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Autore: Yunomi    21/03/2021    1 recensioni
"I pianti, le isterie, i lanci di innocenti gerani oltre i balconcini, gli sguardi accesi dalla passione e dal fuoco che non si placava mai, né con il sesso né con le conversazioni alle tre di notte, aggrovigliati come senatori romani tra le lenzuola bianche, le sigarette, i vizi dannosi, le corse in Corvette. L’amore. Quell’amore deleterio, malsano, quell’amore che mi aveva consumata come un fiammifero e che mi aveva ridotta ad un pugnetto di ossa stanche, il cui unico sostentamento era costituito da niente di più che libri e sigarette. No. Non più"
Sequel assolutamente non richiesto di Big God. La lettura è fortemente consigliata per capirci qualcosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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L’amore è come il brasato
 
 
 
 
 
And we'll keep ourselves in a place where it's easy to hold onto.
The last threats came and went, this is the way that wars are played.
Always heading for a front, heading for a front,
We go into the obscurity of an easy to pass on feeling that objection is so cliche.

(Cliché Guevara, Against me!)
 
 

 
 
 
C’è una pioggia strana, quel pomeriggio; del tipo che cade da un cielo che ad un primo sguardo appare completamente sgombro di nuvole, e invece è coperto da un sottile strato di ovatta. L’effetto finale è che pensi che non stia piovendo, e invece tutto magicamente si sta imperlando di goccioline profumate mentre formuli il suddetto pensiero; inoltre, la luce diventa così spessa e accecante che ti sembra di essere scivolato per errore in un bicchiere di latte.
Lucifer fuma, seduto in veranda, e medita.
Il rumore della pioggia che picchietta sulla tettoia è piacevole, ma non riesce a rilassarsi perché i suoi sensi sono feriti quasi a livello personale da quel vaso di crisantemi rossi che c’è a pochi metri dalla balaustra di pietra,  che separa la zona living dal giardino vero e proprio.
E’ una macchia infuocata e aggressiva che affonda le radici nella terra con decisione. È un fiore esuberante, il crisantemo. Sgorga come una ferita aperta quando sboccia, e rimane lì, esplosivo ed esploso, a fissarti con aria di sfida coi suoi petali cotonati. Fiorisce con l’autunno e spesso resiste perfino alle prime gelate di gennaio senza battere ciglio. Giusto per vantarsi con gli altri fiori che lui sopravvive a tutto, e a tutti. Probabilmente è fermamente convinto che sarà l’ultima creatura vivente alla fine dello scontro tra le armate celesti, il Giorno del Giudizio, e nessuno, animale o vegetale che sia, ha mai avuto abbastanza argomenti per controbattere. La brina non ci prova nemmeno a posarsi su di lui; ha troppa paura di sciogliersi, appoggiandosi a quei petali che sembrano forgiati direttamente da Efesto. Quelli rossi, in particolare sembrano bruciare da dentro del fuoco di cui è fatta l’immortalità.
Lucifer si sente personalmente offeso dalla presenza di quel fiore, che dal basso del suo vaso di pietra non sembra degnarlo nemmeno di uno sguardo. Ha come il bisogno febbrile di tiragli un calcio.
Non si muove di un millimetro.
Sta pensando, mentre le iridi prendono lentamente il colore di quel presuntuosissimo fiore invernale; e Lucifer non è un uomo abituato a pensare. Di solito lui sente e basta. Vive.
Il problema è che ciò che gli ha detto Thomas gli si è impresso addosso come una maledizione, e ora come ora se dovesse agire a sentimento probabilmente avrebbe voglia d ridurre l’uomo ad un cucchiaino di pudding inglese con gli occhiali. Quindi decide che forse è saggio imboccare la via della riflessione, prima; o quantomeno provarci.
E’ stufo, stufo marcio di essere trattato come l’antagonista della situazione; tutta colpa di Lucifer, Lucifer tira fuori il peggio della gente, Lucifer qui, Lucifer lì, su, giù.
