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Autore: crazy lion    22/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 30.

 

UN DOMANI INCERTO

 
Una volta entrati all’orfanotrofio, Andrew e Demi si diressero subito nella stanza dei bambini da cinque a nove anni, perché la Direttrice li aveva avvertiti del fatto che molti avevano richiesto un’altra lezione di musica. Si gettarono tutti addosso alla cantante e Kady si fece strada verso di lei. Le prese le mani con più forza di quanta Demetria si sarebbe aspettata.
“Sono stata adottata!” trillò. “Sono stata adottata! Verranno qui la settimana prossima e li potrò conoscere e poi, se tutto andrà bene, saranno i miei genitori.”
Un’ondata di tristezza velò gli occhi di Demi ed Eliza e Andrew capirono subito perché, ma la ragazza deglutì a vuoto e trasse un profondo respiro. Lo sforzo per riprendersi non fu indifferente, ma forzò un sorriso.
“Sono contentissima per te! Ti troverai bene.”
“Grazie. Spero che la mia nuova mamma sia buona e dolce come te. Se non mi adottavano loro, sarebbe stato bello se lo facevi tu.”
Demi sorrise sia per i verbi sbagliati sia, soprattutto, per quello che la bambina le aveva detto. Era una rivelazione non da poco e il suo corpo fu attraversato da un intenso calore.
“Grazie, Kady” si limitò a dire.
Per fortuna è andata in modo diverso. Mi piacerebbe adottarti, ma non avrei voluto darti una delusione dicendoti che non sarebbe potuto accadere.
Che reazione avrebbero avuto Mackenzie e Hope nel sapere della sorellina, se fosse stato quello il caso? Si sarebbero sentite felici? O gelose? O arrabbiate?
“Mi auguro la prima” disse fra sé, non riuscendo a immaginarlo.
“Ciao, io sono Kady” riprese la piccola guardando Andrew e ripetendosi come a volte fanno i bambini. “Ti ricordi di me?”
“Ma certo, so benissimo chi sei, principessa” rispose l’uomo con un gran sorriso e le scompigliò i capelli facendola ridere.
Gli altri bimbi, intanto, continuavano a chiedere a Demi di cantare e suonare ancora per loro. Edwin, Misty e Lydia furono i più calorosi con lei oltre a Kady e, poco dopo, tutti si diressero nella stanza con il pianoforte.
Demi si accomodò davanti a esso, Andrew prese un’altra sedia e le si mise vicino, mentre Eliza rimase con i bambini. La ragazza fece alcune scale per riscaldarsi e si aiutò anche con la voce, in modo che risultasse più potente. I bambini, chi cantando, chi urlando, la seguivano e la imitavano.
“Che cosa volete ascoltare?” chiese alla fine.
“Una tua canzone!” gridarono tutti.
“E canta anche tu” disse qualcun altro guardando Andrew.
Lui e la ragazza confabularono per qualche secondo, poi Demi suonò le prime note riempiendo l’aria di una melodia lenta ma allegra. Aveva scelto di mantenere quella della versione in spagnolo, non l’originale che invece era più veloce e suonata anche con altri strumenti, ma di cantarla comunque in inglese.
"I've always been the kind of girl
That hid my face
So afraid to tell the world
What I've got to say
But I had this dream
Right inside of me
I'm going to let it show
It's time
To let you know
To let you know
[…]"
Quando la cantava, Demetria non poteva che pensare a Joe Jonas, il cantante dei Jonas Brothers. In fondo l’aveva cantata con lui in Camp Rock. L’aveva amato tanto e rifletté sul modo in cui era andata a finire quando si erano lasciati. Il cuore le si riempì d’amarezza per alcuni istanti, la loro era stata una storia importante per entrambi. Ma gli anni erano passati, lei e Joe si consideravano amici anche se non si vedevano di frequente e adesso Demi aveva un ragazzo fantastico.
Andrew cantò la sua parte e lei si unì a lui dopo qualche attimo. L’ultimo verso fu tutto suo.
You're the voice I hear inside my head
The reason that I'm singing
I need to find you, I gotta find you
You're the missing piece I need
The song inside of me
I need to find you, I gotta find you
 
This is real, this is me
I'm exactly where I'm suppose to be, now
Gonna let the light
Shine on me
Now I've found
Who I am
There's no way to hold it in
No more hiding who I want to be
 
This is me
[…]
Va tutto bene pensò mentre suonava le ultime note.
Le loro voci si erano armonizzate alla perfezione, la sua più acuta e quella dell’uomo grave e calda, anche se comunque il fidanzato riusciva a raggiungere note alte con un po’ di sforzo.
L’applauso che ne seguì spazzò via qualsiasi tristezza dall’animo della ragazza. Andrew e Demi si abbracciarono e si diedero un bacio sulla guancia, trattenendosi dal fare di più dato che si trovavano in presenza di bambini.
“Evvai! Evvai!” esclamarono alzando le braccia al cielo.
“Quei due si amano” disse qualcuno.
Una bambina alzò la mano.
“Sì?” chiese Demi sciogliendo l’abbraccio.
“Ciao, mi chiamo Celine. Tu e Mister Andrew siete fidanzati?”
“Sì, da un po’ di tempo.”
“Aww” commentarono tutte le bimbe, mentre i maschietti rimasero indifferenti e i tre adulti scoppiarono a ridere.
La cantante fece suonare un po’ i bambini, divertendosi ad ascoltarli mentre cercavano di creare qualche melodia che risultava più stonata che mai. Ma i piccoli sembravano più interessati a sentirla suonare e cantare, così accettò la loro richiesta di farlo da sola. Nella stanza calò un silenzio ancora più assoluto di prima, tanto che quando iniziò a suonare i bimbi della prima fila, assieme a Eliza, poterono addirittura sentire il lieve rumore dei tasti del pianoforte che andavano su e giù sotto le sue mani. Un suo sospiro tremante riempì l’aria attorno a lei e Andrew le appoggiò una mano su una spalla per farle coraggio. Demetria si voltò e sorrise. La canzone che stava per cominciare aveva un grandissimo valore per lei. Tutte l’avevano, ma per quella in particolare, assieme a Skyscraper, c’era un posto speciale nel suo cuore.
