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Autore: storiedellasera    20/03/2021    3 recensioni
Estate del 1968.
Tom, Wyatt e Evelyn sono dei ragazzi di Louistown, una piccola e remota cittadina americana.
Le loro vite stanno per essere sconvolte da un mostro crudele... un mostro che adora uccidere le persone e che predilige i giovani.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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♦ Un giorno di festa ♦







"Hey Ron, avevi sete?" Aveva urlato Wyatt, prima di sparire nell'erba alta insieme al suo amico Tom.

Ron Davis aveva sentito chiaramente quei due mocciosi schernirlo, mentre fuggivano via. Il grande e grosso faccia-da-pizza Ron era ancora immerso nel fiumiciattolo. L'acqua, riscaldata dal sole, era inaspettatamente tiepida e quel particolare, per un motivo del tutto incomprensibile, inorridì il ragazzino.
Lui abbassò lo sguardo: alghe maleodoranti gli ricoprivano le braccia e i suoi vestiti erano completamente fradici. Quel tuffo nel fiume -del tutto involontario- gli sarebbe costato una 'sonora punizione' una volta tornato a casa.
E' così che il guardiacaccia Bruce Davis, il padre di Ron, chiamava i suoi metodi educativi... delle 'sonore punizioni'.
Normalmente tale pratica consisteva in una scarica di calci e manrovesci. Ma per una bravata come quel tuffo nel fiumiciattolo che puzzava di sterco e carogna, Bruce sarebbe ricorso alla cintura.
L'ultima volta che l'uomo aveva frustato qualcuno con la cinta fu quando sua moglie aveva bruciato il polpettone della domenica, cosa che era accaduta circa sei mesi fa.
Bruce non aveva mostrato alcuna pietà nel colpire la donna... e di certo non avrebbe mostrato pietà neanche per Ron.
Il ragazzino già si immaginava la scena: Bruce avrebbe prima sentito il rumore dei passi di suo figlio che rincasava, poi il tanfo dei suoi vestiti fradici... allora si sarebbe alzato dalla sua poltrona -il suo trono da salotto-, si sarebbe sfilato la cinta senza dir nulla e allora giù di scudisciate sul povero Ron.
< Un ragazzino non dovrebbe conoscere il significato della parola scudisciata > pensò lui.

Iniziò a muoversi nell'acqua putrida, intenzionato più che mai a raggiungere Wyatt e Tom. Se doveva farsi riempire di botte da suo padre, tanto valeva acciuffare quei due figli di buona donna.
Ron Davis si mosse goffamente, l'acqua e il fango del fondale rendevano difficili anche i movimenti più semplici. Accelerò il passo quando la sua mente gli suggerì che quel fiume poteva essere la casa di qualche serpente o di qualche altra creatura spaventosa. Aveva sentito dire di un pesciolino, nel Rio delle Amazzoni, in grado di risalire l'uretra di un uomo per poi mangiare i testicoli dall'interno.
Ovviamente quel fiumiciattolo non era il Rio e l'Arkansas non era l'Amazzonia... ma perchè rischiare?
Ron uscì dal fiume, una cascata di acqua maleodorante scaturì fuori dai suoi abiti e bagnò il terreno sotto il ragazzino.
Lui si sfilò dalla testa un grumo di alghe verdi e finalmente partì alla ricerca di Wyatt e Tom. Entrò nell'erba alta. Ripensò di nuovo alle risatine di quei due mocciosi e la rabbia gli esplose nella testa.

