Cap. 38 Notte prima degli esami.
“Quella notte è
andata così, non ho baciato Claudia e non c'è stato il lieto fine. Eppure me la
ricorderò sempre perché era una notte speciale. Ma io la magia di quella notte,
come spesso succede nella vita, non l'ho più ritrovata.”
Luca
Molinari, Notte prima degli esami.
Angie aveva sempre
pensato che il proprio ruolo di sorella maggiore fosse più che altro un
servizio pubblico. Cioè che, attraverso l’addomesticazione di quella creatura
satanica di suo fratello, stesse risparmiando da incidenti potenzialmente
mortali molte persone, e quindi, in un qualche modo, stesse lavorando per la
salute della comunità magica e babbana.
Da qualche settimana
questo ruolo non ufficiale che si era attribuita era molto più semplice da
mantenere che non in passato. Tristan infatti era insolitamente tranquillo,
nessuno scherzo a danno di ignari compagni, nessuna manomissione all’impianto
idraulico della scuola, nessuna piccola vendetta contro di lei. I lineamenti
del giovane stavano iniziando a perdere la morbidezza dell’infanzia per
diventare decisamente più affilati, i suoi occhi azzurri avevano spesso un’aria
tempestosa dietro le folte ciglia nere. Le sembrava di riuscire a vedere il
ragazzo che sarebbe diventato e tutti i cuori che più o meno consapevolmente
avrebbe spezzato, preferendo come sempre Lily e Hugo al resto del mondo. Le
sembrava che in quei pochi mesi la crescita di Tristan fosse avvenuta con uno
scatto improvviso, che lo aveva lasciato strappato in più punti, fragilità che
nascondeva dietro ai silenzi tanto inusuali per lui. Ed Angelique era piuttosto
preoccupata.
A dimostrazione che ci
fosse qualcosa di anomalo nel suo comportamento, era appena stata avvertita da
Hugo che Tristan era finito nell’ufficio di Paciock. Da solo.
Angie salì gli ultimi
gradini della scala, sentendo alle proprie spalle Hugo col fiato corto, che
cercava di stare al suo passo. Svoltò a sinistra nel corridoio che ospitava
l’ufficio del Direttore di Grifondoro e il suo sguardo fu attirato
immediatamente dalla chioma fiammante di Lily, che riluceva come una torcia
nella luce del mezzogiorno. Si stava rosicchiando le unghie delle dita con una
dedizione degna di un castoro e, appena la sentì avvicinarsi, i suoi occhi
nocciola si volsero verso di lei, sgranati e lucidi.
Capitava di rado di
vederla così angustiata, nemmeno quando i fondi delle Menadi erano andati
perduti aveva impressa negli occhi tanta agitazione.
“Che cosa è successo Lily?”
le chiese senza tanti preamboli e Lily le rispose con tono altrettanto
sintetico.
“Tris ha scatenato una
rissa nelle serre.”
Il povero Hugo riuscì
finalmente a raggiungerle e col respiro ansante si aggiunse alla conversazione:
“Ha tirato un pugno ad un
Corvonero del nostro anno.”
“Perfetto. E perché lo
avrebbe fatto?” chiese col tono più calmo di cui fosse capace in quel momento e
si massaggiò la fronte, presagendo già l’emicrania che le sarebbe derivata da
quella situazione.
“Beh… Sai come sono le
chiacchiere da serra, a volte la gente dice un sacco di stupidaggini giusto per
dare aria alla bocca e gli altri possono sentire…” Hugo teneva gli occhi
incollati alle scarpe mentre parlava e un vago rossore si diffuse sulle sue
guance.
“I Corvonero stavano
parlando di ragazze, qualcuno ha iniziato a parlare di quelle più grandi ed è
venuto fuori il tuo nome. Così Michael Walker ha detto che lui ad una come te,
che si era fatta sbattere alla prima occasione buona da uno fidanzato, non
avrebbe nemmeno rivolto la parola. Ti ha definito “una puttana”. E l’ha detto
apposta ad alta voce, perché era accanto a noi e guardava Tris mentre lo diceva.”
Non era da Lily mitigare i fatti per renderli più facili da digerire, infatti
le aveva raccontato tutto come se fosse un semplice resoconto, guardandola
dritta negli occhi. Le guance di Hugo a quel punto andarono letteralmente a
fuoco per l’imbarazzo.
Angie fece un respiro
profondo cercando di calmare l’indignazione e la rabbia che le parole della
Potter le avevano scatenato dentro. Non solo per il giudizio espresso nei suoi
riguardi, che le bruciava e non poco, ma soprattutto per quello che doveva aver
provato Tristan nel sentire quelle cose su di lei. Era mortificata che si fosse
scontrato così presto con la cattiveria e la stupidità di cui solo alcuni
adolescenti sapevano macchiarsi. Quel tipo di cattiveria gratuita che
straripava nella Danes…
“Capisco.” Fu tutto
quello che riuscì a mormorare.
“Non abbiamo fatto in
tempo a fermarlo. Ho alzato gli occhi dal mio vaso e l’ho visto scattare come
una molla verso Walker e tirargli un pugno così forte da stenderlo a terra.
Ovviamente gli altri Corvonero gli sono saltati addosso ed erano in quattro
contro uno. Poi è scoppiato il caos.” Disse Hugo con tono sconsolato.
In quel momento si aprì
la porta dell’ufficio e comparve Tristan, alle sue spalle svettava l’insegnante
di Erbologia, con uno degli sguardi più duri che Angie gli avesse mai visto
stampato in viso. Ma gli occhi della ragazza sfiorarono appena il viso di
Paciock, per concentrarsi su quello del fratello. Strinse le labbra e sentì gli
occhi pizzicarle per la voglia di piangere.
Tristan aveva uno zigomo
gonfio con una cupa sfumatura violacea, un angolo della bocca spaccato con del
sangue rappreso, i capelli scarmigliati e gli occhi azzurri pieni di una rabbia
cocente. Poteva scommettere che anche il resto del suo corpo era ricoperto di
contusioni e dolore, causati dall’essere stato sopraffatto da quei quattro
imbecilli.
Era irriconoscibile.
Emanava una tale energia distruttiva che Angie si chiese dove fosse finito il
ragazzo sempre pronto a ridere, a progettare scherzi e avventure di dubbia
intelligenza, a divertirsi con gli amici.
Non li degnò nemmeno di
uno sguardo e scappò letteralmente dall’ufficio del Direttore di Grifondoro,
precipitandosi dall’altro lato del corridoio.
“Tristan!” urlò Lily, ma
il ragazzo non si voltò e continuò a correre.
“Ci penso io.” Disse
decisa Angie prima di scattare a sua volta a correre.
Provò a chiamarlo per
chiedergli di fermarsi, ma non le diede minimamente retta. Il Pidocchio era
veloce, magrolino com’era non ci avrebbe messo molto a seminarla, nonostante
Angie fosse ben allenata. Tuttavia, era anche un ingenuo.
Angelique dopo cinque
minuti di inseguimento perse la pazienza e sfoderò la bacchetta. Gli lanciò un
incantesimo delle Pastoie Total Body, che lo immobilizzò nel mezzo di un
corridoio del terzo piano con una gamba sollevata e una posa comica. Si
avvicinò con passo decisamente più calmo, fino ad averlo davanti a sé. Gli
occhi del ragazzo, l’unica parte ancora mobile, la osservavano torvi per quella
mossa così bassa.
“Oh, avanti Tristan, non
fare quella faccia! Mi stava iniziando a far male la milza, non avevo più
voglia di correre. È inutile che mi guardi così, non ti avrei lasciato andare.
Dobbiamo parlare.”
Angie, facendo leva sulle
braccia, si mise a sedere sul poggiolo della finestra davanti a lui, con le
gambe a penzoloni verso il corridoio. Il sole di maggio le irradiava la
schiena, rendendo quasi fastidioso il maglione di cotone della divisa.
