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Autore: crazy lion    22/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 25.

 

RIVIVERE IL PASSATO GUARDANDO AVANTI

 
Andrew procedeva piano, ascoltando i suoni della natura attorno a sé. Tutto era tranquillo eppure pieno di vita, animali e piante si univano a formare un unico cuore che pulsava senza smettere mai.
Non farei queste riflessioni a Los Angeles.
La confusione e la fretta là regnavano sovrane, mancava il tempo per soffermarsi su cose del genere. Eppure, l’aveva capito davvero soltanto in quei giorni, farlo trasmetteva un senso di tranquillità che non aveva mai provato prima né durante le gite nei boschi attorno alla città, né al lago Tahoe. Inspirando ed espirando per riempirsi i polmoni dell’aria salubre di Eltaria, si disse che uscire era stata la cosa migliore. Farlo prima, però, gli avrebbe giovato e si pentì di aver scartato più volte l’idea.
Sono stato pigro.
Sospirò; le forze gli mancavano anche ora e faticava ad alzare lo sguardo, lo teneva rivolto verso terra. Avrebbe potuto mettersi a scrivere qualcosa. Lì tutto era stupendo, perfino il sole e, di sera, la luna parevano brillare di più. Si era portato dietro un taccuino e una penna nel caso gli fosse venuta l’ispirazione, ma per il momento non sentiva nulla. Li estrasse dalla tasca dei jeans e si mise a pensare, ma tracciò solo una leggera linea, non gli uscì nessuna parola, nemmeno qualcosa di stupido. Vero, non scriveva spesso, non più come una volta, ma possibile che non fosse in grado di buttare giù nulla? Non molto tempo addietro aveva scritto una poesia sulla depressione che Demetria aveva apprezzato e sperava che, pian piano, il suo lato creativo sarebbe venuto fuori di nuovo, com’era accaduto durante la sua adolescenza. Era circondato da piante piene di frutti e foglie verdi, camminava su erba e aghi di pino, migliaia di uccellini riempivano l’aria di gioia e, Dio, anche lui avrebbe voluto sentire appieno tutta quella vita. Ne percepiva le vibrazioni, in fondo in fondo, ma non come quando non era malato, non come quando Carlie stava bene e la vita era più semplice. Non avrebbe potuto portare indietro il tempo e cambiare le cose, ma sperava che grazie ai propri sforzi e all’aiuto che stava ricevendo un giorno sarebbe tornato a sentirsi se non del tutto bene, almeno meglio, tanto da poter vivere sereno.
Si sedette per terra, con la schiena contro il tronco di un albero che non gli interessava riconoscere, e trasse un altro profondo respiro. Non poteva presentarsi all’orfanotrofio in quello stato, avrebbe fatto preoccupare Demi, angosciato Eliza e agitato i bambini ed era l’ultima cosa che voleva, ma non desiderava nemmeno chiudersi di nuovo in casa. La sua mente gli sussurrava che, invece, quella era l’unica cosa da fare, ma Andrew capì che la depressione gli stava parlando e che voleva ingannarlo, farlo vivere da recluso. Perché a volte lasciare fuori il mondo è più semplice che affrontarlo, ormai l’aveva capito, ma in quella maniera non avrebbe più vissuto. Alzò le braccia e le lasciò ricadere a peso morto sulle cosce. Da mesi la depressione faceva talmente parte di lui che non riusciva a sradicarla, un morbo che gli si era attaccato alla pelle, alle ossa, che gli era entrato dentro, troppo in profondità, senza il quale non avrebbe potuto essere l’uomo che era ora. La malattia l’aveva cambiato, ma grazie al cielo non solo in peggio, anzi. L’aveva portato ad analizzare con maggior precisione i suoi sentimenti, ad accoglierli e non ad allontanarli, per quanto potessero far paura. In quel momento si sentiva triste e non fece nulla per cambiare le cose. Aveva imparato che a volte bisogna lasciare che sensazioni del genere passino da sé.
La mano gli tornò al taccuino, che si appoggiò sulle ginocchia. Guardò il sole nonostante il dolore agli occhi e il fatto che, per qualche istante, non vide più niente, poi chiuse le palpebre e immaginò la luna. L’aveva vista splendere in tutta la sua bellezza nei giorni appena trascorsi. Quasi piena, solcava il cielo come una regina attraversava il proprio regno in sella a un destriero bianco. Fu con quest’immagine in testa che le parole fluirono in modo automatico, senza che se ne rendesse conto.
 
 
La regina del cielo
 
Aspetta la notte, poi potrai osservarlo.
Il suo viso pallido, il suo esser libera ma in stallo.
 
Quando i giorni scompaiono e il buio la raggiunge,
La gente chiude gli occhi, o sospira e si strugge.
 
Pochi sono quelli che guardano il cielo,
Mentre lupi e altre bestie le professano amor sincero.
 
Due partecipanti in un gioco astrale,
Il sole si inchina alla luna per lasciarla respirare.
 
 
A volte si era fermato a pensare alle esatte parole per spiegare ciò che intendeva, ma gli risultò più facile di quanto si sarebbe mai aspettato. Era stato così anche per la poesia sulla depressione. Rilesse più volte il componimento, composto in poco più di mezz’ora.
Fantastico!
I versi erano liberi, ma non trovò nulla fuori posto. Alzò il taccuino e lasciò che i fogli sventolassero, desiderando che le sue parole si unissero alla natura,. Dopo un po’ lo rimise in tasca, al sicuro. Non credeva ci sarebbe riuscito, eppure era stato così e, tra l’altro, aveva utilizzato la sua lingua madre. Batté le mani e quei brevi colpi echeggiarono per il bosco, mentre un senso di soddisfazione lo pervadeva e lottava per sovrastare la tristezza, anche se questa mostrava unghie e denti per avere la meglio. Il mal di testa causato dalla confusione dei propri sentimenti arrivò poco dopo e lo attaccò con violenza facendolo gridare. Andrew corse a un ruscelletto nelle vicinanze e bagnò un fazzoletto che si passò sulle tempie e sul volto. La frescura dell’acqua diminuì la sofferenza fisica. Bevve qualche sorso e gli parve di respirare meglio.
Vedeva la poesia appena composta come un ringraziamento a quel mondo e a tutte le persone che stavano facendo del bene a lui e alla sua famiglia, e la scrittura gli trasmise sollievo.
“Ora sono pronto” mormorò.
Con il cuore più leggero, si avviò verso la sua meta.
 