Ron era più che mai intenzionato a ritrovarli... e allora non gli avrebbe impartito solo una sonora punizione. Oh, no! Wyatt e Tom si meritavano qualcosa di più grave.
Ron Davis aveva deciso di farli sanguinare.
Non l'aveva mai confessato a nessuno... ma faccia-da-pizza conosceva benissimo il calore del sangue che usciva da un corpo. E sapeva benissimo che delle interiora erano in grado di pulsare anche se venivano tirate via da una creatura ancora viva o morta da poco.
Ron aveva appreso tutte quelle informazioni dai gatti randagi che catturava attorno alla sua abitazione.
Ormai erano anni che la tortura su vermi e insetti non gli provocava più alcuna emozione. Ma da quando aveva spostato la sua attenzione su delle vittime più grandi... grandi come gatti ...Ron era tornato a provare quello strano piacere nell'uccidere delle creature indifese.
Ogni volta che infieriva su un animaletto, Ron si sentiva bene e dimenticata la paura che provava nei confronti di Bruce Davis.
Sotto le sue mani erano finiti diversi gatti, qualche lucertola e il pesce rosso che aveva in camera sua. Una volta un nido di rondoni cadde da un albero e atterrò proprio sotto il portico di casa Davis.
Ron fu il primo a rendersi conto della presenza del nido e del fatto che i tre pulcini al suo interno erano sopravvissuti alla caduta. E quanto si era divertito Ron con quei tre animaletti che non erano in grado di volar via.

Faccia-da-pizza continuò a correre nell'erba alta. Era così furioso che pensò di trattare Wyatt e Tom esattamente come trattava gli animali che catturava.
Per la prima volta nella sua vita, Ron ebbe l'idea di far del male a degli esseri umani.
Ciò lo riempì di un orrore che si tramutò rapidamente in un'intensa sensazione di estasi.
Si fermò per riprendere fiato. Attorno a lui le cicale frinivano incessantemente. Erano versi acuti, potentissimi e Ron ebbe l'impressione che quegli insetti lo stessero deridendo e lo stessero tenendo d'occhio.
Ma non solo... Ron Davis si sentì osservato da qualcos'altro nascosto in quell'erba alta. Qualcosa che non era una cicala.
Tese le orecchie.
L'erba oscillava, generando movimenti ipnotici, cullata da un vento caldo e debole.
Ron iniziò ad avere paura. Era come se fosse finito in un luogo alieno che non aveva niente a che fare con il pianeta Terra.

< Perchè quei ciuffi d'erba si muovono controvento? > Pensò il ragazzino quando notò uno strano movimento della vegetazione a pochi passi da lui. Qualcosa li stava piegando in quella bizzarra maniera... qualcosa che iniziò di colpo a dirigersi verso Ron. Il panico investì il giovane. Avrebbe voluto urlare ma i muscoli della sua gola erano completamente paralizzati.
Si voltò e iniziò a fuggir via. Non sapeva perchè avesse così tanta paura, non sapeva da chi o cosa stesse scappando... forse non voleva saperlo, ma quella sensazione di ignoto aumentava il terrore che provava.
Mai nella sua vita si era sentito così in pericolo, neanche quando suo padre si sfilava la cinta dai pantaloni. Un rantolo di terrore scaturì dalla bocca di Ron, l'unico verso che era in grado di produrre. Era un suono incredibilmente simile ai miagolii degli animali che torturava.
Faccia-da-pizza, in quel momento, pensò di avvertire la stessa paura che provavano le sue vittime quando finivano sotto le sue grinfie.
Magari, in quel mondo di erba alta, era inseguito da una creatura che voleva fargli le stesse cose che lui faceva ai gatti randagi. Doveva trattarsi di un Ron Davis più grande e grosso di lui... un Ron Davis del tutto crudele.