Faceva ormai caldo,
l’estate era alle porte, così come gli esami di fine anno.
“Bene, iniziamo. Immagino
che Paciock ti abbia già spiegato che non puoi rispondere alla violenza verbale
con la violenza fisica, quindi tutta quella parte te la risparmio. Sono
l’ultima persona al mondo che possa farti ramanzine su come reagire con maturità
alle provocazioni.” Angie sollevò entrambe le sopracciglia ripensando a che
cosa aveva fatto lei alla Danes e vide una scintilla ironica passare negli
occhi di Tristan. “Io voglio parlare di te. Non ti ho mai visto finire da
Paciock senza Lily e Hugo, per non parlare del fatto che non c’era alcun
bisogno di prendere a pugni un compagno davanti ad un professore… Sarebbe
bastato aspettarlo in un qualunque corridoio al cambio di aula. So che essendo
un Grinfondoro non brilli particolarmente in strategia e preferisci usare la
clava invece del cervello, ma così mi sembra un tantino troppo persino per te.
Che cosa ti succede?”
Si guardarono fissi negli
occhi per qualche secondo e poi Angie ebbe un’illuminazione.
“Ah sì, scusa.” Estrasse
la bacchetta dalla manica e annullò parzialmente l’incantesimo, dandogli la
possibilità di rispondere.
“Potresti liberarmi le
gambe?” il tono acido con cui esordì Tristan le fece scattare un sopracciglio
verso l’attaccatura dei capelli. “Non ho intenzione di scappare. Voglio solo…
Sedermi lì.” Le disse indicando col mento il posto accanto a lei. Angie inclinò
il capo verso la spalla e dopo una breve valutazione del soggetto acconsentì a sciogliere
l’incantesimo.
Tristan quasi cadde per
terra dopo essere stato liberato, ma con una mossa agile si rimise in piedi e
la osservò sottecchi, prima di sedersi davvero accanto a lei. Nel sedersi fece
una smorfia di dolore e si massaggiò il lato destro del torace.
Le costole erano una
delle ossa che più facilmente di rompevano durante le colluttazioni, ne aveva
sistemate un buon numero in infermeria e sperava di non doverlo fare a suo
fratello.
“Togliti la camicia che
ti do un’occhiata.”
Tristan tentennò qualche
secondo, evidentemente combattuto tra la vergogna di spogliarsi davanti alla
sorella e il dolore delle botte. Poi i lividi ebbero la meglio sull’orgoglio,
così il giovane si tolse cravatta e camicia.
Sul torace aveva alcuni
ematomi piuttosto grossi, ma nessun osso rotto. Le braccia invece erano
costellazioni di segni rossi intensi e bluastri, che spiccavano sulla sua pelle
candida come papaveri nella neve. Come aveva potuto essere così stupido da scagliarsi
contro quattro ragazzi da solo?! Mentre sussurrava gli incantesimi per guarirlo
ed alleviare il dolore, sentiva il sangue ribollire per la rabbia di vederlo
conciato così.
“Lily ti ha detto tutto,
vero?” le chiese lui quando il dolore fu scemato abbastanza da fargli venir
voglia di parlare.
“Sì. Mi dispiace che tu
abbia dovuto sentire quelle cose. Il mondo non ha molta comprensione verso gli
errori delle donne. Per gli ignoranti o siamo Sante o siamo battone. Spero che
tu abbia idee differenti sulle ragazze, altrimenti dobbiamo parlare anche di
quello.” Lo osservò piuttosto severa mentre rimetteva la bacchetta nella
manica.
Tristan sgranò gli occhi
azzurri come se fossero stati due fanali e borbottò rivestendosi:
“Ovvio che non la penso
così! Quando l’ho sentito dire quelle cose, ho smesso di ragionare… L’unica
cosa che volevo era fargli tanto male quanto lui ne stava facendo a me. E sono
scattato.”
“Mmm… Tristan è un po’ di
tempo che scatti per qualunque cosa, te ne sei reso conto?”
Tristan deglutì e si
fissò le mani, screpolate sulle nocche, che aveva usato per colpire Walker poco
prima.
“Sì, ma non riesco a
fermare… queste cose che sento. È come se mi soffocassero. Vengono tutte
insieme, all’improvviso, e perdo il controllo.” Ammise dopo qualche istante,
cercando nel suo sguardo una spiegazione per quello che gli stava succedendo.
“Sei arrabbiato con me?
Per quello che ho fatto a Natale?” gli chiese a bassa voce, con lo stesso tono
che avrebbe usato cercando di calmare un gattino spaventato.
“No. Forse solo un po’
perché non mi hai ascoltato.” e le rivolse un’occhiataccia ricordandosi della
scena al ritorno delle vacanze di Natale. Poi riprese: “Sono arrabbiato con
tutti, tutto il tempo. Coi professori che pensano solo agli esami, con i miei
amici che pensano solo a ridere, con la mamma che fa finta di stare bene, con
tutti. È così stancante.” Le ultime parole gli sfuggirono quasi in un sussurro,
a testimoniare quanto tutte quei sentimenti gli pesassero sul cuore.
“Lo so.” Angelique annuì
e gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandoselo più vicino.
“Non voglio essere così
Angie. Non voglio provare solo rabbia o tristezza pensando alla mamma… Io
voglio tornare ad essere felice, ma non so come si fa!” Gli occhi di Tristan si
riempirono di lacrime e il giovane iniziò a piangere singhiozzando.
“Shhh… Vieni qui.” Angie
lo avvolse del tutto e lasciò che le piangesse sul maglioncino, tirando su col
naso rumorosamente e respirando a scatti. “Hai solo tredici anni Tris, e questo
è molto più grande di noi. L’unica cosa che puoi fare è affidarti alle persone
che ti voglio bene. Più ti chiudi e ti isoli dentro te stesso, più sarà
difficile per loro capire come raggiungerti e aiutarti. Non puoi affrontare
quello che ci sta succedendo da solo. Guarda che casino ho combinato io
pensando di poter sopravvivere da sola.”
Tristan sollevò il capo
dalla spalla su cui si era rifugiato per guardarla con la fronte aggrottata.
“Sì, ma tu sei scema, che
c’entra! Io lo so che ho bisogno dei miei amici, solo che non so come liberarmi
di tutta questa incazzatura.”
Beh, grazie mille.
Angie decise che parte
dell’essere sorella maggiore consisteva anche nell’essere molto paziente e non
sbattere giù dalla finestra quell’ingrato Pidocchio, ma donargli un pizzico di
saggezza nonostante la sua insolenza.
“Non puoi liberartene. Ci
devi passare attraverso e viverla per imparare a controllarla. Una buona mossa
potrebbe essere provare a respirare profondamente prima di dire o fare
cazzate.”
“E lasciare che quelli
come Walker la passino liscia?!” ogni parola pronunciata da Tristan trasudava
indignazione. Ma Angelique gli sorrise sorniona e scosse il capo.
“Oh no, Tristan. Mai.
Devi solo imparare come applicare la giustizia secondo le tradizioni di
famiglia.”
“E cioè?”
“Non preoccuparti, lo
capirai presto.”
***
La parte migliore delle
sue giornate erano i minuti che precedevano un loro incontro. Mentre
l’attendeva assaporava sulla punta della lingua il sapore che avrebbe ritrovato
sulle sue labbra, immaginava dove posare le proprie mani, se tra i capelli,
sulle spalle, sui fianchi, sulle natiche. Ripercorreva i contorni del corpo che
stava iniziando a conoscere con maniacalità dei dettagli. Così che quando
Angelique si materializzava davanti a lui, era già eccitato come quello che
era, appunto un adolescente innamorato. Nei primi minuti quasi non parlavano,
si divoravano di baci, affamati di un desiderio che le pause prese tra una
sessione di studio e l’altra non facevano altro che acuire.
