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Autore: Sea    27/03/2021    1 recensioni
Non sempre le cose vanno come ci aspettiamo e Sara ed Edward lo sapevano bene. Nulla di tutto ciò che avevano immaginato prima di incontrarsi si era avverato, la vita aveva superato di gran lunga le loro aspettative. Non credevano che avrebbero potuto provare davvero la felicità, eppure…
Eppure, non sempre le cose vanno come ci aspettiamo. Non sempre, al mattino, ci svegliamo nello stesso letto, nella stessa vita in cui credevamo di essere. Non sempre siamo le persone che gli altri credono di conoscere. Non sempre il senso che diamo alle cose, le verità da cui dipendiamo, sono corrette.
A volte la vita ci costringe a ricominciare da capo.
Edward e Sara, i protagonisti di Afire Love, dovranno varcare il sottile confine che separa i sogni dalla realtà ed intraprendere un nuovo viaggio. Di una sola cosa sono certi: comincia una nuova vita.
«Si portò una mano al petto, sperando di contenere il dolore, ma non servì.
Scoppiò in lacrime non appena Edward cominciò a cantare: Loving can hurt…»
Il sequel di Afire Love cambia scenario e si ambienta nella...realtà.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO XXIII



 
 
Per tutta la sera non avevano fatto altro che osservarsi da lontano, mentre cenavano insieme al resto della troupe. Webber l’aveva agganciata non appena era rientrata dalla spiaggia, da un sentiero diverso da quello di Ed, per non destare sospetti. Solo Emanuele e le sue amiche sapevano dove fosse stata, persino Sofia non li aveva visti, quindi erano al sicuro. Se la notizia di una loro ‘relazione’ fosse trapelata, sarebbe stato davvero un problema. Non che fosse una bugia madornale o fosse controproducente per il film – anzi, il contrario – ma avrebbe significato avere a che fare con i giornalisti. E non era una buona cosa. Lo sapevano entrambi. La cena era trascorsa tra i discorsi di John, che tentava ancora di convincerla a recitare, e il loro cercarsi tra la gente. Ogni volta che i loro occhi si incontravano, qualcosa nello stomaco di Sara si aggrovigliava e qualcosa nel petto di Ed si accendeva. Si erano persino imbambolati a guardarsi, davanti a tutti. Sara aveva dovuto smettere di mordersi il labbro ad una gomitata di Arianne.
Tuttavia, la notte trascorse serenamente, erano tutti troppo stanchi. Quella mattina fecero ritorno a Torre del Greco.
 
  • John, potevamo girare questa scena ben prima di oggi, quando abbiamo registrato i primi giorni in città. – Sara non aveva pensato di doversi trovare di nuovo a contemplare la sua fotocopia che spogliava Ed in quella camera d’albergo - Non capisco perché tu abbia voluto rimandarla, potremmo già essere in aeroporto a quest’ora.
  • Non potevo infangare una scena tanto satura con la loro inesperienza iniziale. – spiegò – Adesso sono un po’ più abituati alla telecamera, quindi è giusto che venga girata oggi!
Davvero non trovava il senso di quella scelta, in fondo i primi sette giorni erano tutti egualmente importanti, almeno per lei. Se ripensava a quei sogni, non riusciva ancora a trattenere i brividi.
 
  • E poi – tornò con gli occhi su di lui, precipitando nel presente – non ti sembrerà importante, ma girare secondo il ritmo reale della sceneggiatura aiuta gli attori ad immedesimarsi meglio nel personaggio, soprattutto quando si tratta di principianti.
Sapendo quanto John ci tenesse al film e a lei, come persona, non riuscì a controbattere. Stava solo facendo il suo lavoro e stava mostrando di capire realmente il peso che quei momenti avevano avuto per lei. Quella volta, però, non poteva scappare. Nessuna spiaggia l’avrebbe accolta. Avrebbe dovuto assistere alla scena e la faccia da schiaffi di Sofia non fece altro che convincerla a restare. Una ripicca davvero di basso livello, ma forse era il momento anche per lei di imparare a sopportare.
 