Una volta gli piaceva essere sulla bocca di tutti; diamine, faceva di tutto purché il suo nome anticipasse la propria persona in ogni dove. Se è vero che dentro ognuno di noi ci sono due lupi, uno che si nutre di pensieri positivi e l’altro di negativi, quelli di Lucifer sono certamente affamati di fama e gloria, in qualunque forma esse arrivino. Sente di star leggermente deviando dal punto, e deve appellarsi allo sforzo mentale di chi non è abituato a riflettere per riportare il cavallo del ragionamento sulla strada battuta.
Un’illuminazione ferma per un secondo gli ingranaggi del suo cervello: che Dante ci avesse davvero preso, con tutte le sue pedisseque teorie sul contrappasso e dell’analogia?
Sta decisamente digredendo. Si massaggia gli occhi un po’ troppo forte. Succede sempre così quando ci si ferma a riflettere su sé stessi? Si appunta mentalmente di parlarne a Linda.
Dove eravamo.
Thomas.
Il santarellino.
Lucifer non si fida di quell’aria da martire. I capelli biondo-rossicci, gli occhi chiari e lo sguardo elegante e sarcastico di chi pensa di averne viste di ogni, dalla vita, e in realtà è nato in una famiglia che probabilmente passava le estati a bere tè freddo nel parco della casa del segretario privato del Duca di Edimburgo. Scuote leggermente la testa, Lucifer, e si sforza più che può di tenere gli stupidi crisantemi fuori dal proprio campo visivo. Bruciano.
Thomas è un uomo troppo calmo. È quella calma ostentata che probabilmente ha avuto anche Gandhi, o Gesù Cristo, o Bruce Banner poco prima di trasformarsi in Hulk. Non c’è da fidarsi degli uomini tranquilli. Lui lo vede nei suoi occhi chiari: c’è come un contorcersi di serpente mitologico dentro quegli occhi, dietro le lenti, antico e irrequieto, che nuota quieto ben al di sotto della superficie per sfuggire agli effetti di rifrazione della luce; si muove e si contorce, aspetta il momento giusto per attaccare. Come quella stessa mattina, del resto.
Lucifer è certo che Thomas non stesse aspettando altro – e lui ne conosce giusto due o tre di cose sui serpenti.
Prende un altro tiro di sigaretta; l’immagine di Chloe si sovrappone per un secondo ai maledetti crisantemi, ai serpenti, agli occhi calmi e pazienti di Thomas. Sente la mascella decontrarsi e si passa una mano sul volto. Forse avrebbe dovuto difenderla da quelle parole spinose, prima; il fatto è che dentro di lui c’è una parte che parzialmente vorrebbe dargli ragione, il virgulto di una maturità che finalmente è riuscito a rompere la crosta di ghiaccio della sua presunzione. Il problema è proteggerlo in modo tale che il primo freddo non lo uccida.
Un tintinnio cristallino gli notifica la materializzazione di una nuova presenza nella veranda: si volta in direzione della portafinestra che si è appena chiusa alle spalle della Papessa, la quale regge due bicchieri colmi di whiskey.
“Hey, peste.”, gli dice lei, facendogli segno con un cenno del capo di avvicinare una sdraio a quella su cui è seduto lui. Indossa un cappotto di montone e un cappello a tesa larga. Le collane di ambra che porta, muovendosi, producono un rumore di biglie che riporterebbe chiunque alle memorie dell’infanzia; Lucifer non può saperne nulla, ovviamente, eppure è pervaso dalla stessa acre tranquillità che si prova quando si pensa alla fanciullezza.
Lucifer le sorride. “Eminenza.”
La Papessa gli passa un bicchiere e si stringe nel montone. “Alla tua.”
“Alla tua.”
Scolano il whiskey alla goccia; la Papessa poi lancia il bicchiere dietro le proprie spalle. Questo, rispettoso delle leggi della fisica, si frantuma in mille pezzi, e Lucifer trasalisce. La guarda con un sopracciglio sollevato. “Era proprio necessario?”
Lei fa spallucce. “Un giorno ti racconterò di quando la mia bisnonna fu cameriera a casa di Trotskij.”
“L’ho conosciuto. Personaggio singolare.”, dice Lucifer, osservando la pioggia che cade impercettibile e indisturbata. La Papessa sorride. Si accende una sigaretta e si abbandona all’indietro, sulla sdraio, accavallando le gambe.
