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Autore: Stregatto230K    26/03/2021    0 recensioni
Cosa accadrebbe se esistesse una persona con una memoria così potente, da poter ricordare non solo ogni giorno, ogni dettaglio, ogni sensazione della sua vita, dalla sua nascita fino a quel momento, ma anche ogni pagina e ogni rigo di qualsiasi libro e intere stringhe di codici binari? Cosa accadrebbe se questa persona venisse a conoscenza di segreti di cui non si dovrebbe far parola? Cosa accadrebbe se iniziasse a sfruttare la sua memoria così immensa da riuscire a manipolare la natura circostante? E se il suo stesso fisico divenisse parte di questa memoria così infinita al punto che niente riesce a scalfirlo? Un ragazzo che sfida la natura con la sua straordinaria memoria in un mondo di mostri ed Esseri Naturali: questa è la storia di Cheshire, il quale, accompagnato dal suo amico d'infanzia Gabriele, scoprirà un mondo al di là della realtà. Un posto straordinario, ma pieno di pericoli.
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Ciò che avvenne a scuola restò un mistero per qualche giorno. Sulle prime pensai che fosse stato un caso di immagine mentale, di semplice bias cognitivo o di carattere illusorio. Però, l’immagine del proiettore era qualcosa che mi tormentò per il resto della mattina. Con i nostri quozienti intellettivi, seguire una lezione di analisi grammaticale era una bazzecola, per questo mi dedicai a capire l’origine di tutto ciò. Avevo sentito di una famosa disputa di psicologi per quanto riguardava le rappresentazioni mentali: alcuni sostenevano che ci sia una traduzione delle immagini in una sorta di linguaggio descrittivo, nel “mentalese” come direbbe Fodor; d’altra parte, altri studiosi sostenevano che esistesse un codice completamente basato su immagini vere e proprie. Ero abbastanza confuso per dire cosa fosse vero e cosa no. Avevo assistito esattamente ad una proiezione degli eventi con tanto di rielaborazione della mia psiche. Una cosa era certa: non era sotto il mio dominio. Tutto ciò era avvenuto in pochi e brevi istanti. La percezione del tempo durante un ricordo o un calcolo è profondamente alterata, per questo per me era assai difficile definire con precisione il tempo trascorso in quello stato. Tuttavia, avevo avuto la certezza di esserci stato per delle frazioni di secondo altrimenti Simone mi avrebbe picchiato. Per cui la domanda è: la proiezione è durata esattamente quanto quella della realtà? E poi: poiché non era sotto il mio dominio, giacché le carte si muovevano da sole, si può parlare di “fenomeno inconscio”? Spiegai a Gabriele il mio punto di vista e l’evento di poco fa.
<< Sembri uno di quei film che si vede mamma, uno di quelli di Hitchcock. >> Disse beffardo. Che bell’amico.
<< Sei più utile di un sesto dito del piede!>> Gli sussurrai.
<< Chesh, sono sincero: non so cosa dirti perché a livello medico non ho mai fatto degli esperimenti a livello neurologico. Però, questo vuol dire che potrei iniziare ora con te.>> Disse dubbioso.
<< Gabriele, ti devo ricordare che quella volta in cui hai provato a sezionare una rana morta per riprodurre gli esperimenti di Galvani per poco la maestra non ci restava secca. >> Dissi arrabbiato. Era un pasticcione in questi ambiti.
<< Era per la scienza! >> Rispose sbuffando.
<< Siamo stati sospesi una settimana e mamma mi voleva portare da uno psicologo… di nuovo!>> Risposi a tono.
<< Permaloso. Comunque, la base del metodo scientifico di Galilei è l’osservazione. Quindi, conviene analizzare il contesto in cui te hai avuto questa reazione e la frequenza con cui si può manifestare. Così almeno possiamo teorizzare qualcosa sulle cause. Anche se una rondine non fa primavera ... >> Disse Gabriele mentre frugava nello zaino. Dopo qualche secondo, estrasse un quaderno di Spiderman. << Toh, è nuovo. Annota qui sopra tutte le caratteristiche salienti di quel momento, così possiamo ricreare l’evento.>> Mi passò il quaderno contentissimo.