  • Ci siamo. – Federica si accostò a lei – Sei sicura di voler restare?
La abbracciò, grata per quell’amore incondizionato. Le diede un bacio sulla fronte e annuì. Si sentì ancora una volta una stupida. Si stava facendo tutti quei problemi da ragazzina per una scena di recitazione. Incontrò gli occhi di Ed, che la fissavano nel corridoio subito fuori dalla stanza, infuocati. Deglutì, senza mollare il contatto.
Lo vide mimare qualche parola con le labbra, ma non riuscì a capirlo. Aggrottò lo sguardo per chiedergli di ripetere, ma lui si limitò a sorriderle e a seguire John che lo chiamava.
Gli avrebbe chiesto cosa avesse detto alla prima occasione, perché il suo viso luminoso le suggeriva che fosse qualcosa di davvero bello. Magari importante.
 
  • Action!
Smise di respirare. Ed e Sofia si muovevano con naturalezza, entrando nella stanza seguiti dai cameramen. Lei, Webber e gli sceneggiatori si intrufolarono in religioso silenzio. Il profumo di Ed riempiva tutta la stanza, chissà se gli altri se ne accorgevano. Lo guardava posare le mani sui fianchi di Sofia, il suo naso correva sul collo e le spalle. Le venne da vomitare quando lei si voltò e lo baciò con quella prepotenza che non le apparteneva. Strinse i pugni, cercando di fermare il fremito che l’aveva presa. Cominciò a tormentare le ciocche più lunghe dei capelli con le dita, ma non riuscì a scaricare la tensione che esplose dentro di lei quando finirono sul materasso.
Le spalle di Edward.
Si morse la lingua quando lo pensò. Le parve di assistere al suo peggiore incubo.
Non si era accorta di non respirare da quando avevano cominciato e non riusciva a far entrare l’aria nei polmoni. Espirò tutto ciò che aveva trattenuto non appena si riaccesero le luci, ché per fortuna non avevano inserito l’intera sequenza, rimasta privata nella sua memoria. Le parve di ridestarsi da uno stato di trans sentendo il brusio dei tecnici intorno a lei, ma non riusciva a scollare gli occhi da Ed, che adesso si sfilava dalle lenzuola e si dirigeva verso di lei. L’allarme che doveva aver dipinto in viso doveva essere fin troppo evidente, perché era riflesso anche sul suo. Che sciocca che era. Farsi prendere in quel modo per una recita.
 
  • Respira.
Le prese le mani e se le portò vicino al petto nudo, fissandola negli occhi. Respirò con la volontà, forzando i polmoni. Si sentiva il viso in fiamme, i capelli corti dritti in testa, gli shorts opprimenti in vita. Federica li osservava da lontano, senza intromettersi.
 
  • Good. – le disse, ancora serio – Stai bene? Forse era meglio se…
  • Sto bene! – annuiva troppo – Davvero!
I capelli rossi la tranquillizzarono, ma le sue spalle erano in quel senso controproducenti. 
 
  • Coraggio, sloggiamo!
Quella voce li richiamò entrambi, facendoli voltare verso la troupe che smontava il set in fretta e furia, così anche lui dovette congedarsi. La guardò col volto più sereno e le diede un bacio veloce e impercettibile sulla mano destra, prima di lasciarla.
Non appena le voltò le spalle, Federica andò a recuperarla per trascinarla con la forza fino al pullman. Doveva essersi definitivamente rammollita.
 