“Margaret e Thomas si sono sposati esattamente vent’anni fa in questo giardino.”
Lucifer le rivolge un’occhiata interrogativa.
“Margaret è mia sorella.”, chiarisce la Papessa, che sta sempre attenta a non dare mai niente per scontato. “Una donna di ghiaccio in tutti i sensi. Se io sono la Papessa, lei è l’Arcivescovo di Canterbury. Lei e Thomas si sono conosciuti in un bar dove suonavano musica dal vivo; c’ero anche io quella sera. Non ho mai visto gli occhi di un uomo illuminarsi così come quando lui si è avvicinato al nostro tavolo e ci ha offerto da bere. Si sono messi insieme poche settimane dopo, senza stare a rifletterci troppo perché mia sorella aveva bisogno di qualcuno che le facesse pensare a sé stessa il meno possibile, e Thomas era un ragazzo che aveva fame di vivere. Voleva succhiare il midollo della vita fino in fondo, come dice Thoreau, e lo faceva, in effetti: a quei tempi non dormiva perché faceva un sacco l’amore e studiava come se sapesse di non avere abbastanza tempo per leggere tutto quanto.”
La Papessa si ferma per riempire il silenzio di un sorriso nostalgico. I sorrisi hanno suoni impercettibili che riverberano nell’aria come le note di un requiem. Lucifer la guarda con quella sua espressione attenta da rapace notturno. La Papessa si alza, facendo cigolare la sdraio, e coglie uno dei crisantemi rossi nel vaso. Lo osserva, rigirandolo tra le mani come se stesse aspettando che le rivelasse segreti che solo le piante conoscono. “In Italia i crisantemi si portano ai morti, perché solitamente fioriscono proprio in questo periodo, intorno ai primi di novembre. In altri paesi, invece, quello bianco ad esempio si regala per augurare felicità; quello giallo per chiedere perdono per un amore trascurato, e quello rosso simboleggia l’amore eterno.”
Glielo sistema nel taschino della giacca e si allontana di un passo, come a volersi accertare della visione d’insieme, come una pittrice: Lucifer solleva un sopracciglio.
“Sei proprio un figo.”, conclude la Papessa.
“E che cosa è successo tra Thomas e tua sorella?”
“Quello che succede sempre quando alzi troppo la fiamma sotto la pentola dell’amore: attacca tutto sul fondo e brucia. Tu dovresti saperne qualcosa.”
“Non ho voglia di parlare di Molly.”
“Non intendo parlare di Molly.”
“Oh.”
“Peste. L’amore è come il brasato: va fatto cuocere per ore a fiamma dolce, e irrorarlo di vino in continuazione.”
Lucifer sorride. “Mi piace come spieghi le cose, Papessa.”
“Le conseguenze, comunque, si sono presentate inequivocabili e con una certa puntualità nella ventiquattrore dell’avvocato divorzista di mio padre qualche mese dopo che Thomas aveva iniziato a dormire sul divano.” La Papessa fa una pausa di riflessione che dura giusto il tempo della caduta di una goccia di pioggia. “Non che sia mai riuscito a dormire granché, in verità.”
Lucifer abbassa lo sguardo. La Papessa gli prende il mento con due dita e lo costringe a guardarla negli occhi. Ha gli occhi di una civetta, grigi e screziati di verde, e lo investe con la saggezza del trascendente, dell’eterno, dell’incenso. Gli occhi che probabilmente ha Dio. Lucifer rabbrividisce.
“Parla sempre, peste, fammi questa promessa. Il silenzio sta bene solo in bocca ai morti.”
Lucifer tace, anche se non è morto. La Papessa lo guarda come se potesse leggere il suo futuro da qui ai prossimi ventisette anni – che è un po’ il modo con cui guarda chiunque – e cioè con la compassione indulgente delle creature superiori. A Lucifer solitamente non piace che la gente provi compassione per lui, anche se il paradosso sta proprio nel fatto che è esattamente tutto ciò di cui ha bisogno. Alla fine, se uno mastica un po’ di etimologia latina e ci riflette su, compassione deriva da cum patior, che significa soffrire insieme, e in effetti Lucifer cerca solo questo. Il lettore tuttavia non deve mai cadere nell’errore di aspettarsi di sentire queste parole pronunciate dalle labbra del Diavolo; tiene troppo alla sua reputazione per ammettere una cosa simile.