This is a story that I have never told
I gotta get this off my chest to let it go
I need to take back the light inside you stole
You're a criminal
And you steal like you're a pro
 
All the pain and the truth
I wear like a battle wound
So ashamed, so confused
I was broken and bruised
 
Now I'm a warrior
Now I've got thicker skin
I'm a warrior
I'm stronger than I've ever been
And my armor, is made of steel, you can't get in
I'm a warrior
And you can never hurt me again
 
Out of the ashes, I'm burning like a fire
You can save your apologies, you're nothing but a liar
I've got shame, I've got scars
That I will never show
I'm a survivor
In more ways than you know
[…]
Nel ritornello la sua voce aumentava di volume, si alzava come una montagna che spuntava dal mare dopo essere cresciuta piano piano per millenni.
“La canzone di una combattente”, così l’aveva definita una volta Andrew, e Demetria non avrebbe potuto essere più d’accordo. Warrior racchiudeva in sé dolore, ferite, alcune cicatrizzate e altre forse no ma anche speranza e voglia di ricominciare, perché chi la cantava credeva ancora nella vita anche dopo aver visto quanto poteva, in molte situazioni, fare schifo. Era la canzone di chi non si era arreso, né l’avrebbe fatto mai.
A brano terminato, i bimbi non riuscirono a contenersi. Urlarono, batterono mani e piedi, saltarono per terra e alcuni perfino sulle sedie e le si gettarono tra le braccia l’uno dopo l’altro facendole mille complimenti.
“Sei bravissima, Miss Demi!” Celine batté ancora le mani. “Un angelo.”
Era una dei più grandi, avrà avuto la stessa età di Lydia.
“Ora esageri, tesoro, ma grazie.”
“No, no, è la verità.”
“Ma come fai a cantare così?” le chiese Kady. “Va bene, hai studiato, ma… è pazzesco!”
“E anche tu sei bravo, Mister Andrew” si complimentò Edwin.
“Grazie, amico.”
I due si diedero il cinque.
“Complimenti davvero” si intromise Eliza, poi si rivolse ai piccoli. “D’accordo, adesso calmatevi, respirate. Vi attende una lunga giornata, non vorrete sprecare tutte le energie.”
“No, vogliamo giocare!” gridarono i bimbi più piccoli.
Mentre tornavano nella loro stanza, ariosa e piena di luce, con le finestre aperte dalle quali entrava il sole, Demi e Andrew restarono in disparte.
“Tutto a posto?” chiese loro la donna.
“Vorremmo vedere Seth e salutare anche gli altri bambini” spiegò l’uomo.
“Ma certo! Andate pure, io resto qui.”
Poco dopo la raggiunse un’altra volontaria. Andrew e Demi, invece, passarono prima di tutto dai neonati. Anche l’uomo ebbe così la possibilità di dar loro il latte, sotto lo sguardo vigile di Demi e Julie.
“Pazzesco! Sto allattando un bambino che in realtà è una… sfera di luce” commentò, ancora incredulo. “Lei si chiama Maisy, giusto?”
“Esatto” confermò Julie. “Aspettate, vi faccio vedere una cosa.”
Aprì la lanterna e Maisy uscì sollevandosi appena.
“Mettete la mano vicino a lei” continuò la ragazza.
I due obbedirono, non smettendo un solo attimo di guardare quella piccola sfera muoversi senza sosta. Maisy si posò prima su quella di Andrew e poi andò da Demi. I due non sentirono niente, videro solo quella luce che rimaneva lì, immobile.
“Wow” sussurrò la ragazza, temendo che se avesse usato un tono normale la piccola si sarebbe spaventata.
“Quando nasce un bambino, chi assiste la fata o la creatura che lo mette al mondo le consiglia di lasciare che lui si posi sulla sua mano. I piccoli hanno freddo e fanno così per trovare calore” spiegò ancora Julie.
Poco dopo i fidanzati rimisero Maisy al sicuro nella sua lanterna e passarono a salutare Lilith, Seth e gli altri piccoli. Il nuovo arrivato stava benissimo.
“Ha passato una notte difficile, a dire il vero” fece sapere loro una volontaria. “Nuovo posto, nuovo letto, rumori ai quali non era abituato… è normale. Non ha dormito un granché, ma presto si ambienterà.”
“Avete trovato sua nonna?”
“Le ricerche sono durate fino a stamattina, senza risultati. Non c’è modo di trovarla. Gli oggetti rinvenuti vicino alla lanterna sono comuni e non ci dicono nulla della persona o di dove potrebbe stare. Non ci sono foto né altro, solo un paio di nomi anch’essi presenti nel nostro territorio. Se tra dieci giorni non verrà a prenderlo, Seth sarà dichiarato adottabile.
Andrew e Demi sospirarono.
Avevano sperato, pur non dicendolo, che quella storia sarebbe andata a buon fine. Ora non restava che concentrarsi su di lui.
“Ehi, piccolino!” Demi si avvicinò alla carrozzina e gli accarezzò il viso. “Come stai?”
Il bambino batté le manine più volte. Demetria non credeva potesse riconoscerla, in fondo erano stati insieme per poco tempo, ma ricordò che a quell’età i bambini sorridono alle persone conosciute.
“Mmmm” disse il piccolo, lanciò alcuni gridolini di diverse tonalità e allungò le braccia.
Lei lo sollevò e smise di porsi domande. Un’accoglienza tanto festosa la commosse e le fece sciogliere il cuore, trasmettendole un senso di pace. Seth fece qualche gorgoglio e i due fidanzati risero, le tirò i capelli e le sorrise. Quando Andrew lo prese fra le braccia, Seth fece qualche versetto ed esplorare il viso dell’uomo.
“Sembri piacergli molto” commentò Demi. “Non fa che guardarti.” Le parve di rivederlo, tempo addietro, quando Hope era più piccola e lo osservava nello stesso modo, con curiosità, e lui lasciava che gli sfiorasse il viso mentre entrambi si sorridevano. “Siete adorabili insieme.”
“Ti ringrazio. Ciao, tesoro! Sei un bambino bellissimo, come tutti qui dentro.”
Lui e Demi coccolarono Seth per qualche altro minuto, lo riempirono di baci e carezze, gli parlarono e gli portarono sonagli e piccoli cubi di legno, che lui afferrava e scuoteva. Dopo averlo affidato a una volontaria si divertirono con Lilith e tutti gli altri cantando loro alcune canzoncine che sembrarono apprezzare, e via via andarono a salutare i bambini più grandi tra i quali Harold e Ayanna, dedicando un po’ di tempo a ciascuno. Forse li avrebbero rivisti il giorno dopo, o magari no, e desideravano trascorrere almeno qualche minuto con ognuno.
“Ragazzi, volete un caffè?” chiese loro Eliza raggiungendoli quando uscirono.