<< Ci tieni così tanto a farmi diventare la tua cavia? Comunque… lo ammetto: fu divertente vedere la maestra svenire. >> Scoppiammo a ridere e la maestra ci riproverò. Eravamo dei geni racchiusi nel corpo di due bambini. Ci salutammo all’uscita di scuola e tornai a casa. La mia dimora, quanto amavo quella casa: un giardino enorme, una casa al piano terra con una piccola veranda e una mansarda. Quella era la mia tana. Da piccolo pensavo che fosse il mio piccolo laboratorio, come nel cartone animato di Dexter. Conservavo libri, fogli colmi di appunti, zibaldoni ovunque. Poi c’era l’immensa libreria di famiglia. Papà collezionava libri famosi ed opere anche originarie molto antiche. Fu proprio grazie a quei libri che imparai tutto ciò che so ora. Mamma lavorava in banca e papà era un imprenditore. Nessuno sa delle mie doti. Quando ero piccolo, dai 3 anni in poi, mi affidavano a delle tate, ma spesso scappavano impaurite. Avevo imparato a leggere a 3 anni grazie a mamma che, seguendo i consigli dei medici, aveva capito che fossi un bambino precoce, anche troppo. Poi, per errore, venni a scoprire dei libri di latino di papà. Le tate credevano che stessi invocando dei demoni al posto di leggere. Fu un anno molto duro per gli altri. Solo una rimase con me per tre anni ossia fino allo scorso anno, si chiamava: Rosa. Una ragazzina sui 12 anni che sperava di racimolare qualche spicciolo dai miei. Le chiedevo di leggermi Platone e Cesare e lei acconsentiva perché << Finché mi pagano e posso stare tranquilla, tanto vale restare e leggerti qualche autore morto.>> Poi i suoi si trasferirono e non vene più da me. I miei non presero più tate dopo di lei perché ero diventato “grande”. In pochi mesi, dopo la dipartita di Rosa, finii quasi una trentina di libri. Mi affascinava il mondo della matematica e della filosofia. Tuttavia, decisi di non rivelarlo ai miei, altrimenti chissà quale psicologo mi avrebbero fatto conoscere per capire il mio genio. Lo stesso vale per Gabriele. La sua formazione fu molto simile alla mia, unica eccezione fu che il padre era uno dei chirurgi più famosi nel suo ambito. Per questo motivo, studiò principalmente anatomia, medicina e si dedicò anche alla veterinaria. La mamma era una pianista con un certo talento; forse avrà ereditato da lei le sue qualità musicali. Le nostre famiglie si conobbero dentro uno di quei centri di studi professionali in cui ci portarono da bambini per capire le nostre menti. Ironia della sorte, scoprirono che abitavano a circa 500 metri da ognuno.
 
Quando arrivai a casa, mamma stava preparando il pranzo. Entrai nella veranda e l’odore di pollo si era diffuso per tutta la casa.
<< Cheshire, vai a lavarti le mani, è pronto! >> Disse mamma.
<< Vado>> Le risposi. Mi diressi in bagno per lavarmi le mani. Il bagno era dipinto di giallo e si trovava vicino alla porta della libreria di famiglia. Quella occupava più di una stanza. Papà la chiudeva a chiave di sera per paura che i suoi cimeli venissero toccati e rovinati da qualche ladro. Arrivai in cucina dopo aver finito di lavarmi le mani e posato lo zaino. Ci sedemmo a tavola e poco dopo arrivò papà.
<< Scusate, ero al telefono>> Disse sedendosi e versandosi dell’acqua.
<< Problemi al lavoro?>> Chiese mamma.
<< Non proprio, era qualcosa di stupido avvenuto per colpa di un collega sbadato.>> Disse prendendo il pollo. Pollo e patate. Il mio piatto preferito. Guardai l’orologio sulla parete per sbaglio: le 13:50.