Gigì aveva i GUFO
quell’anno e lui gli esami per l’ammissione all’ultimo anno, che avrebbe poi
portato ai MAGO. A volte, poche, si trovavano nelle ore buche per darsi una
mano a ripassare, ma bastava uno sguardo di troppo per ritrovarsi incollati
alle labbra dell’altro e non fermarsi più. Riuscivano a rimanere concentrati
solo durante le lezioni di Trasfigurazione, perché James e Gigì esercitavano
uno sforzo estremo sul proprio autocontrollo, consapevoli di quanto crucciale
fosse il voto dei GUFO per l’ammissione al tirocinio al San Mungo dell’anno
successivo.
Quella volta non era
riuscito ad aspettare l’appuntamento concordato per dopo cena. Erano sempre
molto discreti nei loro incontri, non che si svolgessero di nascosto, ma
entrambi preferivano che quello che stava succedendo restasse una cosa loro.
Sentivano il bisogno di proteggersi dai pettegolezzi e dai giudizi altrui. Quel
giorno però aveva voglia di vederla. Troppa per attendere la sera.
La campanella dell’ultima
ora suonò nei sotterranei a tutto volume e dopo un paio di minuti uscirono
dall’aula di Pozioni gli studenti del quinto anno con i capelli stravolti dai
fumi dei calderoni, gli sguardi allucinati di chi era passato attraverso un
compito in classe particolarmente difficile e le spalle curve per la
stanchezza.
Lei uscì tra gli ultimi,
come di solito, accompagnata da Martha ed Elena, che era tornata a frequentare
di persona le lezioni. Aveva i capelli raccolti in una crocchia alta, perché
non le dessero fastidio mentre preparava le pozioni. Aveva l’aria stanca, ma
serena e soddisfatta, probabilmente il compito era andato bene.
Quando aveva il
privilegio di osservarla prima che lei si accorgesse della sua presenza,
sentiva quel muscolo bislacco al centro del petto tremare per l’emozione. Fremeva
vedendo i suoi sorrisi spensierati, le sue mani magre e sottili che
trattenevano i libri, i riflessi dei suoi capelli illuminati dal sole estivo, le
mille espressioni che colorivano il suo viso mentre parlava con le sue amiche.
Non avrebbe saputo spiegarlo, ma anche avendola amata per anni, in poche
settimane aveva appreso di lei molto di più solo per il fatto di esserle
finalmente vicino.
Aveva imparato che spesso
le azioni di Angelique parlavano con molta più sincerità delle sue parole,
criptiche o reticenti. La tenerezza con cui gli accarezzava i capelli mentre chicchieravano,
il modo in cui si abbandonava tra le sue braccia quando la baciava, come tutto
il suo corpo reagiva al piacere condiviso, e mille altri piccoli gesti con cui
gli urlava che voleva stare insieme a lui senza averlo mai detto chiaramente. Il
corpo di Gigì era molto più affidabile della sua lingua.
“Gigì!” la chiamò a mezza
voce sbucando fuori dal mantello solo con la testa.
Le tre Serpeverde si
voltarono all’unisono verso di lui, stupite. Vide chiaramente le guance della
Dursley colorirsi di un vivo rosa.
Elena e Martha si
scambiarono uno sguardo ricco di sottointesi e, con un cenno di saluto, si
allontanarono, mentre lei lo raggiungeva nel piccolo anfratto in cui l’aveva
attesa fino a quel momento.
“James?! Ma che ci fai
qui?” Notò non con un certo sollievo che Angelique, nonostante la sorpresa di
trovarlo lì, stava sorridendo.
In particolare, aveva
stampato sulle labbra quel sorriso piccolo, contenuto agli angoli della bocca,
che le spuntava in viso solo quando cercava di non far vedere quanto fosse
contenta… Lo stesso di quando mangiava le Api Frizzole.
E cedette alla
tentazione.
La prese per un polso, tirandola
a sé. I libri le caddero di mano e, prima che lei potesse lamentarsi, le
sigillò le labbra con le proprie. Racchiuse la sua nuca nel palmo, accarezzando
i riccioli che sbucavano dalla pelle accaldata. Angelique si alzò sulle punte
dei piedi e gli avvolse il viso con le proprie mani, prima di schiudere le
labbra e cercare la sua lingua.
Invase la sua bocca come
gli fosse sempre appartenuta, come aveva sognato per troppe, troppe notti,
prendendone possesso senza alcun timore di essere brusco. Le loro lingue si
accarezzarono, fameliche, rincorrendosi tra le infinitesimali esitazioni
dell’altro, perché qual bacio non finisse mai. Le sue mani cercarono i fianchi
della ragazza, risalirono la sua schiena e la avvicinò a sé, trattenendo la
voglia di stringere con tutta la propria forza il suo corpo, che reagiva sempre
raccogliendo le sfide e duplicando la posta in gioco. Infatti, lei lo spinse
contro il muro, inchiodandolo lì come una farfalla inerme sotto lo spillo.
Senza interrompere per un secondo il contatto tra le loro bocche, strusciò in
modo lento e deciso il proprio bacino contro il suo. La reazione del corpo di
James fu pressoché immediata. Sentì la propria erezione frapporsi tra loro con
una vivacità quasi comica, come a chiarire che sì lui era lì ed era prontissimo
per tutto il resto. Tra un bacio e l’altro sentì le labbra di Angelique modellarsi
in un sorriso beffardo per l’effetto che riusciva a scatenare in lui.
“Vediamo se tra qualche
minuto avrai ancora voglia di ridere.” Le sussurrò ad un orecchio, sentendola
tendersi contro di lui nell’attimo in cui si rese conto di che cosa stesse per
fare.
La avvolse insieme a sé
sotto il mantello e invertì le posizioni.
La sovrastava in altezza
di tutta la testa e forse anche più. Spesso ricorrere al proprio corpo era
l’unico modo che trovava per non lasciarle vedere quanto si sentisse esposto.
Angelique lo osservava da sotto le ciglia con una tale eccitazione che gli fu
piuttosto difficile mantenere la calma.
Si chinò sul suo collo,
baciando con delicatezza la sua pelle profumata. Con la mano sinistra le
afferrò il ginocchio e se lo portò sul fianco, così che l’orlo della gonna le
scivolò fino a scoprire la biancheria intima. Un fiotto di calore si riversò
nel suo ventre all’istante, aumentando la sua eccitazione.
“Jessy…” lo chiamò
cercando di divincolarsi dal suo abbraccio con scarsa convinzione.
Scostò il viso dal collo
per poterla guardare dritta negli occhi. Premette allora il proprio bacino
contro il suo, imitando il suo gesto di poco prima, e si mosse contro il cotone
chiaro delle sue mutandine. Gli occhi di Gigì si spalancarono, così come le sue
labbra, e trattenne il respiro. Gli occhi verdi guizzarono verso il corridoio,
osservando tutt’attorno attraverso il tessuto del Mantello dell’Invisibilità.
“Jessy, potrebbero
sentirci.” Gli sussurrò con voce roca.
“Allora dovrai essere
molto silenziosa.” E con la mano percorse l’interno coscia fino a raggiungere
il bordo della sua biancheria. Angelique chiuse gli occhi e posò la fronte
sulla sua spalla, mentre con le mani gli afferrava le braccia. L’accarezzò dapprima
attraverso il tessuto, fino a sentire che si inumidiva contro i suoi
polpastrelli e poi finalmente scostò l’ultima barriera che si frapponeva tra
loro. Lei, per trattenere i gemiti, affondò i denti nella sua spalla, ma quando
con piccoli tocchi le accarezzò il clitoride, un ansito le sfuggì e risuonò in
tutto lo spazio attorno a loro.
Con la destra andò a
coprirle la bocca, attutendo i rumori da lei prodotti, mentre con la sinistra
continuò la propria opera a cui dedicò ogni possibile attenzione. Dopo qualche
minuto, teneva tra le braccia la ragazza ancora scossa dai brividi.
