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Autore: JoSeBach    22/03/2021    1 recensioni
(incompiuta)
I suoi figli morirono. Sua moglie lo lasciò. La sua gente tirò avanti a stento. Ottenuta la sesta ANIMA, un lungo silenzio si dilagò nel castello. Finché un giorno due luci portatrici di speranze e sogni arrivarono. E il re le accolse.
[2141+2238 parole] {in inglese su AO3}
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Alphys, Asgore Dreemurr, Undyne
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Salve. Finalmente mi sono decisa a tradurre anche questo capitolo. Spero gradiate la lettura!


Nonostante il pungente tepore del tè, le palpebre si facevano pesanti, le occhiaie profonde. Non ne era sorpreso: proprio come lui non accoglieva più il sonno, la stanchezza non gli dava più tregua. Era un patto siglato ormai da molto tempo.
Come suo solito, Asgore finì di bere la bevanda con l’aggiunta di alcuni biscotti alla sua povera colazione, così da poter reintegrare un altro po’ di magia, oltre che poter avere qualcosa da sgranocchiare e gustare.
Pulita la tazza, iniziò a sistemare il resto della stanza, con l’unico compito di spazzare via alcuni granuli di polvere solitari. Lo fece usando le sue stesse mani, non avendo attrezzature più indicate al compito. Non che gli importasse sporcarsi con delle particelle naturali, o con qualunque altra cosa. Non che lì ci fosse qualcuno pronto a rimproverarlo, non da parecchio, comunque. E nessuno degli umani se ne fregò di qualche granello di polvere nell’angolo della casa, quindi perché stava perdendo tempo lì quando ci sono questioni di gran lunga più importanti, come la povertà, la sovrappopolazione e la crescita dei caduti, tu ingrato―

Dei gelidi schizzi inumidirono il suo volto, le sue mani tremanti per l’improvviso sbalzo. Riprese coscienza di sé, accorgendosi che era di nuovo in cucina, il rubinetto ancora aperto fluiva indisturbato, lì per ricordare alle sue orecchie che il tempo stava scorrendo. Era tornato nella realtà. Era vivo. Era solo. Forse sarebbe durato per sempre. Lui lo sperava e temeva al contempo, il futuro confuso, i desideri ignoti allo stesso autore. Ma dovrebbero importare? Non era che lui avesse una scelta, avendola sacrificata per il suo popolo. Pazienza, questo non cambia il fatto che deve mantenere la sua promessa, i loro sogni, che ne richiedevano molta, di pazienza. E se gli umani tardavano a venire doveva solo aspettare.

Sì, aspettare. E perché non poteva provare a distrarsi nell’attesa? Beh, è proprio quello che stava facendo, specialmente mentre si occupava dei fiori, cosa che stava giusto per eseguire: infatti stava già percorrendo i gradini delle scale, i piedi ormai esperti della stessa monotona danza, e appena guardò il giardino lo accoglievano i raggi, il loro tepore narcolettico. Raggiunse il prato, abbassandosi con le mani sulle ginocchia e curando i fiori dorati in tutto, raccogliendo e trasferendo tutti gli insetti che stavano portando disturbo alla vita sedentaria dei corpi verdi e lasciando che il sole attivasse l’incredibile mistero della fotosintesi clorofilliana.
Se i fiori fossero senzienti, poteva scommettere che avrebbero riso alle sue sdolcinate gentilezze.
Se fossero i suoi figli, sapeva che sarebbero cresciuti viziati, pretendendo più e più giochi, agi e privilegi.
Che genitore disgustoso che era.

Vide la polvere avanzata a terra, ancora attorno al primo fiore, la singolare corolla di cinque petali più uno a proteggere il pallido disco. Lui voleva soltanto… nulla. Non importava.
Strappò le erbacce che minacciavano la vita dei corpi dorati, i gesti meccanici a muovere i suoi arti paralizzati.

E qualcuno uccise il silenzio. «Dove ti nascondi, RE?» urlò la voce. Era sconosciuta, stridula. Molto giovane.

