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Autore: Arlie_S    26/03/2021    25 recensioni
[Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna]
[Storia partecipante al contest 'Let's Cliché' indetto da _Vintage_ sul Forum.]
«Ariana…» gracchiò, tornando a gattoni da lei e sollevandole la testa.
«Mi dispiace» mormorò, in un tiritera quasi infantile, con la voce gracchiante. «Perdonami…»
«Ormai è troppo tardi, Albus» disse suo padre mentre Ariana rovesciava gli occhi all'indietro e rimaneva immobile.
«È troppo tardi, Albus» fece eco Grindelwald che al contrario aveva una voce tanto trionfante da fargli rigirare le viscere.
È troppo tardi.
È troppo tardi.
È troppo…
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Ariana Silente
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Più contesti
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Per il Bene Superiore

Per la gloria, per la paura e per il rimpianto.

 

 

«Severus…»

Quel suono atterrì Harry più di ogni altra cosa che aveva vissuto quella sera. Per la prima volta, Silente supplicava.

Piton non rispose. Avanzò e spinse rudemente Malfoy di lato. I tre Mangiamorte si ritrassero senza una parola. Perfino il lupo mannaro era intimorito.

Piton scrutò per un attimo Silente, e incisi nei suoi duri lineamenti c’erano disgusto e odio.

 

 

***



 

«Mi seccava, Harry».

Lo disse apertamente, con freddezza. 

«Ero dotato, ero intelligente. Volevo fuggire. Volevo risplendere. Volevo la gloria»





Godric’s Hollow, 5 luglio 1899.

«Non volevo fare del male a nessuno» disse tremolante la ragazzina. «Non volevo, Al, lo giuro. Mi dispiace tanto di aver rovinato tutto».

Albus sorrise con gentilezza, come aveva visto fare innumerevoli volte a sua madre e il volto di lei gli balenò davanti agli occhi: austero, composto persino nella freddezza della morte. Kendra Silente era una donna dura, ma li amava e lui avrebbe tenuto alto il suo sacrificio in quel modo. Facendo ciò che poteva per la sua fragile sorella, rinunciando ai suoi sogni di gloria e sforzandosi di non lasciar trapelare quanto in realtà volesse fuggire dall’unica famiglia che gli era rimasta.

«Non è colpa tua, è stato un incidente» sospirò, sforzandosi di suonare dolce.

Era la verità, dopotutto: gli unici colpevoli erano i Babbani che l’avevano massacrata otto anni prima, facendo sì che la magia si rigirasse dentro di lei e che la rendesse instabile, imprevedibile.

Se solo quel mondo fosse stato diverso…

Sfiorò il viso pallido di Ariana in una carezza e una ciocca di capelli chiari le cadde sul volto.

Se il mondo fosse stato diverso, forse, in quel momento sua sorella sarebbe andata a scuola serena e i ragazzi Babbani non avrebbero mai osato aggredirla. Nessuno avrebbe rinchiuso suo padre per aver difeso il proprio sangue dalla violenza. Nessuno...

Scacciò amaramente il pensiero: il mondo non era un posto diverso, purtroppo, e fantasticare non era altro che un modo per cercare qualcosa che attenuasse quell’orrida realtà. Sua sorella doveva nascondersi e quei cinque non avrebbero mai pagato abbastanza, nella sua mente.

Allo stesso modo tutti i suoi sogni e progetti erano stati spazzati via insieme alla vita di sua madre e niente, da quel momento, avrebbe più potuto recidere quel laccio che lo inchiodava a Godric's Hollow.

Quel pensiero egoistico gli fece storcere le labbra mentre lasciava Ariana e tornava verso la piccola cucina per ripulire i residui del pasto silenzioso che avevano consumato.

La cucina era in legno, vecchia ma pulita e ordinata. Inspirò, sentendo ancora quel che rimaneva del profumo usato da sua madre e un nodo gli strinse la gola mentre sollevava la bacchetta e ordinava alle stoviglie di ripulirsi.

