Per il Bene Superiore
Per la gloria, per la
paura e per il
rimpianto.
«Severus…»
Quel suono
atterrì Harry più di ogni altra
cosa che aveva vissuto quella sera. Per la prima volta, Silente
supplicava.
Piton non rispose.
Avanzò e spinse rudemente
Malfoy di lato. I tre Mangiamorte si ritrassero senza una parola.
Perfino il
lupo mannaro era intimorito.
Piton
scrutò per un attimo Silente, e
incisi nei suoi duri lineamenti c’erano disgusto e odio.
***
«Mi
seccava, Harry».
Lo disse apertamente,
con freddezza.
«Ero
dotato, ero intelligente. Volevo
fuggire. Volevo risplendere. Volevo la gloria»
Godric’s
Hollow, 5 luglio 1899.
«Non volevo
fare del male a nessuno» disse
tremolante la ragazzina. «Non volevo, Al, lo giuro. Mi
dispiace tanto di aver
rovinato tutto».
Albus sorrise con
gentilezza, come aveva
visto fare innumerevoli volte a sua madre e il volto di lei gli
balenò davanti
agli occhi: austero, composto persino nella freddezza della morte.
Kendra
Silente era una donna dura, ma li amava e lui avrebbe tenuto alto il
suo
sacrificio in quel modo. Facendo ciò che poteva per la sua
fragile sorella,
rinunciando ai suoi sogni di gloria e sforzandosi di non lasciar
trapelare
quanto in realtà volesse fuggire dall’unica
famiglia che gli era rimasta.
«Non
è colpa tua, è stato un incidente»
sospirò, sforzandosi di suonare dolce.
Era la
verità, dopotutto: gli unici
colpevoli erano i Babbani che l’avevano massacrata otto anni
prima, facendo sì
che la magia si rigirasse dentro di lei e che la rendesse instabile,
imprevedibile.
Se solo quel mondo
fosse stato diverso…
Sfiorò il
viso pallido di Ariana in una
carezza e una ciocca di capelli chiari le cadde sul volto.
Se il mondo fosse stato
diverso, forse, in
quel momento sua sorella sarebbe andata a scuola serena e i ragazzi
Babbani non
avrebbero mai osato aggredirla. Nessuno avrebbe rinchiuso suo padre per
aver
difeso il proprio sangue dalla violenza. Nessuno...
Scacciò
amaramente il pensiero: il mondo
non era un posto diverso, purtroppo, e fantasticare non era altro che
un modo per
cercare qualcosa che attenuasse quell’orrida
realtà. Sua sorella doveva
nascondersi e quei cinque non avrebbero mai pagato abbastanza, nella
sua mente.
Allo stesso modo
tutti i suoi sogni e
progetti erano stati spazzati via insieme alla vita di sua madre e
niente, da
quel momento, avrebbe più potuto recidere quel laccio che lo
inchiodava a
Godric's Hollow.
Quel pensiero
egoistico gli fece storcere
le labbra mentre lasciava Ariana e tornava verso la piccola cucina per
ripulire
i residui del pasto silenzioso che avevano consumato.
La cucina era in
legno, vecchia ma pulita
e ordinata. Inspirò, sentendo ancora quel che rimaneva del
profumo usato da sua
madre e un nodo gli strinse la gola mentre sollevava la bacchetta e
ordinava
alle stoviglie di ripulirsi.
Se solo fosse stato
lì, meditò, se
fosse tornato qualche giorno prima invece di fare progetti con Elphias
sul loro
viaggio, se ci fosse stato un modo, un solo modo,
per tornare indietro.
Per farli tornare indietro, tutti
loro.
Se fosse esistito, nel
mondo, qualcosa per
riavvolgere il tempo e rendergli sua madre e suo padre per
l’amore che provava
per loro ma anche per la libertà che rappresentavano per lui.
Se, se, se. La sua vita ormai
era una sequenza senza
fine di ‘se’ ognuno dei quali
affondava nella schiena come una pugnalata
e aggiungeva una catena invisibile alla sua esistenza.