In effetti, se lei fosse stata al suo posto e l’avesse vista fingere di fare sesso con un altro, neanche lui sarebbe rimasto indifferente. Era riuscito per un momento a mettersi nei suoi panni e non era stato piacevole, quando poi l’aveva vista paonazza in quell’angolo si era preoccupato che stesse per avere una crisi. Adesso che erano in aeroporto, le luci e le telecamere rimontate in tempo zero, dovevano affrontare un altro capitolo difficile.
Guardava Sofia cinguettare in giro per il set, mentre lui e Sara rimanevano in religioso silenzio insieme al regista, consapevoli del momento di dolore che stavano per immortalare. Quando aveva letto quel capitolo per la prima vola, aveva immaginato quella bellissima luce diffondersi nell’ambiente e sperò che sarebbe apparsa anche sulla pellicola, perché quel sole rosso acceso significava più di quanto gli altri potessero immaginare. Se lo sentiva ancora bruciare dentro, mentre si guardavano.
Gli indicarono i 60 secondi all’azione e chiuse gli occhi, tentando di ricostruire l’immagine di Sara dinanzi a sé. Sentì che le lacrime non avrebbero faticato a salirgli agli occhi, se avesse mantenuto quel ricordo così intenso ben presente nel cuore.
Quando aprì gli occhi, infatti, riuscì quasi ad illudersi che Sara fosse dinanzi a lui. 
Ignorò volontariamente l’espressione troppo poco turbata di Sofia, restando concentrato sulla presenza di Sara sul set.
 
“La sentì scoppiare in lacrime e dovette forzarsi a non lasciarsi andare anche lui. Singhiozzava tra le sue braccia, mentre cercava di controllare il tremore e riusciva a pensare soltanto che no, non era giusto, non poteva lasciarla lì. Non avrebbe più potuto fare niente, per lei.
Strinse gli occhi e pregò che il suo petto non scoppiasse. Le carezzava i capelli, per consolarla o forse per consolare se stesso. Non seppe quanto tempo rimasero così, ma dovette arrivare il momento di distaccarsi. Il suo cuore si era spezzato.
Sara lo guardò con gli occhi e il naso rossi, tenendogli le mani.”
  • Ciao. – sentiva gli occhi diventare lucidi, pensando a come si stesse sentendo Sara, in quel momento.
  • Ciao.
Posò le mani sul viso di Sofia, ricordando la pelle di Sara umida e salata che aveva assaggiato l’ultima volta. Baciò quella ragazza e non sentì il sapore delle labbra giuste. Avrebbe preferito – pensò – girare l’intero film dall’inizio.
 
"Si baciarono per la vera ultima volta, cercando di trattenersi con le mani.
Il sole filtrava dalle pareti di vetro, battendo direttamente su di loro e quando Sara si distaccò da lui, con gli occhi appannati dalle lacrime, vide i suoi capelli rossi accendersi alla luce.
Ed riprese i bagagli e lasciò la sua mano definitivamente, costretto ad allontanarsi da lei con un nodo alla gola. La sua pelle scivolò via dai suoi polpastrelli.
Mentre camminava sotto il fascio di luce, continuava a salutarla con la mano, finché non voltò l’angolo e sparì, mandandole un bacio. Sara abbassò la mano sventolante e se la pose sulle labbra tremanti."
 
La vista di quel bacio, di quegli occhi lucidi, di quell’espressione così contrita, fecero sentire Sara – ancora una volta – come ad un funerale. Guardava le labbra incurvate di Ed e si sentì esattamente come quando lo aveva sognato, come se lo stesse perdendo di nuovo. L’anima di Edward traboccava da quella figura in modo così evidente che si chiese come avesse fatto a non intravederla prima. Asciugò la lacrima che aveva versato prima che qualcuno la vedesse, ma avrebbe voluto correre da lui e dirgli di non andare. Di non lasciarla. Gli occhi luminosi di Ed la imploravano di nuovo di non dimenticarlo.
Non appena sparì dietro l’angolo, il suo cuore precipitò e smise di palpitare. Arianne e Federica le stringevano le mani, ma la luce che filtrava dalle finestre, generata artificialmente, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Le era rimasto negli occhi il riflesso di quei capelli.

