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Autore: DarkWinter    25/03/2021    5 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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50. Fairspeir
 
 
 
Era la mattina più tardi, qualche ora dopo la nascita di Clover.
Madre e figlia dormivano beate fianco a fianco, la figlia avvolta protettivamente in una copertina e la madre finalmente prona.
Il padre le guardava, ancora incredulo, ma soprattutto fiero.
Non aveva sonno, aveva forse un po' sete, la maglia che l'emozione gli aveva fatto sudare cominciava appena ad infastidirlo.
Chino sulla culla, Diciassette voleva solo guardare Clover per lunghi istanti.
Voleva guardarla più di quanto volesse tenerla.
"E bravo, hai fatto la tua rossina. Una carletta."
Anche Lillian la guardava.  La top ranger era così estasiata di essere diventata zia che aveva mandato una foto di lei con Clover in braccio persino a sua madre.
Ovviamente la prima cosa che la signora Dahl aveva fatto era stata infartare, e poi chiedere "Ma è tua?".
"No, io sono solo la zia…"
Parlava fra sé e sé, rivolgendo occhiate affettuose a quella persona minuscola, ma completa di ciglia rade e unghiette ancora morbide.
Diciassette la teneva d'occhio, con le labbra dure.
"Perchè devi sempre essere in mezzo ai piedi? In tutti i momenti importanti?"
Quello doveva essere un momento solo suo con sua figlia, finalmente fuori da quella pancia.
I suoi amici avevano portato Carly a partorire mentre lui era letteralmente dall'altra parte del mondo, per una notte intera erano rimasti tutti saccagnati su quelle atroci sedie della sala d'attesa.
Ad aspettare la piccola Clover, anche loro.
Eppure lui non era contento.
Lillian faticava a guardare Diciassette senza sentirsi in colpa, per sciocchezze sue assurde. Il suo tono dispotico la distrasse, facendola rimanere male, ma Lillian cercò nel suo cuore un po' d'empatia.
"Beh, é questo che fanno gli amici. Che ti piaccia o no, Settone-Sev-Diciassette-Lapis, tu sei il mio migliore amico. E quindi io sono qui."
A volte serviva solo che qualcuno gli ricordasse che non era solo. Che a volte la gioia è più grande quando è condivisa.
Alla fine Lillian non si prendeva tutto il braccio, non era stata invadente.
"Cosa pensavi, che mi lanciassi subito a sbaciucchiarla?"
Proferì Lillian, con aria altezzosa.
Ma bastò uno sguardo di Diciassette per farla ridere, in un modo che la fece confessare senza parole: era pur sempre Lillian, c'era voluto un autocontrollo pazzesco affinché rimanesse calma di fronte alla bimba dei suoi migliori amici.
Affinché non saltasse in braccio ai suoi migliori amici stessi.
Brent diede una pacca non gradita a Sev, "No ma ti rendi conto di che giorno è oggi?"
"Domenica?"
"Guarda il telefono."
Domenica...17 novembre.
"Fraté tua figlia è nata nel giorno col tuo numero. Questo è amore."
"Ti immagini a scuola?” Ci si mise anche Elliott. “ ‘Come si chiama tuo padre?’ ‘17’.”
“ ‘Il giorno in cui sei nata?’ ‘17’."
" ‘Colore preferito?’ ‘17’."
 
 
 
Quando Diciotto arrivò all’ospedale di Verny, gli zulù erano già partiti.
Clover non aveva nemmeno ventiquattr’ore di vita, ma sembrava già curiosa del mondo.
Diciotto le restituiva quello sguardo attento, gli occhi della bimba sembravano ancora più all'insù, spinti dalle guance pienissime.
"Sei un po' cicciona."
Come suo padre da piccolo.
"Pensa che è arrivata due settimane in anticipo." Disse Carly con orgoglio.
Lei che era stata preoccupata per il ferro, per essere stata a -3 kg fino al terzo trimestre. Eppure sua figlia era bella grassa. Bella in salute.
"Visto, dove sono finite tutte le lasagne e le patatine." Diciotto cullò la nipotina. "Piccola sanguisuga cicciona."
"Com'è che l'hai chiamata?" Scattò Diciassette.
Diciotto non aveva ancora smesso di allattare, e di avere per la testa quel nomignolo senza malizia.
 "Calmati! Chiamo così anche Marron."
 