Era come suo padre,
un carcerato per causa
ingiusta, un detenuto che si era lasciato rinchiudere per
qualcos’altro. Suo
padre l’aveva fatto per sua sorella e ora il medesimo destino
ricadeva su di
lui, all’alba dei suoi diciotto anni.
Guardò di
nuovo Ariana, seduta sul divano
di stoffa. Le dita pallide e sottili intrecciate e quegli occhi che lo
fissavano implorando il perdono per qualcosa di cui lei non aveva
veramente
colpa. E lui, Albus, non avrebbe sfogato la propria frustrazione sulla
sorella
per quanto quella bruciasse in maniera insopportabile.
L’avrebbe
ingoiata e lasciata lì, dove non
potesse ferirla.
Si sforzò
di rivolgerle un tenue sorriso cercando,
ancora di una volta, di mettersi comodo, giorno dopo giorno, in quella
prigione
senza sbarre.
«Dopo, se
vuoi, posso portarti fino alla
spiaggia» propose, sperando quasi che lei non sentisse.
Tuttavia gli occhi
azzurri di Ariana si
dilatarono e lei trattenne il fiato. «Alla
spiaggia?» ripeté, tormentandosi la
veste chiara, «può venire anche
Aberforth?»
Avvertì il
proprio sorriso sgualcirsi un
po’ ma si diede un contegno. Quale orrido mostro, quale
creatura abbietta, non
avrebbe voluto intorno a sé gli unici membri della famiglia
che gli rimanevano?
Ariana
sembrò spegnersi appena mentre si
fissavano, così corse ai ripari.
«Certo,» rispose. «Vuoi chiamarlo
tu?»
Per la prima volta
Ariana gli rivolse un
sorriso seppur sciupato dal dolore. «Andiamo
insieme» rispose, guardandosi
nervosamente intorno. «Non voglio andare da sola».
«Allora
aspetta un minuto, così finisco
qui» ribatté, sfiorando con la punta della
bacchetta la superficie del ripiano
dove ancora giaceva una delle presine fatte a mano da sua madre.
Ingoiò il
proprio dolore e la voglia di
piangere: lui e Aberforth lo avevano deciso di comune accordo, per
rendere il
lutto meno orrendo per Ariana. Volevano distrarla, portarla a respirare
aria
pulita in luoghi tranquilli, farle vedere il mare… anche se
entrambi non
avrebbero desiderato altro che scappare o rinchiudersi nel loro
dolore.
Aberforth, il suo
rozzo fratello, era
molto più bravo di lui in quello. Riusciva a far ridere
Ariana, lo aiutava a
calmarla e lei lo ricambiava con un'adorazione tanto sincera da essere
quasi
commovente.
E mentre la osservava
dondolarsi sul
divano si sentì colmare di quell’affetto fraterno
ed eterno e
decise sarebbe stato un onore occuparsi di loro. Si sarebbe
preso cura di
sua sorella, avrebbe permesso ad Aberforth di completare la sua
istruzione.
Poi, forse, sarebbero potuti partire insieme, loro tre, e lo avrebbero
accompagnato nel suo viaggio rendendolo ancora più
straordinario.
Sì,
avrebbero fatto così: loro tre
insieme, potevano farcela.
Lui poteva farcela.
Eppure…
Qualcosa
vibrò facendolo girare di scatto
verso la finestra in quella calda giornata ventosa. Dietro al vetro,
con i
capelli biondi arruffati dal vento e l’aria selvaggia e
ribelle c’era un
ragazzo che non aveva mai incontrato prima.
«Ciao»,
esordì lui, «Tu devi essere
Albus».
***
«Dicono che mi temesse
e forse è così, ma
meno, credo, di quanto io temevo lui. Oh, non la morte. Non quello che
poteva
farmi con la magia. Sapevo che eravamo pari, forse io ero persino un
po’ più
abile. Era la verità che temevo. Capisci, non avevo mai
saputo chi di noi, in
quell’ultimo, tremendo duello, avesse scagliato la
maledizione che uccise mia
sorella. Potresti chiamarmi codardo: avresti ragione».
«Perché
lo hai fatto?»
