cacciatori.
Qui non ci sono orsi,” disse, “e anche se ci fossero, di certo non è in estate che si svegliano.”
I due, che stavano parlando fra loro, tacquero e all'unisono si girarono verso di lui. Bowers si pose i pugni sui fianchi, e fissandolo con uno sguardo a metà tra il fastidio e il disprezzo, replicò: “Ma senti un po' il perfettino di Boston che ci viene a fare la lezione. Complimenti, professore, lei è molto preparato. Sa tutto dei nomi latini e delle statistiche.” Scosse la testa. “Peccato però che in pratica non capisca un cazzo.” Poi, rivolto al collega: “Dai, torniamo al campo base, bisognerà avvisare gli altri e mandare qualcuno a sistemare questo casino.”
L'altro, il piede già nella staffa, rispose: “Sì, e poi bisognerà decidere cosa fare. Se le cose sono già a questo punto, non c'è molto tempo.” Si issò in sella.
Turner avrebbe voluto chiedere delucidazioni, perché ancora una volta Bowes e Reyes si erano messi a parlare in un modo che gli risultava incomprensibile, ma i due si stavano già allontanando affiancati, a un buon trotto.
A lui non rimase che montare a sua volta e seguirli.

§

Sventolando una copia del 'Nature News', il giornale interno del parco, Bennett disse: “Guardate qua, ragazzi: quando si dice le soddisfazioni della vita.”
Cooper, Reyes e Franklin, che si stavano preparando a montare sulla jeep, richiusero le portiere e attesero.
Guardate qua,” ripeté Bennett.
Sulla prima pagina del periodico c'era una fotografia che sembrava ritagliata da un manifesto di propaganda: ritraeva un giovane ranger biondo, atletico, con gli occhi celesti, il sorriso da attore e i bicipiti scolpiti.
'Competenza, disponibilità e simpatia', recitava il titolo, 'ecco il ranger dell'anno'.
Che mi venga un colpo se questo non è lo stronzetto di città,” ringhiò Franklin, fissando la fotografia come se stesse per piantarci un coltello.
Ve l'ho detto, ragazzi, sono soddisfazioni,” riprese Bennett. “Uno lavora, si fa il culo... e questo è il risultato.”
Gli altri cos'hanno detto?” chiese Cooper.
Il primo alzò le spalle. “Potete immaginare. L'unico contento è il capo. Lo stronzetto gli piace, vorrebbe che fossimo tutti come lui, così i visitatori riempirebbero il parco di feedback positivi.”
Vaffanculo ai visitatori, dico io,” ringhiò Reyes incupendo lo sguardo, “deficienti pretenziosi buoni solo a mettersi nei guai.”
Tutti assentirono. Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Reyes, a voce più bassa, chiese: “Piuttosto... come pensiamo di muoverci per quella cosa?”
Gli altri si scambiarono occhiate. Cooper infilò le mani in tasca, Franklin calciò un sasso, mandandolo a rimbalzare contro la ruota della jeep.
Bisognerebbe attivarsi,” disse Bennett dopo un po'. Fece girare lo sguardo sugli altri, che distolsero il loro.
Ci fu un altro lungo silenzio, poi Cooper abbassò ulteriormente il tono e propose: “E lo stronzetto?”
La domanda parve cadere nel vuoto, gli altri quattro rimasero a guardarsi in silenzio. Infine, Reyes distolse lo sguardo e disse: “Sarebbe l'ideale.”
Già, la persona giusta.”
Ma regge?”
Chi se ne frega.”
Eh no, poi viene fuori un casino.”
L'ultimo a parlare era stato Franklin. Gli altri lo guardarono quasi con risentimento, ma lui insisté: “Poi viene fuori un casino, e dopo è peggio.”
Ci fu qualche mugugno in risposta, poi Bennett concluse: “Sarà meglio tirare fuori un nome, comunque, perché quella faccenda non aspetta in eterno.”