 
 
 La notte dopo l'ingresso di Clover nel mondo, Diciassette passeggiava nei corridoi del reparto maternità con la neonata appoggiata alla spalla.
Non sapendo che canzoncina cantarle le descriveva il corridoio buio, in cui altri genitori camminavano come faceva lui.
"Una processione di zombie."
Gli altri genitori non erano freschi come una rosa.
"Ehi! Mr. Brightside!"
Il cyborg udì qualcuno parlare imitando l'accento del Centro: la vicina di casa, Iris Cheney, si stava riferendo alla sola volta in cui lei e Diciassette si erano incrociati.
Quella serata in cui Carly era praticamente scappata da casa era stata uno dei momenti più bassi che Diciassette ricordasse. Strinse più forte la sua bimba.
"Allora hai guardato Netflix?"
La vicina rise, cullando il suo neonato; osservò la copertina rosa, il linguaggio del corpo del ragazzo straniero.
"Sei in brodo di giuggiole con la tua."
"Qualcosa del genere."
Iris Cheney e Diciassette avevano la stessa età, due bambini nati lo stesso giorno, i loro chalet si toccavano sul retro.
Eppure non avevano avuto altra occasione di incrociarsi.
Quando fu mattina, Iris volle andare a salutarlo prima di tornare a casa e incrociò anche Carly per la prima volta.
"Ah, lei è tua moglie? Sei un fiore."
Quella compagna di maternità era sicuramente stanca, ma sembrava così felice di aver partorito che era quasi luminosa.
"G!" Chiamò Iris. "Vieni a conoscere i nostri vicini!"
Il marito -il ragazzone con l'accento dell'Est- accorse al richiamo e lasciò cadere il trasportino vuoto.
"Carly?!"
Carly, che stava allattando Clover, si coprì in tutta fretta ed ebbe un tuffo al cuore.
"Gage…"
Diciassette ed Iris rimasero ad osservare: i loro marito e compagna si conoscevano?
"Iris, ecco, questa è Carly."
"Quella Carly?"
La ragazza dell'uni di cui si era innamorato ma che aveva dovuto lasciare perdere.
Iris osservò i suoi occhi grandi, l'aria preraffaelita.
"Ora capisco…"
Diciassette era l'unico a non capire.
"Chi è questo tipo?"
Tre anni prima Gage era tornato ad East City, ma poi aveva conosciuto Iris e si era ristabilito al Nord.
"Che coincidenze! E ora siamo qui, ognuna di noi con il proprio marito e un figlio!"
Iris non era maliziosa. Lo era ancora meno di Carly, ma Carly non prese bene quelle parole. Diede a Gage uno sguardo sincero.
"Sono davvero felice. Hai trovato l'amore della tua vita. E io ho ritrovato il mio."
"Ma non era morto?"
'No. É complicato."
Diciassette si stava innervosendo, sia coi vicino che con Carly. Era lì, diamine.
"Mi spiegate?"
Iris scrisse il suo numero su un foglietto e lo diede a Diciassette.
"Ma certo. A casa nostra, davanti ad un tè. Non appena vorrete."
 