Il ragazzo inciampò su una buca e un istante dopo finì con la faccia nel fango -altre scudisciate si sarebbero aggiunte alla sua punizione-.
Ron si mise a carponi e iniziò a guardasi attorno. Il suo sguardo saettò in ogni direzione, alla disperata ricerca del suo inseguitore.
Ma nessuna creatura apparve tra gli steli d'erba. Ron era immerso in un silenzio surreale interrotto solo dal vento e dal frinire delle cicale.
Decise che ne aveva avuto abbastanza di tutta quella storia. Fece per alzarsi, con l'intento di lasciare la proprietà di Price e di ritornare al campo da baseball, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Si trattava di un piccolo tubicino di metallo che sporgeva dal terreno, proprio a un palmo di distanza da lui.
Dopo qualche secondo passato a contemplarlo, Ron si accorse di star fissando la canna di una pistola. Il ragazzino la prese e la estrasse dal suolo.
Si trattava di un revolver di piccolo calibro.
Faccia-da-pizza girò e rigirò più volte quell'arma tra le sue grosse mani. I suoi occhioni si spalancarono per l'incredulità. Cosa ci faceva una pistola in quel posto? Il vecchio Price non aveva armi da fuoco, salvo che per una doppietta che conservava da qualche parte nella sua abitazione.
Ron Davis aveva imparato qualche nozione sulle armi da fuoco semplicemente osservando e ascoltando suo padre, il guardiacaccia Bruce.
Il ragazzino, con qualche difficoltà, riuscì ad aprire il tamburo di quel piccolo revolver. Al suo interno si trovavano quattro proiettili.
< Sono stati esplosi due colpi > ipotizzò il ragazzino.
Si alzò da terra, infilandosi la pistola in una tasca dei pantaloni... un gesto istintivo che Ron compì quasi inconsapevolmente.


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Il telefono di casa Williams squillò a ora di pranzo.
“Vado io” sospirò Diana Williams, alzandosi da tavola.
Percorse l'intera cucina con grazia ed eleganza, qualità che aveva sviluppato da ragazza, quando studiava danza classica.
Diana Williams era bellissima. Da giovane era una promettente ballerina della California. Sognava di esibirsi nei teatri di tutto il mondo... ma un incidente d'auto le fece saltar via i legamenti crociati del ginocchio sinistro.
E allora addio a Čajkovskij e al suo Lago dei cigni.
Dopo l'incidente, Diana si dedicò alla sua seconda passione: il cucito. Dimostrò di essere molto brava anche con l'ago e il filo. Avrebbe potuto lavorare in qualche boutique newyorkese di Chanel, eppure si ritrovò a rammendare abiti e calzini in una fattoria di Louistown... ma tutto ciò la rendeva felice.

Quel giorno indossava una camicia bianca e una lunga gonna celeste, colori che mettevano in risalto l'oro dei suoi capelli... gli stessi capelli che suo figlio Tom aveva ereditato.
“Pronto?...” Disse Diana una volta sollevata la cornetta “...oh, Margaret! No, non disturbi.”
Tom alzò lo sguardo dal piatto.
Ascoltò sua madre cimentarsi in una conversazione fatta di monosillabi e brevi scambi di parole come: “mh!”, “Si”, “Certo!”, “Ah!”, “Va bene”.
Gli occhi della donna si posarono poi su suo figlio... e Tom, anche se non in grado di spiegarlo, comprese di essere il soggetto di quella chiacchierata telefonica.
“Ho capito, Margaret. Si... parlerò con lui, stai tranquilla. Si, ci vediamo sta sera. Ciao.” Diana riagganciò.