Se solo fosse stato lì, meditò, se fosse tornato qualche giorno prima invece di fare progetti con Elphias sul loro viaggio, se ci fosse stato un modo, un solo modo, per tornare indietro. Per farli tornare indietro, tutti loro.

Se fosse esistito, nel mondo, qualcosa per riavvolgere il tempo e rendergli sua madre e suo padre per l’amore che provava per loro ma anche per la libertà che rappresentavano per lui.

Se, se, se. La sua vita ormai era una sequenza senza fine di ‘se’ ognuno dei quali affondava nella schiena come una pugnalata e aggiungeva una catena invisibile alla sua esistenza.

Era come suo padre, un carcerato per causa ingiusta, un detenuto che si era lasciato rinchiudere per qualcos’altro. Suo padre l’aveva fatto per sua sorella e ora il medesimo destino ricadeva su di lui, all’alba dei suoi diciotto anni.

Guardò di nuovo Ariana, seduta sul divano di stoffa. Le dita pallide e sottili intrecciate e quegli occhi che lo fissavano implorando il perdono per qualcosa di cui lei non aveva veramente colpa. E lui, Albus, non avrebbe sfogato la propria frustrazione sulla sorella per quanto quella bruciasse in maniera insopportabile.

L’avrebbe ingoiata e lasciata lì, dove non potesse ferirla.

Si sforzò di rivolgerle un tenue sorriso cercando, ancora di una volta, di mettersi comodo, giorno dopo giorno, in quella prigione senza sbarre.

«Dopo, se vuoi, posso portarti fino alla spiaggia» propose, sperando quasi che lei non sentisse.

Tuttavia gli occhi azzurri di Ariana si dilatarono e lei trattenne il fiato. «Alla spiaggia?» ripeté, tormentandosi la veste chiara, «può venire anche Aberforth?»

Avvertì il proprio sorriso sgualcirsi un po’ ma si diede un contegno. Quale orrido mostro, quale creatura abbietta, non avrebbe voluto intorno a sé gli unici membri della famiglia che gli rimanevano?

Ariana sembrò spegnersi appena mentre si fissavano, così corse ai ripari. «Certo,» rispose. «Vuoi chiamarlo tu?»

Per la prima volta Ariana gli rivolse un sorriso seppur sciupato dal dolore. «Andiamo insieme» rispose, guardandosi nervosamente intorno. «Non voglio andare da sola».

«Allora aspetta un minuto, così finisco qui» ribatté, sfiorando con la punta della bacchetta la superficie del ripiano dove ancora giaceva una delle presine fatte a mano da sua madre.

Ingoiò il proprio dolore e la voglia di piangere: lui e Aberforth lo avevano deciso di comune accordo, per rendere il lutto meno orrendo per Ariana. Volevano distrarla, portarla a respirare aria pulita in luoghi tranquilli, farle vedere il mare… anche se entrambi non avrebbero desiderato altro che scappare o rinchiudersi nel loro dolore. 

Aberforth, il suo rozzo fratello, era molto più bravo di lui in quello. Riusciva a far ridere Ariana, lo aiutava a calmarla e lei lo ricambiava con un'adorazione tanto sincera da essere quasi commovente.

E mentre la osservava dondolarsi sul divano si sentì colmare di quell’affetto fraterno ed eterno e decise sarebbe stato un onore occuparsi di loro. Si sarebbe preso cura di sua sorella, avrebbe permesso ad Aberforth di completare la sua istruzione. Poi, forse, sarebbero potuti partire insieme, loro tre, e lo avrebbero accompagnato nel suo viaggio rendendolo ancora più straordinario.

Sì, avrebbero fatto così: loro tre insieme, potevano farcela.

Lui poteva farcela.

Eppure…

Qualcosa vibrò facendolo girare di scatto verso la finestra in quella calda giornata ventosa. Dietro al vetro, con i capelli biondi arruffati dal vento e l’aria selvaggia e ribelle c’era un ragazzo che non aveva mai incontrato prima.

«Ciao», esordì lui, «Tu devi essere Albus».