I capelli chiari
dell’esile figura che gli
stava davanti catturarono la luce, rimandando bagliori rossastri mentre
gli
occhi — limpidi come il cielo terso di quel giorno maledetto
— si riempivano di
lacrime.
«No…» implorò,
colmo di dolore e
disperazione.
Ariana
sollevò gli occhi, una ciocca di
capelli davanti al naso lentigginoso e si tormentò le
piccole mani, delicate
come le ricordava.
«Volevo
aiutare» gemette lei, con gli
occhi colmi di lacrime. «Solo aiutare…»
«Non sono
stato io» supplicò. «Per
favore…»
Un’altra
figura avanzò verso di lui.
«Sappiamo
entrambi chi scagliò il colpo
mortale» disse quella voce dannata, quel timbro maledetto che
gli entrò nelle
orecchie come uno spillone ardente.
Dita pallide ma
adulte si chiusero intorno
alla spalla della ragazzina, mentre l’uomo appena giunto
sfoderava di nuovo
quel ghigno lupesco.
«Codardo»
sussurrò una voce suadente. «Sei
un codardo, Albus».
Albus
cercò di dibattersi, di muoversi e
ribellarsi senza risultato.
Doveva salvarla,
doveva aiutarla…
I fili
d’erba si agitarono come mossi dal
vento prima che dal terreno, con l’aspetto di due figure
incorporee e
lattescenti, Kendra e Percival apparissero davanti a lui.
La vista dei loro
volti delusi fu peggio
di quanto avesse immaginato nei suoi incubi più cupi e
dolorosi.
Lui avrebbe dovuto
prendersi cura di lei,
di loro. Avrebbe dovuto raccogliere la responsabilità di
avere quel talento e
metterlo al servizio della sua famiglia e della loro
incolumità. Non avrebbe
mai dovuto avvicinarsi a Grindelwald, permettergli di affondare i suoi
artigli
in lui tanto in profondità da non sapere più come
sradicarli.
Avrebbe dovuto essere
lì quando Ariana aveva
perso il controllo, essere a farle da scudo quando Grindelwald aveva
rivelato
la sua intima natura torturando suo fratello. Avrebbe dovuto fare da
scudo a
entrambi, morire e soffrire lui e lui solo.
Lui il maggiore, lui
il capofamiglia.
E Grindelwald, sempre
lui, che amava e
odiava e temeva più di chiunque altro al mondo…
Lui sapeva,
Albus ne era
certo.
Sapeva.
Sua madre scosse la
testa, pallido ma
vivido eco di ciò che ricordava.
«La mia
povera bambina…» mormorò, svanendo
per ricomparire dietro Ariana e stringendole delicatamente le spalle,
gli occhi
scuri carichi di dolore e delusione.
«Mi
dispiace…» esalò, senza respiro.
«Mi
dispiace tanto» ripeté, sentendo gli occhi
traboccare di lacrime amare e
salate.
Ariana emise un
respiro tremolante e si
portò le mani al petto, le dita arpionate alla veste chiara,
la bocca dischiusa
e gli occhi sgranati. Sembrò venire scossa da un singulto e
il sangue traboccò
dalle sue labbra mentre cadeva in ginocchio e i suoi occhi lo
imploravano di
aiutarla.
Si gettò
verso di lei lottando contro la
forza invisibile che lo aveva immobilizzato, mentre la risata di
Grindelwald
gli graffiava crudelmente le orecchie ricordandogli quanto fosse
sciocco e vano
quel suo tentativo. Cercò la fonte di quel dolore che la
stava uccidendo, di
quella sofferenza che l’aveva annientata e che la stava
distruggendo davanti ai
suoi occhi, senza trovare nessun segno visibile.
«Guardati
allo specchio, Al» sospirò il
volto emaciato e dilaniato da Azkaban di suo padre, quasi potesse
leggergli
nella mente.
Albus
sollevò le mani, trovandole
imbrattate di sangue fresco fino ai gomiti e cadde
all’indietro, ritrovandosi a
indietreggiare sull’erba, davanti a quegli occhi accusatori.