Nel frattempo, Doug Turner, uniforme impeccabile, sorriso da attore, stava svolgendo il suo turno alla reception assieme al ranger Zilker.
Il collega trafficava al computer, indeciso se aprire tetris o candy crush, mentre davanti a lui c'era una fila che arrivava quasi alla porta d'entrata, composta perlopiù da donne e ragazze.
Si avvicinò una rugosa signora dallo chignon bianco, con un paio di bermuda, scarponi da trekking e uno sdrucito zaino su cui erano cucite le toppe di svariati campi base. La donna aprì sul bancone una mappa del parco e chiese informazioni su uno dei sentieri. Con fare professionale, Turner le spiegò ogni particolarità di quel percorso, fornendole anche degli ulteriori opuscoli, quindi chiese: “È tutto, signora?”
No, veramente vorrei sapere qualcosa anche di quest'altro sentiero.” Lo indicò sulla mappa.
Di nuovo, Turner le fornì ogni possibile informazione. “Le serve altro, signora?” chiese infine.
La donna gettò una fugace occhiata dietro di sé, constatando che la coda cominciava a dare segni d'impazienza, quindi rispose: “Sì, ecco... sarebbe possibile... ehm... noleggiarla per un'escursione privata, solo io e lei?” Gli scoccò un'occhiata languida.
Impassibile, il ranger rispose: “Mi spiace, signora, ma temo che queste attività non siano previste nel nostro servizio.”
Capisco. E fuori dal servizio?”

§

L'acqua doveva scorrere almeno dalla notte prima, perché tutt'intorno si era creato un pantano nel quale gli scarponi dei ranger affondavano. La fontanella era stata divelta e giaceva ai piedi di una piccola scarpata. Le panche e i tavoli da picnic erano stati ammucchiati da una parte. Vi era stato poi appiccato il fuoco, che però doveva essersi spento quasi subito, lasciando un cumulo di assi annerite e fumiganti.
Franklin andò alla botola in cui si trovava il rubinetto che chiudeva la tubatura, solo per accorgersi che era stato danneggiato anche quello. Alzò la testa e in tono cupo annunciò: “Gli orsi stanno perdendo la pazienza.” Gli parve di cogliere una presenza tra le fronde, ma a una seconda occhiata tutto era immobile. La cosa non lo rassicurò per niente.
Reyes annuì grave e disse: “Credo proprio che sia arrivato il momento di mandare qualcuno a controllare se MacDowell distilla clandestinamente.”
Tutti assentirono.
Ci togliamo il pensiero,” disse Cooper, “poi siamo a posto per un po'.”
Sì, è ora.”
Franklin gettò un altro sguardo sconsolato allo zampillo, che saliva fino a due metri e faceva ricadere un festone cristallino sul terreno rossastro, poi disse: “Sentiamo anche gli altri, ma credo che saranno tutti d'accordo.”
È l'unica.”
Di nuovo sul gruppo calò un silenzio rotto solo dallo scrosciare del getto. Poi Cooper disse: “Quello là non è dei nostri, non ha niente a che fare con noi.”
Poteva restarsene nella sua città,” rincarò Reyes. “Viene qui a vantarsi, a fare il primo della classe, ma di questo posto in realtà non sa nulla.”
Proprio nulla.”
Farà un corso accelerato,” ghignò Franklin.