Sperava solo in un’allucinazione, come quella di ieri, come quella dei giorni passati, come sempre. Ma non poteva non sentire quella forza, unica, inconfondibile, determinata. La fine era vicina.
L’orrore si arrampicò sui polmoni e la gola a ogni singolo passo pesare contro il pavimento legnoso. Si trova di sopra. Deve ancora esplorare la casa deserta.

Una distante ma potente e divertita risata riempì il vuoto, non temendo nulla nel suo cammino. «Hai paura di me? Beh, e ci credo! Ti devono tremare un sacco le ginocchia, vero? Scommetto che ora te la stai facendo addosso sotto le lenzuola.» I passi brevi ma pesanti seguirono in marcia, con l’intento di farsi sentire prepotenti dall’ANIMa. Poi si arrestarono. «FATTI VEDERE!» e una tavola di legno gridò, gettata contro un muro. Il silenzio permeava, diffondendo il lamento. «Cos’è questo, nascondino? Mi prendi in giro?!» Non aspettò di ricevere la risposta. «Sai cosa? Va bene! Ma guarda che ti troverò!» La fonte della provocazione voleva ancora esplorare le stanze vuote prima di percorrere tutto il corridoio e accedere alla sala reale.

Aveva tempo a sufficienza per prepararsi. Evocò nella mano il tridente scarlatto, la presa stretta. Fissò il prato ai suoi piedi, dando le spalle all’unica via di accesso; il verde e l’oro iniziarono a tingersi di secco rosso, diffusosi poi sul suo pelo. Sangue. Sangue giovane. Il pomo d’Adamo assalì la gola, immobile come le sue dita.

«Oh, andiamo! Fammi vedere di che pasta sei fatto e affrontami!»

La stretta si fece più forte, sicura, repellendo tutti i timori e i ripensamenti e… e l’ipocrisia. Lo aveva già fatto altre sei volte, nonostante il suo pentimento, nonostante le lacrime versate nelle notti insonni, nonostante tutto. Non dovrebbe essergli tanto diverso farlo di nuovo, farlo ora. Già, ripensarci adesso era da stupidi. Non poteva più tirarsi indietro.

«Ora mi sono stancata dei tuoi giochetti! Fatti vivo subito, oppure…!»

Il tridente era lì per lì per polverizzarsi in mille pezzi. Calmo, vedila come, pensala come… una visita dal dentista, sì!

«Credi che questo possa fermarmi?!» degli anelli di metallo risuonarono sul pavimento, esplodendo in un rumoroso boato. «Ritenta la prossima volta.»

Una visita dal dentista… una semplice visita… E poi saranno tutti liberi… E lui dovrà… Dovrà fare cosa?

«Ti sei nascosto in cantina? E ti credi anche una persona intelligente?» Non mancava ancora molto.

Come reagiranno gli umani? Si potrà ancora parlare di diplomazia? Ma perché considerarla ancora come un’opzione? Se non ha funzionato secoli fa quando i rapporti erano abbastanza stabili, figuriamoci dopo aver ucciso sei– Per l’Angelo, no! Sette! Sette bambini morti! Ed è solo l’inizio di un inevitabile genocidio! E quanti di loro ci saranno in Superficie– Milioni? Miliardi?

«Perché quel coso non avrebbe neanche fermato un poppante.» Risuonarono i passi più forte. «Credi davvero che tutti gli altri siano così scarsi e stupidi? Non ti sprechi neanche a farti vivo?»

… Sarà in grado– Avrà il coraggio di fare tutto questo, da solo?

«O hai paura?»

Un sussulto gli rubò l’aria, scalando e sprofondando nella gola, scombussolando la testa di ansia.

«Hai così tanta paura degli umani, di me?»

Non di lei. Di se stesso, del futuro, delle conseguenze.
Non era pronto.

Il suo piede si fermò.

Asgore poteva sentire l’esasperato ma incontenibile sorriso alla sua schiena, sadico come quello di un predatore alla preda, sicuro come quello di un eroe alla nemesi.