“E comunque non mi hai
ancora detto che cosa ci fai qui.” Biascicò Gigì sollevando la testa dal suo
petto e guardandolo un po’ confusa.
James scoppiò a ridere e
le baciò la punta del naso.
“Mi hanno appena dato una
bella notizia e avevo voglia di vederti.” Confessò stringendosi nelle spalle.
“Ah sì? Che cosa è
successo?” una mano di Angelique risalì dalla sua guancia per intrufolarsi nei
capelli e accarezzarli.
“Hanno accettato la mia
domanda per un tirocinio alla Gringott quest’estate.” A quelle parole,
l’espressione di Gigì mutò del tutto. I suoi occhi si snebbiarono e diventarono
vigili. Raddrizzò le spalle allontanandosi dal suo petto per poterlo osservare
meglio in viso.
“E da quando vorresti
andare a lavorare alla Gringott, scusa?” chiese stupita.
“Beh, non in ufficio
chiaramente… Voglio seguire uno Spazzaincantesimi per qualche settimana e
capire se fa davvero per me. Ho sempre sognato di essere come zio Bill.”
Confessò lui sorridendo al ricordo delle foto dello zio da giovane.
“Ah ecco, questo mi
sembra decisamente più da te. Sai già dove ti manderanno?” chiese Gigì
sorridendogli.
“Potrebbe essere il Perù,
la Cambogia, la Germania, il Messico o l’Egitto, chi lo sa! Parto ad Agosto.”
“Quindi sarai alla Tana
solo a Luglio.”
Qualcosa nel suo modo di
sorridere non lo convinceva del tutto. Sembrava che non riuscisse a raggiungere
i suoi occhi per quanto si sforzasse di inclinare le labbra verso l’alto.
“Che c’è?” le domando
assottigliando lo sguardo
“Sono molto contenta per
te. Stavo solo pensando all’internato al San Mungo dell’anno prossimo, spero
davvero di farcela.” Angie si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo,
puntandolo verso i libri abbandonati per terra.
Mise l’indice sotto il
suo mento e glielo sollevò dolcemente, fino ad avere nuovamente contatto con i
suoi occhi.
“Ce la farai.” le disse
con sicurezza.
Angelique decise che
l’argomento era definitivamente chiuso e gli diede un bacio rapido, chiedendo
subito dopo:
“Non hai fame?”
“Oh non puoi nemmeno
immaginare quanta.” Ammise pensando a tutte le tipologie di fame che sentiva in
quel momento.
***
Normalmente gli esami di
fine anno mettevano tutti sotto pressione. Quell’anno invece sembrava che
l’isteria avesse preso possesso di quasi tutti gli studenti del quinto anno.
Scorpius, che dal canto
suo si sentiva solo un po’ più teso del solito, osservava esterrefatto i
compagni di scuola saltare pasti per avere un’ora in più per studiare, girare
per i corridoi parlando da soli, scoppiare a piangere senza motivo nel mezzo
dell’aula studio e comportarsi nei modi più assurdi sotto l’unica
giustificazione del “TRA DUE SETTIMANE INIZIANO I GUFO!”.
Era l’ultimo giorno di
lezioni del quinto anno e si respirava un’aria particolare. Scorpius non
avrebbe saputo esattamente come descriverlo, ma aveva la sensazione di essere
di fronte ad un finale, un cambiamento o un evento incontrollabile.
A seconda dei risultati
degli esami, l’anno successivo gli studenti sarebbero stati smistati in corsi
diversi, con la finalità di prepararli al meglio per la carriera che
desideravano intraprendere. Lui osservava i suoi amici, Angie e Al in
particolare, quelli con le idee più chiare sul proprio futuro e li invidiava.
Sì, perché lui, di che
cosa avrebbe voluto fare nel proprio futuro, non aveva la benché minima idea.
Negli anni precedenti si era limitato a vivere pensando che Hogwarts non
sarebbe mai finita, che ci sarebbe sempre stato un primo settembre al binario 9
¾, che ci sarebbe sempre stata una Sala Comune in cui chiacchierare con gli
amici, che ci sarebbe sempre stata la routine di lezioni, allenamenti e pasti
in Sala Grande. E invece si trovava di fronte alla realizzazione per la prima
volta in vita sua che tutta la quotidianità in cui si sentiva davvero a casa,
prima o poi sarebbe finita.
I GUFO erano dunque in
sintesi l’inizio della fine.
“Uno zellino per i tuoi
pensieri.”
La voce di Martha lo
riscosse. Si era imbambolato davanti ad uno scaffale della biblioteca.
“Guarda per questo genere
di pensieri direi meno di una falce.” Borbottò con tono cupo.
La O’Quinn si appoggiò
con una spalla al mobile di legno per osservarlo con un sopracciglio inarcato e
una vistosa espressione ironica in viso.
“Che c’è? La tua bella
Weasley ha preferito per l’ennesima volta un testo di Trasfigurazione a te?”
A quelle parole un sorriso
sornione prese vita sulle sue labbra e rispose reticente:
“Non direi proprio.”
Già, perché dopo quel
bacio improvviso in biblioteca, lui aveva chiesto a Rose di parlare e l’aveva
posta davanti ad una scelta. O frequentarsi come tutte le persone normali o
smettere del tutto di vedersi. Non ce la faceva più a rincorrerla, a non sapere
mai che cosa sarebbe passato per quel cervello brillante, che dall’oggi al
domani cambiava idea su di lui.
Era andato a
quell’appuntamento preparato all’evenienza più probabile e funesta, ovvero che
Rose gli dicesse che non aveva alcuna intenzione di uscire con lui, come per
altro aveva già detto in passato. E invece, dopo aver pronunciato con freddezza
quelle parole che gli riducevano lo stomaco ad una nocciolina, si era ritrovato
a fissare due occhi blu spalancati in un’espressione insolitamente timida.
“Scorpius, io non so come
si frequentino le persone normali… Non sono mai uscita con nessuno.” Aveva
sussurrato lei chinando la testa per l’imbarazzo.
L’aveva sorpreso ancora,
come sempre.
Aveva risposto in modo
immediato e assolutamente entusiasta, baciandola fino a perdere il fiato. Da
quel giorno avevano iniziato a uscire insieme e non poteva dirsi più felice di
così. Ma…
“Oh beh, ne sono proprio
felice. Qual è il problema dunque?”
“Mi sento senza un vero
progetto Martha. Vedo tutti voi che sapete perfettamente che cosa fare dopo
Hogwarts e l’unica cosa a cui riesco a pensare io è che non vorrei mai che
finisse.” Sperò che il tono non fosse petulante quanto i suoi pensieri.
“Tutti?! Forse vorrai
dire Angie e Al! Noi comuni mortali non sappiamo per nulla che cosa faremo tra
due anni. Beh, forse è abbastanza facile immaginare che Nana lavorerà con delle
creature pericolose e potenzialmente mortali, ma per il resto siamo tutti nella
stessa barca.” Martha alzò le spalle con noncuranza e si appoggiò allo scaffale
della libreria per poterlo guardare in volto.
“Oh… Io pensavo che
aveste tutti le idee molto più chiare delle mie.”
“Oh, io no di certo. E
poi se prenderai dei buoni voti ai GUFO, e non vedo perché non dovresti
riuscirci, potrai continuare a frequentare tutti i corsi che vorrai. Magari
scoprirai di voler fare ricerca nel mondo della Trasfigurazione frequentando il
corso avanzato di Cavendish! Hai ancora un sacco di tempo per trovare qualcosa
che ti appassioni davvero, che ti faccia capire di essere sulla strada giusta.”
“Ma quanta positività!
Pensi che sia dovuta ai numerosi orgasmi che Al ti procura?”
Non ebbe la prontezza di
schivare lo schiaffo sul coppino che lei gli rifilò.
“Non so quando sia
successo, ma sei diventato un vero impertinente Scorpius Hyperion Malfoy!”