Tornò al tavolo da pranzo.
Il suo sguardo pensieroso allarmò Tom. Lui posò la sua forchetta e smise di mangiare gli spaghetti al sugo di pomodoro che sua madre, poco prima, gli aveva pazientemente tagliato.
“Chi era al telefono, cara? Di nuovo quella matta di tua sorella?” Domandò Scott Williams, il padre di Tom.
Per tutto quel tempo, Scott era rimasto a capotavola, intento a leggere il suo giornale.
La prima pagina riportava alcune notizie dal Vietnam.
Diana si voltò verso di lui. Suo marito era un uomo con la testa sempre tra le nuvole, perciò lei si sorprese molto nel sentire quella sua domanda.
Di solito Scott non si accorgeva praticamente di nulla... ed era proprio questa sua sbadataggine che lo rendeva adorabile agli occhi di Diana.
Lui aveva un volto gentile, con lunghi capelli castani e occhi nocciola dietro un gran paio di occhiali dalla montatura sottilissima.
Per tutta risposta, Diana si rivolse a Tom: “era Maggie quella al telefono, la madre di Wyatt.”
Tom annuì.
“Mi ha detto che Wyatt ha difficoltà a dormire. Si sveglia di notte, urlando. E' da quando siete tornati dal campetto di baseball, tre giorni fa, che Wyatt si comporta così.”
Tom sentì che doveva intervenire in qualche modo: “Wyatt ha per caso detto qualcosa nel sonno, mamma?”
Diana corrugò le sopracciglia: “ 'mi sta raggiungendo'  ...cose del genere.”
Nel sentire quelle parole, Scott mise via il giornale e si avvicinò a suo figlio. Anche un tipo distratto come lui aveva intuito che la questione sollevata da sua moglie era molto seria.
Lei continuò: “Tom, devo chiederti una cosa: è per caso successo qualcosa al campo da baseball? Hai... per caso ...incontrato qualcuno?” Quanto fu difficile per Diana formulare quella domanda.
Tom deglutì. Studiò a fondo il volto di sua madre ed ebbe l'impressione che la donna fosse in grado di leggere i suoi pensieri.
Di sicuro aveva intuito i timori e le paure di suo figlio.
Tom si era recato al campo da baseball tre giorni fa... questo era vero. Aveva colpito Joe Limpshire con una pietra ed era fuggito nell'erba alta, insieme a Wyatt, per evitare di essere acciuffato da faccia-da-pizza Ron.
< Non è successo nient'altro quel giorno! > Pensò Tom, nel vano tentativo di ingannare se stesso. Nessun incontro con uomini spaventosi nell'erba alta. Nessuna fuga disperata, niente di niente.
< Ma... allora ...perchè Wyatt ha degli incubi? >
Lui scosse la testa: “no, mamma. Non è successo nulla al campo da baseball.”
Diana sospirò: “Thomas Henry Williams, guardami negli occhi e dimmi la verità.”
Aveva chiamato il figlio usando il suo nome per intero. Brutto segno... proprio un brutto segno.
< Cosa vuoi che ti dica, mamma?... > pensò Tom < ...che un mostro mi ha inseguito nell'erba? Un mostro dall'aspetto di un cadavere vivente mi ha quasi preso? E che probabilmente ha iniziato a seguirmi fin dalla piantagione della nostra fattoria? >
Era un discorso troppo assurdo, persino per la mente di un ragazzino di tredici anni come Tom.
Si voltò verso suo padre. Un riflesso di luce sui suoi occhiali rendeva difficile intravedere i suoi occhi nocciola.
Scott Williams era stato nell'esercito. Vent'anni fa aveva combatto i tedeschi in Europa ed era tornato in America con delle gravi ferite al torace.

Una sera, Tom aveva chiesto a suo padre se aveva ucciso degli uomini in battaglia. Tom non aveva idea del perchè gli avesse rivolto una simile domanda. Doveva trattarsi di una di quelle curiosità che, di tanto in tanto, saltano nella mente dei bambini senza alcun motivo apparente. A dire il vero, Tom neanche voleva sapere cosa fosse accaduto in Germania. Ma il volto di suo padre, mentre sentiva quella domanda, gli fece raggelare il sangue. Scott infatti era rimasto completamente spiazzato. Stirò allora il più falso dei sorrisi, creando un'espressione che turbò Tom nel profondo.
Gli disse di no, che non aveva mai ucciso nessuno.
Tom comprese che si trattava di una bugia... ma comprese anche che bisognava credere a quella menzogna per evitare un trauma.
Dunque le bugie potevano essere usate per fuggire via dalle preoccupazioni.

Ripensando a ciò che aveva appreso quella sera, Tom decise di mentire a sua madre per evitare di affrontare le conseguenze: “no, mamma...” rispose il ragazzino “... non è successo nulla di strano al campo da baseball.”