“Dovrai impegnarti, lo sai? Da qui alla fine di quel lasso di tempo che vi è stato concesso in via del tutto eccezionale, tu dovrai impegnarti a ricordarle perché ha fatto bene a sceglierti.”
Lucifer assume d’un tratto uno sguardo mortificato. “Non sono nemmeno certo di saperlo io, come posso dirlo a lei.”
“E chi dovrebbe saperlo? San Pietro?”, ribatte la Papessa, caustica.
Lucifer agita le mani con stizza. “Per carità, non tiriamolo in ballo.”
La Papessa incrocia le braccia al petto e perde lo sguardo nella pioggia per quello che a Lucifer pare un anno e mezzo. “Thomas è un depresso. Molly una fuori di testa. Proprio letteralmente, nel senso che la troverai sempre in qualunque altro luogo che non sia sotto i suoi capelli. E’ nella pioggia, in una tazza di tè troppo zuccherata; in Cornovaglia. Ti assicuro che non è una ragazza facile da amare. Eppure.”
Lucifer sorride vagamente. Gli viene in mente che lui ha alzato le mani subito, non ci ha mai provato davvero, e da come lo guarda sa che anche la Papessa lo sa. Tuttavia non si sente in colpa. “Mi è bastato vedere Chloe e tutto ha preso forma nei contorni sfocati di ciò che ho sempre avuto davanti agli occhi. ”
“La vita non è un acquerello. Ha dei contorni, dei confini precisi. Devi riconoscerlo anche se non ci stai più dentro e preferisci romperli e crearne di nuovi.”
“Io l’ho fatto. Ho sempre sbroccato contro chiunque tentasse di imbrigliarmi in uno stampo predefinito. E guarda dove mi ha portato.”
La Papessa si accende un’altra sigaretta perché sa che la via è ancora lunga. Ne accende un’altra anche a Lucifer, che sbuffa in direzione dei crisantemi.
“Chloe non ti ha mai imbrigliato?”
Molly non mi ha mai imbrigliato.” Lucifer si ferma ad osservare le parole che sono scivolate fuori dalla propria bocca: levitano nell’aria e non si dissolvono, né salgono verso l’altro come palloncini. Rimangono sospese, galleggianti. Sono la lettera scarlatta che notifica tutto il mondo vegetale presente nel giardino di Belsize Park che Lucifer ha appena detto una Cosa Sensata in Cui Crede Davvero. Lucifer soffia una nuvola di fumo verso quelle parole, forse per scacciarle, ma queste non fanno un plissé.
“La bontà a volte è pericolosa. E’ il coltello che ti permette di frugare dentro te stesso.”
“Questo l’ha detta Franz Kafka.”
La Papessa gli rivolge un sorriso sorpreso. “Però.”
“Non ti stupire. Non siete gli unici a leggere libri, voialtri.”, ribatte lui, accomodandosi sulla sdraio.
“Sei sorprendente, peste.”
Lucifer non riesce a sopprimere un moto di lusinga che inizia a tirargli gli angoli della bocca.
Si osservano come il leone guarda il topo che gli ha levato la spina dalla zampa. Con amicizia.
“Un giorno ti parlerò del Diavolo dei Tarocchi Marsigliesi, peste.”, dice lei dopo attimi di silenzio rilassato. La pioggia continua a cadere, leggera; sembra essere presa anche lei da quella collisione di creature imprendibili e assurde, e ha quasi paura di disturbarle, cadendo sulle foglie delle piante e degli alberi. Ma non sui crisantemi. “Ti parlerò del Diavolo e ti spiegherò perché non ti assomiglia per niente.”
La pioggia rallenta un attimo la sua caduta per permettere a quelle parole di riverberarsi nell’aria, come il colpo di un diapason.
“E’ un bene che Chloe voglia imbrigliarti, peste. Fidati di me. Hai bisogno di essere contenuto da qualcuno, ed è meglio che sia con un abbraccio piuttosto che, non so, con una camicia di forza.”
Lucifer scoppia a ridere di gusto. “Lo terrò a mente. Grazie per il crisantemo.”, aggiunge poi. Appoggia una mano aperta sopra il taschino da cui fa capolino la testa del fiore, vicino al cuore. È proprio così. Si sente contenuto, e non sente più di doversi barcamenare per evitare che tutto strabordi fuori.
Non gli dà così fastidio, ora, la sua presenza vermiglia.
La Papessa gli strizza l’occhio; per un secondo, sembra che anche il crisantemo ricambi il gesto.
 