 
 
/
 
 
5 mesi dopo
 
 
 
Marron aveva trovato una chiocciola in un vaso di gerani. "Mami mami mami!"
La prese delicatamente fra le dita e mimò rumori di motore, la mise sotto gli occhi di Diciotto.
Ancora una volta, Diciotto era fuori dallo chalet ad aspettare che Diciassette tornasse. Scalpitava nei suoi sandali bassi, ma quella volta non usò il kachi katchin come chiave.
"Attenta a non spaccare il guscio, Marron."
"Zizo."
La bimba lasciò malamente cadere la sua chiocciola e indicò la fine del vialetto.
Diciassette era apparso con Clover sottobraccio, confabulando con una donna che sembrava avere il doppio della sua età.
Diciotto scelse di non restare in ascolto, ma guardò lei passargli un grande foglio arrotolato, stringergli la mano con un sorriso.
"Zizizo."
Diciassette si inginocchiò a carezzare Marron, diede alla sorella una breve occhiata. "Che ci fai qui?"
"Miele d'acacia." Diciotto alzò una borsa di tela. "Ciao, Diciassette."
Se aveva così voglia di mangiare quel prodotto locale, avrebbe potuto comprarlo online.
"No, volevo proprio passare di qui."
Diciotto aveva sempre piacere di vedere suo fratello, ma era anche curiosa:
Carly le aveva detto per messaggio che a volte tornava a casa più tardi del solito, stava preparando qualcosa di speciale.
Lo seguì dentro casa.
“Chi era quella donna con cui parlavi?”
Diciassette rifuggì la domanda, posò foglio arrotolato e bambina sul tappeto del salone.
Clover rotolò verso sua zia e sua cugina, tutto quello che diceva era un brrrrrr senza interruzione, con vari toni di voce.
"Perchè fa così?"
Si interessò Diciassette, divertito da sua figlia che parlava e parlava.
Diciotto scambiò con la nipote uno sguardo complice, le accarezzò il sottile codino di capelli rossi in cima alla testa.
"Perchè é piccola."
Diciotto non aveva freddo, di solito. Ma si dimenticava sempre che aprile a Verny voleva dire ancora fine dell'inverno, il suo prendisole giallo lasciava esposta la pelle d'oca.
Sul divano Diciotto si avvolse in una coperta, sbadigliò.
"Diciassette, hai del paracetamolo?"
"Armadietto in bagno. Sei malata?"
Diciotto faceva la sua porca figura col trucco delicato, i capelli sciolti e l'outfit estivo, ma sotto sotto non sembrava sana come un pesce: ci mancava solo che venisse a casa di Diciassette a tossire e a diffondere i suoi germi!
"Non ho l'influenza."
Era stato ricorrente nelle ultime quattro settimane iniziare la giornata fiacca e col mal di testa. E non solo.
"Forse un'aspirina é meglio."
La cyborg si tappò il naso e prese la piccola pastiglia di paracetamolo più in fretta che potè.
"No aspirina per me. Dunque, chi era la tipa?"
“Una con cui sto lavorando a qualcosa.”
“Mmm. Qualcosa cosa?”
Doveva proprio tirargli le parole di bocca.
Era dall’inizio della primavera che Diciassette era impegnato con un altro progetto, non essere più ufficialmente top ranger gli lasciava più tempo di farlo. Anche per un cyborg del tempo in più poteva essere prezioso.
Diciotto era sulle spine, un sentimento che odiava.
"Si può sapere? Non lo dico a Carly."
"Sto mettendo in ballo una sorpresa."
"Ah, vuoi dire…" Diciotto mosse le dita della mano sinistra, la fede scintilló.
"No, non per ora. Un giorno."
Diciassette intendeva sposare Carly, alla fine. Certo, perché no?
"Credevo l'avessi messa incinta un'altra volta e che volessi finalmente sposarla."
Diciotto sorrise, intrigata.
"No! Ma perché?"
Il suo tono trasudava rimprovero.
La gemella maggiore lo stava solo stuzzicando, Diciassette non era il solo che amava farlo.
"Se non la proposta, allora cos'è?"
Diciassette sospirò, con le mani in tasca e lo sguardo sfuggente.
"Fairspeir."
"??"
Diciassette si sarebbe forse pentito delle parole che gli stavano per uscire di bocca. Ma d’altro canto, Diciotto era la persona perfetta per condividere. Trasse il cellulare dalla tasca e aprì una mappa.
“Qui.”
Diciotto zoommò nel punto indicato da un puntatore rosso.
“E? Diciassette, questa è foresta.”
“Ti porto a vedere.”
 