 
 
Quando arrivò all'orfanotrofio, Demi si sentiva più carica che mai. La notte precedente non era stata delle migliori, non aveva dormito bene ed era rimasta ore a pensare all'attacco di panico del fidanzato e all'ansia che lei stessa aveva provato. Sarebbe mai riuscita a raccontare agli altri tutto il resto? Sentiva che lo doveva loro, che lasciarli in sospeso a domandarsi da dove provenissero quelle cicatrici non era corretto, dato che di sicuro si erano preoccupati per lei. Inoltre, avrebbe scommesso qualsiasi cosa che Eliza non aveva dimenticato quanto accaduto il giorno prima a pranzo, e come avrebbe potuto? Demi si rammaricò di aver fatto spaventare tutti, quello che era accaduto non le capitava spesso.
"Dovevi farmi star male proprio ieri?" chiese, parlando a se stessa e ad Ana. "Anzi, come mai ti sei presentata? Io sono guarita e, anche se ogni tanto torni, non mi fai più del male."
Si riscosse quando Eliza le fece notare che avrebbero dovuto proseguire, rendendosi conto di essere rimasta impalata in mezzo al corridoio. Si scusò e la seguì nella stanza in cui aveva incontrato i bambini più grandi, tra i quali Kady che le si gettò addosso.
"Miss Demi, sei tornata! Sei tornata!" esultò muovendo le braccia di qua e di là.
"Sì, piccola, sono qui. Credevi me ne fossi andata senza salutarti?"
La ragazza sorrise: la bimba era così contenta di vederla. Aveva cominciato ad affezionarsi a lei, ma non si sarebbe mai aspettata un'accoglienza tanto calorosa.
"No, però volevo rivederti."
Demetria si sentì sciogliere il cuore e si chinò a darle un bacio.
"Ora sono qui e vorrei fare con te e i tuoi amichetti qualcosa di bello."
"Cosa? Che cosa?" chiesero gli altri bambini in coro, smettendo subito di giocare.
Mentre camminavano per giungere lì, Eliza aveva spiegato alla cantante che l'orfanotrofio aveva una stanza in cui era presente un pianoforte.
"Io suonerò con il piano e canterò per voi, vi va?"
I piccoli si illuminarono. Kady disse che utilizzavano pochissimo quello strumento, solo una volta ogni due settimane quando una volontaria che aveva studiato musica veniva a suonare loro qualcosa e a farli provare.
"Sì, sì, sì!" esclamarono i bimbi chi saltando, chi correndo verso di lei e chi urlando.
L’aula di musica, se così si poteva chiamare, era grande e ariosa, con il pavimento in legno e due enormi vetrate dalle quali entrava tantissima luce.
Una volta che furono tutti seduti su delle seggioline in plastica, Demetria si accomodò davanti al pianoforte a coda. Era antico, con dei fiori incisi sul legno e alcune parti scheggiate, a simboleggiarne i piccoli danni causati dal tempo e, forse, da alcuni spostamenti o dalle tante mani che ci erano passate sopra. Immaginando che nemmeno i piccoli sapessero l'inglese, spiegò:
"Ora vi insegnerò una canzone nella mia lingua, che si chiama inglese. So che non la conoscete, ma ve la tradurrò dopo averla cantata e, se vi va, poi potrete seguirmi. Non importa se direte le parole sbagliate, se canterete solo la melodia o altre cose, l'importante è che capiate il ritmo, d'accordo?"
I bambini annuirono.
La ragazza accarezzò prima i tasti bianchi e poi quelli neri come se avesse voluto dire loro di suonare bene, di creare con lei qualcosa di incredibile. Dopo le prime note cominciò a cantare.
"Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
Up above the world so high,
Like a diamond in the sky.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
 