“Volentieri” rispose Demi e la donna li guidò nella cucina dell’orfanotrofio, un grande stanzone dove non solo alcuni cuochi preparavano i pasti per i bambini e i volontari, ma i piccoli potevano anche mangiare, date le file di tavoli e sedie disposti in modo ordinato.
Una donna grassoccia con i capelli bianchi e il grembiule venne loro incontro.
“Salve!” Strinse la mano a Demi. “E così lei è la nuova volontaria, finalmente la conosco.”
“Piacere mio.”
“Siamo felicissimi di averla qui. Per quanto vi fermerete?” domandò ad Andrew.
“Non sappiamo, forse non tanto” sussurrò lui.
A Demetria mancò il fiato e si appoggiò una mano al petto.
Avevano salutato i bambini come se fosse stata l’ultima volta che li vedevano perché, anche se non avvertivano nessuna strana sensazione, preferivano farlo piuttosto che ritrovarsi svegli il giorno dopo senza aver detto una sorta di addio. Considerando il fatto che erano passati nove giorni dal loro arrivo e che quindi il sogno di Mackenzie doveva essere lungo, forse non sarebbe durato ancora molto. Il solo pensiero fece salire a Demetria le lacrime agli occhi e si sentì le guance andare a fuoco, segno di un pianto imminente.
Non devo, anzi, non dobbiamo pensarci. Magari staremo qui ancora per qualche ora o tutto il giorno, o chissà. Cerchiamo di rimanere calmi.
Se si fossero fatti prendere dall’ansia e dai brutti pensieri, non si sarebbero goduti il resto della permanenza e nessuno dei due voleva questo. Sperò solo che Mackenzie non provasse le loro stesse sensazioni così come Hope. Cercò di far capire tutto questo al fidanzato con uno sguardo e gli sussurrò che era necessario respirare profondamente. Eseguirono e contarono fino a dieci, sentendosi subito meglio.
La cuoca preparò loro due caffè decaffeinati, a quello di Demetria aggiunse il latte come da richiesta e offrì loro qualche biscotto al cioccolato che aveva cotto da poco e che era ancora caldo, ma non troppo.
“Sono squisiti!” esclamò la cantante.
“I bambini ne andranno matti, glielo posso assicurare.”
“Sono felice che la pensiate così. In effetti a loro piacciono. Li mangeranno oggi pomeriggio a merenda e domani a colazione. A pranzo e a cena per molti è difficile farlo con la verdura o la frutta, non sono abituati, ma con un po’ di lavoro e insistenza riesco a fargliele apprezzare.”
Dopo averla ringraziata i due si concessero una breve passeggiata per il giardino, ancora tranquillo dato che nessuno era uscito.
“Chissà che staranno facendo le nostre figlie!”
“Secondo me si divertono ad accarezzare gli animali e a guardare le piante” disse Andrew. “Ho sentito dire da Lucy che il Giardino di Eltaria è pieno di meraviglie. Vedrai che ameranno quella gita e avranno tante cose da raccontarci.”
“Già, lo penso anch’io. Torniamo dai grandi?”
Andrew annuì con un sorriso.
“Dov’è Kady?” domandò la ragazza a Eliza.
Contava ventinove bambini e non la vedeva da nessuna parte.
L’altra si guardò intorno e il suo sorriso scomparve.
“Mi ha detto che andava in bagno, credevo fosse tornata, ma non ci ho più fatto caso. Non è una che combina guai o si nasconde.”
Parlò a voce alta per farsi sentire sopra la confusione. Alcuni bambini giocavano, chi in silenzio, chi addirittura gridando.
“Dobbiamo cercarla subito” disse Andrew.
Dopo aver lasciato i bimbi con l’altra volontaria, la quale non aveva visto Kady da nessuna parte, i tre decisero di provare a trovare la piccola prima di allarmare la Direttrice. Poteva anche darsi che si stesse solo nascondendo per gioco. Non era possibile che fosse scappata, il cancello era chiuso e troppo alto per essere scavalcato da una bambina della sua età. Non c’erano altre uscite. Fecero il giro del giardino osservando sotto ogni albero ma nulla. Controllarono nelle altre stanze dei bambini, che intanto le volontarie iniziavano a far uscire all’aperto. Demi suggerì che la piccola doveva trovarsi in un posto in cui stare da sola e, al contempo, sentirsi al sicuro.
“Magari la sua camera” suggerì. “Io vado sempre lì quando non mi va di vedere nessuno, o meglio lo facevo quand’ero più giovane.”
Eliza li condusse su per una lunga scala. Oltrepassarono il secondo piano, in cui si trovavano le camere dei bambini da alcuni mesi a un anno o poco più e dei volontari che si occupavano di loro. Nel terzo, ancora più grande, c’erano circa quarantacinque stanze, per i bimbi più grandi e altre volontarie.
“Quella di Kady è la penultima in fondo al corridoio. Dopo c’è la mia, le poche volte nelle quali mi fermo qui di notte se qualcuno ha bisogno, per esempio se uno o più bambini sono malati, altrimenti la usano altri. Kady, sei qui dentro?”
Eliza parlò con dolcezza e bussò appena, ma non ci fu risposta, né alcun rumore.
“Nessuna porta è chiusa a chiave,” mormorò, “abbiamo troppa paura che rimangano dentro.”
“Almeno non dovremo pregarla di farci aprire” sussurrò Andrew.
I tre furono tentati di entrare e basta, ma d’altra parte non volevano violare il suo spazio personale o spaventarla e non capivano quale fosse il problema. Eliza la conosceva da quando era arrivata e raccontò che si era comportata così per diverso tempo. Si allontanò dalla stanza per parlare loro con più tranquillità, evitando che la piccola sentisse.
“Ha sofferto per l’abbandono dei genitori, non poteva credere che l’avessero lasciata qui ed era arrabbiata con il mondo, non si fidava di nessuno. È stata in terapia con la psicologa da quando è arrivata. Con il gioco, i disegni e più avanti anche parlando è riuscita a sfogarsi, a tirare fuori insicurezze e paure e a fidarsi di me e delle altre volontarie, ma è stato un percorso lungo e difficile. Ora ha anche molti più contatti con gli altri bambini, in particolare con Misty ed Edwin che sono i suoi migliori amici, ma all’inizio non parlava quasi mai con nessuno di loro. Forse è agitata a causa del fatto che sta per essere adottata: da una parte è felice, dall’altra ha paura del futuro.”
“Lasciate che provi a parlarle io” propose Demi.