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Quello stesso giorno, verso il tardo pomeriggio, la famiglia Williams si recò a Louistown per festeggiare il giorno dell'indipendenza americana.
La parata del 4 Luglio era appena passata per Main Street, permettendo così ai cittadini di tornare a circolare liberamente per le strade.
Un gran numero di persone occupava le vie di Lousitown. L'aria era piacevolmente fresca e frizzante, un vero e proprio sollievo in quella tremenda e torrida estate.

Tom camminava al fianco dei suoi genitori. Percepiva una scia di profumi attorno a lui: aroma di zucchero filato e popcorn, proveniva dal festival allestito nella periferia della città.
Alzando lo sguardo, poteva scorgere la grande ruota panoramica oltre le abitazioni di Colonial Hill, il quartiere più povero della città.
Quelle case sembravano grandi blocchi di cemento grigio ammassati tra di loro. Non avevano nulla a che vedere con il resto di Louistown, così colorata, piena di vita e di alberi.

I Williams si erano dati appuntamento con i genitori di Wyatt proprio nella periferia della città. “Eccoli lì” disse Diana, subito dopo aver riconosciuto la sua amica Margaret Sinclair, insieme a suo marito Owen. Si trovavano vicino a un grande carosello posto all'entrata del festival.
Lei era una donna in sovrappeso, con corti capelli ricci e così rossi da ricordare un cespo infuocato.
Owen Sinclair invece era un tipo simpatico quanto logorroico. Era basso e tarchiato... tremendamente basso. Si rasava i capelli brizzolati da quando aveva scoperto che la sua stempiatura avanzava inesorabilmente lungo i lati della sua testa.
Aveva la pelle dura come il cuoio e la voce rauca e rovinata da tutti gli anni passati a lavorare nelle miniere di carbone, che si trovavano a qualche miglio di distanza dalla città. Alle spalle di Margaret e Owen si trovava Wyatt.
Tom raggiunse subito il suo amico ed entrambi si allontanarono dai loro genitori.
“Comportatevi bene, voi due...” li aveva salutati Diana, seguita da una sfilza di raccomandazioni del tipo “...non mangiate troppe mele caramellate” o “non allontanatevi troppo.”
Ma Tom e Wyatt non volevano rimanere con i loro parenti. Sapevano che presto si sarebbero messi a parlare del loro noiosissimo argomento preferito: l'assassinio di Bob Kennedy. Era passato un mese dal suo omicidio e l'America intera non parlava d'altro che di quell'episodio.
Owen Sinclair era convinto che i comunisti avessero preso parte all'attentato. L'uomo imprecava o sputava per terra ogni volta che pronunciava quella parola: comunisti.
Tom non era sicuro di conoscere il significato di quel termine... e di certo non era intenzionato a scoprirlo, almeno non quel pomeriggio.

Lui e Wyatt si fiondarono verso le giostre e le altre attrazioni del festival. Provarono due volte l'autoscontro per poi sfidarsi al gioco del tiro al bersaglio. Vinse Wyatt.
Mangiarono zucchero filato e assistettero, per qualche minuto, all'esibizione di un paio di giocolieri e di un mangiafuoco.
Passeggiarono poi per tutto il festival, l'uno al fianco dell'altro. Evitarono il tunnel degli orrori perchè non avevano alcuna voglia di spaventarsi. Si misero poi in fila per fare un giro sulla ruota panoramica ma abbandonarono l'idea quando si accorsero che avrebbero dovuto attendere almeno mezz'ora prima di salire sulla grande giostra.

Il sole iniziava a tramontare e Wyatt e Tom non avevano ancora voglia di tornare dai loro genitori. Passeggiarono di nuovo tra le vie invase dalle giostre, dalle bancarelle e dagli abitanti di Louistown.
“Allora...” Tom, improvvisamente, rivolse un sorriso beffardo al suo amico “...tua madre dice che frigni nel letto.”
“Fottiti, Tom!” Gli aveva risposto Wyatt.
I due ragazzini scoppiarono in una fragorosa risata.