 
 
 La cura calma che Diciassette metteva nel riporre Clover nel seggiolino e nel legarla con la cintura era quasi contraddittoria ai modi abituali che lui mostrava.
“Andiamo fuori strada. Pronta?”
Lo sguardo brillante della figlia incontrò quello del padre: Diciassette si sentiva rasserenato dal comunicarle le cose divertenti che faceva con lei.
Clover guardava il papà e sorrideva senza denti, la ricerca di un piede da afferrare ostacolata da una gamba troppo burrosa.
“Perchè non andiamo in volo?”
Si lamentò Diciotto dal sedile posteriore, con Marron seduta in braccio.
Se fosse stata una donna umana, Diciotto avrebbe messo in pericolo sua figlia.
“Sai che non volo con Clover.”
Diciotto si allarmò quando vide Diciassette in procinto di aprire una lattina di Red Bull.
"Non osare! Non bermi quello schifo in macchina."
Diciotto odiava anche solo il pensiero di quell'intruglio, per non parlare dell'odore.
Perfetto, le era tornata la nausea.
Tecnicamente Diciassette non era ancora salito in macchina, ma aveva appena trovato un pretesto per farle dispetto.
"Se no?"
"Se no ti vomito sul sedile. Per davvero."
Il sorrisetto compiaciuto del gemello maschio sparì veloce.
Prima di metterle degli occhialini da sole e accendere il motore, Diciassette si prese un altro momento per guardare sua figlia.
Data l'età, i tratti della piccola Clover non erano ancora perfettamente definiti.
Nasino a bottoncino e rutilismo facevano propendere la somiglianza verso i Der Veer, ma gli occhi erano di Diciassette. Non proprio per il colore (verde o azzurro? Ancora non si capiva), senza dubbio per la forma.
 
 
/
 
La jeep di Diciassette uscì da Verny e si inerpicò su una strada di terra battuta, non troppo lontano dall'ex capitale, ma abbastanza a fondo nella foresta.
Il sentiero finì davanti a fitte siepi di recinzione ed un cancello impacchettato in plastica spessa.
Al di là, Diciotto vide i tetti spioventi e gli alti camini di quello che sembrava un conglomerato di case.
O forse un unico grande tetto, un’unica enorme casa.
 
 
fairspeir  
 
Diciassette aveva le chiavi del cancello, parcheggiò nel letto di ghiaia del vialetto.
Diciotto alzò lo sguardo verso l’unica enorme case e vide tegole rosso cupo, non beole.
Finestre ad abside senza imposte intagliate; mattone esposto e facciate bianche con travi scure a vista, non pietra grigia posta a secco.
La casa aveva pure un nome tutto suo, più vecchio dei gemelli e scandito in piastrelle vicino alla porta.
In un momento, davanti a Fairspeir, Diciotto dimenticò di essere al Nord.
Le parve di essere a casa: casa sua, il Centro.
Si strinse nel parka blu che Diciassette le aveva prestato, un moto di nostalgia le pungolò lo stomaco. Non si accorgeva mai di quanto il Centro le mancasse.
“So cosa stai pensando: ‘che ci fa una casa vecchio stile Centro quassù?’. La tipa con cui parlavo era l’architetto.”
Diciassette srotolò il foglio che si era portato dietro.
Diciotto intuì dal disegno che fra le modifiche c’era un occhiolino più esplicito all’architettura tradizionale settentrionale.
Beole e legno intarsiato.
“Non ti azzardare. E’ perfetta così.”
“Vedremo. Credevo che Fairspeir non fosse abbastanza sfarzosa da attirare le tue simpatie.”
“Infatti è una topaia, i miei gusti non sono certo questo.”
Diciotto gli schiaffò in mano il foglio e si allontanò a piccoli passi.
Diciassette aveva già infilato la chiave nella grossa toppa del portone.
“Non vuoi vedere l’interno?”
 