When the blazing sun is gone,
When the nothing shines upon,
Then you show your little light,
Twinkle, twinkle, all the night.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
[…]
"
La sua voce delicata, unita al suono dolce del pianoforte, riempiva l'aria e accarezzava i bambini che la guardavano e la ascoltavano a bocca aperta. Anche la loro maestra di musica era brava, ma Miss Demi la superava. Aveva una voce che la faceva somigliare a un angelo e riusciva a rendere quella canzone talmente bene che qualche bimbo, Kady compresa, sbadigliò perché quella melodia assomigliava a una ninnananna. Avvolgeva i bambini con il suo calore come farebbe una coperta in una fredda giornata d'inverno.
Quando Demi terminò, rimase qualche secondo con le dita sul piano. Le staccò e guardò il suo pubblico, che applaudì. Kady corse ad abbracciarla.
"Sei stata bravissima, ma come fai?" le chiese, con gli occhi ancora sbarrati.
"Nel mondo dove vivo sono una cantante, una persona famosa che scrive canzoni e fa concerti. Canto per tantissime persone, che sono i miei fan, che mi ascoltano e ai quali piace quello che scrivo."
Non aggiunse altro: sarebbe stato troppo complicato, soprattutto per i bambini di quattro e cinque anni, capire che le canzoni che componeva erano sempre personali e che alcune si riferivano alla sua storia passata, a quanto aveva sofferto.
Sono troppo piccoli per saperlo.
"Avete imparato le note musicali?" chiese, mentre sia Eliza sia un'altra volontaria le facevano i complimenti.
Un bambino alzò la mano.
"Ciao Miss Demi, mi chiamo Grant. Sì, Miss Hawkins ce le sta insegnando, però i bimbi più grandi sono più bravi. Vuoi farci un esame?"
La ragazza scoppiò a ridere così forte che per poco non cadde dalla sedia.
"Scusami, non voglio prenderti in giro, è che non mi aspettavo questa domanda. No, non vi farò nessun esame, ma potremmo divertirci con la musica, se vi va."
I trenta bambini urlarono che erano d'accordo e alzarono tutti entrambe le mani per enfatizzare la cosa.
"Va bene, va bene, siete contenti di farlo. Ne sono felice. Adesso suonerò una nota e, se qualcuno di voi saprà di quale si tratta, alzerà la mano. Dopodiché io chiamerò, tutto chiaro?"
"Sì, Miss Demi."
"Perfetto. Chi sa che nota è questa?"
Ne suonò una a caso, ma rimase nella scala delle sette note e si impose di non toccare i tasti neri, troppo difficili da riconoscere per dei bambini di quattro, cinque e sei anni che, sicuramente, non le conoscevano. Non sapeva che pensare degli altri, dato che non aveva idea di cosa la maestra di musica insegnasse loro.
Un altro bambino alzò la mano e Demi lo riconobbe.
"Sì, Edwin?"
"Un Do?" tentò, insicuro.
"Esatto. E quest'altra?"
"Un La" rispose Misty, convinta.
"No, tesoro, è un Fa. Il La è più alto, te lo faccio sentire." Suonò quelle due note un paio di volte per far capire loro la differenza. "Tra di esse ce n'è un'altra, chi la conosce?"
"È il Sol" rispose senza esitazione Kady.
"Giusto, eccola. E quella che suonerò adesso?"
Anche i bambini più grandi, che andavano dai sei ai nove anni, si fecero avanti. Nonostante giocassero e si divertissero come tutti gli altri, studiavano lì all’orfanotrofio con degli insegnanti e, quindi, la mattina erano a scuola – perciò Demi non aveva interagito molto con loro –, ma per quel giorno le maestre avevano deciso di fare un’eccezione e lasciarli divertire.
“Un Mi, è facilissimo” rispose una bimba che doveva averne circa nove, che guardò Demi con i suoi profondi occhi marroni.
“Bravissima! Come ti chiami?”
“Lydia, Miss Demi.”
“I bambini di quell’età imparano più in fretta, per cui l’insegnante di musica, con loro e gli altri di otto anni, fa tre ore ogni due settimane anziché solo una. Poi noi qui li facciamo allenare un po’ ogni giorno, tutti quanti” le sussurrò Eliza.
Demi annuì, anche se per lei i quindici giorni avrebbero dovuto ridursi a una settimana soltanto.
“Sei stata fantastica, Lydia! Ma dimmi, sapresti suonarmi qualcosa con il pianoforte?”
La piccola arrossì.
“S-sì, ma è una canzoncina semplicissima. Non sono brava come te” ammise, mentre la voce le tremava.
Demetria si rivolse a tutti.
“Io ho imparato con il tempo, sapete? Non ci ho messo un giorno, una settimana, un mese o un anno ma tanti, tanti anni. Canto da quando ne avevo cinque e pochi anni dopo ho imparato a suonare la chitarra e il piano, ma non è stato facile. Ho dovuto studiare molto, fare tante lezioni e allenarmi anche a casa. Quindi non preoccupatevi se non siete bravi come me, fate il meglio che potete e andrà benissimo così.”
I bambini sorrisero, sia i più grandi che sapevano già suonare qualche brevissima canzone, sia i più piccoli che conoscevano solo le sette note.
Lydia le lanciò uno sguardo interrogativo come a chiederle se sarebbe potuta venire e Demetria le fece cenno di sì. La bambina si sedette al piano e mise due dita su un paio di tasti, ma si ricordò che andavano posizionate tutte e cinque.
“Perfetto” la incoraggiò la ragazza.
La piccola suonò una canzoncina semplicissima con la mano destra, le sette note, un si bemolle e nulla più e aggiunse qualche accordo con la sinistra. Era una melodia ripetitiva, ma allegra e incalzante, tanto che mentre suonava e poi la rifaceva daccapo, tutti presero a battere le mani a ritmo. Poco dopo, un applauso scrosciante riempì la stanza e Lydia ringraziò tornando poi al suo posto, con il cuore gonfio di gioia.
“L’ho scritta io con il pentagramma” spiegò una volta seduta.
Demi sbarrò gli occhi.
“Dici davvero?”
A quell’età lei sapeva già scrivere musica, ma non era una cosa semplice.
“Sì, la maestra ce lo sta insegnando.”
“Complimenti! Qualcun altro vuole provare?”
Nessuno se la sentì.
Verso la fine di quella lezione Demi lasciò che, uno alla volta, i bambini dai quattro ai sette anni suonassero le note dal Do al Si. Alcuni lo fecero con una certa facilità, altri utilizzarono solo un dito e lei dovette spiegare loro che si faceva in un altro modo, altri ancora titubarono ma, alla fine, ognuno riuscì a esercitarsi con quella scala. Ai più grandi chiese di suonare diverse note che diceva a voce, o di fare qualche scala, o usare alcuni tasti neri e tutto andò bene, anche se non tutti i bambini avevano un buon orecchio. Lydia possedeva un orecchio relativo ottimo: non riconosceva tutte le note come nel caso di quello assoluto, ma sapeva farlo con moltissime.
"Miss Demi, possiamo cantare?" domandò Witney, una bambina di otto anni con i capelli nerissimi raccolti in tante treccine.
"Va bene, ma non conosco le canzoni che sapete voi. Posso ripetere piano quella di prima, e mi seguite come avevo detto."
Chi urlando, chi cantando, tutti riuscirono a ripetere la prima strofa e il ritornello. Alcuni bambini, come Kady, erano intonati, altri per niente. Demi ricordava che la sua insegnante di canto le aveva detto che se qualcuno che sembra non sappia cantare lo fa piano e segue chi è migliore di lui, poi può diventare più bravo. Demetria era convinta che con alcuni di loro sarebbe successo. Molti non riuscirono a pronunciare l'inglese, cantarono quello che credevano di capire, ma non importava, tutti furono in grado di seguire bene il ritmo anche quando Demi fece riprovare di nuovo loro la canzone ma a velocità normale.
Una volta finito tutti la circondarono, le si aggrapparono alle gambe, vollero essere presi in braccio, la strinsero e la ringraziarono e lei, sorridendo e dando baci sulle guance a destra e a manca, non avrebbe potuto sentirsi più felice. Aveva coinvolto dei bambini in quella che era la sua più grande passione, il canto, proprio come a volte faceva con le figlie.
“Miss Demi, puoi cantare e suonare ancora? Per favore, solo un’altra canzone!” la pregarono in coro e lei non riuscì a dire di no a quegli occhioni imploranti.
Stavolta optò per un brano di Taylor Swift che adorava: You’re Not Sorry. Parlava di una ragazza che, delusa da quello che credeva essere l’amore della sua vita, lo lasciava e gli diceva che, in sostanza, per loro non c’erano più speranze visto il comportamento di lui. Tristissimo, ma i bambini non l’avrebbero mai saputo. Si trattava di una canzone tranquilla che di sicuro sarebbe piaciuta loro. Si concentrò, guardò con intensità la tastiera, suonò le prime note malinconiche, infine trasse un profondo respiro e cantò.
All this time I was wasting hoping you would come around
I've been giving out chances every time and all you do is let me down
And it's taken me this long, baby, but I've figured you out
And you're thinking we'll be fine again, but not this time around
 
You don't have to call anymore
I won't pick up the phone
This is the last straw
Don't wanna hurt anymore
And you can tell me that you're sorry
But I don't believe you baby like I did before
You're not sorry (No no no no)
 