§

Turner fermò la jeep in una rientranza lungo un sentiero di servizio, quindi tirò fuori la mappa che gli avevano dato i colleghi – una mappa del parco che non aveva mai visto – e ancora una volta la squadrò. Vi era tracciato un sottilissimo percorso che dalla pista su cui si trovava si inoltrava nella macchia.
Stando a quello che era riportato sulla cartina, alla fine del sentiero avrebbe dovuto trovare l'abitazione dei misteriosi personaggi che vivevano lì da prima che la zona fosse dichiarata parco naturale.
Si chiese che razza di gente fosse. Magari si trattava di nativi, anche se il nome che gli avevano dato i colleghi non sembrava indiano, oppure di gente la cui famiglia aveva abitato lì per generazioni e col passare del tempo aveva acquisito privilegi ormai inalienabili.
Si chiese anche perché avessero affidato quello strano compito – controllare se un certo signor MacDowell stesse distillando clandestinamente – proprio a lui. Forse era un modo per metterlo alla prova, per vedere se nonostante tutto poteva diventare un buon ranger?
Scese dalla jeep, chiuse con cura la portiera nonostante fosse praticamente in mezzo al nulla, quindi individuò il sentiero che era segnato sulla mappa e senza indugio lo imboccò.
Il percorso era talmente stretto che a stento vi sarebbe passata più di una persona, il fondo era poco più di una serpeggiante scia di impronte. L'erba calpestata faceva capire che veniva usato con regolarità, anche se forse non quotidianamente.
Procedette per un buon mezzo miglio, poi il sentiero si allargò un po'. La vegetazione si fece meno fitta, dietro le cime degli alberi spuntò un tetto di legno.
Un cane cominciò ad abbaiare, un latrato basso, lungo, da bestia di grossa taglia. Poco dopo se ne aggiunsero altri, più acuti e secchi.
Turner, che stava procedendo di buon passo, rallentò la marcia fino a fermarsi, poi rimase in ascolto. I cani non accennavano a smettere, ma non si udivano voci.
Riprese a camminare, più adagio. Era normale che ci fossero cani in un parco naturale? Quanti ce n'erano? Se li sarebbe trovati addosso?
Si rese conto di essere un po' inquieto, sia per i cani, sia per la stranezza del luogo. Si chiese cos'avrebbe trovato alla fine del sentiero.
La sua curiosità fu soddisfatta poco dopo: sbucò in una specie di radura disseminata di rifiuti, lattine di birra vuote, una sdraio sgangherata, una carcassa di macchina rugginosa, con il cofano pieno di erbacce e un paio di galline appollaiate su quel che restava dei sedili.
Da un albero penzolava, appesa per una zampa posteriore, una carcassa di ungulato senza testa. Le mosche ronzavano sul collo tagliato. Poco lontano c'era un pickup bianco con il cofano tutto rigato di sangue e cosparso di ciuffi di pelo.
Caccia di frodo,” disse fra sé e sé.
Al centro dello spiazzo c'era un edificio a un solo piano, col tetto spiovente, sgangherato e fatiscente al pari di tutto il resto.
I cani, un bloodhound e due pitbull, erano chiusi in un recinto e continuavano ad abbaiare furiosamente, saltando con le zampe anteriori contro la rete.
Il ranger si sentì invadere dall'inquietudine: senza mezzi termini, quel posto era sinistro. Chi poteva vivere in un luogo del genere, con gli animali morti appesi agli alberi e la sporcizia ovunque? Prese in seria considerazione l'idea di ritornare alla macchina, per poi ripresentarsi in quell'orribile abituro in compagnia di un collega.
Si voltò indietro, ma non si mosse. Forse era proprio quella la prova, forse gli altri si aspettavano di vederlo tornare con la coda fra le gambe, spaventato a morte per colpa di un po' di pattume e di una carcassa messa a frollare.
Pensò a quanto avrebbero riso di lui. Se già lo disprezzavano così, poteva immaginare cosa sarebbe successo dopo la sua eventuale fuga.
Si costrinse ad avanzare nella radura. I latrati ebbero un parossismo, da qualche parte una voce maschile urlò: “Bully, Killer! Che cazzo avete da far casino?”
Raggiunse la porta. Raccolse il coraggio e bussò.
Passarono alcuni secondi, poi dall'altra parte si udirono dei passi pesanti. L'anta si aprì, rivelando un uomo sulla trentina, alto un metro e novanta, robusto, con una gran barba lunga fino al petto e una salopette di jeans come unico indumento.
Turner dovette lottare per non fare un passo indietro. “Buon giorno,” disse, cercando di mantenere la voce ferma.
Buon giorno,” fece eco l'uomo, senza mutare minimamente la propria espressione.
È... è lei il signor MacDowell?”
Qui siamo tutti MacDowell.”