 

 

***

 

«Dicono che mi temesse e forse è così, ma meno, credo, di quanto io temevo lui. Oh, non la morte. Non quello che poteva farmi con la magia. Sapevo che eravamo pari, forse io ero persino un po’ più abile. Era la verità che temevo. Capisci, non avevo mai saputo chi di noi, in quell’ultimo, tremendo duello, avesse scagliato la maledizione che uccise mia sorella. Potresti chiamarmi codardo: avresti ragione».

 

«Perché lo hai fatto?»

I capelli chiari dell’esile figura che gli stava davanti catturarono la luce, rimandando bagliori rossastri mentre gli occhi — limpidi come il cielo terso di quel giorno maledetto — si riempivano di lacrime.

«No…» implorò, colmo di dolore e disperazione.

Ariana sollevò gli occhi, una ciocca di capelli davanti al naso lentigginoso e si tormentò le piccole mani, delicate come le ricordava.

«Volevo aiutare» gemette lei, con gli occhi colmi di lacrime. «Solo aiutare…»

«Non sono stato io» supplicò. «Per favore…»

Un’altra figura avanzò verso di lui.

«Sappiamo entrambi chi scagliò il colpo mortale» disse quella voce dannata, quel timbro maledetto che gli entrò nelle orecchie come uno spillone ardente.

Dita pallide ma adulte si chiusero intorno alla spalla della ragazzina, mentre l’uomo appena giunto sfoderava di nuovo quel ghigno lupesco.

«Codardo» sussurrò una voce suadente. «Sei un codardo, Albus».

Albus cercò di dibattersi, di muoversi e ribellarsi senza risultato.

Doveva salvarla, doveva aiutarla…

I fili d’erba si agitarono come mossi dal vento prima che dal terreno, con l’aspetto di due figure incorporee e lattescenti, Kendra e Percival apparissero davanti a lui.

La vista dei loro volti delusi fu peggio di quanto avesse immaginato nei suoi incubi più cupi e dolorosi.

Lui avrebbe dovuto prendersi cura di lei, di loro. Avrebbe dovuto raccogliere la responsabilità di avere quel talento e metterlo al servizio della sua famiglia e della loro incolumità. Non avrebbe mai dovuto avvicinarsi a Grindelwald, permettergli di affondare i suoi artigli in lui tanto in profondità da non sapere più come sradicarli.

Avrebbe dovuto essere lì quando Ariana aveva perso il controllo, essere a farle da scudo quando Grindelwald aveva rivelato la sua intima natura torturando suo fratello. Avrebbe dovuto fare da scudo a entrambi, morire e soffrire lui e lui solo.

Lui il maggiore, lui il capofamiglia.

E Grindelwald, sempre lui, che amava e odiava e temeva più di chiunque altro al mondo…

Lui sapeva, Albus ne era certo.

Sapeva.

Sua madre scosse la testa, pallido ma vivido eco di ciò che ricordava.

«La mia povera bambina…» mormorò, svanendo per ricomparire dietro Ariana e stringendole delicatamente le spalle, gli occhi scuri carichi di dolore e delusione.

«Mi dispiace…» esalò, senza respiro. «Mi dispiace tanto» ripeté, sentendo gli occhi traboccare di lacrime amare e salate.

Ariana emise un respiro tremolante e si portò le mani al petto, le dita arpionate alla veste chiara, la bocca dischiusa e gli occhi sgranati. Sembrò venire scossa da un singulto e il sangue traboccò dalle sue labbra mentre cadeva in ginocchio e i suoi occhi lo imploravano di aiutarla.

Si gettò verso di lei lottando contro la forza invisibile che lo aveva immobilizzato, mentre la risata di Grindelwald gli graffiava crudelmente le orecchie ricordandogli quanto fosse sciocco e vano quel suo tentativo. Cercò la fonte di quel dolore che la stava uccidendo, di quella sofferenza che l’aveva annientata e che la stava distruggendo davanti ai suoi occhi, senza trovare nessun segno visibile.