«Ariana…»
gracchiò, tornando a gattoni da
lei e sollevandole la testa mentre il piccolo corpo tremolava senza
controllo e
senza che potesse aiutarla.
«Mi
dispiace» mormorò, in una tiritera
quasi infantile, con la voce gracchiante.
«Perdonami…» implorò.
«Ormai
è troppo tardi, Albus» disse suo
padre mentre Ariana rovesciava gli occhi all'indietro e rimaneva
immobile e
inerme tra le sue braccia.
«È
troppo tardi, Albus» fece eco
Grindelwald che al contrario aveva una voce tanto trionfante da fargli
rigirare
le viscere.
È troppo
tardi.
È troppo
tardi.
È
troppo…
«NO!»
l’urlo riecheggiò per qualche
istante nel silenzio e impiegò qualche altro attimo eterno
per rendersi conto
di essere nel suo ufficio, ancora avvolto nel buio.
Nell’agitazione
afferrò la bacchetta e
illuminò la stanza, il respiro corto e i capelli attaccati
al volto, alle
spalle, alle scapole madide di sudore freddo. Tutto taceva, tutto era
al posto
giusto. I suoi strumenti, i suoi libri: niente si era mosso, proprio
come nella
casa a Godric's Hollow.
La luce che filtrava
dalle finestre
disegnava ombre blu scuro sull'ambiente, rendendolo simile a un
sogno.
Albus si
passò le dita tra i capelli per
scostarli cercando di riprendere fiato: aveva il volto di Ariana
impresso nelle
retine e lì, esangue e tremante, sarebbe rimasta fino alla
fine dei suoi miseri
giorni.
Mentre si alzava gli
occhi gli caddero
sull'edizione esclusiva della Gazzetta del Profeta della sera prima.
GRINDELWALD ORMAI
INARRESTABILE: CROLLANO
LE DIFESE DI DRUMSTRANG
Sentì il
cuore pulsare furiosamente, la
tensione aumentare e le sue dita si strinse in uno spasmo intorno
all’impugnatura della bacchetta.
Era una rabbia
feroce, vendicativa e crudele
quella che lo animava in quel momento.
«È
troppo tardi…» riecheggiò,
nella sua mente.
Un calendario era
attaccato alla parete,
la data su cui si era da poco affacciato il nuovo giorno cerchiata da
inchiostro nero per il lutto che rappresentava.
Era il 28 agosto
1945, Ariana era morta da
quarantasei anni esatti.
Albus strinse con
più forza la bacchetta,
si vestì e recuperò il mantello e tutto il
proprio coraggio.
Non era troppo tardi.
***
«Quando la
trovai, dopo tutti quegli anni,
sepolta nella dimora abbandonata dei Gaunt, il Dono che più
avevo bramato anche
se in gioventù l'avevo desiderato per tutt'altre ragioni
persi la testa, Harry.
Quasi dimenticai che era diventata un Horcrux, che l'anello certamente
conteneva una maledizione. Lo presi e me lo infilai e per un attimo
immaginai
che avrei visto Ariana, mia madre, mio padre, e che avrei detto loro
quanto mi
dispiaceva...
«Fui uno
sciocco, Harry. Dopo tutti quegli
anni, non avevo imparato nulla. Ero indegno di riunire i Doni della
Morte,
l'avevo dimostrato più e più volte, e questa era
la conferma».
07
luglio 1996, Inghilterra, Little Hangleton
Finalmente sua.
La pietra
verdognola era lì, galleggiante davanti ai suoi occhi e con
il simbolo che
tante volte aveva animato i suoi desideri più inconfessabili
e oscuri.
«I Doni,
Albus» sussurrò l’eco della
voce di Grindelwald; poté quasi percepire di nuovo le dita
dell'altro
scorrergli sul petto in una di quelle calde mattine luminose che
avevano
condiviso.
«Il
Mantello dell’Invisibilità»
continuò
quell’eco maligno che riapriva ferite mai cicatrizzate,
mentre sentiva di nuovo
il polpastrello disegnare il triangolo e lui ne rimirava la replica
sulla
superficie della pietra.
La capanna dei Gaunt
era svanita, non
esisteva nient'altro che quel piccolo oggetto. Persino Voldemort non
contava
più niente, in quell’istante.