Il ranger si rese conto che i suoi colleghi non gli avevano detto il nome proprio della persona che avrebbe dovuto controllare. Anche quella era una prova, magari per valutare la sua capacità di risolvere problemi imprevisti?
Sono qui per accertarmi che tutto sia in ordine,” rispose. “Posso dare un'occhiata?”
L'uomo si scostò dalla soglia. “Prego.”
Turner a quel punto tentennò. L'interno della casa era semibuio e ingombro di rifiuti al pari dell'esterno. Puzzava di birra rancida, fumo stantio e sporcizia. Fece per arretrare, ma impattò contro un solido ostacolo. Alle sue spalle una voce profonda chiese: “Ci vuole già lasciare, ranger?”
Egli si girò e si trovò davanti un uomo grosso quanto il primo ma più anziano, a sua volta barbuto, vestito con una vecchia camicia a scacchi e un paio di jeans sdruciti. “Io... forse è meglio che torni in un altro momento,” balbettò Turner, la cui inquietudine cresceva di attimo in attimo. “Con permesso.”
L'uomo rimase immobile.
Con permesso,” ripeté il ranger, cercando di mantenere la voce neutra.
L'altro gli artigliò la spalla con una presa d'acciaio. “Dove vuole andare, ranger?” gli chiese con ostentata cortesia. “Non doveva fare dei controlli?”
Turner si sentì sospingere verso l'interno dell'abitazione. Calma, si disse. Calma, non farti prendere dal panico, pensa a cosa fare. Si chiese, quasi sperandolo, se quello fosse una specie di scherzo ben congegnato, e se da qualche parte ci fossero i suoi colleghi, pronti a saltar fuori per sbeffeggiarlo al momento giusto.
Cercò di svincolarsi dalla presa in modo che il gesto sembrasse quasi casuale, ma le dita robuste dell'uomo si serrarono al punto da fargli male. Saltò indietro con un gemito.
L'altro lo fissò sollevando le sopracciglia, come stupito da quello strano comportamento. “E adesso che c'è?” chiese.
Preferirei che evitasse di toccarmi, per favore.”
Ma davvero?”
Nel frattempo si stavano allontanando sempre di più dalla soglia di casa. Turner si accorse che nella penombra c'erano altre persone. “Mi faccia uscire,” disse, cercando di mettere nella richiesta tutta la sua autorevolezza. A quel punto non gli interessava più nulla di eventuali distillazioni clandestine o di colleghi in agguato pronti a sfotterlo, voleva solo andarsene di lì il più in fretta possibile, perché percepiva con chiarezza che in quella casa, in quegli uomini e in generale in tutta la situazione c'era qualcosa di profondamente sbagliato.
La sensazione di pericolo era nettissima. “Mi faccia uscire,” ripeté.
L'altro fece una breve risata, poi, col tono di chi sta dicendo la cosa più normale del mondo, rispose: “Temo proprio che non lo farò.”
Cosa?”
Nel frattempo, tutt'intorno si udiva un tramestio: la gente che Turner aveva intravisto nella penombra si stava avvicinando.
Si decise in un istante: sbilanciò con una spinta l'uomo che lo stava tallonando, si divincolò dalla sua presa e si lanciò verso la porta ancora socchiusa. Nella penombra della stanza, la lama di luce che ne filtrava era intensa come un faro. Al di là si intravedevano il verde degli alberi e l'azzurro del cielo.
Qualcosa lo colpì tra le spalle, mandandolo lungo disteso per terra. Turner si rigirò, saltò in piedi, ma già qualcuno lo stava afferrando per la camicia. Ricevette un pugno che lo fece barcollare, sentì in bocca il sapore del sangue, altri colpi gli piovvero addosso. Si difese come poteva, ma alla fine venne afferrato saldamente per le braccia e si ritrovò immobilizzato.
L'uomo che gli aveva aperto la porta si spostò nel suo campo visivo. Lo squadrò senza fretta, quindi sollevò una mano e gli slacciò lentamente il primo bottone della camicia. Turner tentò per l'ennesima volta di divincolarsi, poi scalciò, strappando un grugnito di disappunto all'altro. Subito dopo gli si abbatté tra guancia e collo un manrovescio che l'avrebbe scaraventato a terra, se non fosse stato saldamente trattenuto per le braccia.
Il secondo bottone della camicia cedette. A fatica per la mascella dolorante, Turner chiese: “Che cosa volete fare?”
Giunse pacata la risposta: “Ci vogliamo solo divertire un po'. Se farai il bravo, nessuno si farà male.”
Il ranger si sentì gelare. “Cosa significa?” ansimò.
L'altro ghignò. “Biondino, ti facevo più sveglio.” Gli pizzicò un capezzolo, provocandogli un nuovo parossismo di agitazione.
L'uomo alzò la mano per colpirlo una seconda volta, ma a quel punto si fece udire la voce di un altro: “Lascia, a me piace quando si agitano.”
Un altro ancora intervenne: “E poi, quando sono chiusi dentro possono agitarsi finché vogliono. Non vanno più da nessuna parte.”