Non era una psicologa, ma una mamma che aveva adottato due bambine una delle quali con grosse difficoltà e, anche se non si considerava un’esperta, tra iter adottivo e vita con le piccole ne sapeva parecchio. Se era riuscita a rassicurare Mackenzie facendole capire, nel tempo, che la amava davvero, forse sarebbe stata in grado di aiutare Kady.
Bussò tre volte, poi altre tre con colpetti un po’ più decisi ma non troppo, per non spaventarla.
“Kady? Tesoro, sono Miss Demi, posso entrare? Ci sono anche Andrew ed Eliza con me, ma ti prometto che verrò solo io per farti compagnia, non dovrai parlare se non te la sentirai.” Sperava che sarebbero riuscite a comunicare, ma per il momento voleva solo trasmetterle tranquillità andando un piccolo passo alla volta. “Non sono venuta per sgridarti o costringerti a giocare con gli altri, te lo giuro. Voglio stare un po’ con te e darti una mano, se posso. Batti un colpo se mi dai il permesso di entrare.”
Ci fu un lunghissimo, eterno silenzio carico di tensione, poi si udirono alcuni passettini avvicinarsi alla porta e due colpi appena accennati, seguiti da altri passi che si allontanavano. Demi fece cenno a Eliza e ad Andrew di non restare lì mimando un “Andrà tutto bene” con le labbra. Abbassò la maniglia, che cigolò appena.
La stanza era dipinta di un tenue giallo e aveva delle stelle disegnate sul soffitto. L’ambiente era accogliente e carino, perfetto per una bambina di quell’età. In un angolo si trovava un piccolo cesto con alcuni giocattoli, per la maggior parte peluche e qualche bambola, e sulla parete di fronte al letto un quadretto con una fotografia. Sotto le coperte c’era Kady, rannicchiata, del tutto nascosta. Demetria le lasciò ancora qualche attimo di calma e si avvicinò alla foto. Raffigurava una fata che teneva in braccio una pixie di circa un paio d’anni, con un gran sorriso e occhi pieni d’amore. Il folletto accanto a loro stringeva la moglie in un delicato abbraccio, cingendole le spalle. La piccola era Kady, non c’erano dubbi, e la ragazza che la teneva le assomigliava tantissimo, sia nei lineamenti del viso, che nel colore degli occhi, che nel sorriso, anche le labbra sottili erano uguali, ma Kady aveva preso quello dei capelli dal padre. Lì sembravano una famiglia felice. Chissà cos’aveva spinto quelle due persone ad abbandonare la loro figlia, che avrebbe dovuto essere la loro ragione di vita. Demi sospirò piano per non farsi udire e accarezzò la foto nel punto in cui si trovava la bambina. Si avvicinò al letto.
“Posso sedermi?”
Kady uscì dal suo nascondiglio facendo vedere vedere solo la testolina bionda, i capelli spettinati e in disordine che Demi accarezzò con un gesto lento prima di accomodarsi sul materasso. Si era aspettata che i bimbi, perlomeno i più grandi, stessero tutti insieme in una camerata, ma era contenta di sapere che al contrario ognuno avesse il proprio spazio.
La bimba si asciugò le lacrime che ancora le bagnavano il volto.
“Anch’io quando da piccola ero triste andavo sempre in camera mia, l’unico posto nel quale sentirmi tranquilla e in cui nessuno poteva disturbarmi. Ma ci hai fatti preoccupare, pixie.”
“M-mi dispiace” balbettò questa in risposta, con il labbro inferiore che le tremava.
“Non preoccuparti, l’importante è che tu non ti sia fatta male. Possiamo stare ancora un po’ qui, se ti va.”
Annuì impercettibilmente e il silenzio calò di nuovo su di loro.
“Sono mamma e papà. Quelli veri, che mi hanno abbandonata qui” sussurrò a un tratto la piccola, indicando la foto. “Non avevamo tanto da mangiare, i miei non riuscivano a trovare un lavoro dopo che papà aveva perso il suo, o qualcosa del genere. Mamma, invece, era sempre rimasta a casa. Una mattina mi hanno detto che mi porterebbero in un posto pieno di verde dove sarei felice e io ero contenta, perché pensavo di giocare con loro.”
Demi sorrise per quei verbi sbagliati, ma non si intromise.
“Ma non avevo capito… pensavo fosse un parco con dei giochi, non un posto dove i bambini vengono lasciati. Quando siamo arrivati davanti al cancello mi hanno abbracciata forte e mi hanno quasi soffocata, poi sono scoppiati a piangere e hanno detto:
“Torneremo, non preoccuparti.”
“Quando?” ho chiesto.
“Presto. Fai la brava bambina.”
E poi sono rimasta lì da sola. Mi sono seduta, ho gridato i loro nomi, poco dopo sono corsa loro dietro, ma erano già spariti in volo e io non ero abbastanza veloce per seguirli, anche se ci ho provato. Sono tornata indietro e ho suonato il campanello. Avevo tanta paura. I miei hanno lasciato una lettera. La Direttrice e la fata che mi aiuta hanno cercato di farmelo capire che i miei non potevano più tenermi, ma io ho sempre sperato che tornavano da me!”
“Quella fata è la signora con cui giochi e disegni?”
“Sì, si chiama Claire, il cognome non lo ricordo. Parliamo tanto.”
Batté i denti e Demi le cinse i fianchi con un braccio.
“Mi dispiace, tesoro mio” riuscì solo a dire, benché questo non sarebbe stato di conforto a Kady.
“Non so perché non mi hanno detto subito la verità. Miss Claire mi ha spiegato che forse allora volevano proteggermi o pensavano che le cose sarebbero migliorate, ma i giorni sono passati e sono diventata… adottabile, credo si dice così, che se fossero tornati dovevano fare tanti colloqui con le anziane, lei e la Direttrice per riavermi, ma non è mai successo. Secondo te mi volevano bene?”
In parte sa i congiuntivi. Imparerà presto a parlare benissimo.
Diede dell’idiota alla sua mente: al momento i verbi non erano importanti.
Kady tirò su col naso e Demetria la strinse di più.
“Certo! Sono sicura che te ne vogliono anche ora, ma forse la situazione non è migliorata e hanno pensato che stessi meglio qui.”
“Non lo capirò mai.” Kady aveva alzato la voce e strinse le mani a pugno. “Preferivo stare con loro ed essere povera piuttosto che restare qui. È un bel posto, ma non è casa.”