Lei rise ancora, il mantello violaceo troppo leggero per poter nascondere l’inquietudine di lui. «Già, stai davvero morendo dalla paura per me.»

Si stringe forte in un abbraccio. Tieni duro, questo sarà l’ultima, diamine, e poi si assicuRERÀ DI FAR PAGARE AGLI UMANI PER TUTTI I CRIMINI CONTRO I MOSTRI–
I tremori continuavano indisturbati, come la fifa e il rimorso. Lui voleva solo che tutto questo non fosse mai accaduto, voleva dirle di andarsene in Superficie e di non tornare indietro–
I tremori continuavano indisturbati.

La voce non lo aiutava, determinata, aggressiva, sorridendo di gusto, assaporando la preda contorcersi sulla sua tomba. «Hai paura, e hai anche ucciso sei umani a sangue freddo, ahah. Mi prendi in giro.»

Non era la prima volta che gli veniva detto, il vecchio ricordo di una voce più giovane e giudiziosa urlargli quell’accusa ancora fresco nella memoria. «Hai paura, e hai anche ucciso due bambini senza pietà. Mi fai schifo.»
La testa gli ciondolava vuota, la mandibola cadente lasciava entrare l’aria rarefatta, gli occhi persi nel verde, nell’oro e nel vecchio rosso ai suoi piedi. Non dovrebbe esserci tutta questa luce, dov’è l’ombra, l’oscurità, il sogno, l’incubo? Eppure, nonostante tutto, quello che stava provando era reale e, nonostante tutti gli sforzi a negarlo, lo sentiva come vero, tanto da fargli pregare che fosse soltanto uno dei numerosi scherzi che la mente usava giocargli. Era così tanto pazzo?

«Ah, non hai delle ultime parole? Beh, almeno non te la sei svignata, un avversario decente, per una volta!» La voce era così deliziata della visione. «E poi non è che le ultime parole siano utili a qualcosa!»

Ma quella frase è di Gerson– Asp– Cosa– Cosa gLI HA FATTO—

Lei richiamò con lo sguardo l’ANIMa dietro il mantello. E partì il combattimento.

Lui DOVEVA muoversi, DOVEVA girarsi, DOVEVA vedere in faccia l’umana. E provò a dimenarsi, a ruotare il busto o solo il collo, provò tutto, ma gli era impossibile, i suoi grandi piedi piantati a terra con i fiori. La sua ANIMa era verde.
Cosa– Non hanno mai usato questa magia—

«Preparati, perché ora devi affrontare me

Oh no.

«the Undying,»

No!

«il mostro più forte del Sottosuolo!»

No– aspetta COS—

Lei balzò da terra pronta a sferrare qualunque fosse l’arma che aveva in mano contro il suo cranio, pronta a ucciderlo, pronta a mettere fine a tutto.

L’attimo si liquefò nella mente estendendosi in una serie di informazioni e dettagli che il cervello troppo allenato o stanco elaborava. Si sentiva la testa scoppiare, come il tridente a destra, provata dalla fatica e dall’orrore che permanevano nell’aria. Tutto questo era solo un terribile errore, un errore a cui doveva rimediare immediatamente.
Si allungò sulla destra, i sensi richiamati dal colpo che gli bisbigliò alle sue orecchie.

Il paio di stivali si gettò di suola contro il prato, calpestando tutto il verde circostante. La piccola figura di spalle rilasciava profondi ansimi, ma le dita stringevano pulsanti il bastone marcio. «I tuoi riflessi non scherzano.» Si voltò, espandendo l’area devastata dalle sue impronte. «Non sei affatto un bersaglio facile.» Affermò con voce euforica, alle orecchie del vecchio amara. «ADORO le sfide!»

Alzò la testa di scatto, incrociando i suoi occhi. Era una ragazzina, come aveva potuto dedurre dalla voce, ma la sclera non era bianca, rimpiazzata invece con un giallo acceso, un giallo tagliente come quello delle due zanne che le fuoriuscivano dalla bocca, la pelle ricoperta di scaglie celesti.
Questa bamb― questo giovane MOSTRO lo stava solo provocando!
Il pensiero gli gelò l’ANIMa, fredda come in quei momenti che avrebbe preferito dimenticare. Che cosa gli era saltato in mente? Cosa pensava di fare? Cosa credeva di fare?! Le ginocchia gli tremavano, nonostante la magia gli impedisse di muoversi.