Poco dopo, Tom si fece serio: “di notte fai degli incubi?” Domandò senza prendere in giro Wyatt.
Quest'ultimo scosse il capo, non aveva voglia di rispondere.
Tom però insistette: “sogni l'uomo mezzo marcio?”
“Intenti dire quello che tu hai visto nell'erba alta?”
“Proprio lui.”
Wyatt si fermò: “non... non ricordo cosa sogno.”
Anche Tom si fermò: “come sarebbe a dire che non ricordi?”
La folla attorno a loro continuava a chiacchierare e passeggiare. Nel frattempo, le prime stelle della sera iniziarono ad accendersi nel cielo.
Wyatt si strinse nelle spalle: “quando mi sveglio, dimentico i sogni che faccio... a te non capita mai?”
Tom rispose: “bhè... in effetti si.”
I due ripresero a camminare. Raggiunsero le bancarelle del festival che confinavano con Colonial Hill. Anche quel tratto di periferia era invasa da un gran numero di passanti.
“Com'era?” Chiese di colpo Wyatt.
“Chi?” Domandò confuso Tom.
“L'uomo mezzo marcio.”
Tom sospirò: “aveva il volto putrefatto e indossava una giacca rossa, una di quelle giacche che si portano in inverno.”
“Strano” commentò Wyatt.
I due ragazzini svoltarono attorno a una bancarella... e improvvisamente si ritrovarono faccia a faccia con Evelyn Reese. Avevano quasi rischiato di scontarsi con la giovane.
D'altro canto lei era immersa nei propri pensieri e si era accorta solo all'ultimo istante di essere in rotta di collisione con Tom e Wyatt.
Quel pomeriggio, Evelyn indossava una maglia leggera e un'ampia gonna bianca.
Era alta esattamente come Tom, ma la sua acconciatura -una coda di cavallo- la faceva sembrare ancora più alta.
Tom fissò estasiato quei suoi capelli castani così voluminosi e ondulati.
Non si era mai avvicinato così tanto ad Evelyn e d'un tratto fu come se qualcuno gli avesse sottratto tutta l'aria dai polmoni.

Evelyn fissava Tom e Wyatt con il suo tipico sguardo glaciale.
Dopo un primo momento di sorpresa, lei commentò: “dunque siete vivi.”
I due ragazzini si scambiarono un'occhiata perplessa.
Evelyn si spiegò: “dicevano che Ron Davis era riuscito a catturarvi nell'erba alta.”
“Ah...” ridacchiò Wyatt “...faccia-da-pizza non riuscirà mai ad agguantarmi, pupa.”
Tom lo colpì al costato con una gomitata: “e tu... tu come stai?” Chiese poi alla ragazzina. Aveva notato, proprio in quel momento, un grande cerotto sul ginocchio di Evelyn, proprio dove era stata colpita da una delle tante pietre lanciate da Joe Limpshire.
< Le ho rivolto la parola... > pensò Tom, esterrefatto < ...ho rivolto la parola a Evelyn Reese! >

“Oh, sto bene” rispose lei.
Fece per continuare, quando una voce alle spalle dei due ragazzini attirò la sua attenzione. Tom e Wyatt si voltarono. A pochi passo da loro, la madre di Evelyn la stava richiamando.
“Ora devo andare...” disse lei “...ci vediamo.”
Wyatt la salutò. Tom invece riuscì solo ad alzare una mano.
Fissò Evely raggiungere sua madre. Si chiamava Wiara, uno scricciolo di donna tremendamente magra, nata e cresciuta in Polonia. Nel 1941 era fuggita in America per evitare di essere catturata dai tedeschi.
Per qualche anno visse ad Atlanta, in Georgia, dove si era sposata e aveva avuto una figlia... Evelyn Reese.
Tre anni fa, in seguito al divorzio da suo marito, Wiara e Evelyn si trasferirono a Louistown.