Le sorrise chiedendole
silenziosamente scusa e lei roteò gli occhi al cielo. Scorpius rimase in
silenzio osservando i volumi impilati con ordine davanti a sé, poi riprese le
proprie confessioni:
“E poi non è solo una
questione di che cosa fare dopo… è come se percepissi il mondo attorno a me che
vortica impazzito verso un futuro di cui nessuno sa nulla, senza alcuna
attenzione per quello che succede ora. Non credi che sia molto più importante
sapere che cosa vuoi oggi, invece che continuare a domandarti come sarà la tua
vita tra cinque anni?!”
“Beh, per sapere che cosa
vuoi devi per forza guardarti dentro e a tante persone, compresi gli adulti,
questa cosa non piace per nulla. Per questo preferiscono vivere proiettati nel
futuro, è più facile. È lontano e pieno di possibilità mentre l’oggi a volte
sembra solo una trappola.” Martha a volte riusciva a elargire tanta saggezza
che lo lasciava spiazzato. Come poteva a sedici anni dirgli delle cose del
genere?!
“Per me è il contrario. A
me l’oggi piace, io sono a mio agio in questo mondo, vorrei che non finisse
mai. Come si fa a scegliere a quindici anni che cosa fare per il resto della
propria vita? Mi sembra assurdo.”
“Forse dovresti fare una
chiacchierata con Derek Schatten al riguardo, lui si che è un grande esperto di
scelte definitive decisamente precoci.”
Una smorfia di ripugnanza
prese vita sul suo viso senza che lui provasse minimamente a mitigarla.
“Piuttosto che parlare
con quel verme mi metto a studiare Antiche Rune con te.”
E in realtà fu quello che
fece per il resto del pomeriggio. Studiare accanto alla sua amica, senza
angosciarsi troppo per quello che sarebbe venuto dopo.
***
Dominique amava la bella
stagione. In generale considerava il clima inglese poco adatto a sé, autunni e
inverni troppo lunghi, troppa pioggia, freddo, il che si traduceva sempre in
vestiti troppo pesanti per i suoi gusti. Se doveva immaginarsi in un luogo
affine alla propria indole, pensava sempre al Sud della Francia, dove le estati
erano lente ad andarsene e le primavere precoci nei loro profumi e nel tepore. Tanto
più che l’estate era la sua stagione anche secondo l’armocromia!
Per il momento l’unica
cosa che trovava da rimproverare all’estate era il periodo degli esami di fine
anno. Pur non avendo una grande passione per lo studio, (per essere eufemistici),
era comunque costretta a ripassi e studi disperati, consapevole che poteva
capitare di non riuscire a copiare spudoratamente da Jimmy, anche se negli anni
passati erano sempre stati un’ottima squadra.
Dom, tuttavia, era
convinta che lo spirito necessitasse gratificazione, soprattutto in momenti
così frustranti come la preparazione degli esami. Per questo aveva organizzato
un pomeriggio di studio sulle rive del Lago Nero, al termine di quel folle anno
scolastico, in cui se n’erano viste di cotte e di crude.
Aveva invitato tutti i
propri cugini e i Serpeverde del quinto anno. La scelta degli inviti aveva
suscitato perplessità in un gruppo e nell’altro, ad eccezione di Angie e Albus
che così raramente vedevano vicini i loro due mondi. Ovviamente una delle
motivazioni che l’avevano spinta ad organizzare quel pic-nic di studio era
l’interesse accademico per le relazioni così intricate che scorrevano tra
quegli adolescenti innamorati. Dom voleva vederli insieme, tutti quanti, e
quella volta li avrebbe visti davvero perché aveva indossato le lenti a
contatto!
Aveva steso coperte
scozzesi a distanza di qualche metro l’una dall’altra, così che i vari gruppi
di studio non si sarebbero infastiditi a vicenda. Su ciascuna area di studio
aveva posizionato acqua, limonata fresca e biscotti. E ovviamente aveva
selezionato la zona del Lago dove l’ombra delle piante creava una piacevole
frescura. Come fosse riuscita a occupare un’area pari alle dimensioni di un
piccolo stato europeo nella parte di Parco più ambita dagli studenti disperati
e snervati dagli esami?! Semplice, lei era Dominique ed era divina, anche e soprattutto
quando si doveva organizzate qualcosa di assolutamente inutile ma estremamente
grazioso, come in un pic-nic a giugno.
“Dovresti farlo di lavoro.”
Jimmy, che portava tra le
braccia un cesto gigantesco, comparve sulla piazzola con sguardo ammirato per
la sua opera.
“Sarei maledettamente
brava, immaginati come potrebbe essere creare eventi per babbani e mascherare
la magia con gli effetti speciali!”
“Credo violi un paio di
leggi magiche questa cosa.” Esclamò lui inarcando vistosamente un sopracciglio.
“Goldy ti manda questo dalle cucine, da quanto pesa potrebbe esserci dentro un
mammuth a pezzi.”
“Che immagine disgustosa!
Goldy non mi farebbe mai una cosa del genere. Fammi vedere che cosa mi ha
preparato quella santa.”
Dentro il cesto si
celavano una quantità di spuntini dolci e salati da rendere giustizia alle
migliori tavole imbandite di Hogwarts. Dominique passò i successivi minuti a
dire a James che cosa mettere sui diversi plaid e quello obbedì senza
lamentele, consapevole che comunque il suo destino non sarebbe cambiato. Tra le
molte ragioni per cui amava Jimmy c’era anche la sua totale resa al potere
femminile della famiglia. In effetti lui ne era stato vittima anche in tenera
età, come dimenticarsi di Mr. Poppy…
“A che pensi?”
“All’episodio della
casetta sull’albero.” Confessò candidamente, osservando un lampo di panico
passare negli occhi di Jimmy. Lui, grande e grosso, con abilità magiche notevoli,
alla soglia della maggiore età che ancora se la faceva sotto al ricordo di che
cosa fosse successo quel pomeriggio di tanti anni prima. “Non preoccuparti
tesoro, prima o poi lo supererai.” Gli disse dandogli delle pacchette sulla
spalla per calmarlo.
La prima ad arrivare fu
insolitamente Leda, con al fianco l’inseparabile Lily. Da quando quelle due
avevano iniziato a condividere anche la stanza per dormire erano diventata
ancor più simbiotiche. Dom si chiedeva come avrebbe fatto l’anno successivo la piccola
Lara senza la sua coreggente, sarebbe stata come Angie senza Roxanne? Avrebbe
dovuto ricostruire la propria quotidianità senza la persona che costituiva il
fondamento delle sue sicurezze e del suo coraggio?
Pochi, osservandole,
avrebbero indovinato quanto si appoggiassero l’una all’altra, dato che in
apparenza entrambe risultavano spavalde, fiere, incrollabili. E invece si erano
affidate reciprocamente le proprie fragilità, perché fossero custodite e
protette dalla persona in cui avevano più fiducia, lasciando intravedere al
resto del mondo solo quello che volevano.
“Lucie, ma belle,
tu e Fred studierete con me e Jimmy oggi, va bene?” le disse pendendola a
braccetto e dirottandola verso la coperta dal lato opposto a quella dei ragazzi
del terzo anno.
Lucy grugnì qualcosa di
poco entusiasta.
Dominique non si stupì di
veder arrivare puntuali tutti gli invitati al pic-nic, quasi che non volessero
far brutta impressione. La rete formata dalle relazioni tra Grifondoro e
Serpeverde, tra parenti e amici, era un intricato mosaico pieno di sfumature e
spaccature che lei osservava con crescente interesse.
Il motivo per cui li
aveva invitati tutti quel pomeriggio non era solo condividere insieme un
pomeriggio di studio pre-esami. Dominique li voleva tutti insieme, in un
ambiente che non li mettesse sotto pressione, per creare finalmente la fusione
che aveva sempre sperato di vedere. Per orchestrare l’armonia che tutti si
meritavano alla fine di quell’anno che aveva stravolto le vite di ciascuno… a
parte Fred. Lui aveva come unica preoccupazione quella di deodorare le proprie
scarpe per non far svenire i suoi compagni di stanza.