«Guardati allo specchio, Al» sospirò il volto emaciato e dilaniato da Azkaban di suo padre, quasi potesse leggergli nella mente.  

Albus sollevò le mani, trovandole imbrattate di sangue fresco fino ai gomiti e cadde all’indietro, ritrovandosi a indietreggiare sull’erba, davanti a quegli occhi accusatori.

«Ariana…» gracchiò, tornando a gattoni da lei e sollevandole la testa mentre il piccolo corpo tremolava senza controllo e senza che potesse aiutarla.

«Mi dispiace» mormorò, in una tiritera quasi infantile, con la voce gracchiante. «Perdonami…» implorò.

«Ormai è troppo tardi, Albus» disse suo padre mentre Ariana rovesciava gli occhi all'indietro e rimaneva immobile e inerme tra le sue braccia.

«È troppo tardi, Albus» fece eco Grindelwald che al contrario aveva una voce tanto trionfante da fargli rigirare le viscere.

È troppo tardi.

È troppo tardi.

È troppo…

 

«NO!» l’urlo riecheggiò per qualche istante nel silenzio e impiegò qualche altro attimo eterno per rendersi conto di essere nel suo ufficio, ancora avvolto nel buio.

Nell’agitazione afferrò la bacchetta e illuminò la stanza, il respiro corto e i capelli attaccati al volto, alle spalle, alle scapole madide di sudore freddo. Tutto taceva, tutto era al posto giusto. I suoi strumenti, i suoi libri: niente si era mosso, proprio come nella casa a Godric's Hollow.

La luce che filtrava dalle finestre disegnava ombre blu scuro sull'ambiente, rendendolo simile a un sogno. 

Albus si passò le dita tra i capelli per scostarli cercando di riprendere fiato: aveva il volto di Ariana impresso nelle retine e lì, esangue e tremante, sarebbe rimasta fino alla fine dei suoi miseri giorni.

Mentre si alzava gli occhi gli caddero sull'edizione esclusiva della Gazzetta del Profeta della sera prima.

 

GRINDELWALD ORMAI INARRESTABILE: CROLLANO LE DIFESE DI DRUMSTRANG

 

Sentì il cuore pulsare furiosamente, la tensione aumentare e le sue dita si strinse in uno spasmo intorno all’impugnatura della bacchetta.

Era una rabbia feroce, vendicativa e crudele quella che lo animava in quel momento.

«È troppo tardi…» riecheggiò, nella sua mente.

Un calendario era attaccato alla parete, la data su cui si era da poco affacciato il nuovo giorno cerchiata da inchiostro nero per il lutto che rappresentava.

Era il 28 agosto 1945, Ariana era morta da quarantasei anni esatti.

Albus strinse con più forza la bacchetta, si vestì e recuperò il mantello e tutto il proprio coraggio.

Non era troppo tardi.

 

*** 

 

«Quando la trovai, dopo tutti quegli anni, sepolta nella dimora abbandonata dei Gaunt, il Dono che più avevo bramato anche se in gioventù l'avevo desiderato per tutt'altre ragioni persi la testa, Harry. Quasi dimenticai che era diventata un Horcrux, che l'anello certamente conteneva una maledizione. Lo presi e me lo infilai e per un attimo immaginai che avrei visto Ariana, mia madre, mio padre, e che avrei detto loro quanto mi dispiaceva...

«Fui uno sciocco, Harry. Dopo tutti quegli anni, non avevo imparato nulla. Ero indegno di riunire i Doni della Morte, l'avevo dimostrato più e più volte, e questa era la conferma».

 

 

 
07 luglio 1996, Inghilterra, Little Hangleton

Finalmente sua. La pietra verdognola era lì, galleggiante davanti ai suoi occhi e con il simbolo che tante volte aveva animato i suoi desideri più inconfessabili e oscuri.

«I Doni, Albus» sussurrò l’eco della voce di Grindelwald; poté quasi percepire di nuovo le dita dell'altro scorrergli sul petto in una di quelle calde mattine luminose che avevano condiviso.

