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Autore: D a k o t a    21/03/2021    2 recensioni
[Spoiler 15x20 - In cui io sono Andy Dufresne e il finale canon è una prigione - fix it!Everybody lives - due capitoli + epilogo]
Tutto è relativo.
Anche l'esistenza della 15x20.
"Poi si alza; si alza perché è Sam Winchester ed ha un piano. Si alza perché ha ingoiato il desiderio e la solitudine per anni, ha lavorato e viaggiato e fatto ricerche per anni, fino a quando non erano riusciti a trovare una soluzione per qualsiasi problema – il demone che aveva ucciso la mamma, Amara e dannazione, persino Chuck – e non si sarebbe arreso. Perché è Sam Winchester e anche quando si arrende, anche quando si lascia andare, lo fa curando ogni minimo dettaglio, così che nessuno potesse dimenticare che era stato lui."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I hope

 

Get busy living or get busy dying.

That’s good-damn right.

For the second time in my life, I’m guilty of commiting a crime. Parole violation. Of course, I doubt they’ll toss up any roadblocks, not for an old crook like me…

I find I’m so excited I can barely sit still or hold a thought in my head. I think that’s the excitement only a free man can feel, a free man at the start of a long journey whose conclusion is uncertain.

I hope I can make it across the border.

I hope to see my friend and to shake his hand.

I hope the Pacific is as blue as it has been in my dreams.

I hope.”

 

[Red, The Shawshank Redemption]

 

Quando Sam e Dean arrivano a Sioux Falls, a far capolino sulla porta e ad accoglierli è Jody, con una vaga ma non nascosta espressione di sollievo sul volto. Per un attimo, il suo sguardo sembra esitare su di loro, come in cerca di una risposta; gli ingranaggi dietro i suoi occhi castani sembrano lavorare intensamente nel fermarsi sul livido sotto l’occhio di Sam. E’ Dean il primo a schiarirsi la voce, il primo a rompere quel silenzio scomodo e vischioso che si è creato fra di loro.

“Non è successo nulla. E’ stata colpa mia” inizia, per poi girarsi e fulminare con uno sguardo suo fratello, che ha già aperto la bocca per ribattere. “Oh, per favore, tu sta’ zitto, Sammy. Non hai niente di cui vergognarti.”

Non tu, rimane in sospeso fra di loro. Il sorriso che Dean abbozza dopo quell’affermazione non serve a scacciare l’amarezza e quella punta di disprezzo verso sé stesso che nasconde.

“E’ una lunga storia” puntualizza testardamente il minore dei Winchester.

La fronte corrucciata di Jody impiega qualche istante, qualche battito di ciglia scure, il tempo alle sue parole di farsi strada ed essere comprese, a rilassarsi. La donna si lascia andare ad un sospiro, prima di abbracciare Sam.

“Claire è fuori con Kaia. Alex e Patience saranno qui a breve” dice, guardando per un attimo il minore dei Winchester. “Forza, entra. Ho del ghiaccio in cucina.”

Sam abbozza un mezzo sorriso, prima di farsi spazio oltre la porta, mentre Dean rimane in piedi davanti a lei, incerto. Per la prima volta da quando lo conosce, Jody lo vede indugiare, insicuro: gioca con l’orlo della giacca e non osa fare nemmeno un passo oltre la soglia.

E’ lei ad avvicinarsi, lei a sfiorargli la guancia con un tocco leggerissimo, da cui sembra ritrarsi, quasi scottato.

“E’ bello vederti, Dean” gli soffia contro il collo prima di abbracciarlo.

E Dean sospira, perché c’è tutto un mondo dietro quell’E’bello vederti.

Non fa fatica a immaginarsi Jody nei panni di una madre.

Non fa fatica ad immaginare la paura che deve averla divorata quando, dopo aver perso un figlio e dopo aver passato gli ultimi anni in pena per loro e per Claire, si è sentita impotente dall’altro lato del telefono, senza nessuna possibilità di salvarlo. Non da sé stesso, almeno.

“Oh, non hai idea di quanto lo sia per me” risponde, e sente i muscoli della schiena tendersi, prepararsi a...

Un sorriso nervoso gli piega le labbra, quando tutto ciò che riceve è una leggera spinta ad entrare dentro. Perché è una lunga storia, lo è davvero, ma c’è tempo.

 

***

“Alex” ringhia Claire quando la vede, ma è un ringhio basso e poco minaccioso di chi si conosce da anni, di chi si disprezza più per abitudine, più perché non sa parlarsi in altro modo, che per vero astio.

Dean guarda quella parte della sua famiglia riunita, guarda Kaia indugiare leggermente imbarazzata mentre passa qualcosa – un bigliettino? Un disegno? - a Claire, guarda Sam e Alex chini su un progetto dell’Università della ragazza sul folklore locale, guarda il modo in cui Jody scuote leggermente il capo, quando vede Claire mangiare prima di pranzo.

“Alex, giusto per essere chiari: non ho alcuna intenzione di restituirti la tua stanza.” ribadisce, con le guance gonfie di patatine, come un criceto.

E davvero, Dean non può fare a meno di rabbrividire davanti all’assoluta normalità di quella scena, dove una madre normale si preoccupava che le sue figlie non litigassero o che Claire non mangiasse prima di pranzo. Suo padre forse aveva fatto lo stesso con lui (“Dean, non mangiare quei biscotti o ti rovinerai l’appetito per cena”), ma aveva smesso molto prima che potesse decidere da solo se potesse mangiare le patatine alle undici di sera. C’è qualcosa che lo fa sentire come un intruso, che lo fa sentire come se non avesse alcun diritto di essere lì, a sbirciare nella loro intimità.

Suo fratello sembra però accorgersi di quel suo turbamento. Si avvicina e si siede accanto a lui, sul divano.

“Manca solo Patience. Dopo pranzo, andremo a bruciare questo libro e a fare quello che ti ho detto” gli dice a bassa voce.

Un mezzo sorriso incoraggiante si dipinge sulle labbra di Sam, e Dean non può non fare a meno di sbuffare davanti a quel suo essere attento e maniacale nello scegliere le parole, come se stesse maneggiando una stupida bomba.

“Dopo pranzo, andremo a bruciare quello stupido libro e poi seppelliremo Cas. Anzi, non lo seppelliremo né lo bruceremo perché non abbiamo nemmeno un dannato corpo” conclude alla fine, in un moto di frustrazione. “Puoi dirlo, Sammy. Non esploderò da un momento all’altro.”

Sam al suo fianco sbuffa appena, scrollando le spalle in un moto di stizza, perché è suo fratello ma non deve essere necessariamente così impossibile. Serra la mascella: non c’è niente che odia di più di quel senso di impotenza, di quel non sapere come dargli sollievo. L’unica cosa che può fare è stargli accanto e sperare che finisca tutto presto.