<< Capisco, tu, Cheshire? Cosa hai fatto a scuola?>> Chiese mamma mentre mi preparava il piatto. Tutto fu buio, niente pollo, sedia, tavolo, famiglia. Oscurità di un mondo il cui ricordo di luce era ormai caduto nell’oblio. Non percepivo nulla, era come se fossi sospeso nel nulla; non sapevo neppure se fossi seduto o in piedi. Di nuovo il proiettore e quel pulsante rosso. Click! Apparve il filmato. Non sapevo cosa aspettarmi. Stavo impazzendo dentro. Lentamente il proiettore fece girare la pellicola e comparvero i fotogrammi della mia giornata. Uno ad uno, uno dopo l’altro. Raffiguravano ogni atto della mia giornata mattutina. Comparve pure l’audio. Sentivo la voce di Gabriele, di Alessia, della maestra, persino quella di Simone. Tuttavia, mancavano delle parti. Erano quelle più monotone a mancare. Rividi pure il mazzo di carte e il quaderno di Spiderman. L’ultima scena fu quando salutai Gabriele. Poi, di colpo, la luce. Pollo, sedia, tavolo, famiglia.
<< Cheshire, tutto bene?>> Domandò la mamma. Ripresi lucidità quasi subito e senza battere ciglio descrissi la più banale giornata di un bambino delle elementari. Cercai di capire cosa fosse successo. Le mie ipotesi erano confermate: non era sotto il mio dominio e non si poteva quantificare. Avevo appena rivisto scene che duravano ore, ma mi voltai verso l’orologio sulla parete: le 13:50. Meno di un minuto. Quindi si deve calcolare in secondi. Per avermi rifatto la domanda, vuol dire che erano passati almeno una decina di secondi. Una manciata di secondi per dei ricordi che valevano ore. Com’era possibile vi starete chiedendo, beh, la risposta la scoprii il pomeriggio. Dopo il pranzo, aiutai mamma a sparecchiare. Mi diressi verso la mia cameretta e presi il quaderno di Gabriele. C’era un appunto suo: “Le osservazioni si basano su: frequenza, intensità, latenza e durata. Prima si delineano il luogo ed i soggetti, poi occorre descrivere il fenomeno ed infine, partendo dai dati di prima, si formula un’ipotesi che possa prevedere l’evento e spiegarne le cause.” Iniziai a scrivere le informazioni che avevo carpito da questi due eventi. Riempii un paio di pagine e poi mi misi a riflettere. Non era il luogo adatto però, i modellini dei Lego mi distraevano. Andai nella libreria. Papà era dovuto scappare al lavoro perché erano successi di piccoli impicci, quindi avevo via libera. Trovai una soluzione interessante: Sant’Agostino. Per il Papa il tempo è l’insieme di più impressioni dell’anima che sommati assieme rendono il concetto di tempo. Riflettei per un istante. Un’impressione di coscienza è alterabile per le strutture mentali e per le emozioni. Un ricordo di circa 5 ore è stato accelerato fino ad un massimo di una manciata di secondi. La noia percepita in quei momenti mi aiutò a trasformare quei minuti pressoché infiniti in decimi di secondi anche tagliuzzando le parti più monotone. Una proporzione assurda, aiutata sicuramente dal mio genio, ma inspiegabile. E poi: il proiettore? Perché? Era una proiezione della mia mente di cosa? Perché funziona solo in certi momenti? Che sia dovuta ad una memoria ambigua? Troppe domande, cose strane. Ero un bambino, la fantasia prevaleva sulla ragione anche per me. C’era solo un altro genio che mi poteva aiutare: Gabriele. Però, avevo capito una cosa: qualcosa in me stava cambiando, la mia psiche viaggiava oltre il mio dominio ed io non potevo farci nulla. Tornai al quaderno e scrissi tutto quello che sapevo. Non era molto, ma era già qualcosa.
 
La sera fu un incubo. Dopo qualche ora, arrivò papà a casa e dovetti uscire dalla libreria. Andai a giocare e a costruire modellini Lego e castelli di carte; era un passatempo costruttivo. Arrivò l’ora di cena. Cenammo con del pesce che mamma aveva preso al mercato quella mattina. Aveva approfittato del suo giorno libero per fare compere. Ad un certo punto, papà iniziò uno strano discorso.
<< Certe volte mi ricordo di quando andavamo nei centri per vedere che avesse di strano Cheshire>> Disse pulendosi la bocca con un tovagliolo.