«La
Bacchetta di Sambuco» proseguì la voce
dei suoi ricordi, tracciando la linea dall’apice del
triangolo alla sua base.
Il corpo di Gellert
che si allungava sul
suo, le sue labbra che gli sfioravano l’orecchio e le dita
che si aggrappavano
come artigli al torace.
«La Pietra
della Resurrezione».
Il ventò
gli sferzò addosso, facendogli
finire qualche ciocca argentea davanti agli occhi. La Pietra della
Resurrezione,
ciò che più aveva bramato durante la sua
esistenza: la possibilità di chiedere
perdono, la speranza di sapere che non lo odiassero per ciò
che aveva fatto nel
suo delirio di onnipotenza.
«Al…»
la dolce voce di Ariana, in
quell’eco lontano e ormai perso nelle trame del tempo gli
riempì le orecchie.
Poteva quasi vederla davanti a sé con il vestito celeste con
cui era morta, le
dita intrecciate cristallizzata nella sua giovinezza.
Percepì il
dolore risalire come bile,
stringergli in una morsa crudele le viscere come se fosse trascorso un
solo
giorno dal momento in cui la luce dietro gli occhi di Ariana, della sua
sorellina, si era spenta per sempre.
«Mi
dispiace», gemette, tra sé. «Mi
dispiace…».
Non bastava
implorare, lei era troppo
distante da lui. Eppure doveva dirglielo, doveva sapere di non aver mai
abbandonato la sua mente o il suo cuore, che aveva cercato di fare
ammenda
senza riuscirci per tutta la sua esistenza.
Doveva dirglielo e
finalmente, quasi un
secolo dopo, poteva farlo. Poteva gettarsi veramente in ginocchio e
implorare
perdono sul serio, chiedere di essere assolto!
Lo poteva fare,
l’aveva trovata! La
Pietra, il Dono che più aveva bramato sebbene sempre per
ragioni diverse, era
lì, liscia, perfetta e pulsante che sembrava richiamarlo a
sé.
Il pensiero che fosse
un Horcrux lo sfiorò
con la stessa forza di una piuma mentre strappava l’anello
dall’incantesimo che
lo faceva lievitare davanti ai suoi occhi e finalmente – finalmente!
–
sentiva il cerchio di metallo scorrergli lungo l’indice.
Ariana…
Madre… Padre…
Per un glorioso
attimo li vide: pallide
figure, echi meditabondi di un passato che non era mai stato sepolto e
si sentì
finalmente risplendere, finalmente pronto a essere migliore dopo una
vita fatta
di rimpianti.
Ebbe solo un istante
prima che
quell’attimo di speranza si trasformasse in una valle di
dolore tanto
ustionante da impedirgli la vista dei suoi cari, da impedirgli l'unica
cosa che
bramava davvero.
«No, non
andate!» supplicò folle di dolore
mentre quelle figure si dissolvevano. «Vi prego!»
Si
trascinò sul terreno secco, moribondo e
convinto di poterli ancora raggiungere, magari strisciando, mentre le
sue dita
si contorcevano e bruciavano come se fossero state immerse
nell'Ardemonio,
portando anche la sua mente alla deriva.
Le lacrime gli
rigarono il volto mentre si
ritrovava dolorosamente al presente e percepiva la maledizione
percorrergli le
vene e distruggere tutto ciò che incontrava.
Si strappò
l’anello e quello rotolò a
terra prima di emettere un sibilo sinistro; un'ombra verdognola emerse
dalla
Pietra, ondeggiante ma inesorabile.
Per un attimo al
volto del giovane Riddle
si sovrappose quello di un giovane Grindelwald e al dolore si aggiunse
una
furia feroce e inarrestabile. Con la mano sana strinse
l’impugnatura della
spada che si era portato dietro e colpì, godendo per la
prima volta del grido
di dolore che gli riempì le orecchie.
Sorrise, reso per un
attimo folle dal
dolore e dalla soddisfazione di aver fatto un altro passo verso la
distruzione
del secondo stregone che incontrava sul suo cammino.