You're looking so innocent, I might believe you if I didn't know
Could've loved you all my life if you hadn't left me waiting in the cold
And you've got your share of secrets
And I'm tired of being last to know
And now you're asking me to listen 'cause it's worked each time before
[…]
La sua voce aumentò di potenza lungo il ritornello e i bambini la seguirono battendo le mani. Era incredibile come, durante il canto, le venisse così spontaneo usare l’inglese. La sua mente si liberava da catene invisibili che la tenevano legata, anche se non troppo stretta, e ciò le garantiva la libertà di esprimersi. Non le dispiaceva parlare in italiano, dato che capiva tutto e lo usava con scioltezza come utilizzare la sua lingua madre, le veniva naturale nonostante lo shock iniziale, ma tutta quella situazione era a dir poco surreale.
Cantando riusciva a liberare le proprie emozioni, anche se quella canzone non le ricordava niente di specifico. La aiutò, però, a essere ancora più leggera. L’applauso che seguì la riportò alla realtà e le fece spuntare un luminoso sorriso sul volto. I bambini si complimentarono e la abbracciarono ancora.
“Grazie, grazie! Siete i miei migliori fan!”
Si fece dare da Eliza un blocchetto di foglietti e spiegò ai bimbi cosa fosse un autografo, dopodiché chiese se sarebbe piaciuto loro averne uno suo. I piccoli, eccitati da quella novità e dal fatto che Miss Demi, nel proprio mondo, fosse una celebrità, urlarono un “Sì!” talmente entusiasta che la ragazza si commosse. Rendere felici quei piccoli che non avevano una famiglia era pura gioia per il suo cuore.
Ciao Kady, sono Demi Lovato o Miss Demi, come preferisci.
Sei una bambina forte. Tu sorridi sempre, ma non c’è nulla di male a sfogarsi ogni tanto, se ne senti il bisogno, ricordalo. Ti auguro di avere una vita felice, qualunque cosa farai.
Ti voglio bene!
Scrisse questo nel biglietto destinato alla piccola amica, che se lo strinse al cuore.
“Non lo perderò mai, Miss Demi, te lo prometto. Lo metterò in una scatola al sicuro.”
Alcuni bambini le chiesero se la seconda canzone che aveva cantato era sua e lei spiegò di no, che apparteneva a un’altra ragazza.
“Perché non ci canti qualcosa di tuo, Miss Demi?” le domandò Justin, uno dei bambini più grandi.
“Mi piacerebbe, magari domani” rispose lei, vaga.
La verità era che non avrebbe saputo quale scegliere dato che alcune sue canzoni trattavano, anche se in modo un po’ indiretto, argomenti pesanti. I piccoli non avrebbero capito, ma non voleva renderli tristi con la sua musica.
Forse qualche canzone di “Camp Rock” o “Camp Rock 2” pensò.
Anche negli altri biglietti Demetria utilizzò parole simili riguardo la forza dei bambini, nella quale credeva con tutta se stessa visto quello che avevano passato, e augurava a tutti di essere felici e di rialzarsi sempre nonostante le difficoltà. Usò espressioni semplici ma efficaci e ognuno apprezzò quel gesto. Ma più che dai ringraziamenti, Demi rimase colpita dai loro sorrisi, che parevano più luminosi del sole. Non aveva fatto un granché per loro se non aiutarli a divertirsi, ma per quei bimbi il suo gesto valeva moltissimo.
 
 
 
I bambini tornarono a giocare e le volontarie li portarono in giardino. Quando sarebbe stato più fresco l'avrebbero fatto anche con quelli più piccoli, spiegò Eliza a Demetria, perché ritenevano importante che non restassero tutto il giorno chiusi dentro quando fuori splendeva il sole. L'aria pura faceva bene a tutti, in fondo.
“Fanno benissimo,” disse la cantante, “è sempre bello stare all’aria aperta.”
Lei e la donna li seguirono e li osservarono mentre giocavano a nascondino accucciandosi dietro gli alberi o a prendersi. Kady scivolò e cadde, ma riuscì a proteggersi la testa. Si sporcò il vestitino azzurro di fango ma, prima che potesse andare da qualcuno a farsi aiutare, un bambino le si parò davanti.
“Lui è Sebastian, ha nove anni e Kady bambina non ci ha mai avuto molto a che fare” spiegò Eliza a Demi.
Kady gli sorrise, credendo che volesse darle una mano.
"G-grazie" balbettò la piccola, porgendogli la mano perché lui la stringesse.
Ma quello la fissò e scoppiò a ridere così forte che fece voltare altri bambini.
"Fai schifo, fai schifo" cantilenò. "Sei tutta sporca e maldestra, nessuno ti adotterà mai finché continuerai così."
Demi, che si era avvicinata per dare una mano alla piccola, udì quel commento e sbarrò la strada al bambino che se ne stava andando. Kady, intanto, era rimasta a bocca aperta e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Li strinse per trattenerle fino a sentire una fitta di dolore che li penetrava in profondità. Si trovava lì da due anni e nessuna famiglia l'aveva ancora presa con sé, né i genitori erano tornati – ormai sapeva che non l'avrebbero fatto più, anche se nel profondo del cuore ci sperava –, ma non aveva mai pensato fosse colpa sua. Un nodo le serrò la gola e, quando deglutì per non vomitare, faticò. Il suo stomaco era sottosopra e aveva la nausea. Le lacrime le inzuppavano i capelli e finivano sulla terra della quale percepiva l'odore delicato. Le sarebbe piaciuto, lo apprezzava soprattutto dopo la pioggia, ma in quel momento non ci badava. Per paura di fare troppa pena si tirò su, barcollando a causa della vertigine che la colse, e guardò cosa stava succedendo.
"Non puoi comportarti così" disse Demi a Sebastian, serissima. "Non devi prendere in giro i tuoi compagni, nemmeno se fanno qualcosa di sbagliato. E non è giusto che tu le abbia detto quelle cose.”
“Perché?” chiese lui. “Io stavo solo scherzando. Non posso nemmeno fare questo?”
“Puoi, ma con gli scherzi veri, non con le prese in giro.”
Kady guardava Demi con gli occhi sgranati. Quando era arrivata all'orfanotrofio e aveva paura di giocare con gli altri bambini, alcuni l'avevano presa in giro.
"Se non ti avvicini a noi, allora sei stupida e non vuoi giocare."
"Ma io voglio!" aveva insistito lei, "solo che non riesco. Ho paura."
"Paura di noi? Allora sei una fifona."
Le volontarie l'avevano difesa assieme a Misty ed Edwin e le donne e la psicologa avevano spiegato ai bambini che la offendevano che non dovevano comportarsi così con chi aveva qualche difficoltà, ma anzi, aiutarlo. E Demi, che la conosceva soltanto da due giorni, stava facendo lo stesso.
Hai mai pensato a quanto fai soffrire le persone con questo atteggiamento, anche se magari non vuoi?” riprese la cantante, rispondendo alla domanda di Sebastian. “Non sono solo prese in giro che a te sembrano divertenti, sugli altri non hanno questo effetto. Non c'è niente da ridere, Sebastian." Sperò di non aver usato un linguaggio troppo complesso per un bambino di quell'età o di non essere stata troppo brusca. "Sai, quando ero piccola anch'io ho subito molte prese in giro, che si sono ripetute per giorni, mesi, anni e sono quindi diventate una cosa che, nel mio mondo, si chiama bullismo. Per esempio, quando avevo nove, dieci anni ero grassottella e venivo offesa per questo. Piangevo sempre perché i miei compagni vedevano solo quello che non andava in me e non usavano il loro tempo per conoscermi. Negli anni la cosa è peggiorata, ma questa è un'altra storia."
Sebastian rimase qualche secondo a guardarla come inebetito.
"Non pensavo l'avrei fatta stare così male."
Abbassò gli occhi e sospirò.
"Lo so, l'importante è che tu l'abbia capito. Adesso chiedi scusa e non farlo più" gli suggerì la ragazza con dolcezza.
"Scusami, Kady, non volevo essere tanto cattivo. Spero che un giorno troveremo entrambi una famiglia."
Le sue parole le sembrarono sincere, per cui la bambina gli diede la mano.
"Va tutto bene, ti perdono" mormorò prima di allontanarsi con Demi. "È colpa mia se sono ancora qui?" le domandò, mentre un'altra lacrima le rotolava lungo uno zigomo.
"No, Kady, non devi nemmeno pensarlo. Nessuno è in quest'orfanotrofio per colpa sua, credimi. Tu ti ci trovi, come gli altri, perché la vita ha voluto così, ma non significa che ci resterete tutti per anni. Sei una bambina meravigliosa, ricorda quello che ti ho scritto nel biglietto."
La ragazza la abbracciò, incurante di sporcarsi e la baciò su una guancia mentre Kady ricambiava con un sorriso.
"Va bene, allora ti credo. Grazie, Miss Demi."
 