§

I cani non abbaiavano più, forse si erano stancati. Dappertutto c'era silenzio, dalle fessure delle finestre non entrava più luce.
Turner si mosse a fatica sul pavimento sudicio, facendo rotolare via una lattina di birra vuota. Si irrigidì temendo di aver attirato con quel suono l'attenzione dei suoi aguzzini, ma non successe nulla.
Si passò la lingua sulle labbra aride, cercò di rialzarsi. Se solo fosse riuscito a raggiungere il suo cellulare, o magari un telefono fisso, o qualsiasi altro mezzo di comunicazione, avrebbe potuto chiedere aiuto, spiegare che era finito in mezzo a un branco di pazzi maniaci pervertiti, dire che aveva urgente bisogno di cure mediche.
In ogni caso, doveva andarsene, prima che quelli tornassero.
Represse un brivido. Nonostante le raccomandazioni, all'inizio non aveva per nulla fatto il bravo come gli avevano suggerito. Si era ribellato, si era divincolato, aveva scalciato, morso e fatto in definitiva ogni sforzo per evitare l'inevitabile.
Non era servito a molto.
Anche con quello avrebbe dovuto fare i conti, una volta fuori di lì.
Nonostante il dolore e la spossatezza, si costrinse a ragionare: le chiavi della Jeep erano nella tasca dei suoi pantaloni, che però gli erano stati strappati di dosso, assieme a ogni altro indumento. Aveva senso cercarli, o sarebbe stato meglio andarsene comunque, a prescindere dal reperimento di un mezzo di trasporto?
Scartò l'ultima ipotesi, la casa era in un parco naturale, distante decine di miglia dal più vicino centro abitato. Dove voleva andare nudo, stremato, dolorante e con chissà quali lesioni addosso?
Pensò ai colleghi: probabilmente erano passate ore dalla sua partenza, quindi ormai dovevano aver capito che gli era successo qualcosa. Avrebbero mandato qualcuno a cercarlo?
Dei rumori lo fecero sussultare. Colse passi pesanti, capì che i pazzi stavano tornando. Si tirò in piedi alla meglio, arretrò tentoni nella stanza buia. Palpò freneticamente ciò che lo circondava, alla ricerca di un corpo contundente qualsiasi.
La porta si aprì, sulla soglia comparvero un paio di quei maniaci. Uno di essi aveva in mano un oggetto che gli parve un marchio da bestiame, con la punta arroventata al calor bianco. “Finiamo il lavoro,” disse.