“Dominique, ma è
bellissimo!” Martha O’Quinn, deliziata dal luogo, alzò il viso verso la luce
che filtrava dalle fronde degli alberi, strizzando gli occhi in un’espressione
buffa. Albus accanto a lei la osservava come uno a dieta da sei mesi che vede
un bignè al cioccolato.
Adorabili. Goffi e
adorabili, le piacevano un sacco quei due insieme.
Scorpius Malfoy, alle sue
spalle sostava, sul limitare della radura con i libri sottobraccio e lo sguardo
ostinatamente fisso sul Lago Nero. Resisteva stoicamente alla voglia di godersi
l’immagine di Rose a piedi scalzi sul plaid di tartan rosso, i cui capelli
erano infuocati dal sole estivo, concentrata a ignorarlo più che a leggere il
libro sulle sue ginocchia. Chissà chi aveva la testa più dura tra quei due?
“Oh guarda, c’è anche la
torta al cioccolato!” esclamò entusiasta Angelique mollando la tracolla
sull’erba e andando come prima cosa a tagliarsi una fetta di dolce. James a
distanza di qualche metro nascose un sorriso guardandosi le scarpe.
Dominique passò le ore
successive a far finta di ascoltare Jimmy ripetere il programma di
Trasfigurazione del sesto anno. Nel frattempo, si concesse l’analisi di ciascun
membro di quello strano gruppo come mai ne aveva avuto occasione prima.
Barrach e Zabini erano
stati la vera sorpresa della giornata. Non conoscendoli bene non si sarebbe mai
aspettata di provare tanta tenerezza e simpatia per quell’improbabile
accoppiata. Elena rispondeva all’interrogazione di Martha utilizzando le gambe
di Bertram come cuscino, lui d’altro canto non perdeva occasione per sfiorare i
suoi capelli con delicatezza o lanciarle un’occhiata di sbieco tra uno schema e
l’altro.
Di tanto in tanto uno dei
gruppi si interrompeva per qualche dubbio o per discutere sugli argomenti più
complessi. Quelli del gruppo vicino quando possibile partecipavano dando una
mano, così che nel corso del pomeriggio si videro migrazioni da una postazione
all’altra, a volte anche solo per rubare gli ultimi stuzzichini rimasti.
A fine giornata erano
tutti stanchi, ma Dom sentiva nell’aria la soddisfazione generale per quelle
ore passate all’aperto anziché tra gli scaffali polverosi della Biblioteca.
Solo Rose, Martha e Albus imperterriti continuavano a ripassare. Gli altri si
concedevano qualche minuto di pausa prima di rientrare al castello per cena.
Jimmy passeggiava avanti
e indietro sugli scogli davanti alle rive del Lago Nero, saltellando da una
roccia all’altra e rimanendo in equilibrio su un piede solo per gioco.
“Scommetto dieci falci
che cadi nel Lago.” Gli disse inducendolo ad alzare il viso verso di lei con un
sorriso di sfida. Per provocarla fece un balzo ancora più audace verso un masso
che si sporgeva verso le acque scure come la passerella di una nave.
A paio di metri da lei,
Angelique alzò lo sguardo dalla partita a tris che stava giocando con Elena e
lo guardò intensamente, pensando che tutti fossero assorti nel proprio ozio.
Fu questione di un
attimo.
Jimmy percepì i suoi
occhi su di sé, ricambiò l’occhiata a dir poco esplicita alzando la testa. Il
sole cambiò angolazione e illuminò il viso del ragazzo. Angie stupita inclinò
il capo sulla spalla.
“Ma i tuoi capelli hanno
una sfumatura rossiccia!” esclamò ad alta voce sorridendo, in un raro momento
di silenzio generale.
Tutti gli occhi dei
presenti si fissarono su di lei. Su di loro.
La faccia di Angie
assunse per qualche istante la medesima espressione di un carlino, una cosa
veramente esilarante. Jimmy nel panico, si mosse senza guardare dove metteva i
piedi.
E con un sonoro “splash”
cadde nel lago. Riemerse quasi subito, nel silenzio generale imbarazzato per
quella strana sequenza.
Poi Angelique scoppiò a
ridere.
Rise così forte che si
accasciò sulla coperta, tenendosi la pancia. Rise con tutta la sfacciataggine
di cui era capace, trascinando con sé anche gli altri.
Vide Martha mordersi le
labbra e osservare l’amica con gli occhi lucidi di emozione. Erano mesi che
nessuno sentiva Angelique ridere in quel modo. Sembrava un suono dimenticato,
sepolto sotto gli strati di dolore e perdita in cui erano rimaste intrappolate
così tante cose di lei. Invece sulle rive del Lago Scuro sbocciava finalmente
un altro ramo di rinascita di quella ragazza, capace di precipitare sul fondo
della propria anima e poi riemergerne molto più splendente, più fragile e più
umana.
“Ti stai divertendo vero?”
chiese Jimmy facendo leva con le braccia su una roccia e tirandosi fuori dal
Lago senza difficoltà.
Angelique rispose
sbellicandosi ancora di più. Fu così che, troppo indebolita dalla sua ilarità,
non riuscì a sfuggire. Jimmy corse verso di lei, grondante d’acqua, l’acchiappò
in un lampo, proprio mentre lei cercava di alzarsi. Se la caricò in spalle e in
men che non si dica si lanciò nel Lago Nero con lei.
A quel punto le risate
furono incontenibili per tutti. E fu un bene che ridessero, perché nessuno notò
che Angie e James ci misero parecchio a riemergere e che quando lo fecero i
loro volti erano praticamente incollati.
Angie e James rimasero
qualche minuto immersi nel Lago tentando di affogarsi a vicenda, mentre gli
occhi curiosi dei cugini e degli amici li seguivano.
Dominique sgranchì le
gambe e si lasciò andare sul prato per osservare il cielo attraverso le foglie
degli alberi.
L’estate era alle porte. Pochi
giorni dopo sarebbero iniziati i G.U.F.O. Lei avrebbe copiato senza alcun
ritegno. Il matrimonio di Vic e Teddy era già organizzato.
Tutto sarebbe andato
bene.
***
“Spiegatemi perché stiamo
rischiando di farci togliere un numero incalcolabile di punti proprio quando
siamo in testa alla Classifica delle Case?!”
“Perché è maledettamente
divertente!”
“Elena non urlare!”
“Mamma mia, come sei
noioso Scorpius…”
Indisciplinati. Tutti
quanti. L’unico che si salvava era Berty. Per il resto erano una manica di
babbuini indisciplinati come diceva la McGranitt!
Non si poteva nemmeno
organizzare una fuga illegale dai dormitori, che subito c’era chi si faceva
prendere dal panico, come Martha, o chi come Elena andava in contro al pericolo
a passo di danza.
Albus scambiò uno sguardo
con Angie la quale fece sbucare dalla manica la punta della bacchetta
all’istante:
“Le tolgo la voce?”
“No, finirebbe malissimo…
Ti ricordi quando Martha l’ha impastoiata a settembre durante Pozioni?! È
andata avanti mesi a lamentarsi.” Le rispose bisbigliando.
Un sorriso sbucò
all’angolo della sua bocca, seminascosta dal cappuccio del mantello. Angelique
fu la prima a sbucare nel corridoio e dopo qualche istante fece segno a tutti
quanti di avanzare.
Rapidi come topolini in
fuga, si infilarono uno ad uno nella porta che portava alla Torre di Astronomia,
Martha sempre borbottando sommessamente come una pentola di fagioli sul fuoco.