 
“Di quel giorno le sarebbe rimasto un colore, quello dei capelli di Ed illuminati. Probabilmente, perché ad esso associava quel suo enorme, vasto, infinito sentimento.
Come un sole rosso acceso.”
  • Stop.
La voce di Webber le sembrò quella di un angelo. Ancora qualche secondo e non sarebbe riuscita a trattenere le lacrime. La presa delle sue amiche allentò e lentamente la lasciarono per organizzare il prossimo spostamento. Lei rimase sulla sedia, tremante, sperando di passare inosservata grazie alla fretta di ripartire, poi Ed tornò allo scoperto e cercò immediatamente i suoi occhi. Quella volta non si avvicinò. Rimase in piedi sotto quella luce che lo faceva brillare come un fantasma, tutti i suoi dettagli messi in risalto: le spalle morbide, le lentiggini chiare, i lineamenti dolci, la tristezza nello sguardo.
Per un momento i loro spiriti precipitarono in un passato che non avevano mai realmente condiviso, eppure quelle sensazioni erano così reali da destabilizzarli.
Ed mosse un passo verso di lei, quasi convinto di volersene fregare dei giornalisti e della troupe, ma l’ingombrante presenza di Sofia lo tenne ancora lontano da Sara.
Si chiese se avesse capito cosa aveva cercato di dirle quella mattina e in fondo sperò di no. Che forse quelle parole avrebbe voluto fargliele sentire con ogni vibrazione della sua voce.