<< Caro, non dire così davanti al bambino!>> Lo riproverò la mamma.
<< Ma dai, era interessante vedere come quei professori si ammattivano per capire il problema di nostro figlio. Ironia della sorte si è dimostrato un falso allarme come per la famiglia di Gabriele. Poi abbiamo conosciuto pure una famiglia simpatica dai.>> Disse sorridendo.
<< Beh, è vero. Fu anche carino quando il padre di Gabriele propose di far fare conoscenza ai due bambini.>> Commentò mamma.
<< Sì, dai. Per certi versi sono anche contento che quei giorni così brutti per Cheshire si siano rivelati l’inizio di una bella amicizia. Alla fine, non sono stati un brutto ricordo.>> Disse con un mezzo riso. Di nuovo: buio, oscurità, proiettore, pulsante rosso e … Click! Stavo per mettermi ad urlare, sapevo cosa stesse per succedere: gli orrori di quei giorni stavano per riapparire. Una serie infinita di aghi, di dolore, di lacrime, di medici che si impaurivano per non riuscire a trovare una soluzione, di mamma di notte che piangeva, di papà che imprecava contro tutti al lavoro, di difficoltà per l’azienda che vide un periodo bruttissimo per sostenere le spese immani necessarie per gli studi su di me, di scene di papà che aveva le occhiaie ogni giorno per gestire anche un secondo lavoro e del suo dispiacere nel vendere alcuni suoi libri, io che non ne potevo più di fare controlli e non sapevo cosa fare. Il filmato non smetteva, non potevo muovermi, ero pietrificato: l’esercito di medici, le ennesime false speranze, Gabriele che urlava alla vista degli aghi, io che piangevo fiumi di lacrime alla vista dell’ennesimo ospedale, dell’ennesimo macchinario, le prese in giro a scuola per essere un bambino diverso e poi le sensazioni. Erano tutte identiche a quei momenti terrificanti, le ripercorrevo. Le emozioni erano come colpi di pugnali al cuore. Ero terrorizzato, non riuscivo a parlare, a muovermi, a pensare; ero completamente immobilizzato e costretto a ripercorrere quello strazio. Finché non vidi lui: il Professore Layer. L’ultima speranza. Un uomo vecchio con un’enorme barba bianca, gli occhi di fuoco per gli anni passati al lavoro su macchine, libri e per le nottate passate a leggere le mie ultime analisi. Mi portò in quella che per me fu una stanza dei giochi: una gigantesca libreria e mi porse un libro. Poco dopo entrò Gabriele a cui gli diede uno xilofono. Io sfogliai il libro e Gabriele suonava lo xilofono. Era un libro privo di figure, scritto in una lingua indecifrabile di cui ricordo solo una parola “Memoria”. Il professore fece entrare dopo i nostri genitori e disse queste famigerate parole: “Signori, dopo anni posso dirvi finalmente cosa succede: i vostri figli sono un prodigio. La strana malformazione di Gabriele e Cheshire è regredita improvvisamente, ora stanno bene. L’unica cosa: cercate di stimolare sempre la loro piccola e straordinaria mente.” Si rivolse poi a noi e sentii quelle parole: “Memoria e udito”. Avevo 2 anni quando iniziò quel macello e tutto terminò quando ne ebbi 5. Tre anni infernali conclusi così, con l’intuizione di un genio che al posto di farci fare esami assurdi, ci lasciava giocare. Luce di nuovo. Famiglia, tavola, cucina, casa.
<< Cheshire? Stai bene? Hai gli occhi rossi. >> Disse mamma un po’ impaurita. Guardai il mio riflesso nel quadro che avevo di fronte. Avevo gli occhi rossi, ma il resto era normale.
<< No mamma, tutto bene, ho solo tanto sonno.>> Dissi con uno sforzo immenso. Invece per me si era riaperta una ferita immensa composta solamente da traumi. Mi alzai da tavola appena finito e corsi in camera a scrivere ciò che era successo. Dopo mi buttai sul letto e piansi in silenzio.
“Gabriele, solo tu puoi aiutarmi ora.” Questa fu l’ultima cosa che pensai prima di dormire.
   
 
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