 
 
Non appena ebbero portato dentro i bambini, Demetria ed Eliza fecero una pausa nella quale uscirono dall'orfanotrofio e mangiarono alcuni frutti del bosco.
"Mi dispiace per quello che hai passato. Quando hai detto che quella è un'altra storia mi sono venuti i brividi. Dev'essere stato brutto."
La cantante le raccontò che una volta una sua compagna aveva lanciato una petizione chiedendo di firmare. C’era scritto:
Demi dovrebbe uccidersi.
"L'hanno fatto tutti. Avevo dodici anni, credo" concluse con voce strozzata.
"Ma è terribile!" Eliza non sapeva che altro aggiungere. Come potevano esistere persone del genere? "I tuoi genitori non sapevano nulla?"
Demi tirò su col naso.
"Avevo parlato a mia mamma di quello che succedeva, ma mi aveva risposto di lasciar stare." Non se la sentiva di raccontare tutta la storia, ma aggiunse che si era procurata il primo taglio a undici anni a causa dei bulli e del fatto che quello, secondo lei, era un modo per affrontare la situazione, per provare sollievo dal dolore psicologico.
"Tenevo tutto nascosto, l'ho detto solo ad Andrew a dodici anni, facendogli giurare di non raccontare nulla. Lui me l’ha promesso nonostante fosse più grande e, in teoria, maturo di me, solo dopo ci siamo resi conto di aver fatto una cazzata."
La donna guardò con attenzione quelle cicatrici. Demi le aveva lasciate scoperte, dato che aveva raccontato tutto e che quasi non si vedevano. Alcuni bambini, Kady compresa, prima di entrare si erano avvicinati e le avevano chiesto cosa fossero quelle linee bianche sulle sue braccia.
“Mi sono fatta tanto male da piccola, cadendo” aveva risposto.
Eliza le sfiorò le cicatrici con dita tremanti e Demetria, che non si aspettava quel gesto, fu percorsa da un lieve brivido, ma poi lasciò fare.
"Procurarsi ferite e sofferenza fisica per sentire meno quella psicologica" mormorò la donna. "Non lo capisco. Non sto dicendo che sia sbagliato, non so cosa pensare a riguardo, solo che non riesco a comprendere una cosa del genere, è più grande di me. Non ho mai avuto esperienze simili, nemmeno indirette. Insomma, se una persona si taglia mette in pericolo la propria vita, e se già sta soffrendo non peggiora la sua situazione?”
Che senso aveva? Come Demi le chiarì, il dolore a volte porta alla disperazione e, quando non si riesce a esternarlo per qualsivoglia motivo, in certi casi si può arrivare anche a questo. Disse che i bulli l’avevano portata a odiarsi, a disprezzare il suo corpo e a vergognarsi di esso e di se stessa, e il dolore per quella situazione aveva fatto il resto. Il sangue, aggiunse Demi, per lei era sempre come un pianto: lacrime scarlatte che cadendo nel lavandino l'avevano fatta sentire, per un po', sollevata, perché anche se aveva odiato con tutta se stessa il dolore fisico e lo faceva ancora, i suoi demoni avevano esultato ogni volta che si era ritrovata in mano una lametta di qualunque tipo. Poi aveva iniziato a tagliare da un lato del polso o più in su.
"Il sangue usciva lento e la sofferenza si propagava sempre come una stilettata" continuò a spiegare.
"Pensavo a quello che mi dicevano i bulli, al fatto che mi chiamavano grassa, puttana, puttanella e allora proseguivo con i tagli, finché a un certo punto il dolore fisico spariva e iniziavo a sentirmi libera. Il peso che mi gravava sul cuore svaniva e tornavo a respirare. Durava poco, poi stavo peggio e mi odiavo, mi dicevo:
“Guarda che schifo hai fatto”,
ma non riuscivo a fermarmi. Dopo il primo taglio, l'autolesionismo si trasforma in una dipendenza, non ne puoi fare a meno."
Eliza le domandò se non avrebbe potuto smettere o parlarne con qualcuno.
"So che è strano, ma non credevo fosse un problema e non è così semplice. Il bisogno di farsi male è più forte della propria volontà. Anche se a un certo punto mi sono resa conto che era pericoloso, fermarsi mi veniva impossibile. Dopo il ricovero in clinica per curare questo e altri disturbi ho avuto giorni sì e ricadute finché ho smesso, ma ci sono voluti anni."
L'altra rimase senza parole.
Per gli abitanti di Eltaria, rifletté Demi, tematiche come autolesionismo, disturbi alimentari, ansia e depressione dovevano essere qualcosa di estraneo e in certi casi forse sbagliato e inconcepibile.
"Immagino ti sia difficile, se non impossibile capire, veniamo da due mondi diversi e abbiamo avuto esperienze differenti. Non mi aspetto che tu comprenda, ma già il fatto che mi abbia ascoltata, che non mi giudichi e mi rispetti per me vale tanto."
Eliza si schiarì la voce.
"Io so solo che hai sofferto moltissimo, Demi, forse più di quello che mi hai detto. E che sei più forte di quello che pensi. Le cicatrici ne sono la prova: hai superato gli anni orribili dei quali mi hai parlato e ne sei uscita. Le ferite che abbiamo ci rendono più coraggiosi e non solo quelle dell'anima o del cuore. Non mi permetterei mai di giudicarti, non mi sembra corretto dato che non conosco a fondo il problema e, anche in quel caso, non lo farei."
La ragazza ringraziò Eliza e si lasciò cullare tra le sue braccia come avrebbe fatto tra quelle di sua madre. Respirò a fondo il profumo fresco della donna e si sentì non solo capita, almeno in parte, ma anche al sicuro, lontana dai pregiudizi e dalle cattiverie della gente del suo mondo. Mangiò un'altra manciata di fragole, cercò di sorridere e, assieme a lei, rientrò.
Si diresse con Eliza nella stanza dei neonati. Julie stava dando il latte a Thior e loro due si occuparono degli altri tre – Lilith era stata messa proprio quella mattina assieme ai dieci bambini dai due ai cinque mesi.
"Lilith sarà adottata domani, sai?" annunciò Julie a Demi che, in quel momento, stava nutrendo Maisy.
"Davvero?"
La ragazza era sorpresa. Nessuno gliel'aveva detto il giorno prima.
"Già. Quella coppia, della stessa razza della piccola, desiderava un bambino ed essendo giovane la Direttrice ha scelto di dar loro un neonato.”
Demi non aveva ben capito come funzionasse lì l'iter adottivo, ma era sicura di una cosa: le volontarie e la Direttrice amavano i bambini e volevano il meglio per loro.
"Sono contentissima per lei.” Una singola lacrima le rigò la guancia. “Verranno a prenderla domani mattina?"
"Sì, presto, dopo aver fatto un altro breve colloquio e firmato altri documenti. In seguito, per circa sei mesi la Direttrice, aiutata da alcune di noi e dalla fata che lavora come psicologa, controllerà di persona come stanno andando le cose e infine, dopo un ultimo colloquio generale che prenderà in considerazione anche quanto accaduto in quel periodo, finalizzerà l'adozione con un altro documento."
"Questa procedura è simile alla nostra, anche se più semplice" commentò Demi.
Appena fece il suo ingresso nella stanza in cui si trovava Lilith, la cercò subito.
"Ehi, ciao!" esclamò, prendendola in braccio dalla carrozzina nella quale era stata posta. "Ho sentito che domani incontrerai la mamma e il papà. Sono sicura che avrai una vita meravigliosa."
Le accarezzò i capelli neri e le diede un bacio su una guancia, mentre gli occhi le diventavano di nuovo lucidi.
Se la meritava. Una volta che avesse saputo di essere stata abbandonata si sarebbe sentita ferita. La vita le avrebbe riservato alti e bassi come a tutti, ma Demi pregava in cuor suo che la sofferenza non sarebbe stata troppa. Si augurò che i genitori avrebbero deciso di dirle di essere stata adottata. Durante gli incontri che aveva seguito durante l'iter adottivo, gli assistenti sociali avevano detto che farlo era importante, perché se un bambino veniva a saperlo in seguito poteva sentirsi sì felice per aver avuto una bella vita con due genitori amorevoli, ma anche tradito per averlo scoperto tardi o, ancora peggio, per caso. Cullò la bambina finché non si addormentò, stando sempre attenta a non fare movimenti bruschi. Non avrebbe mai voluto che si ferisse dopo esserle caduta, anche se ricordava una frase che le aveva sempre detto Dianna:
"I neonati si fanno male come tutti i bambini, ma sono più forti di quello che pensi, sembrano di gomma."
Lei aveva riso, però crescendo aveva finito per capire che era la verità.
 