Quell’ultima frase fu un pugnale che trafisse il cuore di Demi, che si portò una mano in quel punto per soffocare un’immaginaria fitta di dolore che la lasciò senza energie.
Non è casa.
La sua testa continuava a ripeterlo. Capì cosa intendeva la bimba. Non si riferiva solo al luogo, voleva anche dire:
“Non è come vivere con mamma e papà.”
Demi sperava che la piccola non avrebbe avuto una crisi di qualche tipo, non era sicura di poterla gestire. Le disse di respirare piano e di contare fino a dieci come faceva lei e Kady, poco dopo, ci riuscì. Fu più facile di quanto la cantante si sarebbe aspettata e ben presto la bimba si sentì meglio. Forse significava che era in grado di gestire un po’ la rabbia e Demetria ringraziò la psicologa che la stava aiutando.
“Vuoi leggere la lettera?”
Senza aspettare una risposta, la tirò fuori dal comodino e la mostrò a Demi. La ragazza lesse in silenzio:
Amiamo la nostra bambina, ma non abbiamo più i soldi per occuparcene e quelli che ci vengono prestati non bastano. Non abbiamo nessun parente in vita o amici tanto stretti da poterla lasciare loro.
 
Speriamo possiate occuparvi voi di lei e che un giorno troverà una famiglia che le darà un amore incondizionato, quantomeno simile al nostro. Ve lo dirà lei stessa, ma si chiama Kady.
 
Vi prego, abbiate cura della nostra piccola!
 
Kady, ci dispiace, perdonaci. Decidere di portarti dove sei ora è stata la scelta più sofferta della nostra intera vita, non avremmo mai voluto arrivare a questo. Per noi sei la cosa più importante, il regalo più prezioso. Ti ameremo per sempre con tutta l’anima, ma non potevamo farti vivere così. Sappiamo che non capirai, ma è proprio per questo e per l’amore che proviamo per te che vogliamo darti la miglior vita possibile. Ti lasciamo una nostra foto, così non scorderai mai come siamo.
Penseremo a te ogni istante di ogni giorno.
Mamma e papà.
“La sai leggere?”
“No, e non voglio che lo faccia nessuno per me. Imparerò presto, spero. Mi dicono che c’è scritto che mi amano, è vero?”
Demi la strinse a sé e le diede un bacio.
“Sì, piccina, è così.”
“E non torneranno, giusto?”
Demetria trasse un profondissimo respiro. Dire la verità o mentire? Valutò i pro e i contro e, anche se avrebbero potuto esserci delle conseguenze negative, mormorò:
“No, Kady, e non riesco a immaginare come tu ti senta in questo momento, ma se vuoi parlarne sono qui.”
Le erano parse le parole più corrette da usare, ma aveva fatto bene a prendere quella decisione? La Direttrice e la psicologa non le avevano certo detto questo, almeno non tanto direttamente. Avrebbero dovuto comportarsi in modo diverso, essere oneste fin da subito anche se non troppo dure, e sperò che non avessero alimentato in lei false speranze, che quelle che aveva coltivato fossero scaturite solo dalla sua mente.
La piccola sospirò.
“Un po’ lo sapevo. Mi hanno detto che a volte le famiglie non possono tenere i loro bambini, ma che capita poco e che i miei mi volevano bene.”
La bambina versò solo qualche lacrima.
“Non capisco. Un figlio non si abbandona, vero?”
“Non si dovrebbe, ma…”
“Allora perché loro l’hanno fatto?” gridò e batté entrambe le mani contro il bordo del letto. “La psicologa dice che forse avevano dei problemi.”
“Sì, è possibile. A volte, chi è disperato fa cose che non capiamo, come questa.”
“Ma non è giusto!” ribatté la piccola.
“Ricorda” riprese Demi “che tutto ciò non è colpa tua, non lo sarà mai. E no, non è giusto.”
Non avrebbe saputo cos’altro dire. Nessuna parola sarebbe riuscita a togliere a quella bambina il dolore. Poteva solo starle accanto.
“Me lo dicono tutti, che non ho colpe.”
Ma la ragazza capì, da quelle poche parole, che la bimba non ne era del tutto convinta e ciò le fece male. Non era giusto che si sentisse così. D’altra parte, però, sapeva che capita che i bambini abbandonati si diano delle colpe che non hanno.
“Tu sei meravigliosa, loro lo sapevano come tutti qui. Erano disperati, probabilmente, e hanno fatto ciò che ritenevano il meglio per te, ma posso solo immaginare quello che provi.”
La bambina sospirò ancora e la abbracciò.
“I nuovi mamma e papà saranno buoni con me?”
“Sono sicura di sì. Chi adotta un bambino non può essere cattivo.”
Almeno non in questo mondo, spero.
Aveva sentito di genitori affidatari o adottivi che avevano picchiato i loro figli e fatto altre cose orribili, finché in un modo o nell’altro questo era venuto alla luce. Per fortuna si trattava di casi rari.
“Tu hai dei bambini? Perché con noi sei tanto brava.”
Demi la baciò in fronte.
“Sì, ho due bambine, Mackenzie e Hope. Una ha un anno più di te, l’altra è più piccola, ne ha quasi due. E pensa un po’, le ho adottate.”
Kady sbarrò gli occhi.
“Sul serio?”
“Giuro. Anche se ci è voluto un po’ di tempo per Mackenzie per capire che mi voleva bene, alla fine abbiamo compreso che il nostro era un legame speciale.”
“E tu l’hai capito subito che gli volevi bene?”
“Le, non gli” la corresse. “Sì, ho visto la loro foto e me ne sono innamorata e ancora di più quando le ho incontrate la prima volta. Sarà così anche per i tuoi. Sei stupenda, non si può non amare una bambina come te.”
Kady la abbracciò ancora e le due rimasero così per alcuni secondi, intensificando sempre di più la stretta come se avessero bisogno l’una del calore dell’altra.
“E i miei amici? Non li rivedrò più! Non voglio lasciare Misty ed Edwin!” esclamò la bambina.
“Forse, se chiederai ai tuoi genitori di tornare a salutarli, te lo permetteranno capendo che qui hai anche avuto esperienze positive. Sono convinta che la Direttrice l’abbia detto loro, E nel caso venissero adottati, se abitano a Eltaria potresti sempre incontrarli, prima o poi. Ti farai nuovi amici quando andrai a scuola e avrai una bella vita.”