Lei rise alla scena, apparentemente buffa. «Paura, eh, vecchio? Almeno non mi vedi semplicemente come una marmocchia.» Corse verso il suo fianco sinistro.

Schivò il colpo roteando il bacino a destra. Notò che la piccola tendeva a evitare quel lato; doveva essere per colpa dell’occhio sinistro che teneva chiuso costantemente.

«Non male, ma che ne dici di questo?!» Mugugnò esausta e poco divertita, tirando altri svariati attacchi in risposta.

Col tridente stretto al petto, si assicurò di evitarli tutti. Cosa non tanto impegnativa: le bastonate diventavano via via sempre più prevedibili e imprecise. Il combattimento unilaterale continuò per diversi minuti.

Finché la piccola non si fermò, la bocca in cerca di aria, le mani sulle ginocchia, la schiena ricurva verso il suolo. Il sudore le avvolgeva la fronte, non risparmiando la palpebra sinistra che strizzava in cerca di sollievo. Le gocce piovvero pesanti sui fiori passivi. «N–non credere che io abbia finito con te! La prossima volta vedi di ritrovarti la lingua!»

Prima che lui potesse effettivamente parlarle la bambina fuggì. Si accorse che la magia era sparita, ma era già troppo tardi.


L’oscurità lo dannò di nuovo, segno della resa del suo corpo alla stanchezza che avrebbe preferito ignorare. Nonostante non stesse più incanutendo, si sentiva più vecchio di secoli. Non sapeva se aveva raggiunto il materasso o se si era lasciato andare sul pavimento, visto che la sua schiena gli doleva comunque. Non che gli sarebbe fregato, non che qualcuno lo avrebbe rimproverato.

E lei era lì. Il pallore del suo manto era così accecante contro lo sfondo vuoto che lui doveva coprirsi gli occhi. Ma le sue stesse mani erano inesistenti e socchiudere le palpebre era impossibile, anche perché non poteva non sorridere alla vista del volto che attendeva da così tanto tempo: solo lei poteva aiutarlo—

Ma il suo sguardo corrucciato diceva ben altro. Era un idiota a credere a un sogno così palese.

«Asgore Dreemurr.» Le sue labbra non si mossero di un centimetro. Lui sentiva che la delusione in quegli occhi lo avrebbe ucciso prima o poi. «Non dovrei stupirmi di te: già mi fai ribrezzo, dopo aver trascinato la tua gente in questa follia e aver ucciso sei bimbi innocenti. Sono stata una sciocca a pensare di costruire una famiglia con te. Se l’avessi saputo prima, avrei riconsiderato il tuo ruolo di padre. Ma poi hai anche voluto rubare l’ANIMa di un povero mostro. La tua follia davvero non conosce limite. Ahahah…» La brillante risata era contaminata dalle lacrime che lo bruciavano come la pioggia acida alla terra divenuta sterile.

«Io…» ma le parole gli morirono in bocca.

«Una bambina, una morte evitabile, inutile. Un danno alla nostra stessa gente.» Gridò ancora. «Se sei davvero così… AVRESTI POTUTO UCCIDERE I NOSTRI BAMBINI PER LE LORO ANIME.»

«Noooo!» Tornarono la luce e l’ombra, il sudore abbracciò il pelo e le fibre del tappeto su cui era disteso, pungenti sulla pelle vulnerabile. Gli sembrava quasi che il volto gli si sciogliesse per il tumulto. Era un idiota per esserci cascato, per aver provato a parlare a lei, un’immagine della sua mente.

No, non poteva uccidere qualcun altro. Aveva bisogno di cercare aiuto.
Si alzò, le gambe tremolanti sotto al peso scomposto.
Aveva dormito ma non si sentiva riposato, c’era solo altro dolore. Come sempre.
  
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