 
 
Quando Andrew, che aveva deciso di fare una deviazione, la raggiunse all'orfanotrofio, Demi ne fu contentissima. Gli presentò Lilith, che ora dormiva e che lui non volle prendere in braccio per non disturbare. Eliza e i due fidanzati uscirono dalla stanza lasciando i piccoli con due volontarie.
Stavano per dirigersi in quella dei bambini dai sei mesi all'anno, quando una bambina corse verso di loro e, una volta davanti alla cantante, prese a saltellare.
"Miss Demi, Miss Demi, sei ancora qui!"
"Che accoglienza, Kady. Che c'è?"
La piccola indossava un altro vestitino, stavolta giallo.
"Niente, volevo salutarti e la volontaria ha detto che potevo. Lui chi è?"
L'uomo si fece avanti.
"Ciao Kady, io sono Andrew. Demi mi ha parlato benissimo di te."
Le sorrise e le diede la mano, che lei strinse.
"Sei il suo fidanzato?" domandò, diretta come molti bambini della sua età.
"Kady!" la rimbrottò Eliza, ma i due stavano ridendo.
"Sì, lo sono, stiamo insieme da nove mesi ormai, ma siamo amici da sempre."
"Che bello! E adesso vi date un bel bacio?"
"Non qui, tesoro, non è il posto giusto" le spiegò Demi, tentando a fatica di trattenere la propria ilarità.
"Domani verrò di nuovo, d'accordo? Mi fa piacere e poi così potrò passare più tempo con te, i tuoi compagni e gli altri bimbi per giocare. Ne saresti felice?"
"Tantissimo! Verrai? Promesso?"
Lui le scompigliò i capelli.
"Promesso."
"Fantastico!" Kady diede un bacio a entrambi quando questi si chinarono alla sua altezza e li abbracciò. "Ora torno a giocare, a domani."
E corse via.
I fidanzati si guardarono.
"Mi avevi detto che era sempre felice, tuttavia non immaginavo così tanto. Mi sa che hai ragione, in parte è una facciata" sussurrò Andrew all'orecchio della ragazza, facendo comunque in modo che anche Eliza potesse udire.
"Già." Demi sospirò. "Sono preoccupata. Forse pensa che io possa adottarla o che lo faremo insieme. Le sono entrata nel cuore e non vorrei che…"
Quando avesse saputo che i due non avrebbero potuto, il dolore per la piccola sarebbe stato insopportabile. Già la vedeva piangere ai loro piedi, avvinghiarsi alle caviglie di entrambi e supplicarli di adottarla.
"Non preoccuparti, Demetria, non dovrai darle nessun dispiacere" intervenne Eliza.
Andrew e la sua ragazza le lanciarono uno sguardo interrogativo.
"Lei ancora non lo sa, glielo comunicherà la Direttrice oggi pomeriggio nel suo ufficio, ma anche Kady è stata adottata. Andrà via la settimana prossima. Con lei oggi ci sarà anche la psicologa, per darle una mano in questi giorni a prepararsi per l'incontro. Non conosco la famiglia, ma Theresa mi ha detto che sono una fata del vento come lei e un folletto dell'acqua e che sono meravigliosi, anche loro sottoposti a tantissimi controlli prima di poter adottare. Si tratta di una famiglia semplice, giovane, sposata da poco. Theresa mi ha spiegato che sono dolcissimi, quindi speriamo che l'incontro e tutto il resto vada bene."
"E nei casi in cui l’incontro non va per il meglio?" domandò Andrew.
A volte, purtroppo, poteva accadere.
"La psicologa cerca di capire con il bambino i motivi per cui le cose sono andate male, ma nella maggior parte dei casi i genitori non possono tornare e adottarlo e lui dovrà aspettare ancora. Sono sicura, però, che non sarà il caso di Kady. Chiede dei suoi, è vero, ma sa anche che loro non torneranno. Non si è rassegnata, però aspetta comunque che qualcuno la adotti. In realtà io so, perché la conosco, che ha molta rabbia repressa. La Direttrice ha consigliato ai genitori di farla seguire da un'altra fata di loro scelta che fa il mestiere di psicologa, perché ne ha bisogno. Inoltre questi giorni non saranno facili: per un bambino rendersi conto che c'è la possibilità di avere una famiglia è spesso motivo di forte ansia."
"Più o meno quello che mi ha detto la mia assistente sociale" ricordò Demi.
Chiese se sarebbero potuti uscire un momento.
Si ritrovarono nello stesso luogo in cui lei ed Eliza erano andate per parlare in tranquillità e, dopo essersi seduta su un tronco di un albero caduto, la cantante scoppiò in lacrime.
Eliza e Andrew non sapevano come comportarsi. Non riuscivano a capire la causa di quel pianto improvviso, per cui non avevano idea di come aiutarla.
Demi singhiozzava e non cercava di soffocare i gemiti di dolore che, anzi, risultavano amplificati perché teneva le mani davanti al volto. Si sarebbe volentieri presa a schiaffi: avrebbe dovuto essere felicissima per Kady e, invece, si premeva un palmo sul petto perché una dolorosa e continua fitta lo dilaniava. Era come avere una mano con unghie affilate che, con lentezza, penetrava in lei per cercare di strapparle il cuore. Quest'ultimo si spezzò, le parve di sentirne lo schiocco, un suono cupo che rimbombò per tutto il bosco. Tremava da capo a piedi e non riusciva a tenere ferme né le braccia, né le gambe, mentre il proprio petto sussultava a ogni singhiozzo. Nella sua testa, un martello batteva e batteva facendola impazzire. Si accorse di aver chiuso gli occhi per non versare altre lacrime solo quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
"Demetria, cara, sono andata a prenderti del cioccolato fondente e un po' di succo di frutta. Li vuoi?"
Eliza l'aveva vista impallidire come un cadavere e, dopo essersi accorta che sudava, aveva capito che forse darle da mangiare e da bere sarebbe stata la cosa giusta.
La ragazza annuì: aveva bisogno di zuccheri.
"Grazie."
Mangiò e bevve in silenzio.
"Scusatemi" disse sussurrò.
"Figurati, amore, ci siamo solo preoccupati per te. Hai paura che qualcosa vada male tra Kady e la sua famiglia?"
Andrew le si sedette accanto e le prese la mano con la stessa dolcezza con la quale aveva parlato.
"No. Non li conosco nemmeno, non posso giudicarli e mi fido delle parole di Eliza e della Direttrice. Io sono contentissima per Kady, è solo che mi ci sono affezionata più di quanto chiunque possa immaginare. È strano, dato che la conosco da soli due giorni, ma qui ho fatto conosciuto gente a velocità impressionante, quindi ormai non mi stupisco più di nulla. Molte cose, compresa questa, sono diversissime per noi rispetto al nostro mondo, benché comunque io mi affezioni con facilità a un bambino. Mi sono innamorata di Hope e Mackenzie solo vedendole in foto, forse perché sapevo che avrebbero potuto diventare mie figlie, non ne ho idea, ma è successo e mi è capitato anche qui, pur con meno intensità. Se potessi io la adotterei, e non sto scherzando o esagerando. Lo farei con tutti, ma Kady… non riesco a spiegare, lei mi ha conquistato il cuore per la sua simpatia, quella felicità e soprattutto per il candore e la dolcezza che la caratterizzano” disse con convinzione. “Il solo pensiero che andrà via, che forse la vedrò partire o magari no – chi lo sa? –, mi spezza il cuore."