Dean lo scruta severamente per qualche istante, prima di sospirare e abbassare lo sguardo sulle sue dita, abbandonate in grembo. Scuote la testa e fa per abbozzare delle scuse, ma -

“Bruciare i libri non è qualcosa che facevano i nazisti?”

Alex li osserva entrambi per un momento, con l’aria perplessa di chi ha da poco iniziato un corso di Storia Contemporanea e non ha idea di quale libro stiano parlando. A quelle parole, Sam non può non rivolgerle un mezzo sorriso, prima di lanciare un breve sguardo d’intesa verso Dean.

“Già, hai ragione” afferma Sam, scuotendo appena la testa. “Ma Dean ha ucciso Hitler quindi noi abbiamo un lasciapassare, non è vero?”

Dean non può fare a meno di alzare gli occhi al cielo, improvvisamente divertito.

“Oh, puoi dirlo forte, fratellino.” risponde.

Il maggiore dei Winchester scuote il capo, in un moto di improvvisa incredulità. C’era stato un tempo, quando Sam aveva sei anni e lui qualcuno in più, in cui Dean era stato capace di cancellare il broncio dal suo volto con una stronzata pensata ad alta voce. Mentre si sorprende del sorriso che gli piega irrimediabilmente le labbra, non può che rendersi conto che c’è una cosa che ha sempre sottovalutato: è l’incredibile capacità di Sam di fare lo stesso con lui, senza mai chiedere nulla – nemmeno delle scuse – in cambio.

 

***

Ogni Ribellione è fatta di morti – e di sangue, di ossa bianche e spolpate e di polvere – che hanno spianato il cammino di chi è venuto dopo. Ci sono mani amputate che hanno aperto portelloni verso la salvezza di qualcun altro, braccia distese in un ultimo colpo di pistola; ci sono corpi sventrati e piedi che puntano verso una via d’uscita, verso una via di fuga.

E ci sono eroi. Ci sono così tanti eroi che a volte è difficile ricordare ognuno di essi: ci sono così tanti nomi da onorare e da commemorare che non basterebbe l’intera superficie della Terra per scriverli tutti. E Dean ha sempre ammirato e sentito il peso di tutte quelle morti, di quegli uomini e donne e folli e speranzosi morti per combattere la loro causa – Charlie, Jo, Ellen, e dannazione, persino Crowley -, ma ce n’è sempre stato uno il cui nome ripeteva come un mantra, nel corso degli anni, come un’invocazione della Forza, quando ogni via di fuga sembrava perduta.

Dean guarda le ragazze oltre al fuoco davanti a sé, guarda Claire avvicinarglisi, ed è improvvisamente tutto così fottutamente ironico e irraggiungibile. Non può non pensare che maledizione, aveva sognato per mesi come sarebbe stata la Terra quando si sarebbero liberati di Chuck; aveva immaginato l’ossigeno e la brezza accarezzargli i capelli, aveva immaginato che quella sarebbe stata la loro salvezza. Ed è ancora quello a farlo andare avanti, la sicurezza che quello possa essere un mondo sicuro dove continuare a vivere, anche se tutto assomiglia più ad un campo di battaglia dopo la fine della guerra, che ad uno stupido Paradiso.

“Eravamo amici” mormora, come testando la parola sulla lingua e il palato. Non c’è davvero molto altro che possa aggiungere. Non c’è davvero molto altro che qualcuno di diverso da lui o da Castiel possa capire.

Sam lo scruta per un lungo istante prima di annuire. Forse sanno entrambi che è una bugia, ma in quel momento, in mezzo a tutto quella morte e alle confessioni che ancora sembrano rimbombare nella sua testa, è abbastanza.

Dean conta le persone raccolte nel prato – cinque oltre a suo fratello, come cinque sono le fasi del lutto - , ne studia le lacrime agli angoli degli occhi e pensa che non c’è nessuna lapide e va bene così, non ha bisogno di una fottuta lapide per ricordarsi di ricordare. Si lascia andare ad un sospiro carico di stanchezza, prima di ripetere mentalmente quel nome – Cas. Non lo fa più con la speranza di qualche miracolo, di una qualche improvvisa salvezza, ma con la preghiera di sapere accettare quella morte per tutto ciò in cui crede e per tutto ciò che ha di più caro.

 

***

Dean continua a fissare quella cenere, anche quando rimane solo, anche quando chiede a suo fratello di lasciargli uno stupido momento da solo. E’ così impegnato a guardare tutto ciò che resta, quello che rimane, che quasi non si accorge di Claire alle sue spalle ed è sollevante e spaventoso che ci sia ancora qualcosa in grado di distrarlo. Sollevante perché non gli accadeva più da quando era bambino – da quando ogni rumore era diventato una minaccia – e spaventoso perché ha visto decine di cacciatori morire per aver abbassato la guardia per un misero istante, il tempo necessario ad un proiettile di perforarti il cranio o ad uno stupido vampiro di trapassarti la schiena.

Dean pensa distrattamente che, nel tempo passato ad osservare quelle ceneri, in un’altra situazione – in un universo che non era stato concepito da Jack – sarebbe già morto almeno quattro volte.

Un leggero colpo di tosse alle sue spalle lo fa sobbalzare.

“Maledizione, Claire, va’ dentro. Comincia a fare a freddo e non ho intenzione di dirti nulla riguardo a quel libro.” la rimprovera nel voltarsi, non appena i loro occhi si incrociano.

Claire non può che fare un passo avanti, con una smorfia.

“Sembravi aver bisogno di supporto” afferma, ostinandosi a guardarlo negli occhi, senza sussultare. “Ed è stupido da parte tua credere di poterci tenere qualcosa nascosto, quando viviamo con una sensitiva. Ti facevo più intelligente”

Dean sbuffa, scuotendo il capo. Non è che ci sia da stupirsi del fatto che Patience sia la degna nipote di Missouri, ma c’è qualcosa nella consapevolezza di quello che la giovane sensitiva poteva conoscere di lui che non può fare a meno di metterlo in soggezione. Sapeva di quello che sarebbe successo se solo le cose con Chuck fossero andate diversamente? Di come sarebbe morto in quel caso? Di come Cas aveva sacrificato la sua vita? Di quello che aveva detto prima di sacrificarla? Di quella domanda che, assillante, non può che rimbombargli nella testa?

C’è qualcosa nell’avere davanti Claire senza sapere cosa Patience le abbia detto che lo agita, come se fosse stato scoperto a violare delle regole tacite, ma condivise.

“Non del tuo supporto. ” ribatte bruscamente.

Se ne pente solo quando vede l’espressione sul volto di Claire mutare. E per la prima volta realizza: non è l’unica persona a percepire il peso di quella perdita. Non è l’unico ad avere perso Cas, non è l’unico ancora troppo preso a contare le perdite per potere celebrare la fine della guerra.