Kady uscì dal letto e si sedette tra le braccia di Demi, che la accolse con calore. Le accarezzò la schiena, il viso e i capelli, guardava le sue lacrime che ora cadevano copiose. La bimba piangeva per le scelte dei genitori e il dolore, continuo e insopportabile, che le avevano provocato e che lei nascondeva dietro tutti quei sorrisi, una sofferenza che l’avrebbe segnata per sempre, per la paura di allontanarsi dai propri amici e per quella del futuro. Non le asciugava, lasciava che la bagnassero fino ad arrivare ai vestiti. Nel sorriso di Kady c’era il sole, pensava intanto Demi, ma in quel momento il suo volto, arrossato dal pianto, sembrava un cielo pieno di nuvole che facevano cadere una pioggia violenta. Nel più profondo del suo sguardo, Demetria lesse anche una paura tanto forte da togliere a entrambe il respiro, quel terrore che doveva paralizzarla, lasciarla stordita e senza forze. La piccola singhiozzò in modo convulso mentre la ragazza continuava a coccolarla e a parlarle.
“Andrà tutto bene, tesoro, te lo prometto. So che hai paura, ma sarai felice, pregherò per questo.”
Le due rimasero in quella posizione, con la cantante che la accarezzava e le massaggiava la schiena per rilassarla, finché il respiro della piccola si fece regolare.
“Sto meglio. Miss Demi, grazie.”
“Mi fa piacere, cucciola! Ti va di tornare a giocare, adesso?”
“Prima voglio un altro abbraccio.”
Demetria eseguì, ma le fece anche il solletico alla pancia e ai fianchi fino a quando la bambina la supplicò di smettere, ridendo come una pazza.
“Okay, non lo farò più.”
“Bene. Voglio giocare!”
Dopo aver bevuto dell’acqua ed essersi sciacquata il viso la bambina si precipitò fuori, ritrovando la sua solita energia.
“Che hai fatto lì dentro, un miracolo?” chiese Eliza alla ragazza.
“Abbiamo solo parlato. Aveva bisogno di sfogarsi e di qualche rassicurazione.”
“Grazie, davvero.”
Quando tornarono nella stanza alcuni bambini, tra i quali Lydia, Misty ed Edwin vennero loro incontro.
“Vorremmo fare tutti dei puzzle” disse la bambina più grande.
“Tutti quanti, Lydia?”
“Sì, Mister Andrew, ci siamo messi d’accordo.”
“Potremmo dividervi in gruppi e ognuno ne farà uno.”
Il suggerimento di Demi piacque anche ai bambini. Poco dopo erano seduti per terra in gruppi da sei. Lydia, Misty, Edwin e Kady erano assieme ad altri due bambini e avevano davanti una scatola con circa un centinaio di pezzi di un puzzle con i personaggi di Pixie Club che si rincorrevano su un prato verde. Sopra di loro, il cielo era azzurro e limpidissimo. Gli altri ne avevano di diversi tipi: unicorni al galoppo su una prateria, per esempio, o i personaggi di Woodland Critters.
“Cosa sarebbe?” domandò Andrew quando lesse l’etichetta.
“Un altro cartone in voga qui” spiegò Eliza.
Narrava le avventure di un gruppetto di animali del bosco e analizzava anche, in profondità, la vita di ognuno. Si trattava di un gufetto, un coniglietto, un orsetto bruno e un lupacchiotto. Nessuno di loro aveva un nome, disse ai due una bambina che stava cominciando a comporre il puzzle.
Altri due gruppi avevano qualcosa di più semplice: una casa nel bosco.
La stanza si riempì di brusii dei piccoli che lavoravano, si scambiavano consigli su dove mettere questo o quell’altro pezzo, a volte bisticciavano ma alla fine facevano sempre pace. Andrew e Demi, però, sembravano un po’ estraniati da quella scena.
“A che state pensando?”
“Io al fatto che in questa settimana sono cresciuto. Ho imparato a credere di nuovo, e in maniera più forte, nella magia. Mia mamma mi diceva sempre, da bambino, quando ho iniziato a diventare più grande, di non smettere di crederci mai e che avevo il diritto, per esempio, di pensare che Babbo Natale o la Befana esistessero. Qui li festeggiate?”
 “Anche pixie, fate e folletti hanno iniziato a farlo, perché le tradizioni umane, o almeno alcune di esse, sono arrivate fino a loro” spiegò la donna.
“Che bella cosa!” esclamò Demi.
Andrew riprese:
“In questa settimana mi sono sentito felice come non lo ero da tempo. Non ho avuto particolari problemi a parte l’attacco di panico e a fidarmi di persone che, di primo acchito, avevo giudicato squilibrate. La prima impressione non è sempre quella che conta, e nel mondo da dove veniamo io e Demi troppo spesso si dimentica questa lezione, perciò ringrazio te, Eliza, ma dovrei farlo con tutti, per avermela insegnata di nuovo.”
La donna arrossì.
“Non c’è di che” mormorò.
“Sono d’accordo, in particolare sull’ultimo punto riguardo la magia e la lezione. Abbiamo anche imparato molte cose su questo mondo, pieno di valori semplici che troppe volte, nel nostro, si danno per scontati.”
Demi era sempre stata una persona alla quale piaceva dire:
“Ti voglio bene”,
a volte, oltre che dimostrarlo. Sentiva sua madre, Eddie e le sorelle circa ogni due settimane, li vedeva un po’ di meno ma in ogni caso facevano parte della sua vita.
Da quanto tempo non dico a mia mamma che le voglio bene? E a Dallas, Madison e Eddie? Loro lo sanno e forse non lo faccio per questo, perché penso che sia ovvio. E lo è, in parte. Ma dovrei dirlo loro, ogni tanto, perché è importante.
Ogni volta che sussurrava ad Andrew:
“Ti amo”
le si scaldava il cuore e sapeva che lo stesso valeva per lui. Allora perché non farlo sentire di più alla famiglia? In particolare Eliza, con la sua simpatia e il proprio affetto, gliel’aveva fatto capire. Glielo disse.
“Oh, tesoro!”
Gli occhi di entrambe si inumidirono e un caloroso abbraccio le unì. Nessuno era come quelli di sua madre, ma quando Eliza la stringeva, o le parlava, o le rimaneva vicina – e non solo fisicamente –, Demetria si sentiva coccolata un po’ come se Dianna fosse stata lì, e di sicuro accadeva perché anche Eliza era una mamma.
“Oltre a questo…” Demi indicò i bambini. “Ho conosciuto la loro forza, ma anche le loro paure e fragilità. Con Kady, in particolare, ma non solo. Vedo i loro sorrisi ma anche la loro paura, che sentiranno in modo diverso e a volte inconsapevole viste le età differenti, ma che secondo me provano tutti.”