Il suo ragazzo ed Eliza rimasero in silenzio per qualche istante. Le sue erano state parole intense e dette con la voce che rischiava di spezzarsi.
"Anche se non potrai stare con la piccola, Kady ti ricorderà per il resto della vita, ne sono sicura" le disse Eliza abbracciandola. "E tu farai lo stesso con lei. Quella bambina ti ha dato affetto, ti ha fatta ridere e succederà ancora e tu le hai trasmesso tutto il tuo amore. È questo che le resterà nel cuore e credimi, vale tantissimo sia per lei sia per gli altri piccoli. Non tutti lo rammenteranno, ma lo sentono e lo faranno ancora, è questo che conta."
"Eliza ha ragione.” Andrew le prese la mano. “Hai un cuore grandissimo con un amore infinito da dare, lo fai con Hope e Mackenzie e anche con questi bambini, benché non siano tuoi figli. Tu, Demi, sei speciale per questo. L'amore non è solo ricevere ma soprattutto dare e ne sei l'esempio."
La ragazza si commosse, colpita dai loro discorsi: non si aspettava di ricevere dei complimenti perché riusciva ad amare, una cosa che le veniva naturale come respirare.
"Mi godrò al massimo questi giorni con lei e con tutti loro" asserì. "Mi sono emozionata prima, per Lilith, ma non credevo che per Kady avrei avuto questa reazione."
Si asciugò gli occhi, riprese a respirare con regolarità e, calmata dai suoni della natura che tanto amava, rientrò poco dopo.
Passò a salutare Martin e Clary, che vollero essere presi in braccio, poi si diresse nella stanza in cui era già stata altre volte. Andrew riconobbe subito i due bimbi con i quali aveva giocato qualche giorno prima. Inseguì il più grande a piedi e lo lasciò sempre vincere e il secondo, ancora malfermo sulle gambe, carponi. Demetria salutò Harold, che lanciò gridolini di gioia e allungò le mani per essere preso in braccio.
“Siamo fortunatissimi questa settimana” annunciò Eliza.
“Anche lui sarà adottato?” tentò la ragazza.
“Esatto, da due gnomi, verranno a prenderlo domani. Di solito non capitano così tante adozioni in pochi giorni, ma ci sono sempre più coppie o single che adottano bambini, perciò…”
Le parlò anche di una donna single, una fata della natura. Quando la Direttrice le aveva chiesto se il sesso del bambino che avrebbe desiderato adottare le importava, aveva risposto di no.
“Come ho fatto io” disse Demi.
“Ma poi ha aggiunto che pensava che con una femminuccia le cose sarebbero andate meglio in quanto riteneva più difficile crescere un maschietto senza una figura paterna. Non è stata insistente a riguardo, la sua era solo una considerazione.”
“Ah. E quindi?”
Intanto, Harold tirava i capelli di Demi che cercava di non gridare e di liberarsi, purtroppo con poco successo. Come Hope alla sua età, anche lui aveva una forza non indifferente.
“Forse Ayanna, la pixie con cui hai giocato, se ne andrà. Non subito, tra qualche mese credo, ma la Direttrice è convinta. È qui, come Harold, da quando è nata e la fata ha solo ventuno anni, perciò non potremmo darle un bambino di cinque, per esempio, o meglio sì, ma Theresa preferisce fargliene adottare uno piccolo che però sia qui da parecchio. Cerchiamo sempre di dare prima in adozione i piccini i cui casi sono più urgenti per qualsivoglia motivo, per esempio se sono qui da molto o se si tratta di gruppi di fratelli benché tutti, senza distinzione di razza sesso o età, abbiano diritto a trovare una famiglia.”
Demi disse che anche nel suo mondo era così, aggiungendo che i bambini con la pelle di un colore diverso facevano più fatica a essere adottati, anche se lei non ne capiva la ragione. Domandò poi a Eliza se poteva raccontarle tutte quelle cose: in fondo si trattava di possibili genitori adottivi e le loro scelte, nel suo mondo un’assistente sociale non si sarebbe mai permessa di andare così a fondo nelle loro vite con qualunque altra persona. Eliza non svolgeva quella professione e lì, di sicuro, non c’era in molti casi l’idea del segreto professionale, ma le risultava comunque strano.
“Ci è concesso parlarne non entrando troppo nella loro vita privata e rivelando pochi dettagli. Io ti ho solo spiegato quello che ha detto, non il suo passato o cosa l’ha portata a decidere per l’adozione.”
Demetria annuì.
Harold volle scendere e, gattonando sul tappeto, si avvicinò al cesto dei giocattoli. Con una leggera fatica tirò fuori un Arylu di peluche e prese a batterlo per terra. A nove mesi d’età, riusciva a stare seduto da solo senza un sostegno come in quel momento anche se, ogni tanto, le volontarie lo circondavano di cuscini per sicurezza.
Demi si avvicinò ad Ayanna che, seduta anche lei, si divertiva invece con un Pyrados di pezza.
“Ciao, tesoro” mormorò la ragazza accarezzandole la testolina rossa.
La bambina alzò gli occhietti grigioverdi verso di lei e le sorrise, riconoscendola. Demi sapeva che, a un anno, i bimbi riescono a farlo solo con due o tre persone, primi fra tutti i genitori e sentì il suo cuore scaldarsi quando la piccola si diresse da lei con il passo più spedito che poté e le prese le caviglie per essere sollevata. La ragazza sorrise e la prese in braccio, e dopo averle dato la merenda come fecero anche Andrew, Eliza e l’altra volontaria con i loro piccoli, la portò nel bagno lì vicino per cambiarla. Non fu facile, la bambina scalciò e strepitò senza sosta per minuti interi, ma a lavoro finito Demetria tornò con lei nella stanza.
Giocarono di nuovo con i cubi, costruendo una torre ancora più alta della volta precedente e, grazie al cielo, la piccola non la fece cadere.
“Sono bellissimi, vero?” chiese Andrew alla fidanzata, avvicinandosi con il piccolo leprecauno di sei mesi fra le braccia.
“Meravigliosi.”
L’uomo fece il solletico ai fianchi della bambina che rise un sacco e agitò le gambette dando, senza volerlo, piccoli calci a Demi.
Dopo aver affidato il bimbo a una volontaria Andrew giocò con la piccola facendole rotolare davanti una pallina che Ayanna prendeva con le mani e cercava di rilanciare.
Le ore passarono e, a mezzogiorno, la coppia ed Eliza decisero di uscire per un altro breve momento di pausa.
 