La ragazza si lascia andare ad un sospiro frustrato, nel vedere quelle scuse non pronunciate che si sono improvvisamente dipinte sul suo volto.

“Oh, per favore. Smettila di guardarmi come se fossi una stupida ragazzina a cui hai chiesto di confortarti.” afferma, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo. “Sono un’adulta”

Dean piega la testa di lato, rivolgendole un’occhiata critica.

“Claire” mormora, così piano che solo lei possa sentire.

C’è una domanda implicita in quel nome, c’è un come stai? che Dean non le chiede perché la conosce abbastanza da sapere che si nasconderebbe dietro un sorriso o che non potrebbe fare altro che scappare, ma dalla giovane non arriva che un gemito di frustrazione.

“Cosa vuoi che ti dica, eh? Che è stato come se papà fosse morto di nuovo?” ribatte, alzando appena il tono.

Claire scuote la testa, come a scacciare un pensiero. Non può non pensare a come fosse stato traumatico in quei primi giorni guardare la forma del suo volto, i suoi occhi, confondersi e pensare papà e fermarsi, prima che la voce le si spezzasse in un informe gracchiare.

“Claire, mi dispiace” dice solamente, perché non c’è altro da dire e non c’è altro che sia abbastanza.

La ragazza lascia per un attimo che Dean la stringa in un abbraccio, che gli permetta di appoggiare la testa contro il suo sterno e di percepire il battito del suo cuore. Non piange, non lì, ma permette a sé stessa di lasciarsi andare per qualche istante. E Dean lascia che lo faccia, perché forse dovrebbe uscire e andare da qualche parte a festeggiare il fatto di essere ancora vivo, ma è difficile farlo quando ogni rumore è più forte del previsto, quando persino il cozzare dei bicchieri a tavola gli ricorda il suono di un’esplosione o di uno sparo; è difficile farlo quando ogni risata gli ricorda coloro che si sono lasciati indietro.

“Menomale che ero io ad aver bisogno di supporto, ragazzina” borbotta burberamente, quando la giovane si allontana.

“Oh, sta’ zitto” risponde indignata, per poi asciugarsi velocemente una lacrima sotto l’occhio.

Per qualche momento rimangono entrambi in silenzio, senza sapere cosa dire.

“Ho trovato quell’opuscolo per un corso di Criminologia al college che hai nascosto sotto il materasso” afferma ad un tratto Dean, ammorbidendo appena il tono nel proseguire. “Mi aspettavo un nascondiglio più intelligente da parte tua, ragazzina.”

Claire fa per aprire la bocca e protestare perché è un colpo basso e non ha alcuna intenzione di dirgli che sì, grazie tante, ci aveva pensato, ma si porta ancora dentro quei volti fatti di ombre nere e denti che ha incontrato in quegli anni, in cui la sua stanza era stata una gabbia da cui scappare e il mondo un posto di cui riempirsi tramite le vite degli altri, in un continuo guardarsi intorno e ripetersi che era vita anche quella, anche se non era quella che Jody e i suoi genitori avrebbero voluto per lei.

“Oh, smettila, fammi finire. L’hai detto tu, sei un’adulta. E penso che dovresti andare, se è quello che vuoi.” gli dice semplicemente, senza sottolineare che forse vederla trovare la sua strada – qualunque cosa fosse – è quello che avrebbe voluto anche suo padre per lei. Non glielo dice, perché sa per esperienza cosa significhi dover vivere per soddisfare le aspettative di qualcuno.

Claire scuote appena il capo. Lo osserva per un secondo, prima di sbuffare e di cedere.

“E’ stupido. E non so se è quello che voglio, ma non so cos’altro fare” ammette alla fine.

Dean gli posa una mano fra i capelli, come è sua consuetudine ormai da anni e Claire è così abituata a quel gesto che non cerca nemmeno più di scuoterselo di dosso.

“Ehi, lo hai detto anche tu: sei un’adulta. Benvenuta nel club di chi non sa cosa diavolo fare, ragazzina” le risponde semplicemente, sovrappensiero.

La ragazza non può che alzare gli occhi al cielo in una smorfia esasperata, mentre la mano di Dean si fa più pesante, più corporea fra i suoi capelli, un’ancora fatta di dita e calore.

“Oh, andiamo. Abbastanza adulta da lasciarmi l’Impala per un appuntamento con Kaia?” ribatte, trattenendo appena un sorriso.

E davvero, Dean è tanto così dal dirle di scordarsi di toccare Baby per i prossimi tre secoli, che essere un adulto non è mai stato abbastanza per avvicinarsi a lei, ma per farlo dovrebbe negare che quel sorriso – quel sorriso fiero e orgoglioso e ironico – che Claire gli rivolge gli dia alcuna soddisfazione.

“Dannazione, adesso non esagerare. Non così adulta” borbotta invece, a denti stretti.

E se, davanti alla smorfia della ragazza, Dean le stringe la spalla un po’ più forte, si dice che è solo per ricordarle che quella è la sua macchina e non si tocca, non per confortarla, non per incoraggiarla, non per ricambiare il sorriso.

 

 

***

Quando Dean riparte insieme a suo fratello, lo fa con la valigia stretta fra le dita e con un pacco di nostalgia che gli ferisce le costole, più che riempirle.

Riparte con addosso un abbraccio quasi violento di Claire e il ci vediamo presto di Jody che non è più carico di quella preoccupazione di prima, di chi non sa se si vedranno mai di nuovo; riparte con Alex che lo saluta sulla porta, con un sorriso. A volte Dean non sa che farsene di quell’amore che è fatto di presenza e di parole a cui non è abituato, a volte vorrebbe scrollarseli di dosso, urlare che gli chiedono troppo, che ci sono cose che non può dare e prendere, che può solo osservare, ma quella famiglia ha ormai radici resistenti come quelle di una quercia e resta. Resta sempre.

E’ Patience a distrarlo da quel pensiero, comparendo sulla porta quando suo fratello si è già diretto verso la macchina e gli altri sono rientrati.

“Dean” lo chiama, con un cipiglio serio sul volto. “Ho la risposta alla tua domanda.”

Dean scuote le spalle, interdetto da quell’apparizione improvvisa come la neve in California. Le sue labbra si piegano in una smorfia di scetticismo perché non ha posto alcuna domanda – non ad alta voce – e se quella non fosse la nipote di Missouri Moseley, non potrebbe fare a meno di ridere - non che non faccia comunque un tentativo di dissimulare.

“Oh, dannazione. Mi leggi nella mente, ragazzina? Sai che questo è piuttosto inquietante da parte tua, non è vero?” le chiede, ma l’ironia nella sua voce non è spontanea come l’aveva prevista.