 
 Dentro Fairspeir tutto era in attesa.
Nessuno l'aveva abitata negli ultimi sei anni e i soffitti a cassettone languivano nelle ragnatele, i metalli erano opachi e l’acqua dei rubinetti rossastra.
I passi di Diciassette risuonavano sul parquet consunto.
“Ho abbattuto un muro l’altro giorno, così questo sarà uno spazio unico. Un salone, immagina. Con un grande camino.”
Diciotto aveva paura che Clover gli cadesse di mano, trasportato com’era dalla visione che stava avendo della casa che aveva comprato di nascosto.
“A Carly andrà bene tutta questa segretezza?”
Diciotto immaginava che se avesse comprato casa, un giorno, avrebbe apprezzato vederla coi suoi occhi prima di scrivere assegni.
“Carly si fida di me. Non come te.”
Carly non sapeva nemmeno che Fairspeir esistesse.
"Come va fra te e Carly?"
"Lei ha il suo lavoro, io il mio. E con Clover, abbiamo il cuore colmo."
Diciotto poteva letteralmente sentire il suo cuore battere più forte, con la bambina che si strusciava e nascondeva il faccino fra i suoi capelli.
Tutto quello era molto poetico, ma...
“E il sesso."
Diciassette alzò le sopracciglia. E un angolo delle labbra.
"Scusa?"
"Fate ancora sesso?"
"...Mmpf. Sempre!"
Diciotto conosceva troppo bene Diciassette e la sua mimica facciale: non serviva vergognarsi, se lui non era mai scarico Carly era una neomamma umana normale...
Diciassette aprì una porta a doppio battente, sul retro della casa.
“E questo spazio diventerà una sala giochi. Te la immagini?”
“No, a dire il vero.”
Che noia, Diciotto. Che noia mortale.
Non vedeva mai niente con gli occhi della mente.
Clover rotolava sul parquet in cerca di Marron, i codini di Marron rimbalzavano ad ogni salto fiero: si sentiva un fenomeno, paragonata a quella pallina di lardo che non sapeva nemmeno starle dietro.
“Va che sta rotolando. La perdi di vista.” Diciotto mise in guardia l’altro genitore, meno pratico.
Diciassette alzò le spalle, con una risata secca.
“Viene spesso qui con me. Tanto a sua madre non può dire nulla.”
Con l’aiuto dell’architetto Diciassette sperava che tutto sarebbe stato pronto per la fine dell’anno. Non aveva assunto lavoratori per occuparsi della ristrutturazione, voleva farlo da sé, aveva iniziato non appena aveva messo la firma Lapis Lang sui documenti per l’acquisto.
“Quindi l’hai comprata coi tuoi soldi. Questa...questo chalet?”
Questa magione.
“Con quelli di chi, se no.”
“Della mamma?”
“Ti pare?”
E Diciotto viveva ancora alla Kame House…
Rikki De Villiers aveva pagato Fairspeir.
Con quel lavoretto dell'eparviere Diciassette aveva ricevuto un compenso abbastanza alto, il resto era stato preso in prestito e sarebbe stato restituito alla banca prima che Clover avesse messo piede in una scuola.
La "debole" luce settentrionale perse ancora un po' di intensità, con il progredire del pomeriggio, ma Diciotto non aveva fretta di andare via: Marron si stava sfogando a correre come una pazza in quegli spazi vuoti, avrebbe dormito bene quella sera.
Diciassette aveva adagiato Clover sul pavimento, con perizia tecnica Diciotto lo guardò cambiare la bimba e darle un biberon.
Era bravo a tenerla, ad aiutarla a succhiare dalla tettarella in posizione ottimale.
"Quando Carly é al lavoro ci penso io."
Carly era tornata alla clinica dei suoi giorni di studentessa alla fine di marzo.
Gli aveva inviato una foto del suo ufficio, con la targa:
 