«Severus…
ti prego…»
Piton
levò la
bacchetta e la puntò contro Silente.
«Avada
Kedavra!»
Silente si
piegò oltre la balaustra della
Torre quasi con eleganza; ebbe solo il tempo di sentire il proprio
corpo
spostarsi all'indietro prima di scivolare nel nulla.
Per un attimo
sembrò rimanere a mezz'aria
nel chiarore di quella sera dal cielo limpido e per
quell’istate persino il
fragore della battaglia, al piano di sotto, parve fermarsi in sospeso.
Nella luce che lo
accolse intravide un
bagliore dorato, un guizzo azzurro come il cielo terso sopra Godric's
Hollow e
sentì il cuore colmarsi di commozione.
«Ti stavo
aspettando» sorrise Ariana, senza
traccia di dolore o paura sul volto. Dietro di lei, i loro genitori
alzarono
una mano.
Albus sorrise di
rimando, sapendo quella
volta di aver agito veramente per il Bene Superiore.
Angolo
autrice
Ehm…
salve.
Non so
esattamente come sia
uscita questa One-Shot. So solo che ho scoperto il meraviglioso mondo
dei
contest e non potevo resistere a un 'Cliché'…
dopo un’attenta revisione,
parteciperò anche all’Oscar della Penna, indetto
dal gruppo FB ‘L’angolo di
Madama Rosmerta’. Il livello è altissimo, ma ci
tenevo a dare il mio piccolo
contributo con questa OS.
Il titolo
è dovuto al fatto che
tutta la vita di Albus Silente, in un modo o nell'altro, è
stata votata al Bene
Superiore. Prima sbagliando, poi nel modo giusto.
Silente
è un personaggio che
personalmente amo profondamente con tutti i suoi pregi e tutti i suoi
difetti.
Il contest non richiedeva un personaggio IC, ma spero di averlo reso
comunque
tale mentre ripercorrevo quelli che secondo me sono stati tre momenti
salienti
della sua vita, quelli che potrebbero essergli passati davanti agli
occhi in
cima alla Torre di Astronomia:
- Primo
ricordo: Albus si
descrive come un giovane arrogante, talentuoso e consapevole di
esserlo.
Tuttavia era anche deciso a rimanere con Ariana e prendersi cura della
sua
famiglia. Qui ho voluto riportare quello che secondo me potrebbe essere
stato
il primo incontro con Grindelwald, che entra a gamba tesa nella vita di
Silente
e le fa prendere tutta un’altra piega.
- Secondo
ricordo: Silente dice
di aver rimando lo scontro perché temeva Grindelwald
più di quanto lo stesso
temesse lui ed io gli credo. Ho sempre pensato che ci fosse voluto uno
sforzo
inumato per affrontarlo! Ho pensato che la data della fine di
Grindelwald
potesse collocarsi a fine agosto. Sia perché ci viene detto
che sono stati ‘due
mesi di follia’ (quindi ho contato da fine giugno e fine
agosto, dato che
Aberforth dice chiaramente che lui sarebbe partito per Hogwarts poco
dopo) sia
perché la data si colloca poco prima della fine della
Seconda Guerra Mondiale.
- Terzo
ricordo: questo è un
momento che mi ha sempre colpito nei libri ed ho provato a immaginare
cosa
possa essere successo quando Silente afferma di ‘aver perso
completamente la
testa’. Penso anche che Silente non avrebbe mai distrutto un
Horcrux sulla
scrivania del suo Ufficio – non avrebbe mai permesso a
nessuna parte di
Voldemort di mettere piede a Hogwarts – per cui ho cercato di
riportare come
sia andata secondo me. Onestamente questa parte è quella che
mi convince meno,
ma lascio a voi l’ardua sentenza.
Infine,
la pace e la
consapevolezza di aver agito (morendo per preparare il suo scacco a
Voldemort)
veramente per quello che da giovane chiamava il Bene Superiore
(intendendo
tutt’altro). Spero che l'evoluzione dei pensieri del
personaggio vi siano
piaciuti!
Detto
questo spero che vi sia
piaciuta!
A presto,
Arlie