La ragazza non si scompone, ha sul volto un’espressione seria ed eterea che la rende improvvisamente più simile alla nonna, più simile al cipiglio severo che si dipingeva sul suo volto.

“La sua anima è in Paradiso e ha trovato la pace” afferma alla fine, senza nessun tentennamento. “E’ morto con l’amore nel cuore e non si pente della scelta che ha fatto. Ma ha una domanda per te.”

Patience avanza di un passo e il suo sguardo sembra trapassarlo e sondargli l’anima e scavare dentro, fino a trovare tutte le sue paure più recondite, tutti i dubbi che non potevano fare a meno di tenerlo sveglio la notte. La giovane non gli dà tempo di controbattere, prima di concludere.

“Tu hai trovato la tua?”

 

 

***

 

Dicembre 2022 – due anni e mezzo dopo

 

Sam a volte si chiede ancora quanto durerà. Per quanto ancora Eileen gli resterà accanto prima che tutto scompaia, prima che si accorga che il sangue sulle sue mani è troppo perché possa restare; si chiede quanto manchi ancora prima che si accorga che è stato un miraggio, uno stupido sogno Dijin da cui non si è mai svegliato.

In certe mattine, prima di aprire gli occhi, ha la distinta sensazione di essere solo nel letto matrimoniale. Una parte di lui pensa: era solo questione di tempo, fino a quando non guarda il lampadario sul soffitto e sente quel respiro nell’incavo del suo collo o il peso delle sue mani contro il suo petto o della gamba di Eileen fra le sue. A volte apre gli occhi e vede una massa di capelli castani sul cuscino accanto al suo e improvvisamente, con un sospiro che gli scuote il petto come un singhiozzo, il mondo torna al suo posto. E lui può tornare a contare i giorni che mancano prima che la trovi sul soffitto, prima che si renda conto che era tutta solo un’illusione.

Sam continua a contare, ma quando apre gli occhi, Eileen è ancora lì, rannicchiata contro la sua spalla, con un braccio abbandonato sul suo petto, come se neanche nel sonno volesse lasciarlo andare.

“Buongiorno” la saluta, con un sorriso e con un cenno della mano quando si volta a guardarlo.

Eileen ricambia il sorriso e Sam non può che pensare che c’è qualcosa di strano e alienante nello stare lì, in quella casa che Sonny li aveva aiutati a prendere, nell’averla fra le braccia, nel sentire Dean litigare con un frullatore al piano di sotto - “Non sapevo che le case potessero avere stanze così vicine” “Di solito le bifamiliari sono fatte così, fratellino” - , nel vedere ogni mattina la chioma scura della donna sgattaiolare fuori dal letto e toccarsi il polso in un deciso “Che ore sono?”, mentre si affretta a raggiungere lo studio legale in cui sta facendo il suo tirocinio.

C’è qualcosa di strano e alienante e meraviglioso nello svegliarsi e trovare sempre uno spazzolino accanto al suo – nell’assoluta e meravigliosa banalità del trovare ogni mattino uno spazzolino accanto al suo.

“Sono le nove e mezza. Dean ha un impegno da Sonny questa mattina e partiamo nel pomeriggio” risponde Sam, mettendosi a sedere sul letto, in modo che lei possa vedere meglio la forma che quelle parole assumono sulle sue labbra. “Sei sicura di non voler venire?”

Non c’è bisogno che Sam le spieghi dove, perché non è una giornata qualsiasi quella.

Perché anche quella nuova esistenza, quella dopo la fine della guerra, è fatta di momenti.

Ci sono momenti in cui si ci tiene per mano e si ci ama in silenzio e momenti in cui invece lo si urla al mondo intero ad un concerto dei Kansas all’aria aperta, momenti in cui dedica a Dean la sua laurea in Legge, momenti in cui Eileen lo bacia fino a rimanere senza fiato perché hanno pubblicato un articolo sulla sua ultima vittoria legale su un mensile importante, momenti in cui Dean asciuga le sue lacrime e lui asciuga le sue, momenti in cui si sostengono e momenti in cui litigano, momenti in cui si toccano e si chiedono scusa silenziosamente. Momenti di delicatezza, di dolore, di soddisfazione e momenti come quello in cui Sam guarda il calendario con una data di lì a due giorni – 9 dicembre 2022 - e si ricorda che, per quanto possa essere stato ingiusto e folle e doloroso, alla fine una possibilità l’hanno avuta.

“Devo andare al lavoro” gli dice Eileen, battendo piano un pugno sull’altro.

E Sam sorride, perché è strano e alienante e meraviglioso dopo tre anni sentirla parlare di lavoro e vederla riferirsi al tirocinio che sta facendo, mentre sta per concludere la laurea in Legge. E’ strano e alienante alzarsi la mattina e sentirla parlare delle difficoltà che molte persone non udenti hanno nel cercare un avvocato che li comprenda e sappia soddisfare le loro esigenze.

“Mi hanno detto che il clima delle coste del Messico è bellissimo a dicembre” osserva, guardandola con un sorriso. “Sicuramente è migliore di quello di Hurleyville”

Il volto di Eileen si apre in un sorriso: Sam può quasi sentirlo contro la sua pelle, può immaginare la luce che le riempie gli occhi e la piega di lusingata sorpresa perché ha capito a cosa si riferisce e non è solo il viaggio per cui partirà di lì a poco – più di due giorni di macchina perché quell’idiota di suo fratello si era categoricamente rifiutato di prendere l’aereo, grazie tante.

“Potremmo tenerla in considerazione per il futuro, allora” gli mormora fra i capelli, avvicinandosi.

Sono fidanzati ufficialmente da così poco e Sam fa ancora fatica a crederle quando gli dice che lo ama, che non desidera altro; fa ancora fatica a credere di poterle sfiorare le labbra con un bacio la mattina e di poter ridere delle sue proteste perché è presto e non si è ancora lavata i denti. Fa ancora fatica a credere che abbia scelto lui, nonostante tutti i modi in cui le cose hanno rischiato di naufragare, fa ancora fatica a credere che sia il suo l’anello che porta al dito.

“Dico sul serio” afferma la donna, solleticandogli la pelle nel fianco e il più piccolo dei Winchester esala una risata, contorcendosi per sfuggire alle sue dita.

Sam ride e fa ancora fatica a credere che sia tutto reale e Eileen ha intenzione di ripeterglielo fino a quando non riuscirà a convincerlo e non importa se ci vorranno giorni o anni, non importa se le ci vorrà una vita intera, perché è a lei che ha promesso quella vita ed è un voto che ha intenzione di rispettare a tutti i costi - perché hanno tempo e non ha intenzione di andare da nessuna parte.