§

Reyes abbandonò la lattina di coca, in realtà piena di birra, sul tavolino davanti alla TV e disse: “Ormai dovrebbero aver finito, no?”
Cooper si girò verso di lui. “Che c’è, sei preoccupato per mister perfettino di città? Al massimo non farà i giri di ricognizione a cavallo per un po’, tutto qui.”
L’altro alzò le spalle e semplicemente rispose: “Non so, ormai si è fatta una certa ora.” Alzò lo sguardo verso la finestra, oltre la quale c’era il buio impenetrabile dei luoghi molto lontani da ogni centro abitato, e disse: “Poi viene fuori un casino, e invece di un problema risolto ne abbiamo dieci da sistemare.”
Io la smetterei di preoccuparmi così tanto,” replicò Franklin, senza nemmeno alzare gli occhi dalla rivista che stava sfogliando.
Si udì il rumore di un motore in avvicinamento.
Lo senti? Consegna a domicilio, come la pizza.”
Ci fu del tramestio all’esterno, lo sbattere di un paio di portiere, poi il motore ripartì. I ranger uscirono sul patio e fecero appena in tempo a vedere un pickup bianco che si allontanava.
Ai margini del cerchio di luce prodotto dal lampione c’erano due fagotti, uno grosso e uno più piccolo. Da quello grosso, ricavato da una vecchia coperta, spuntava un ciuffo biondo, di quella particolare tonalità dorata che si poteva generalmente ammirare nei manifesti di propaganda.
Bowers raccolse l’involto più piccolo, dal quale cadde tintinnando un mazzo di chiavi, e disse: “Chi va a recuperare la jeep domattina?”
Franklin alzò la mano. “Io.”
L’altro gli lanciò le chiavi, poi proseguì: “E adesso portiamolo dentro, forza. Un angolo per uno.”
Raccolsero i lembi della coperta e scomparvero all’interno dell’edificio. Fuori non rimase nulla di diverso dal solito.
Portatelo nella sua stanza,” disse Cooper.
Reyes sogguardò la propria lattina, che nel frattempo aveva recuperato, e chiese: “Gli lascio una birra?”
Meglio che ce la teniamo per noi, scommetto le palle che quell’idiota è anche astemio.”