«Il Mantello dell’Invisibilità» continuò quell’eco maligno che riapriva ferite mai cicatrizzate, mentre sentiva di nuovo il polpastrello disegnare il triangolo e lui ne rimirava la replica sulla superficie della pietra. 

La capanna dei Gaunt era svanita, non esisteva nient'altro che quel piccolo oggetto. Persino Voldemort non contava più niente, in quell’istante.

«La Bacchetta di Sambuco» proseguì la voce dei suoi ricordi, tracciando la linea dall’apice del triangolo alla sua base.

Il corpo di Gellert che si allungava sul suo, le sue labbra che gli sfioravano l’orecchio e le dita che si aggrappavano come artigli al torace.

«La Pietra della Resurrezione».

Il ventò gli sferzò addosso, facendogli finire qualche ciocca argentea davanti agli occhi. La Pietra della Resurrezione, ciò che più aveva bramato durante la sua esistenza: la possibilità di chiedere perdono, la speranza di sapere che non lo odiassero per ciò che aveva fatto nel suo delirio di onnipotenza.

«Al…» la dolce voce di Ariana, in quell’eco lontano e ormai perso nelle trame del tempo gli riempì le orecchie. Poteva quasi vederla davanti a sé con il vestito celeste con cui era morta, le dita intrecciate cristallizzata nella sua giovinezza.

Percepì il dolore risalire come bile, stringergli in una morsa crudele le viscere come se fosse trascorso un solo giorno dal momento in cui la luce dietro gli occhi di Ariana, della sua sorellina, si era spenta per sempre.

«Mi dispiace», gemette, tra sé. «Mi dispiace…».

Non bastava implorare, lei era troppo distante da lui. Eppure doveva dirglielo, doveva sapere di non aver mai abbandonato la sua mente o il suo cuore, che aveva cercato di fare ammenda senza riuscirci per tutta la sua esistenza.

Doveva dirglielo e finalmente, quasi un secolo dopo, poteva farlo. Poteva gettarsi veramente in ginocchio e implorare perdono sul serio, chiedere di essere assolto!

Lo poteva fare, l’aveva trovata! La Pietra, il Dono che più aveva bramato sebbene sempre per ragioni diverse, era lì, liscia, perfetta e pulsante che sembrava richiamarlo a sé.

Il pensiero che fosse un Horcrux lo sfiorò con la stessa forza di una piuma mentre strappava l’anello dall’incantesimo che lo faceva lievitare davanti ai suoi occhi e finalmente – finalmente! – sentiva il cerchio di metallo scorrergli lungo l’indice.

Ariana… Madre… Padre…

Per un glorioso attimo li vide: pallide figure, echi meditabondi di un passato che non era mai stato sepolto e si sentì finalmente risplendere, finalmente pronto a essere migliore dopo una vita fatta di rimpianti.

Ebbe solo un istante prima che quell’attimo di speranza si trasformasse in una valle di dolore tanto ustionante da impedirgli la vista dei suoi cari, da impedirgli l'unica cosa che bramava davvero.

«No, non andate!» supplicò folle di dolore mentre quelle figure si dissolvevano. «Vi prego!»

Si trascinò sul terreno secco, moribondo e convinto di poterli ancora raggiungere, magari strisciando, mentre le sue dita si contorcevano e bruciavano come se fossero state immerse nell'Ardemonio, portando anche la sua mente alla deriva. 

Le lacrime gli rigarono il volto mentre si ritrovava dolorosamente al presente e percepiva la maledizione percorrergli le vene e distruggere tutto ciò che incontrava.

Si strappò l’anello e quello rotolò a terra prima di emettere un sibilo sinistro; un'ombra verdognola emerse dalla Pietra, ondeggiante ma inesorabile.

Per un attimo al volto del giovane Riddle si sovrappose quello di un giovane Grindelwald e al dolore si aggiunse una furia feroce e inarrestabile. Con la mano sana strinse l’impugnatura della spada che si era portato dietro e colpì, godendo per la prima volta del grido di dolore che gli riempì le orecchie.