 
 
 
 
[…] sono spietata, esigo che svolgiate questo compito abbandonando,
per unirvi a me,
tutto quello che non è degno di essere il calice dove la divinità possa insediarsi.
Sono come quei templi in cui si praticano gli esorcismi,
dove bisogna togliersi le scarpe per entrare,
dove si purifica l’aria mediante l’incenso,
dove si lavano i credenti con l’acqua benedetta.

(Arcano II, la Papesse.
La via dei Tarocchi, Jodorowsky)
 
 
 
 
 
 
“Cosa ci fate fuori? Vi beccherete un malanno.”, dice Molly, sporgendosi di tre quarti dalla portafinestra aperta: i capelli le ricadono lunghi e mossi su una spalla, e l’aria s’impregna improvvisamente del profumo dello zucchero caramellato.
“Vieni.”, le fa la Papessa, battendo un palmo sulla sdraio di fianco a lei. Molly non se lo fa ripetere due volte. Indossa la giacca e il cappello e zompetta verso i due.
“Ciao, bambina.”
“Mio angelo.”, lo saluta la ragazza, molestando la Papessa mentre cerca le sigarette.
“Oggi mia figlia ha strappato cinque o sei pagine dal Deuteronomio dalla Bibbia del signor Melrose e se le è mangiate di gusto. Mia suocera ha inorridito.”, li informa Molly, accendendo una sigaretta. Sbuffa in faccia a Lucifer. “Dovevo immaginarlo che sarebbe diventata un’anarchica della legge di Dio.”
Lucifer sorride. “La mela non cade lontana dall’albero.” Molly gli tira un calcetto amichevole sullo stinco.
“Verissimo.”, accorda la Papessa, saggiamente. “E comunque la mamma di Thomas ha l’inorridimento facile. Non la prenderei sul personale.”
“Di cosa stavate parlando?”
“Del fatto che sei matta, che Thomas è depresso, che l’amore non deve bruciare, bensì rosolare.”, stila la Papessa, burocratica. Lucifer annuisce.
“Lucifer dice che non l’hai mai imbrigliato.”
Molly alza le spalle. “E chi ci vuole anche solo provare, a tenere questo qui? Dovrebbero chiamarlo Furia Cavallo del West.”
Che beve solo caffè.”, canticchia Thomas, comparendo anche lui avvolto in un cappotto scuro. “Fammi posto, piccina.”
Sono in quattro su due sdraio; le sdraio in questione iniziano a emettere dei vagiti pietosi sotto tutto quel peso.
“Lucifer dice sono matta.”, lo informa Molly, dopo essersi appoggiata con la schiena sul petto di Thomas. Gli passa la sigaretta.
“Lucifer ha ragione.”
Lucifer si strozza con il fumo. Si volta verso Thomas, che intanto stringe Molly contro di sé, come a volerla proteggere dai venti del nord e dai fantasmi.
“Come hai detto?”, chiede Lucifer, sbalordito.
“Ho detto che hai ragione: è matta. Matta come un cavallo.”
“Se questa cosa ha messo d’accordo Lucifer e Thomas deve essere vera per forza.”, borbotta Molly, che in realtà è pienamente consapevole di non essere del tutto registrata. Thomas le fa un buffetto sul naso.
“Dov’è Chloe?”, chiede la Papessa.
“Dorme. Sta facendo un pisolino.”
“Non ti ho mai saputa prendere.”, dice Lucifer improvvisamente.
Gli occhi di Molly e quelli di Thomas si piantano su di lui come fanali.
“Non ti ho mai capita. No, non è esatto.” Il suo sguardo ricade sui crisantemi, come se potessero suggerirgli cosa dire. Sorprendentemente, le parole vengono a galla come bolle in un calice di vino frizzante. “Non capivo perché non volessi niente in cambio. Tu mi guardavi con quegli occhi che traboccavano di devozione, e io cercavo dentro di me come un forsennato, strappandomi lembi interi di tessuti cardiaci per trovare quello scintillio che vedevo specchiarsi nei tuoi occhi. Dove lo vedevi?, mi dicevo. E soprattutto, perché io non potevo vederlo? Ad un certo punto ho anche pensato che fossi una povera pazza, o che avessi qualche tipo di disturbo allucinatorio, quantomeno. Poi ho pensato che se per te nutrirti di questa illusione era importante, chi ero io per togliertela? E quindi abbiamo continuato a vederci, a parlare di cose che sembravano non c’entrare nulla con la… situazione di Chloe, forse nemmeno con l’amore; abbiamo continuato a fare sesso-”
Qui Lucifer si deve fermare perché sente che lo sguardo di Thomas si è intensificato, e teme da un momento all’altro che potrebbe estrarre dalla giacca un’ascia bipenne. “Con rispetto parlando.”, aggiunge, come a volersi giustificare.
Molly lo guarda con il capo piegato, e senza fiatare prende una delle mani di Thomas: sta stringendo il bracciolo così forte da sbiancarsi le nocche; la prende e se la porta alle labbra, dove ci lascia un bacio delicato, appoggiandosela poi sul torace.
La Papessa fa come Dio: assiste senza intervenire.
Lucifer segue quei movimenti con lo sguardo, per poi piantare gli occhi in quelli di Thomas. Eccolo, lo ha visto chiaramente, ora: il serpente che lampeggiava negli occhi si è appena ritirato nei suoi meandri oscuri, e ora di fronte a lui c’è solo un uomo dagli occhi tristi, eppure inspiegabilmente sereni. Molly gli tiene stretta la mano nelle sue, e il respiro di Thomas torna regolare. Lucifer non può capire che certe persone riescono ad accomodarsi nella propria tristezza. Ma è un altro discorso.
“Sono consapevole che non le stesse facendo bene come diceva.”, continua poi Lucifer, recuperando fermezza nella voce. “Lo notavo. Non sono stupido. Sono solo terribilmente egoista.”