 
 
CREDITS:
Twinkle, Twinkle, Little Star è una ninnananna la cui melodia è francese, intitolata Ah! Vous Dirai-Je, Maman, di M. Bouin. Le parole, invece, sono state scritte per la prima volta da Jane Taylor in una poesia intitolata The Star.
 
 
 
NOTE:
1. Demi è stata vittima di bullismo e racconta della petizione della sua compagna nel documentario Simply Complicated. Era stata presa di mira anche prima, a causa del suo peso, come spiega la ragazza qui e come scrive sua madre nel libro “Falling With Wings: A Mother’s Story”. La piccola parlava alla mamma di quanto succedeva, ma lei le diceva di ignorare i bulli, così la bambina ha iniziato a mandare lettere a questi ultimi con scritti insulti pesanti. Solo quando Demetria ha chiamato la mamma, terrorizzata, mentre i bulli la inseguivano e lei era nascosta in un bagno la donna si è resa conto della gravità della situazione. L’ha ritirata da scuola e nessuno è stato punito. Ma Dianna scrive anche che non aveva capito che quest’esperienza e tutto il bullismo passato avevano lasciato nella figlia segni più profondi.
2. La riflessione sul sangue e le lacrime è inventata, così come la descrizione del suo primo taglio (non so come sia andata davvero, ovvio), ma il fatto che Demi si vergognasse di se stessa e trovasse nell’autolesionismo uno sfogo non lo è.
3. In un’intervista con Robin Roberts a “20/20” dice:
"It was a way of expressing my own shame, of myself, on my own body. I was matching the inside to the outside. And there were some times where my emotions were just so built up, I didn't know what to do. The only way that I could get instant gratification was through an immediate release on myself. […]
I don’t think I was ever trying to kill myself. But I knew that if I’d ever gone too far I wouldn’t care.”
 
Traduzione:
“Era un modo per esprimere la vergogna di me stessa, sul mio corpo. Stavo facendo corrispondere l’interno con l’esterno. E c’erano volte in cui le mie emozioni erano così represse che non sapevo cosa fare. L’unico modo in cui potevo avere un’immediata gratificazione era attraverso un sollievo istantaneo su me stessa. […] Non penso di aver mai provato a uccidermi. Ma sapevo che se mai fossi andata troppo in là non mi sarebbe importato.”
4. Emmastory ha scritto la poesia di Andrew. È pubblicata anche nel suo profilo e abbiamo deciso di riportarla qui.
   
 
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