Al la prese per mano una
volta all’interno della Torre e le baciò il dorso, in un gesto di tenerezza che
di solito riservava alla loro intimità. Gli occhi marroni di Martha guizzarono
nei suoi, grandi, dolci come il cioccolato a cui tanto assomigliavano. Lesse
tra i suoi lineamenti, che avevano perso all’istante il turbamento per la
Classifica delle Case, il crescente desiderio che anche lui provava, viscerale
e profondo come un richiamo del sangue.
“Beh allora dove sono il
cibo e l’alcool?!”
Elena. Un folletto con
l’anima di uno schiacciasassi.
“Nana non sono convinto
che l’alcool ti faccia bene alle emicranie!” subito la faccia perplessa di
Berty fece capolino da dietro il telescopio con cui stava armeggiando.
“Sembrerebbe che nulla
faccia bene a queste maledette emicranie! Vivo perennemente sotto pozioni
antidolorifiche, sto diventando una drogata.” Gli si avvicinò sporgendo appena
il labbro inferiore in un moto di mestizia così palese, che persino un Troll
avrebbe capito la messa in scena. Ma non il povero Bertram. “Ti prego lasciami
bere almeno un’Acquaviola, piccola piccola.”
Quel povero ragazzo,
vittima inerme dei propri ormoni, guardò Elena con occhi confusi, combattuto
tra la ramanzina e la resa di fronte a quel broncio per lui adorabile.
“Bertram! Forza di
volontà, per le mutande di Merlino! O questa qui ti farà fesso per il resto dei
tuoi giorni.” Caustico come suo solito, Scorpius Malfoy intervenne prontamente
per scongiurare il cedimento delle difese del Prefetto Barrach.
Berty raddrizzò la
schiena e con sguardo risoluto, anche se sinceramente dispiaciuto si rivolse a
Elena:
“Mi dispiace, solo
Burrobirre per te stasera.”
Elena si sgonfiò come un
palloncino. Si prese una piccola vendetta passando casualmente accanto a Scorp
e rifilandogli un calcio negli stinchi.
“Oh scusa Scopius, è
tutto così buio qua su!”
“Nana malefica.”
“Babbeo imbalsamato.”
Angie bisbigliò un
incantesimo verso il soffitto, dalla sua bacchetta uscirono tante piccole fiammelle
che andarono a galleggiare sopra le loro teste e rischiarano la Torre di una
luce morbida e aranciata.
“Così nessuno si farà del
male. Vero, ragazzi?”
Entrambi masticarono tra
un mugugno e l’altro delle risposte poco convinte.
Quella strana gita di
mezzanotte era stata insospettabilmente orchestrata da niente di meno che
Bertram Barrach. Il giovane, eccellente studente di Astronomia, aveva
annunciato che quella notte si sarebbe verificato un evento più unico che raro,
e che non era proprio possibile perderselo a causa della posizione della loro
Sala Comune in fondo al Lago Nero. Così l’opzione più logica era stata quella
di evadere e prendere possesso della torre.
“Come mi piacerebbe avere
uno schermo da collegare al telescopio. Pazienza, ci accontenteremo di questo… Speculum
optices.” La bacchetta di Berty toccò l’ottone del telescopio e
immediatamente accanto ad esso si creò uno schermo olografico che rimandava
l’immagine della lente del telescopio.
Albus riconobbe con
qualche sforzo le stelle che componevano la costellazione del Saggitario,
perfettamente visibili in quel periodo dell’anno.
“Adesso ci vuoi
finalmente dire perché siamo qui?” chiese Angie andando a osservare lo schermo
da vicino.
Berty si raddrizzò e con
uno scintillio negli occhi iniziò a spiegare:
“Stasera nella Nebulosa
della Laguna, situata nella costellazione del Saggittario, come voi tutti
sapete bene…”
“Certo, chi mai potrebbe
dimenticarsene!” commentò irriverente Elena, guadagnandosi immediatamente un
acidissimo “Shhh!” da parte di Martha e Angie.
“Stavo dicendo che nella
Nebulosa Laguna questa sera passerà uno sciame di stelle comete. All’inizio
volevo solo mostrarvi lo sciame, poi mi sono chiesto… avranno mai visto com’è
una nebulosa vista dal telescopio Hubble?”
“Il che?” la faccia
perplessa di Scorpius rifletteva quelle analoghe di Nana, Octavius e Martha. Al
sorrise tra sé, pensando a quanto ancora fosse distante il Mondo Magico dalla
tecnologia babbana.
“Il telescopio Hubble è
un telescopio spaziale che i babbani hanno inventato per fare studi avanzati di
astrofisica, ma per ciò che interessa noi, è un telescopio in grado di
fotografare molto da vicino i fenomeni dell’universo, tra cui anche le
Nebulose.” Sul viso di Bertram si allargò un sorriso smagliante e con una lieve
rotazione del busto mormorò un incantesimo.
Lo schermo olografico
iniziò a tremolare e l’immagine subì una strana modifica, come se si
proiettasse in avanti ad una velocità folle, come nei film di fantascienza sui
viaggi interstellari che tanto piacevano a nonno Arthur. Si fermò dopo qualche
secondo per focalizzare una delle cose più incredibili che Albus avesse mai
visto.
Un “Ohhh.” Di meraviglia
collettivo accolse l’immagine reale della Nebulosa della Laguna.
Era una formazione
irregolare di polvere stellare, dai contorni quasi ovoidali, che disegnava
volute fantasiose e magnifiche sullo sfondo di migliaia di stelle. Le polveri e
i gas stellari in quella precisa nebulosa assumevano alla periferia le
colorazioni più vivaci tra il rosso e il rosa, con qualche spruzzata di azzurro
qua e là, mentre verso il cuore si rischiaravano fino al candore.
Albus sentì distintamente
una soggezione profonda davanti a quella meraviglia, gli sembrava che la
magnificenza dei colori e l’assoluta gratuità dello splendore della Nebulosa lo
spingessero verso una sottile inquietudine. Si sentiva minuscolo, privo di
significato, annichilito dallo spazio sterminato di quel gigante di luce.
“È la cosa più bella che
abbia mai visto.” La voce cavernosa di Octavius colse di sorpresa quasi tutti,
tranne Bertram che stava gongolando troppo per sorprendersi di alcunché.
Octavius guardava coi suoi occhi piccoli e scuri l’immagine della Nebulosa con
una meraviglia scintillante, come un bambino davanti alle sue prime luci di
Natale.
“Penso manchi ancora
qualche minuto al passaggio dello sciame.” Annunciò Berty mettendosi anche lui
di fronte allo schermo
Si sedettero tutti quanti
per terra, con le schiene appoggiate ai muri ricurvi della torre, ciascuno con
la propria Burrobirra in mano per solidarietà con la sobrietà forzata di Elena.
Le luci delle fiammelle
sul soffitto evocate da Angelique si affievolirono pian piano, fino a lasciare
come unica fonte luminosa lo schermo olografico, che gettava sui loro visi le
sfumature calde della Nebulosa. Chiacchieravano e ridevano nell’attesa, ma si
gustavano anche lunghi momenti di silenzio, consapevoli tutti quanti che quella
notte sulla Torre di Astronomia fosse un regalo prezioso.
Era la notte prima
dell’inizio dei GUFO.
Albus si sentiva percorso
da ondate di entusiasmo, di tensione e di nostalgia, come se già percepisse la
mancanza di quegli attimi che ai suoi occhi erano perfetti, che non sarebbero
più tornati, erano unici come i secondi che li scandivano, e per questo
inestimabili.
La sua spalla destra era
appoggiata a quella sinistra di Angelique. Un vento fresco scompigliava i
riccioli ramati di Martha e le accarezzava la pelle rosea. Ogni tanto Elena
interrompeva il silenzio con domande curiose sulle stelle. Le caviglie
incrociate di Scorpius rimandavano una tranquillità tradita dai suoi occhi
grigi, che tutto osservavano, due sfere di ardesia su cui il ragazzo incideva i
suoi ricordi. Le braccia di Berty avvolgevano con spontaneità il corpo esile di
Elena. Le esclamazioni stupite di Octavius accompagnavano le spiegazioni di
Bertram.