“Ne parlate come se mi stessi consumando.”, ribatte Molly, cercando di ridimensionare.
Lucifer le rivolge uno sguardo preoccupato. “Ti stavi consumando.”
Thomas preferisce non pronunciarsi. Molly storna lo sguardo. Meno male però che esiste la Papessa, che infatti è dotta nell’arte di non far cadere gli animi e le conversazioni.
“Avete presente quel punto in Wuthering Heights in cui Heathcliff e Edgar Linton si scornano, e Catherine per il dispiacere di non sapere tra quale dei due scegliere inizia ad impazzire? Smette di mangiare per attirare l’attenzione, di dormire, di parlare con chiunque.”
Tutti si voltano verso la Papessa. Lei sostiene gli sguardi come l’oratrice che è, e prende una sigaretta dal pacchetto che Lucifer le sta offrendo. La accende. “Lo fa perché a volte impazzire, annullarsi, è l’unico modo per recuperare le redini delle cose. A volte bisogna consumarsi per rendersi conto di essere ancora vivi. Non importa se quella che stai guidando sia una vettura in fiamme e diretta inevitabilmente verso un precipizio. E’ sempre meglio che scoprire di essere legato ed imbavagliato nel baule, mentre qualcun altro sta guidando.” Si volta verso Molly, che la guarda con una luce sinistra negli occhi. “Non è così, tesoro?”
Cala il silenzio della riflessione collettiva. La Papessa ha l’espressione dell’arciere che ha incoccato la giusta freccia; non basta che prendere la mira e lasciarla andare.
“Dicevo che questo teatrino tragicomico mi ricorda terribilmente quel capolavoro di letteratura che è Cime Tempestose; e se ormai è chiaro che Lucifer sia Heathcliff, il bastian contrario per eccellenza, l’orfano che si impunta a tutti i costi di diventare il cattivo che tutti vogliono che sia, devo dire che sto avendo i miei dubbi a posizionare voialtri. Sarebbe scontato dire che Molly o Chloe siano Catherine, anche se, come ho poc’anzi spiegato, gli atteggiamenti sono egualmente infantili e distruttivi. Ci penserò ancora un po’, miei cari.”
“Tienici aggiornati, te ne prego.”, risponde Molly, caustica, roteando gli occhi. Non le è mai piaciuto granché, Cime tempestose, tuttavia concorda parzialmente con la Papessa; ora come ora però è stanca, e non le va di discutere ulteriormente.
“Vado a chiamare mia madre.”, annuncia Thomas, alzandosi dalla sdraio. Tende la mano a Molly, che tuttavia la rifiuta con un sorriso. “Resto fuori ancora un po’.”
Lucifer guarda Thomas con un’intensità diversa dal solito. Gli sembra di vederlo per la prima volta. “Ti posso parlare, più tardi?”
“Certo.”
La Papessa lancia uno sguardo ai due uomini che entrano in casa, lunghi, eleganti e piegati dal peso delle conversazioni. Sorride, pensando che gli uomini non sono proprio ontologicamente programmati per sostenere certe cose. Glissa lo sguardo su Molly, che dal canto suo invece è sempre uguale al solito: i capelli morbidi e profumati sono leggermente arricciati dall’umidità della pioggia, e gli occhi scuri osservano la brace della sigaretta che le si consuma tra le dita come se volesse ravvivarne la fiamma con la forza del pensiero. Lo smalto blu applicato di fresco crea un contrasto incredibile con il pallore della sua pelle. Ogni traccia della California è sparita dal suo corpo, e il clima umido e piovoso dell’Inghilterra ha risvegliato nel suo corpo i colori tenui delle persone che non prendono abbastanza sole. Il fatto è che il cuore di Molly pulsa come una palla di fuoco, e non si è mai trovata troppo bene nei luoghi caldi; ha bisogno dell’escursione termica, per acclimatarsi.
“Non è vero che sei Catherine, tesoro.”, prorompe la donna dopo un po’.
Molly sobbalza, e si volta a guardarla.
“Se lui è Heathcliff, e accettiamo che Chloe ogni tanto sia Catherine; se Thomas è certamente quel pover’uomo di Edgar Linton, e se tutta questa situazione certamente avrebbe offerto alla signorina Brontë un ottimo spunto per un sequel…” Molly ride, scuotendo la testa. La Papessa le prende il viso con una mano inspiegabilmente calda. “… in tutto ciò, tu sei certamente la brughiera, piccola. Sei lo scenario ventoso e ululante in cui tutti questi poveri dannati vagano, e in cui tutti si perdono. Sei una forza della natura.”
“Tu invece sei una delle pecore di Thrushcross Grange che si scoccia di tutto.”, risponde Molly, sorridendo.
La Papessa volge gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
Molly sospira. “A volte credo che avrei fatto meglio a non raccontarti nulla.”
“Mi hai raccontato molto poco, in realtà. Soprattutto, ho un grande vuoto temporale che va dal momento in cui ti hanno prelevata dalle macerie dell’auto alla dimissione dall’ospedale.”
“E’ stato un periodo strano, Papessa.”, sospira Molly, spegnendo la sigaretta nel posacenere. “E come puoi ben immaginare, per l’equilibrio psicofisico già precario di Thomas è consigliabile che non sia presente, quando te ne parlerò.”
La Papessa piega la testa di lato.
Molly sente una strana morsa attanagliarle lo stomaco. “Ha smesso di piovere. Entriamo.”
 