“Concordo. Conosco adulti che sarebbero forti la metà di questi angeli. E io stesso non so se e come riuscirei ad affrontare un abbandono, se mi trovassi nella loro situazione.”
Demi fece un sorriso amaro.
“Già.”
“Anch’io ho imparato molto, ragazzi. Hope mi ha aiutata a sentirmi più viva, meno sola e meno vuota. E vedere tutto l’amore che la circonda mi ha resa felicissima. La vostra piccola mi ha insegnato che non si può mai sapere quali cose belle ti riserverà la vita.”
“Wow!” esclamarono insieme i fidanzati.
Era un gran complimento, soprattutto se rivolto a una bambina di quasi due anni la quale, senza rendersene conto, aveva aiutato una donna sulla quarantina.
A uno a uno, i vari gruppi vennero a dire che avevano finito e sorridevano felici quando gli adulti ammiravano le loro opere.
“Chi ha vinto?” chiese Misty.
“Tutti quanti! Sono puzzle bellissimi” disse Demi.
La sera prima, oltre al cibo per la festa, aveva comprato anche caramelle e cioccolatini per i piccoli, che aveva portato con sé. Per fortuna quel giorno faceva meno caldo del solito e, mettendoli nella sua borsa lontani dal sole, gli ultimi non si erano sciolti. Quando offrì un po’ di dolcetti a ciascuno, tenendone alcuni per sé, Eliza e il suo ragazzo, i bambini esplosero in gridolini di gioia.
“Cosa si dice a Miss Demi?” domandò Eliza.
“Grazie” risposero tutti e la abbracciarono a uno a uno.
“Prego, bambini, è stato un piacere.”
Vederli felici la commosse oltre ogni dire, avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché un sorriso spuntasse sui loro volti.
“Che ne dite se andiamo fuori a giocare?” propose poco dopo la donna. “Gli altri bambini sono già usciti.”
Accettando il suggerimento di Eliza, i bimbi si misero in fila per due e si diressero in giardino. Lì, alcune volontarie passeggiavano tenendo tra le mani le lanterne con i neonati.
“Chissà perché immaginavo non potessero uscire” sussurrò Demi.
“È importante che prendano un po’ d’aria ogni giorno” spiegò l’altra.
Delle donne camminavano con le carrozzine per portare a spasso i bambini di pochi mesi e quelli un po’ più grandicelli erano o sul passeggino o, se sapevano camminare, lo facevano con qualcuno sempre accanto e ogni tanto si chinavano a toccare l’erba o la terra.
“Ayanna, non si fa” disse un volontario alla pixie, mentre Demi si avvicinava.
Era il primo uomo che vedeva lì.
“Posso aiutare?” domandò con gentilezza.
L’altro le sorrise.
“Grazie. Sto seguendo anche Harold e lei non fa che disobbedirmi. Potresti portarla a lavarsi le manine? Non vorrei che le mettesse in bocca e si prendesse qualcosa.”
“Nessun problema. Ciao Harold” trillò Demetria indicando il piccolo nel passeggino, che si guardava intorno con curiosità. Prese la bambina in braccio e sparì all’interno. Trovare un bagno non fu difficile, ma Ayanna si lamentava e scalciava. “So che vuoi uscire. Ci laveremo e poi torneremo a giocare, va bene?”
Una volta fuori, Demi si offrì di restare un po’ con la piccola e prese una pallina con la quale giocò con lei. Sedute per terra, sul prato, se la lanciavano facendola rotolare.
“Vuoi bere un po’ di tè?” chiedeva intanto Kady ad Andrew che, a poca distanza dalla fidanzata, le sorrideva.
“Certo.”
La bambina gli passò una tazzina e un cucchiaino. Andrew mescolò lo zucchero immaginario e bevve.
“Mmm, è buonissimo, grazie piccola!”
“Prego.”
Demi, che aveva osservato la scena, sorrise.
“Kady, vieni a giocare?”
Edwin la prese per mano e insieme scapparono da Misty e un’altra bambina. Era un gioco simile ad acchiapparella, che Andrew e Demetria avevano fatto tante volte da piccoli sia tra loro che a scuola, ma mentre fuggivano i bambini lanciavano incantesimi. Eliza spiegò che non avevano formule, si trattava infatti di fasci di luce, come potevano vedere, del colore del loro elemento.
“Che figata!” sussurrò Andrew all’orecchio della sua ragazza. “Vorrei saperlo fare anch’io.”
I fidanzati ed Eliza trascorsero le ore seguenti a rincorrere i bambini, giocare con loro a palla, saltare la corda con i più grandi e coccolare i piccoli. Guardarono Kady che si divertiva a fare su e giù per lo scivolo e spinsero Misty ed Edwin che erano seduti sull’altalena. Anche alcuni bimbi più piccoli vennero messi su quelle apposta per loro.
“Miss Demi, Mister Andrew, ci fate giocare a qualcosa?” chiesero a un certo punto Misty e Kady tenendosi per mano.
“E a cosa? Avete qualche idea?” domandò l’uomo, ma loro negarono.
I fidanzati ci pensarono un po’, finché si scambiarono uno sguardo d’intesa e Demi prese la parola.
“Volete sapere come fa la canzone della farfalla e poi divertirvi con me?”
“Sì, sì, sì!” trillarono.
Demi e il fidanzato si misero l’uno accanto all’altra e cantarono ancora insieme.
I'm a little butterfly
Spread my colorful wings
Even though I'm small and frail
I can do almost anything
[…]
Mentre cantavano quella brevissima canzone, i due aprivano le braccia facendo finta di volare come una farfalla e le bambine li imitavano.
“Sapete cos’è la farfalla prima di diventarlo?” chiese alla fine Andrew.
“Un bruco” rispose sicura Misty. “Ma non credo che è carino. La farfalla sarà più bella.”
“Sono d’accordo con te.” Demi ridacchiò. “E voi sareste due farfalle coloratissime.”
La fine della mattinata arrivò in un battibaleno, più in fretta di quanto l’avvocato e la cantante si sarebbero aspettati. Mentre riaccompagnavano dentro i bambini, furono colti da un improvviso malessere. Il battito del loro cuore rallentò e il respiro si fece pesante, qualche lacrima sfuggì al loro controllo e un senso di nausea invadeva loro lo stomaco, per salire in gola e fino alla bocca. Che stava succedendo? Non era detto che quello fosse il loro ultimo giorno all’orfanotrofio, magari il successivo sarebbero tornati, eppure si sentivano come se dovessero dare ai bambini una sorta di addio, o meglio un arrivederci, sperando che fosse davvero tale. L’avevano in un certo senso fatto con alcuni di loro, ma era stato più un saluto che altro e non avevano provato quella sensazione.