 

***

Dean Winchester, o quello che resta della pelle di un uomo che sarebbe dovuto morire in un fienile se le cose fossero andate diversamente, conosce il peso dell’essere secondo, dell’essere il pensiero che sfiora la mente solo dopo che il piano è stato messo in atto, solo dopo che qualcuno è stato salvato.

Per questo, quando ha raggiunto l’istituto di correzione di Sonny, Dean si è promesso di non commettere l’errore di preferire un ragazzino ad un altro ed è stato facile farlo. E’ stato ed è facile recarsi alle attività extrascolastiche di ciascuno di loro e gustarsi il sorriso soddisfatto di chi credeva che non si sarebbe mai presentato, è stato facile proporre a Sonny una serata film ogni sabato sera - “Oh andiamo, Sonny. Questa è una cosa che si fa in una vera famiglia e devono sapere come funziona una vera famiglia per costruirne una.”-, è stato facile fare il giro per tutto il dormitorio almeno tre volte ogni notte e assicurarsi che nessuno si addormentasse piangendo o stesse avendo incubi.

Le cose sono diventate più complicate quando Jake, quindici anni da compiere, una sfilza di problemi di gestione della rabbia alle spalle e un futuro fatto di un processo per eccesso di legittima difesa, aveva varcato la soglia di quel posto che per lui non aveva significato altro che speranza e futuro ogni volta che vi era tornato.

Dean non si rende immediatamente conto dell’attenzione con cui lo segue lungo i corridoi della struttura, di come segua improvvisamente i suoi progressi con la stessa dedizione con cui aveva seguito anni prima quelli di Ben. Non se ne accorge fino a quando quella mattina Sonny gli si siede davanti nel suo ufficio, con un sorriso tirato come quello di un vecchio palloncino sgonfio.

“Hai portato di nuovo Jake a cena fuori, ieri sera”

La voce di Sonny lo fa appena sussultare e Dean si umetta le labbra in una parvenza di serenità.

“Disse l’uomo che mi portava a mangiare fuori ogni volta che vincevo un match di pugilato.” sussurra furiosamente, per non farsi sentire fuori dall’ufficio. “Oh, andiamo, Sonny. La situazione è complicata. Lo sai chi è e sai cosa sta passando. Sto cercando di farlo ambientare perché nessun ragazzino merita una cosa del genere.”

Sonny lo guarda con un sopracciglio inarcato e un’ espressione divertita sulle labbra che per un istante non può che strappare un gemito indignato al maggiore dei Winchester. E’ che Dean sembra tanto diverso, tanto lontano dal Dean che voleva dare le dimissioni nemmeno una settimana dopo il suo arrivo perché aveva reagito male, nel sentire uno dei ragazzi più grandi cercare di convincere i più piccoli che ci fosse un fantasma nell'istituto. E ha imparato la lezione più importante: in un posto del genere, non puoi aiutare tutti nello stesso modo o finirai per non aiutare nessuno.

“La situazione è complicata, ma non per i motivi che dici tu.” non può che rispondergli, con l’aria di chi ha vissuto più di te e vede cosa stai cercando di nascondere. “Mi ha chiamato il Difensore pubblico. La difesa della sua famiglia affidataria vuole cercare di portare il processo in un tribunale per adulti.”

Dean mastica un’imprecazione fra i denti. E’ difficile parlare con Sonny di Jake e non farsi scivolare sulla lingua tutte quelle attenzioni particolari che Dean, ancora ora, non riesce ad impedirsi di dedicare a quel ragazzino, dal momento in cui aveva saputo che aveva sparato a suo padre affidatario per difendere un bambino che conosceva da poco più di tre settimane. E’ difficile lasciare che gli occhi non gli si ammorbidiscano al pensiero delle diciannove famiglie affidatarie in cui era stato sballottato prima di quella.

“Oh, andiamo.” inizia, sbuffando appena. “Se stai per dirmi qualcosa come “Se ti lasci coinvolgere, ne morirai”, sappi che non ha funzionato nemmeno quando c’era la possibilità che succedesse davvero.”

Ed era successo davvero, in realtà. Beh, quasi. A volte pensa ancora a tutta la morte che si sono lasciati dietro. Ci pensa ancora, davvero, ma la cosa più terribile e assurda è che ci pensa solo quando si ricorda di non pensarci da due giorni. Quando si ricorda che dovrebbe farlo e si sente in colpa per un istante, prima che i ragazzi tornino a richiamare la sua attenzione.

Perché dannazione, ogni giorno che passa, si sente un po’ più lontano dal Dean che ha lasciato casa di Jody tre anni prima e che per mesi è fuggito alla tomba di sua madre e al ricordo di Cas. Si sente un po’ meno smarrito in un mondo in cui non sa cosa fare.

Sonny si alza in piedi, guardandolo negli occhi e appoggiandogli una mano sulla spalla.

“No, questa è la parte in cui ti dico che avrà bisogno di un buon avvocato.” ribatte, scuotendo il capo. “E di goderti il Messico, D-Dawg. E’ sempre strano vederti lasciare questo posto, ma questa volta è diverso.”

Questa volta so che tornerai, non gli dice.

Dean scuote appena il capo, ma la smorfia che si apre sul suo volto è molto più simile ad un ghigno. Sonny non può fare a meno di sentirsi come un artista davanti al suo capolavoro.

“Non ti facevo tipo da sentimentalismi.” afferma Dean, ma quel groppo che ha alla gola deve essere necessariamente il prodotto di un’influenza stagionale e non del fatto di non aver mai riflettuto su quante persone abbiano passato anni in pena per lui.

L’uomo scuote il capo, inarcando le sopracciglia in un accenno di tenerezza mista a disapprovazione che non può fare a meno di ricordargli come lo guardasse, quando era ragazzino e combinava casini.

“Torno presto” mormora contro la spalla di Sonny, quando l’uomo l’abbraccia per salutarlo.

“E troverò un dannato avvocato con due coglioni così per Jake, te lo prometto” aggiunge, senza esitazione.

Del resto, per farlo non è che debba poi andare molto lontano e se c’è una cosa che gli manca di tutto quello si sono lasciati alle spalle, è proprio lavorare con suo fratello.

L’uomo annuisce, ma lascia ancora per qualche secondo la mano sulla spalla di Dean, prima di mollare la presa.

“Ti aspetteremo, ragazzo” risponde, con un mezzo sorriso.

Quando il maggiore dei Winchester esce dalla stanza, rimane a guardare dalla finestra l’Impala che si allontana. Dean lo saluta da sotto con un gesto della mano e poi con il clacson, nello scorgerlo fra le tende di lino. Sonny sorride e questa volta il cuore stringe meno dell’altra.

 

***

Dean dimentica – dimentica le linee di sale la sera, dimentica il codice di sicurezza del bunker, dimentica il numero di gradini che portavano alla sua casa di Lawrence. Dean dimentica e la vita va avanti.