 
 
 
 





 
“Hai detto che io ti ho ucciso: allora perseguitami!
Le vittime perseguitano i loro assassini.
Io credo,
io so che i fantasmi vagano sulla terra.

Resta con me per sempre… prendi qualunque forma…
Fammi impazzire!”
(Wuthering Heights, XV)
 
 
 


 
 
 



 
 
 
 Dunque.
I miei ringraziamenti vanno in primissimo luogo a Chet Baker, che con la sua voce vellutata mi ha permesso di mantenere un certo livello di sanità mentale in questo periodo, e soprattutto mi ha tenuto distratta da questo pensiero fisso che ho da giorni di comprare delle sigarette molto forti.  
La seconda risma di ringraziamenti va assolutamente a quella dritta di Emily Brontë, che è riuscita a farmi piangere per un libro per la prima volta in vita mia (per il signore e tutti i santi, leggete Cime Tempestose).
Ringrazio inoltre l’amico che l’altro giorno mi ha detto ‘Mi piaci. Mi piaci perché sei pazza’ , e io onestamente non ho trovato argomenti per contraddirlo, così ho detto solo grazie e gli ho mandato qualche citazione da Lewis Carroll per iniziare a dargli un assaggio di ciò che succede nella mia testa.
Ringrazio sentitamente anche la bambina a cui faccio da babysitter che, dopo avermi guardata intensamente con lo sguardo di chi sa Tutto e non dice Niente, mi ha appiccicato un pezzo di pongo rosa sul calzino che penso rimarrà lì nei secoli dei secoli. (Amen)
Ringrazio ovviamente anche Voi per le cose bellissime che mi avete scritto, sia in recensione che in privato, perché anche quando stavo per mollare questa cosa stramba sui Crisantemi mi avete fatto capire che ne vale comunque la pena.
E quindi facciamola valere, per Diana.
Chiudo con una piccola citazione di quella vecchia volpe di Gertrude Stein, che secondo me ci calza proprio a fagiolo con questo periodo strambo:
 
The subject matter of art is life, life as it actually is; but the function of art is to make life better.
 
Vi bacio immensamente.
Sempre vostra,
Y.
   
 
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