Tom fissò a lungo la signora Wiara. Aveva capelli biondi, a caschetto. Li portava in modo da coprire un enorme livido attorno al suo occhio sinistro.
Tra le dita stringeva una sigaretta Pall Mall, la marca preferita della donna. Lei era un'accanita fumatrice... avrebbe fatto impallidire persino il vecchio signore Price.
Le sue mani erano piccole e preda di vari spasmi involontari. Erano attraversate sottopelle da un gran numero di spesse vene, ricordavano dei fiumi che si diradavano su una cartina geografica.

“Andiamo...” Wyatt tirò Tom per una manica “...si sta facendo tardi.”
Tom smise di fissare la signora Wiara e si allontanò da quel luogo.

Evelyn si era voltata un solo istante verso i due ragazzini. Quest'ultimi però erano già andati via. < Di cosa stavano parlando quei due?... > si domandò Evelyn < ...di un uomo mezzo marcio? Non sarà che... ? Anche loro hanno incontrato il mostro?! >


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Giunse la sera.
Evelyn e Wiara tornarono nella loro abitazione, un modesto appartamentino a Colonial Hill. Erano ormai tre anni che Madre e figlia viveva da sole tra quelle quattro mura.
Wiara, appena rincasata, si diresse subito in cucina. Come sempre era di poche parole. Consumò una cena a base di una mezza pizza riscaldata e un numero spropositato di lattine di birra. Si addormentò poi sul divano della sala, con la televisione ancora accesa che proiettava una replica di Callan, con Edward Woodward nella parte del protagonista.

Evelyn era rimasta da sola in cucina, immersa in un silenzio disturbato dai respiri pesanti di sua madre. In televisione, David Callan stava combattendo contro un uomo in una palestra di qualche liceo. Evelyn, di tanto in tanto, gettava uno sguardo verso quel programma mentre sparecchiava la tavola.
Aveva appena finito di gettar via tutte le lattine di birra che sua madre aveva tracannato, quando un movimento alle sue spalle la fece sussultare.
Si trattava di una sagoma oscura. Evevlyn era riuscita a scorgerla in corridoio.
La ragazzina si voltò di scatto e iniziò a tremare come una foglia.

Si fiondò verso alcuni cassetti ed estrasse un lungo coltello. Tornò poi a fissare quel tratto di corridoio visibile dalla cucina. Era buio e la ragazzina ebbe l'impressione di essere osservata.
“Mamma...” sussurrò in direzione di Wiara “...mamma, svegliati!”
Nessuna risposta.
Provò allora a chiamarla in polacco: “mamo, obudź się!”
Nulla.

Evelyn comprese che sua madre era troppo ubriaca per poter aprire gli occhi. Deglutì, prese un gran respiro e iniziò a muoversi verso il buio corridoio. Serrava il coltello con entrambe le mani.
Si affacciò dalla cucina. Il suo sguardo era rivolto verso il mucchio di ombre che si accalcavano nel corridoio. La paura le impediva di respirare.
Non vedeva niente... eppure sapeva di non esser sola.
Dall'esterno, i fari di un un auto in corsa illuminarono per un momento l'appartamento di Evelyn... rivelando la presenza di un uomo mezzo marcio in corridoio.
La ragazzina scorse la giacca rossa indossata dal mostro e una sua mano che sporgeva da una manica. Era una mano orrenda e putrefatta.
Quella creatura si trovava a cinque passi da Evelyn, forse quattro.
Lei sussultò nel vedere quell'orrore e il coltello le cadde a terra.

Il corridoio era di nuovo immerso nel buio più totale. Evelyn sentiva su di lei lo sguardo malefico dell'uomo mezzo marcio.
Lei deglutì e infine riuscì a rivolgergli la parola: “dunque... sei tornato, papà!”



cic

   
 
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