Non dimentica il suo volto e nemmeno quelli di coloro che erano morti per combattere la loro causa, ma non ricorda più come il solo sentirli nominare non potesse che dargli un senso di soffocamento, come gli facesse stringere le gambe alla ricerca di qualcosa – sollievo, forse, o una via di fuga, dalla sua pelle ancora prima che dalla caccia.

Si dimentica perché ogni scelta che ha compiuto l’ha portato più lontano dalla vita che (non) avrebbe potuto avere se solo, tre anni prima, non fosse riuscito a vedere altro rispetto a quello che era stato cresciuto per essere, se solo non avesse saputo accettare la mano che Sam gli stava tendendo.

Si dimentica, semplicemente, perché è felice. E perché non avrebbe dovuto esserlo? Aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato (o

meglio, tutto ciò che aveva sempre desiderato dopo aver realizzato che diventare una rockstar o fare il pompiere non era più parte delle sue possibilità – ed era una consapevolezza che l’aveva ferito meno di quanto avrebbe dovuto.)

Sam era tornato al college, era diventato un avvocato (almeno una parte del piano che quello stupido testardo aveva fatto quando era bambino si era realizzata, hurrà!) e nonostante quel dramma continuo che era stata la loro esistenza, nonostante Azazel, nonostante Chuck, nonostante un cognome che li seguiva come un incudine dovunque andassero, nonostante tutto ciò che avevano perso, si erano ricostruiti una vita. Non era stato facile, nossignore, ma dannazione, suo fratello è Sam Winchester e davvero, era stato felice.

Quindi dimentica e, mentre parcheggia sotto casa, si trova a pensare che è così naturale che nemmeno per un istante si pente delle scelte che l’hanno condotto dove si trova ora, dove non si sarebbe trovato, se non fosse stato per l’uomo che lo fissa dal balcone.

“Pronto per ingozzarti di churros, fratellino?” gli urla, uscendo dall’abitacolo della macchina.

I capelli di Sam illuminati dalla luce malata di Hurleyville a dicembre sembrano ancora più chiari. I suoi occhi invece sono animati da un piglio divertito.

“Dean, non riesco a credere che l’unica cosa che conosci del Messico sia un dolce di origine spagnola” ribatte il minore dei Winchester, con una vaga nota di indignazione.

Dean sbuffa perché dannazione, non sarebbe suo fratello se non fosse così dannatamente puntiglioso. Mastica un insulto rivolto a Sam fra i denti e si ferma per qualche istante davanti alla porta, con il mazzo di chiavi in mano, mentre cerca di trattenere il sorriso che la familiarità della scena rischia di strappargli.

“Forza, sali” ribatte suo fratello, con una smorfia vagamente indispettita. “E comunque sia, sappi che ti ho sentito.”

La serratura scatta con la familiarità di sempre e Dean quasi si sorprende della risata che gli lascia le labbra.

 

***

L’appartamento di suo fratello è appena più grande di quello al piano di sotto – il suo – e le prime volte in cui Dean si era fermato lì non aveva potuto fare a meno di pensare che ad Eileen averlo sempre intorno avrebbe potuto dare fastidio, che aveva sicuramente altro da fare, ma lei non si lamenta mai delle sue visite. Non quando si presenta nel mezzo della notte perché ha sentito un rumore e deve controllare che stiano bene, non quando è entusiasta e deve condividere con qualcuno uno dei progressi dei suoi ragazzi. Così ben presto casa di Sam e Eileen si era riempita dell’eco delle loro risate, delle discussioni, delle prime notti fatte di paure e incubi, passate semisepolto fra le coperte del loro divano – Sono passati mesi, Sammy. Dannazione, perché non smettono? Voglio solo dormire -, della loro e della sua vita.

Gli incubi non se ne erano andati, alla fine. Erano solo diventati tutti e due più bravi a gestirli, così che solo uno dei due si svegliasse nel cuore della notte, coperto di sudore freddo e con la gola chiusa da un urlo abortito, e l’altro fosse pronto ad abbracciarlo e a ricordargli che sono vivi, che respirano, che sono solo cicatrici, vecchie ferite - almeno fino a quando non era riuscito a prendere sonno nel suo appartamento. E nessuno – nessuno tranne Eileen – avrebbe mai potuto comprendere tutto ciò, accettare tutto ciò.

“Dovresti venire con noi. Dico sul serio, Eileen” gli dice Dean, seduto al tavolo della cucina di Sam, mentre afferra una birra che la donna gli ha offerto, una volta in casa. “Oh, andiamo, sei la ragazza di mio fratello. Sei praticamente parte della famiglia”

Sam è appoggiato al mobile della cucina e ha la testa china, ma non riesce a trattenere un risolino. Dean non può che lanciargli uno sguardo interrogativo, ma è Eileen a rompere il silenzio.

“No, non lo sono” afferma, con convinzione, prima di rivolgere un sorriso a Sam. “Non ancora”

Per un attimo Dean resta interdetto, ma poi la donna si apre in un sorriso compiaciuto e Sam guarda la coda in cui sono raccolti i suoi capelli sulla nuca come se fosse la cosa migliore del mondo. Qualsiasi dubbio possa avere su cosa diavolo stia succedendo, si scioglie quando Sam fa segno di sì con il capo, quando le sue labbra si piegano in un sorriso.

“Dean!” lo ammonisce Sam, quando suo fratello lo tira in un abbraccio troppo caldo.

Ma il maggiore dei Winchester ride, leggero. La sua fronte è spianata da qualsiasi ruga di tensione e la risata che ne esce è l’eco di un vecchio imbarazzo, di un vecchio non saper vivere l’amore, di chi comunque non riesce a fare a meno di nascondere quel nodo di commozione alla gola con una battuta scema.

“Però, Eileen, eh? E io che quando eri adolescente pensavo che saresti morto vergine, fratellino” gli sussurra contro l’orecchio, prima di rompere l’abbraccio.

Sam non può fare a meno di lasciarsi andare ad uno sbuffo oltraggiato che è accompagnato da una discreta gomitata nelle costole, ma Dean scuote le spalle, impenitente, prima di trovare un’altra vittima da abbracciare, sebbene con molta più delicatezza.

“L’idea è stata tua, quindi è colpa tua” afferma il minore dei Winchester, passando il pugno sul dorso dell’altra mano, rivolgendosi alla sua futura sposa, ancora fra le grinfie di suo fratello.

Gli occhi di Dean si posano, enormi e felici, un’ultima volta su di loro, prima che si precipiti verso il frigorifero, da cui emerge con una bottiglia.

“Champagne analcolico? Sul serio? Sei sempre stato noioso, Sammy” afferma, in una smorfia di incredulità, per poi puntare un dito contro Eileen. “Ma Eileen, io mi fidavo di te.”