Non avrebbe saputo come
meglio descrivere la felicità, quella totalizzante, quella che mentre la vivi
ti rendi conto che è una grazia per cui vale la pena vivere. Quella che capita
poche volte.
“Eccole!” esclamò Angie
estasiata, indicando con l’indice lo schermo olografico.
Gli occhi di Al seguirono
il suo dito e dopo un istante anche lui vide sfrecciare una scia argentata,
veloce come un battito di ciglia, così rapida che gli venne il dubbio di non
averla vista. E dopo qualche secondo un’altra stella cadente, un’altra ancora e
ancora.
In pochi minuti il cielo
fu invaso da una pioggia di stelle cadenti, alcune talmente rapide da non
essere niente di più che linee sottili, altre più vicine di cui di poteva
distinguere il colore bruciante del corpo celeste che attraversava la Nebulosa.
Nessuno di loro sapeva
che cosa sarebbe successo l’indomani, quali domande sarebbero state loro poste
al primo scritto di Incantesimi, quante lezioni avrebbero frequentato insieme
l’anno successivo, quali strade avrebbero imboccato dopo la scuola.
Sapevano però che si
avevano a vicenda. Si appartenevano e questo rendeva sopportabile qualunque
incognita futura.
***
Il primo giorno di esami
ministeriali è solitamente un momento di grande fermento. I ragazzi sono molto
concentrati e molto disperati, i professori d’altra parte sono desiderosi che
facciano una buona impressione agli esaminatori. Così che la Sala Gande somiglia
ogni anno a un grande formicaio in quei giorni di giugno.
Tuttavia, in quel
particolare anno, successe un fatto che negli anni successivi divenne quasi
leggenda.
Si racconta che al
risveglio nella Sala Comune di Corvonero mancassero dai propri letti tutti i
giovani del terzo anno. Data l’aggressione subita da Elena Zabini qualche mese
prima, la preoccupazione salì vertiginosamente tra gli studenti. Venne
contattato immediatamente il Direttore della Casa, il vecchio Vitious, che
diede il via alle ricerche con grande zelo.
La ricerca ebbe in realtà
un esito molto rapido e fausto. In breve, i ragazzi vennero ritrovati sani e
salvi, perfettamente ancorati alle pareti millenarie della Sala d’Ingresso.
I giovani Corvonero
invocavano disperati aiuto a parecchi metri da terra. I professori si
adoperarono per cercare di risolvere la situazione prima dell’arrivo degli
esaminatori del Ministero, inutilmente, perché sembrava che si trattasse
proprio di un Incantesimo di Adesione Permanente fatto ad arte.
I quattro, appesi come
spaventapasseri, affermavano tra le lacrime di non sapere come fossero finiti
lì, ricordavano solo di essersi coricati la sera prima e poi al loro risveglio
di essersi ritrovati in quella posizione.
I più anziani ricordavano
gli anni in cui Roxanne Weasley era stata una studentessa di quella scuola, e
come nell’omertà generale i suoi nemici finissero a più riprese incollati per
le mutande alle pareti della Sala d’Ingresso, a monito di tutti quelli che
avessero osato sfidarla.
Ancora meno erano gli
studenti che rammentavano che dovunque La Weasley incedesse col suo passo da
generale, si poteva trovare accanto una ragazzina dai voluminosi ricci biondi e
lo sguardo affilato.
Angelique sembrava molto
rilassata e soddisfatta quella prima mattina di esami. Aveva un po’ di
occhiaie, imputabili forse allo studio e allo stress, ma in generale tutte le
sue movenze rimandavano una calma profonda, che sapeva tanto di vittoria.
James l’aveva vista
immediatamente varcando la Sala Grande, dove pochissimi studenti si stavano
godendo la colazione, poiché la stragrande maggioranza assisteva alle
operazioni di salvataggio nella stanza adiacente. Si avvicinò al tavolo di
Serpeverde dove Angie faceva colazione con Martha e Nana.
Lei sentendo i suoi passi
alzò il viso e lo guardò avvicinarsi.
Quando se la trovò
davanti inarcò vistosamente un sopracciglio.
“Gigì?” le chiese
perfettamente consapevole che nessuna domanda avesse bisogno di essere
formulata davanti a una firma così spudorata delle sue azioni.
Lei in risposta inclinò
il capo sulla spalla e gli rivolse un sorriso smagliante:
“Jessy?!”
Aveva anche usato l’Oblivion
su quei quattro sciagurati. Ne era certo.
Scosse sconsolato la
testa e sorrise anche lui.
“Falli secchi oggi.” Le
disse prima di voltarsi. Il sorriso di Angie si ridimensionò parecchio, per
diventare più contenuto e determinato.
Dirigendosi verso il
tavolo della propria Casa, James vide Lucy e Lily accasciate sui tavoli in
pieno delirio da sonno, mentre Rose con gli appunti in mano tentava di sospingere
caffè e toast verso di loro. Dom aveva dei cetrioli appoggiati sugli occhi e il
volto rivolto verso il soffitto.
Ovviamente per quanto
fosse talentuosa, Gigì non avrebbe mai agito da sola… E dopotutto quello non
era forse il marchio di famiglia, come diceva sempre Roxanne?
Si sedette accanto a
Dominique e aprì il libro di Difesa Contro le Arti Oscure. Lei gli fece una
carezza sul polso come saluto e non si mosse di un millimetro per non far
cadere le fette di cetriolo.
Mentre si versava il
caffè vide entrare Tristan e Hugo. Il primo guardò insistentemente verso il
tavolo di Serpeverde con una gratitudine che non gli aveva mai visto esprime
prima. Sua sorella sorrise e gli fece l’occhiolino.
Quando arrivarono i
ministeriali i giovani Corvonero erano stati rimossi dalle pareti, come tutti
quelli a cui era toccata la stessa sorte, lasciando cioè sui muri i propri
vestiti e la propria biancheria intima.
Per molti anni a venire
si raccontò di quella esaminatrice che, osservando basita il muro su cui
campeggiavano gli indumenti, chiese alla Preside di che cosa si trattasse. La
Mcgranitt con la faccia di bronzo più colossale della storia rispose che fosse
un’installazione di arte moderna.
E così ebbero inizio gli
esami di fine anno.
Note dell’Autrice:
Eccomi di ritorno dopo un
anno, come sempre non so nemmeno se qualcuno segua più questa storia, nel caso
fosse così qui c’è un nuovo capitolo per voi!
Vorrei fare qualche
precisazione sul fenomeno astronomico che ho descritto in questo capitolo: non
esiste alcuna veridicità scientifica nella pioggia di comete dentro una
Nebulosa! Le stelle cadente sono visibili in quanto corpi celesti che si
disgregano passando nell’atmosfera della Terra. Non ho idea di che densità o
composizione chimica ci sia nella Nebulosa della Laguna, mi sono solo
immaginata il passaggio di tanti meteoriti in un panorama così incredibile.
Spero mi perdoniate la “licenza fisica” che mi sono presa 😊.
Questo è volutamente un
capitolo più leggero di quelli precedenti, anche se ho cercato di ricordarmi le
sensazioni provate nelle mie notti prima degli esami, sia della maturità sia
universitari, i dubbi sul futuro, la sensazione di possibilità infinite che si
aprono davanti a te, le paure… Spero di essere riuscita a trasmettervele.
Un immenso grazie come
sempre a: cescapadfoot, RTT, _Lunablack, leo99, carpethisdiem_, Shedir_,
Cinthia988, cassidri e Manzcan, per aver commentato lo scorso capitolo
e avermi fatto sapere che cosa ne pensavano.
Grazie a chiunque abbia
letto anche questo capitolo.
Vi mando un abbraccio.
Bluelectra