Carly Der Veer - Veterinario
 
Il posto che Leni le aveva originariamente assegnato per gennaio, nel primo contratto. Prima che lei e Diciassette si appartassero nel seminterrato di Kate e che lei si dimenticasse di prendere la pillola, grazie ai troppi cocktail di Ronan.
A Carly dispiaceva non vedere Clover durante gli orari lavorativi, ma era anche felice di poter finalmente varcare la soglia della clinica con una laurea in mano.
Aveva lasciato quelle stanze come tirocinante, era tornata attesa da tutti come veterinaria a tempo pieno.
Tenersi un bimbo piccolo appresso non era appannaggio delle mamme, Diciassette adorava tenersi Clover: quattro giorni su sette la portava con sé al lavoro (gli altri, la lasciava al nido), di notte lui solo si curava di andare a pescarla dalla culla e di cambiarla.
La metteva di fianco a Carly affinchè prendesse il latte e molte volte Carly non si svegliava nemmeno, mentre la piccola poppava.
"Scusa se mi permetto, ma non sarebbe stato più semplice darle latte artificiale?"
Visto che Diciassette non aveva bisogno di dormire.
Tecnicamente l'aveva proposto a Carly, ma lei voleva allattare, era stata testarda come un mulo.
Si tirava persino il latte al lavoro.
Per Carly, portare e partorire la figlia di Diciassette era stato un onore, al di là di essere romantico e farla sentire completa: aveva amato la sua gravidanza, sentire la presenza di Clover dentro, ma averla fra le braccia era infinitamente meglio.
Voleva nutrirla con il suo latte, niente le avrebbe fatto cambiare idea.
Diciotto capiva: lei stessa aveva provato il bisogno di sentirsi necessaria, attraverso il latte, ad una creatura uscita da sé.
 