Eileen per tutta risposta sorride. In fondo ci sarà tempo anche per parlare con Sam di quel test di gravidanza. Dean si limita a scuotere il capo e a sorridere, prima di versare comunque quello stupidissimo champagne nei bicchieri - “Solo perché dobbiamo comunque festeggiare, Sammy. E parlare di lavoro, anche...Oh, andiamo, fratellino, non ti era mancato lavorare con me?.

 

***

Ci vogliono giorni, settimane, anni. E’ un esercizio lento e difficile imparare che se anche i tuoi genitori sono stati poco più di stelle cadenti, fatti di luce lontanissima e già fredda nella tua vita, non per questo ogni forma di amore ti è preclusa. E’ un esercizio lento e difficile imparare che chiedere aiuto – a Sam o a chiunque altro – non è una forma di debolezza, ma è l’unica strada possibile per rompere un ciclo di violenza.

C’erano voluti mesi dopo essersi stabilito a Hurleyville, c’era voluto un inverno speso sul divano di Sam, c’erano volute le telefonate dal college di Claire attraverso una linea telefonica interrotta, c’era voluta quella domanda assillante che a volte lo attanaglia ancora e non riesce a mollarlo: cosa diavolo aveva fatto di più di Cas, di Jo, di Charlie per meritarsi un appartamento, un lavoro e dannazione, persino la possibilità di una vacanza?

L’aveva chiesto a Sam, una notte. Suo fratello l’aveva guardato impassibile e aveva ribattuto Cos’hai fatto per meritartelo meno, Dean?, mentre lui era rimasto in silenzio, a osservarlo come i pesci dentro l’acquario per poi emettere un verso oltraggiato perché non è questo il punto, Sammy.

Dean scuote la testa. Quando, indugiando a fari spenti, con le mani strette sul volante, supera il cartello State lasciando lo Stato del Texas, pensa a come prima di Cas, prima di quello stupido testardo di Sam, non fosse mai esistito nessun piano che vedesse un Dean Winchester vivo andarsene in vacanza in Messico. Nessun piano prima di Sam.

E chissà, pensa, accelerando sul buio dell'interstatale mentre l’aria fresca dei finestrini aperti si insinua fra i suoi capelli, un giorno magari avrebbe trovato il coraggio di dirlo alla persona più testarda che conosce, che si sta strofinando gli occhi al suo fianco, ancora assonnato.

“Alzati e splendi, Sammy” afferma Dean, voltandosi appena, per poi tornare a concentrarsi sulla strada. “Benvenuto nel Golfo del Messico, fratellino.”

Quando Sam si volta verso di lui a guardarlo, Dean è tutto fossette e occhi chiari e un sorriso divertito stampato sulle labbra. Per un attimo, vorrebbe dirgli che il Golfo del Messico è esattamente sulla costa opposta di Zihuatanejo, che ha allungato la strada, ma un sorriso gli piega l’angolo delle labbra e Sam, nel vederlo così sereno, nel vederlo a suo agio con tutta quella stupida tenerezza sgraziata che lo caratterizza, si sente finalmente a casa. Sente i polmoni riempirsi d’aria e gonfiarsi come palloncini che gli sollevano la cassa toracica. Scuote le spalle, in un moto di incredulità.

“Dean, sai che siamo ancora a dodici ore di distanza, vero?” lo rimbecca, ma è solo la familiarità, è solo il loro modo di comunicare.

Dean scuote la testa, perché è strana anche quella sensazione, a volte. E’ strano che sia così naturale crogiolarsi in quella vita di città di provincia, naturale come indossare un vecchio paio di jeans ritrovati sul fondo di un armadio che non avrebbe mai avuto, se le cose fossero andate diversamente.

“Oh, andiamo. Vorresti seriamente dirmi che non vuoi vedere l’alba sul golfo del Messico?” ribatte, e continua a sorridere.

Sam non può che nascondere una risata dietro un colpo di tosse. Ad accoglierli in Messico, c’è un cielo coperto di nuvole, ma Dean lo trova comunque incantevole.

 

***

Zihuatanejo.

La parola suona ancora straniera sulla sua lingua, anche dopo averla sussurrata così tante volte in quel viaggio verso il Messico. Non importa quante volte Dean la ripeta e quanto si avvicini, sembra qualcosa che non gli appartiene davvero, che non può essere pensato o raggiunto, non da lui almeno. Ma è così con molte cose, oggi: è un mondo di contraddizioni, e non c’è nessuna semplicità in esso. Quell’esistenza ha persino nella sua estraneità qualcosa che gli ricorda di un vecchio amico: è un sentiero fatto di briciole di pane che Cas ha seminato per lui, come un’ultima eredità, come un ultimo abbraccio preso di striscio e che Sam lo ha aiutato a percorrere, a raggiungere.

Zihuatanejo sembra ancora un sogno, ma in realtà tutto il Messico lo sembra. Tutto il mondo lo sembra. E Dean, davanti all’alba sulla spiaggia di Veracruz, ha ancora paura – dannazione, è più spaventato di quanto lo sia stato in tutti quegli anni a caccia. Ma è entusiasta e questo lo rende sopportabile, rende sopportabile quel sole che non brucia la sua pelle e che non gli ferisce gli occhi.

“Il ragazzino sta facendo un bel lavoro, non è vero, Sammy?” gli chiede mentre guarda il sole sorgere, seduto su quella spiaggia, prima di ingoiare un altro sorso di birra.

Jack è uno di quei punti interrogativi rimasti in sospeso nella sua vita, è un dopo ti devo dire una cosa rimandato fino a quando dopo non arriva più. Dean non lo aveva mai pregato - dannazione, chi diavolo pregherebbe mai uno stupido ragazzino con le Air Force? - ma gli era capitato di guardare il cielo e di sperare che lo sentisse, che lo ascoltasse, che lo perdonasse, se poteva.

Al suo fianco, Sam si limita a un piccolo sorriso davanti a quella tela di colori che è l’alba su Veracruz, perché improvvisamente gli sembra di ricordare qualcosa, gli sembra di aver recuperato un ricordo. E forse sono i colori dell’alba sul volto di Dean, ma giura di aver visto i suoi occhi brillare.

“Dannazione, Sammy, potrei morire in un posto del genere!” continua Dean.

Sam, davanti a lui, non può che irrigidirsi per un momento per poi scuotere il capo, quando lo vede scoppiare a ridere. La mano di Dean si posa sulla sua spalla e Sam ripensa, distrattamente, all’alba di un altro giorno di sole. Era primavera e gli uccellini cinguettavano allegri, fra le fronde degli alberi. Aveva otto anni, c’era suo fratello – ovviamente c’era suo fratello - , e suo padre aveva una strana luce nello sguardo, che aveva fatto chiedere a Sam perché non potesse essere tutti i giorni così: sorridente e gentile come i padri dovevano essere. Ricorda quello che gli aveva detto, ricorda la sua mano sulla sua spalla, ne ricorda la voce e il tono e le parole e ricorda di non aver capito – non allora, almeno.