§

Il supervisore sollevò la testa dal rapporto che stava compilando. Di fronte a lui, pallido, le labbra serrate e le sopracciglia aggrottate in un’espressione rabbiosa, c’era Doug Turner. Aveva un occhio nero e un paio di cerotti di avvicinamento sullo zigomo. Il labbro inferiore, segnato da una cicatrice scura, era ancora un po’ gonfio. “Vuoi sederti, figliolo?” lo invitò.
Gelido, il ranger rispose: “Grazie, signore, preferisco stare in piedi.”
Vuoi dirmi cosa c’è, allora?”
Il giovane strinse gli occhi, quindi rispose: “Beh, signore, non so se lei ne è al corrente, ma in questo parco vive un gruppo di pervertiti sadici.”
Il supervisore annuì. “Vuoi dire i MacDowell, ragazzo?”
Il ranger assunse un’espressione stupefatta. “Cosa?”
I MacDowell. Gli orsi, come li chiamiamo noi.”
Signore, sono degli psicopatici, bisogna prendere provvedimenti, chiamare la polizia. Mi hanno sequestrato e...” Strinse di nuovo le labbra, talmente forte da farle sbiancare. “Seviziato,” concluse poi. Tirò fuori il telefonino, scorse la galleria delle immagini e ne ingrandì una. Voltò lo schermo verso il superiore, poi disse: “Alla fine mi hanno fatto anche questo.”
La foto mostrava un marchio a fuoco largo forse cinque centimetri, fatto come la sagoma di un orso, ancora arrossato sui bordi.
Capisco.”
Che intende fare, signore? Io credo che sia meglio chiamare la polizia, quella gente va fermata.”
Il supervisore annuì grave, prese un gran respiro e lasciando uscire il fiato disse: “Capisco il tuo punto di vista, Turner.”
Il giovanotto aggrottò le sopracciglia. “Che significa, signore? Questo non è un punto di vista, non è un parere. Io le sto dicendo che quella gente mi ha sequestrato, picchiato e… fatto altre cose, per un giorno intero.” Il cellulare tornò fuori, pronto a mostrare nuovamente l’infamante marchio.
Il supervisore fermò con un gesto l’esibizione, quindi ripeté: “Io capisco il tuo punto di vista, figliolo. Davvero, non faccio fatica a mettermi nei tuoi panni.”
Turner fece un passo indietro, lo squadrò diffidente. “Ma…?”
Ma tu hai studiato etologia, quindi sai bene che in ogni ambiente ci sono degli equilibri che devono essere rispettati.”
Temo di non capire,” ringhiò Turner. “Mi sta dicendo che dei pazzi maniaci contribuiscono all’equilibrio del parco?”
In un certo senso sì. Un coguaro sbrana una capra di montagna. Se interpellassimo in proposito le capre, non potrebbero che darci un parere negativo sulla faccenda, definirebbero i coguari assassini e direbbero che si tratta cannibali pervertiti. Il che, dal loro punto di vista, è perfettamente legittimo. Ma tu ed io sappiamo che se i coguari non mangiassero un certo numero di capre di montagna, esse si riprodurrebbero a dismisura e finirebbero per distruggere l’ambiente stesso in cui vivono.”
Il giovanotto non replicò.
Questa gente era qui prima di noi,” continuò allora il supervisore, “e ha il diritto di abitare qui.”
Ma non di commettere dei crimini,” lo interruppe Turner con veemenza.
Il più vecchio alzò le spalle. “Crimini, azioni meritorie… chi può dirlo? Tu uccidi quando fai caccia di selezione, no?”
Ma non esseri umani.”
Beh,” il supervisore alzò le spalle, “va a chiedere ai daini che abbatti se condividono il tuo punto di vista o no.”
Di nuovo il ranger mantenne un indignato silenzio.
Noi la chiamiamo la legge dell’orso,” spiegò allora l’uomo. “L’orso fa parte dell’ecosistema, ogni tanto vuole nutrirsi. Eliminare gli orsi, per far sì che nessuno venga più sbranato da loro, serve solo a distruggere un equilibrio che invece deve rimanere intatto.”
Non capisco.”
Ti sei mai chiesto perché in questo parco non ci sia un solo bracconiere? Gli orsi ogni tanto si vogliono divertire. Se diamo loro quello che vogliono, loro proteggono questo posto quanto e più di noi, visto che non sono legati alle nostre regole. Se non glielo diamo fanno danni.”
Calò il silenzio.
Infine Turner, con la voce che tremava di rabbia, chiese: “Quindi lei non farà niente?”
Il supervisore scosse la testa. “Proprio niente, e ti avverto che se tenterai di fare qualcosa tu, avrai tutti contro. I tuoi colleghi non ti amano, come ben sai, e io sarò lieto di dar loro ragione e di dichiararti inadatto al mestiere di ranger, e forse anche affetto da qualche turba mentale, se per caso ti metterai in testa di far uscire questa storia dai confini del parco.”
CI fu un altro lunghissimo silenzio, infine il più giovane disse: “Va bene, signore, credo di aver capito.”
Ne sono lieto, figliolo...” cominciò l’uomo, ma Turner gli girò le spalle e uscì sbattendo la porta.

Il supervisore emise un sospiro. Lanciò un fugace sguardo all’anta serrata, quindi scosse la testa e riprese a compilare il suo rapporto.
Lavorò fino a tardi, poi spense la lampada della scrivania, si rialzò e si stirò facendo scrocchiare la schiena.
Ultimamente aveva cominciato a fare caldo, e si sentiva l’uniforme appiccicata addosso per il sudore.
Raggiunse il proprio alloggio, si sfilò gli abiti ed entrò nella cabina della doccia. Alla base della schiena, proprio sopra una natica, aveva una vecchia cicatrice, ormai quasi cancellata: un marchio a fuoco fatto come la sagoma di un orso.









[1] Per quanto assurda, la domanda è stata posta veramente. L’episodio viene riportato nel libro “Hey, ranger!” di Jim Burnett.







   
 
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