 Più tardi, Diciassette giocava con Marron e Diciotto passeggiava con Clover in braccio.
La teneva sollevata davanti agli occhi, per guardarla, e Clover vocalizzava.
"La ma canterina cicciona."
A Diciotto piacque il modo in cui la luce naturale colpiva le piccole iridi, tenne Clover sollevata...per troppo tempo.
"Oh no!"
Sua nipote le aveva vomitato sul décolleté.
"Porca puttana, Clover."
Irritato dall'imprevisto, Diciassette la prese repentinamente e diede a Diciotto un paio di salviettine per pulirsi.
Non tutti i loro momenti padre/figlia erano idilliaci. Spesso e volentieri, Diciassette perdeva la pazienza.
Clover capì che il papà era arrabbiato, spalancò gli occhi e iniziò a piangere.
E sentendola piangere a dirotto, anche Marron provò il bisogno irrefrenabile di unirsi a lei.
Diciotto voleva rimproverare la scelta linguistica di Diciassette, ma si scusò e lo lasciò nella futura sala giochi, solo con due marmocchie urlanti.
Diciassette la trovò fuori dalla stanza, a vomitare in un tombino.
La compostezza con cui Diciotto aveva affrontato quel piccolo incidente era ammirevole -si era ritoccata il lucidalabbra davanti ad uno specchietto, prima ancora di riprendere una boccata d'aria. Questione di priorità- ma fece ridere Diciassette.
Se tutte le volte che Clover lo sporcava si fosse sentito male, avrebbe passato le giornate con la testa nel cesso.
Marron raggiunse madre e zio, trascinandosi dietro Clover come se fosse un orsacchiotto.
"Mami mami...bua?"
A Diciassette sembrava che Marron fosse avvezza a vedere la mamma stare male e ad andare a consolarla: la cosa non gli piacque.
Diciotto non aveva niente da vomitare ma si riabbassò di nuovo sul tombino, curata dalla sua piccola infermiera.
"Ancora?"
Diciassette le diede altre salviettine, si sedette di fianco a lei su una panchina arrugginita.
"Guarda che è peggio per me da provare, che per te da guardare." Diciotto bevve da una borraccia, osservando accigliata il mezzo sorriso di suo fratello. "Cazzo ridi?"
"Niente. Potere di ricattarti."
Diciotto faceva la finta tonta.
"Tu sai della casa. E io, ora, di questo."
Diciotto concentrò la sua attenzione su un rovo tutto attorcigliato.
"Vedi una ragazza stare male e pensi subito a quello: non credi sia un po' cliché?"
"Non 'una ragazza', Diciotto. Te."
Diciassette era intuitivo solo quando voleva lui.
"Tsk. Per quello che ne sai tu, non ho digerito. Tutto qui."
"Che cosa, il paracetamolo?"
"!..Proprio così."
Forse Diciassette non era contento solo perché ora poteva effettivamente ricattarla: lei era sempre sua sorella, una volta gli aveva detto "é una buona cosa".
Diciotto strinse il parka blu intorno ai suoi stinchi nudi, più per vulnerabilità che per freddo.
Certo che con tutte le balle che poteva raccontare a suo fratello, l'indigestione era la meno credibile: lei e Diciassette non avevano di quei problemi.
Diciotto continuò a guardare quel rovo, con il mento sulle ginocchia.
"Ci sono già passata, da questa merda."
Era diverso dalla volta prima ma certe cose non cambiavano, purtroppo.
Diciassette l'aveva detto quasi per prenderla in giro, ma quell'ammissione gli fece saltare un battito.
Sua sorella gemella, la persona a cui era più legato al mondo…
"Ok, però non dovresti parlarne in questi termini."
Ovvio che Diciotto pensava sempre a quello che avrebbe avuto in cambio, una volta passato il tormento.
Aveva persino pensato a farsi disattivare da Bulma per saltare tutta la merda, ma era giunta alla conclusione che non avrebbe perso un anno di crescita della sua Marron.
E nemmeno della piccola Clover, ora.
Diciassette non se l'aspettava.
"Come ti senti? Paracetamolo a parte."
"La verità? Ho un po' paura. Preferirei che non fosse successo."
Quanto aveva sofferto, in quella ricerca di Marron che le era sembrata così lunga! Ora non aveva cercato, e Marron aveva poco più che un anno e mezzo.
"Sei n°18."
"Questo non vuol dire essere onnipotente."
"Nah, vuol dire che vincerai questo rodeo. Ti conosco."
Ancora una volta, lei era fortunata.
Non tutti avevano qualcuno su cui contare senza se e senza ma.
"Se lo dici tu..."
Prima ancora di sua figlia, suo marito, sua madre, Diciotto aveva suo fratello gemello.
Diciassette prese in braccio Clover e la ripulì dal terriccio umido in cui si era rotolata.
"Ora non fare troppo attendere quel poveraccio."
"Tipo te?"
"Chiamalo. O vado a prendere il Red Bull."
Diciotto non aveva bisogno di chiamare Crilin, gliel'avrebbe detto una volta a casa.
Restituì il parka blu al legittimo proprietario, si preparò a spiccare il volo con Marron e salutò Fairspeir con lo sguardo.
"Diciassette, grazie per avermi mostrato la tua casa."
Diciassette le rispose solo con un altro mezzo sorriso.
Ma prima di lasciarla andare, diede a Diciotto un piccolo buffetto sulla guancia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Pensieri dell'autrice:
 
 
E siamo alla fine di un mini arc!
Un anno fa non immaginavo che sarei arrivata così lontano con questa storia e che avrei avuto tante soddisfazioni.
Date da voi, lettori, grazie di essere qui dopo letteralmente CINQUANTA capitoli.
Chi non mi ha ancora lasciato un parere potrebbe farlo ora, per celebrare il numero 50😊
La casa che ho messo in foto esiste davvero nel mio quartiere (anche se non si chiama Fairspeir) e mi fa sognare a guardarla: adesso quando ci passo davanti immagino che sia di 17...
Qui 18 è tornata e si è ripresa subito la scena😮
Ve lo aspettavate? No? Nemmeno lei!
Ci rivediamo giovedì prossimo: sarà ambientato quattro anni dopo...nell'anno del 25esimo torneo Tenkaichi.
 
 
   
 
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