“Dean, ti ricordi quando papà si è fermato per strada per guardare l’alba?” chiede, improvvisamente animato da una certa urgenza.

Dean si volta a guardarlo, con un sopracciglio inarcato. Proprio non riesce a nascondere il ghigno che gli increspa le labbra, improvvisamente divertito.

“L’alba ti rende più sentimentale e in vena di reminiscenze del solito, Sammy?” lo rimbecca appena.

Sam gli lancia un’occhiataccia e non trattiene il verso di esasperazione che gli lascia le labbra, prima di riprendere a parlare.

“Sta’ zitto” ribatte solamente, ancora preso a inseguire quel ricordo, ancora così lontano. “Tu dormivi, mi aveva detto di non svegliarti, perché voleva mostrarmi una cosa. E mi portò fuori, a vedere l’alba. Disse che era uno dei pochi ricordi che aveva di suo padre ...”

Dean lo guarda sorpreso e non sa se sia più perché è lì, su quella spiaggia, con i vestiti pieni di sabbia o per quello di cui suo fratello sta parlando. Non lo sa e non importa, perché qualunque cosa sia, ha perdonato suo padre anni e anni prima per qualsiasi ordine ricevuto, lo ha perdonato per avergli accarezzato i capelli mentre gli diceva di prendersi cura di Sammy, prima di sparire per giorni.

“Quindi lo scoop è che anche papà aveva sbronze buone?” gli risponde, con un leggero scuotere di spalle.

Per un attimo Sam sembra esitare; Dean vede gli ingranaggi lavorare dietro i suoi occhi chiari. Suo fratello minore si porta la birra alle labbra, ne prende un sorso, prima di guardare il sole far capolino timido fra le onde e decidere che non importa, non ha paura, che sa perché quel ricordo gli è tornato in mente, adesso.

“Non era ubriaco, Dean” afferma, per poi continuare. “Tu ti svegliasti poco dopo, mentre eravamo fuori dall’Impala. E lui ci ordinò di avvertirlo nel momento in cui il sole sarebbe stato alto. Ricordo di avergli chiesto perché fosse così importante. E lui rispose...”

Si interrompe e lancia uno sguardo verso Dean, prima di guardare nuovamente il sole: sa esattamente perché quel ricordo – di quel giorno e di quelle parole – gli torni in mente ora, perché gli faccia pensare che, tutto sommato, è una bella vita. Un giorno quella frase si trasformerà in ho avuto una bella vita, ma quel giorno la morte non farà più così paura.

“Perché è sempre bello vedere la luce trionfare sull’oscurità” conclude alla fine.

E Dean può dare la colpa al sole di quell’ammutolirsi e di quelle lacrime che gli lambiscono improvvisamente gli occhi, perché ci sono varie versioni di come quella storia sarebbe dovuta finire, ma nessuna è come quella.

Nessuna finisce con un’alba, quella del 10 dicembre 2022, che non avrebbe mai dovuto vedere, se anche solo uno dei piani di Chuck fosse andato in porto.

Nessuna finisce con quell’improvvisa sensazione che - mentre il vento gli accarezza i capelli - gli scorre nelle vene e inizia ad attraversargli il sangue, gli penetra i polmoni e glieli riempie insieme all’aria e allo iodio, gli invade il cervello e sembra occupargli la mente e il cuore. La pace.

Nessuna finisce così. Nessuna, tranne quella che sta scrivendo grazie a Sam. Perché Cas aveva ragione: le cose buone succedono. E nessuna cosa buona muore mai.

 

 

 

“C’era una volta un principe” Sam inizia a raccontare una sera, steso sul letto della cameretta di suo figlio. “Anzi, no: c’era una volta un povero orfanello”

L’obiezione arriva rapida quanto aspettata.

“Non puoi cambiare una cosa del genere, papà. Se cambi una cosa del genere, cambia tutto” ride il bambino, rannicchiato contro di lui.

“Ehi, il ragazzino ha ragione” ribatte Dean, dall’altra stanza, in cui sta chiacchierando con Eileen.

Sam sbuffa appena e accenna un sorriso, prima di continuare.

“Non cambia tutto, cambia solo l’inizio, Dean. Ascolta e capirai...”

 

 

NDA
Grazie mille a chi è arrivato fino a qui. Non so come ringraziare, questa storia è stata infinitamente importante per me e spero di aver chiuso più archi narrativi possibili senza buchi di trama e in maniera coerente con quella che era la storia che volevo raccontare e con quello che volevo che il finale di SPN ci raccontasse. Ovviamente "Nessuna cosa buona muore mai" è una citazione che non mi appartiene, ma appartiene a Frank Darabont, il regista di The Shawshank Redemption (Remember, Red: Hope is a good thing. And no good thing ever dies) e sembrava perfetta da abbinare al "Good things do happen" di Cas. Sembrava la conclusione della storia, davvero. 
Importante 1: John Winchester che si ferma con i figli a guardare l'alba e dice che è bello vedere la luce trionfare sull'oscurità può sembrare melenso, ma è canon. La vignetta in cui fa ciò è parte del fumetto di Supernatural "Rising Son", che è stato approvato da Eric Kripke. Dal momento in cui l'ho letto, ho pensato che sarebbe stata un'ultima battuta conclusiva adatta. 
Importante 2: Il 9 dicembre 2022 non è una data scelta a caso nella maniera più assoluta, così come non è un caso che l'alba  davanti alla quale Dean si sofferma sia l'alba del 10 dicembre. Vi rinfresco la memoria con un video: è un'altra versione mostrata  da Chuck da cui sono scappati, un'alba che non avrebbero mai dovuto vedere. 
Importante 3: Perché Cas non ha mai fatto sapere a Dean di essere in pace? Tecnicamente, è una domanda che rimane nel finale canonico, ma siccome il finale canonico è un capolavoro di metanarrazione - lol -, vi do la risposta per quanto riguarda questa storia. All'interno di questa storia ho immaginato che siccome secondo la mitologia di SPN nemmeno Dio può niente contro il Vuoto, per tirarlo fuori Jack sia dovuto scendere a compromessi e Cas abbia dovuto rinunciare alla sua natura angelica. Ecco perché la frase non è "E' in Paradiso", ma è "La sua anima è in Paradiso" e di conseguenza  si è potuto mettere in contatto solo tramite una sensitiva come Patience.
Credo non ci sia altro da aggiungere, ringrazio di cuore chiunque sia arrivato fino a qui. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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