“Miss Demi, Mister Andrew, state piangendo?” chiese Kady.
Tutti i piccoli, di ogni età, erano ancora in corridoio con i volontari, ma alla domanda della bimba si zittirono all’istante, anche chi era troppo piccolo per comprendere.
Demi si schiarì più volte la voce, ma non riuscì a proferire parola. Ci provò, ma qualcosa la bloccava, una corda invisibile pareva stringerle la gola e il petto, così fu Andrew a farlo per primo rivolgendosi a tutti.
“Un po’, tesori, ma non è niente di grave. Siamo felici di stare qui con voi, solo che non sappiamo quanto ancora potremo rimanere a Eltaria.”
“Forse domani torneremo, ma potrebbe anche non capitare. E quindi, per sicurezza, preferiamo salutarvi adesso.”
Non volevano andare via senza farlo, o se ne sarebbero pentiti per il resto della vita.
“Già. Sappiamo che alcuni di voi non capiranno e che altri, invece, si rattristeranno, ma per noi questi giorni con voi sono stati bellissimi.”
Andrew tremò e si asciugò una lacrima, lasciando la parola a Demetria.
“Pieni di giochi, gioia, risate e qualche piccolo momento no. Vi porteremo sempre, e ripeto sempre nei nostri cuori, non vi dimenticheremo mai perché sarebbe impossibile. Ognuno di voi ci ha dato amore e trasmesso gioia. Non scordateci! E spero che anche chi è troppo piccolo per capire non lo faccia, che gli resti qualcosa di noi in qualche modo.”
Misty, Edwin, Lydia, Ayanna, Harold, Maisy, Lilith, Seth, Thior e molti altri iniziarono a singhiozzare. Anche se non tutti avevano compreso, perfino i più piccoli si erano resi conto che qualcosa non andava, che l’atmosfera non era più serena come poco prima. Gli occhi di Eliza e degli altri volontari si fecero lucidi, ma furono i suoi a colpire i fidanzati, perché stava piangendo. Nessuno aveva ancora pensato a quanto tempo mancasse alla loro partenza, se così si poteva definire, e farlo era troppo difficile, anzi, insopportabile per tutti e tre. Nel riflettere su ciò Eliza si tirò i capelli, staccandone alcune ciocche. Andrew e Demi, con uno sforzo immane, ricacciarono indietro le lacrime deglutendo più volte con la bocca impastata e abbracciarono ognuno dei bambini, perfino le lanterne con i neonati ancora in forma di piccole luci.
“Avrai una vita bellissima.”
“Coraggio.”
“Ti voglio bene!”
“Sei di una dolcezza infinita.”
“Non ti dimenticherò mai, te lo prometto.”
Queste erano alcune delle frasi che l’uno e l’altra ripetevano ma che, anche se simili, venivano dal più profondo dei loro cuori. Andrew aveva frequentato l’orfanotrofio meno di Demi, ma era dura anche per lui. Non sapere se li avrebbero più rivisti, sentiti ridere, aiutati in piccoli momenti di crisi, se avrebbero potuto o meno toccare le loro manine, accarezzare e baciare loro le guance morbide come velluto, prenderli in braccio e godersi quel profumo dolce che hanno solo i bambini era straziante. Credevano di starli un po’ abbandonando e non potevano sopportarlo.
“Bambini,” disse Julie, “altre volte è capitato che dei volontari andassero via. E noi cos’abbiamo sempre detto?”
“Che è un arrivederci e non un addio” dissero in coro.
Alcuni parlarono fra le lacrime.
“Esatto; è così anche in questo caso, ve lo assicuro.”
Kady si gettò di nuovo fra le braccia di Demi, che però ora la trovò più tranquilla.
“Non voglio che vai via, ma so che non puoi restare per sempre” mormorò la piccola. “E anch’io tra un po’ andrò nella mia nuova casa. Ma mi mancherai tantissimo. Ti voglio bene, sai?”
Demetria la riempì di baci e carezze sul viso e i capelli.
“Anch’io, piccola, anch’io. Andrà tutto bene, Kady, capito? Potrebbero esserci delle difficoltà, ma tu sarai forte.”
“Lo so.”
Si dissero arrivederci così, con quelle parole, un bacio, poche lacrime e altre coccole. Sciolsero con lentezza l’abbraccio sperando, almeno in parte, che non sarebbe mai arrivato un momento simile.
“Allora… ci vediamo” disse Jacqueline ai due fidanzati.
“Sì, presto spero” mormorò Andrew e tutti si auguravano che sarebbe stato il giorno dopo.
I due si trattennero fino a quando si ritrovarono fuori dal cancello dell’orfanotrofio. Nel momento in cui si chiuse con un colpo secco, i due scoppiarono in un pianto convulso che li costrinse a fermarsi e a sedersi per terra tanto tremavano. Le braccia compivano movimenti che parevano sfuggire al loro controllo.
“N-non pensavo che sarebbe stata così…” balbettò Demetria tra i singhiozzi.
“Così dura” concluse Andrew tenendosi la testa fra le mani a causa di un principio di emicrania.
Alla ragazza doleva lo stomaco, si piegò in avanti perché le veniva da vomitare, ma non uscì niente.
“Mi dispiace, ragazzi.” Eliza si schiarì la voce. “Ma forse resterete qui a lungo. Credo comunque che abbiate fatto bene a salutarli, non sapendo quanto tempo rimarrete qui.”
Demi restò in in piedi, poi si sedette ma con la schiena piegata, si sdraiò, ma era come se qualcuno le desse continue stilettate in quel punto, che le penetravano nella carne. Seguirono interminabili minuti di silenzio nei quali ognuno si immerse nei propri pensieri, dubbi e dolori per quell’arrivederci che aveva spezzato loro il cuore. La loro bocca era impastata da lacrime salate. A un certo punto si alzarono piano, si guardarono indietro per qualche secondo come per dire addio anche all’edificio e non soltanto ai piccoli e imprimersi ogni dettaglio nella memoria e ricominciarono a camminare a testa china.
 
 
 
CREDITS:
Demi Lovato, This Is Me
Demi Lovato, Warrior
Austin&Ally, Butterfly Song
   
 
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