Sorrise, reso per un attimo folle dal dolore e dalla soddisfazione di aver fatto un altro passo verso la distruzione del secondo stregone che incontrava sul suo cammino.

 

 

«Severus… ti prego…»

    Piton levò la bacchetta e la puntò contro Silente.

    «Avada Kedavra!»

 

 

Silente si piegò oltre la balaustra della Torre quasi con eleganza; ebbe solo il tempo di sentire il proprio corpo spostarsi all'indietro prima di scivolare nel nulla.

Per un attimo sembrò rimanere a mezz'aria nel chiarore di quella sera dal cielo limpido e per quell’istate persino il fragore della battaglia, al piano di sotto, parve fermarsi in sospeso.

Nella luce che lo accolse intravide un bagliore dorato, un guizzo azzurro come il cielo terso sopra Godric's Hollow e sentì il cuore colmarsi di commozione.

«Ti stavo aspettando» sorrise Ariana, senza traccia di dolore o paura sul volto. Dietro di lei, i loro genitori alzarono una mano.

Albus sorrise di rimando, sapendo quella volta di aver agito veramente per il Bene Superiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice

Ehm… salve.

Non so esattamente come sia uscita questa One-Shot. So solo che ho scoperto il meraviglioso mondo dei contest e non potevo resistere a un 'Cliché'… dopo un’attenta revisione, parteciperò anche all’Oscar della Penna, indetto dal gruppo FB ‘L’angolo di Madama Rosmerta’. Il livello è altissimo, ma ci tenevo a dare il mio piccolo contributo con questa OS. 

Il titolo è dovuto al fatto che tutta la vita di Albus Silente, in un modo o nell'altro, è stata votata al Bene Superiore. Prima sbagliando, poi nel modo giusto.

Silente è un personaggio che personalmente amo profondamente con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti. Il contest non richiedeva un personaggio IC, ma spero di averlo reso comunque tale mentre ripercorrevo quelli che secondo me sono stati tre momenti salienti della sua vita, quelli che potrebbero essergli passati davanti agli occhi in cima alla Torre di Astronomia:

- Primo ricordo: Albus si descrive come un giovane arrogante, talentuoso e consapevole di esserlo. Tuttavia era anche deciso a rimanere con Ariana e prendersi cura della sua famiglia. Qui ho voluto riportare quello che secondo me potrebbe essere stato il primo incontro con Grindelwald, che entra a gamba tesa nella vita di Silente e le fa prendere tutta un’altra piega.

- Secondo ricordo: Silente dice di aver rimando lo scontro perché temeva Grindelwald più di quanto lo stesso temesse lui ed io gli credo. Ho sempre pensato che ci fosse voluto uno sforzo inumato per affrontarlo! Ho pensato che la data della fine di Grindelwald potesse collocarsi a fine agosto. Sia perché ci viene detto che sono stati ‘due mesi di follia’ (quindi ho contato da fine giugno e fine agosto, dato che Aberforth dice chiaramente che lui sarebbe partito per Hogwarts poco dopo) sia perché la data si colloca poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale.

- Terzo ricordo: questo è un momento che mi ha sempre colpito nei libri ed ho provato a immaginare cosa possa essere successo quando Silente afferma di ‘aver perso completamente la testa’. Penso anche che Silente non avrebbe mai distrutto un Horcrux sulla scrivania del suo Ufficio – non avrebbe mai permesso a nessuna parte di Voldemort di mettere piede a Hogwarts – per cui ho cercato di riportare come sia andata secondo me. Onestamente questa parte è quella che mi convince meno, ma lascio a voi l’ardua sentenza.

Infine, la pace e la consapevolezza di aver agito (morendo per preparare il suo scacco a Voldemort) veramente per quello che da giovane chiamava il Bene Superiore (intendendo tutt’altro). Spero che l'evoluzione dei pensieri del personaggio vi siano piaciuti!

Detto questo spero che vi sia piaciuta!

A presto,

Arlie

 

  
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