 
***


Era stato strano atterrare a Lamezia Terme invece che salutare quella cittadina da un treno o dalla sua auto, quasi non fosse vero che stessero raggiungendo Capo Vaticano. Mentre scendevano le scalette, assonnati, pregustava la sensazione di quiete che la vista di quel posto le avrebbe dato. Forse raggiungere il suo campeggio era la cura più veloce per la sua anima, la prima cosa a cui avrebbero dovuto pensare quando si era svegliata dal coma. Beh, ormai.
Le strade tortuose della costa verso Zambrone e poi Tropea cullavano già la sua mente, il senso di pace era già masticabile ad ogni chilometro, ad ogni tamerice che profumava l’aria marina e alla fine, eccolo lì. Il promontorio guardiano della sua infanzia e delle sue estati più belle, della sua libertà e della sua obliqua appartenenza, sbucava dall’ultimo stretto tornante in discesa verso il campeggio. Pianse. Stava tornando al suo posto sulla terra.
La montagna piegava la sua imponenza gradualmente verso il mare, lasciando orme di scogli intorno al punto in cui terra ed acqua si incontravano. Il faro sorvegliava la scogliera sottomarina da sempre, la macchia mediterranea profumava di campagna e salsedine in un connubio che avrebbe inebriato persino il padre eterno. Dall’alto, la trasparenza del mare e i viali vuoti di vacanzieri e roulotte stonavano particolarmente rispetto ai suoi ricordi di compagnie immense e senso di comunità. Quando finalmente il viottolo addossato alla parete montuosa ebbe fine, fecero il loro ingresso al Villaggio Camping La Scogliera.
  • “Questa è la scogliera che cercate” – Arianne lesse ad alta voce quella scritta all’ingresso, mentre oltrepassavano il cancello elettrico rosso.
Si fermarono accanto al vecchio ulivo che aveva visto lei e i suoi amici crescere. Scese dall’auto per farsi riconoscere e non tardarono ad accoglierla come si aspettava.
Ed la osservava conversare con due persone, una donna insieme ad un uomo di colore che le sorridevano e le stringevano la mano con confidenza. Federica la seguì poco dopo, anche lei con quell’aria felice che non comprendeva. Rimase in auto, nonostante volesse sgranchirsi le gambe, osservando l’ambiente. I primi appartamenti tinteggiati di bianco si ergevano intorno a lui, diramandosi tra alberi di fico, viti, buganvillae e banani. Un campetto da calcio, decisamente trascurato, dormiva inutilizzato alla sua destra e i bagni comuni si presentavano alla sua sinistra. Non il massimo, pensò, per chi visita il posto per la prima volta. Quando l’auto si mosse, si accorse che il guardiano avesse aperto la sbarra automatica e si stessero addentrando nel campeggio. Centinaia di roulotte coperte e in attesa dell’estate si stendevano a perdita d’occhio, addossate alla montagna per l’inverno e dopo di loro, un vasto spazio ombreggiato da teli rudimentali lasciava intravedere la fine dei terreni, fino alla roccia granitica. Si fermarono fuori alla reception, una casetta in cemento e tettoia di legno davvero poco moderna, le trecce di cipolla e peperoncino appese alle travi, il profumo di paglia e un cane che dormiva accanto ad una scrivania lasciata fuori. Scesero, richiamati da Federica.
  • Biagio! – la sentì dire, non appena scese dall’abitacolo.
La guardò avanzare in shorts e maglietta a maniche corte verso un anziano che se ne stava seduto al sole, poco distante da lui. Un uomo piccolo e rugoso, un cappello all’italiana in testa.
  • È il proprietario del posto. – spiegò loro Federica.
  • Si conoscono così bene? – chiese allora.
Ebbe in risposta solo un sorriso carico di tenerezza. La guardò abbracciare il vecchio con affetto e accarezzare il cane con sicurezza, accovacciata sul cemento. Sembrava così felice.
Gli fecero fare un giro del posto, passando per l’estremo nord, sul quale si affacciava un parcheggio stracarico di roulotte chiuse, fino all’estremo sud, che dava su un vero paradiso tropicale. La spiaggia di granito bianco rendeva l’acqua così chiara e traslucente da abbagliare tutti col suo azzurro. Lo scroscio del mare in quel silenzio sembrava un sogno. I terrazzamenti erbosi che si sarebbero popolati in estate, affacciavano direttamente sulla spiaggia alla quale si accedeva scendendo pochi gradini di legno. Al centro del villaggio, accanto alla reception, c’era una terrazza in cemento, probabilmente illegale, ma che offriva uno spettacolo senza pari: la vista del profilo del capo a sinistra, immerso nelle acque cristalline, e lo spettacolo di Stromboli proprio davanti a loro. Un pennacchio di fumo si ergeva dalla bocca del vulcano, mostrandogli uno spettacolo che non aveva mai ammirato prima.
Persero la mattinata stringendo mani e sistemando bagagli, finché non fu finalmente l‘ora di pranzare. Li fecero accomodare ad un lungo tavolo ombreggiato dalla tettoia del bar e gli servirono l’impossibile. Assaggiò cipolle, peperoncini, ‘nduja, insaccati e portate di ogni tipo, osservando Sara che sembrava così a suo agio da perdere ogni velo di incertezza o inquietudine. Sedeva e conversava con Federica e quelle due persone che scoprì essere la nipote del capo e suo marito. Alla fine del pasto, sorseggiando quel caffè ristretto, si concesse di alzarsi dal tavolo e accendersi una sigaretta accanto a lei, intromettendosi in una conversazione che sicuramente non comprendeva.
  • Complimenti, è un posto meraviglioso. – disse – Vivete in un vero paradiso.
  • Ed, questi sono Alice e Gaston, gestiscono loro la struttura per Biagio. – rispose lei, con una serenità insolita.
  • È un piacere ospitare Sara per il film, ci conosciamo da così tanto tempo!
La luce che brillava negli occhi di Sara, appoggiata alla balaustra di legno, sembrava riflettere l’azzurro del Mediterraneo cristallino alle sue spalle.
Si era fermato a conversare con loro per un’oretta. Non si aspettava di trovarselo vicino e invece non aveva esitato a raggiungerla. Da quando aveva messo piede lì dentro sentiva di essere tornata allo status quo, serena e tranquilla come non si sentiva da un anno.
  • Io devo andare, - gli disse, quando furono soli sull’affaccio – devo sistemare casa con Federica e Arianne.
  • Dove vi hanno sistemate? – le aveva chiesto.
  • Oh, useremo la mia roulotte.
Gliel’aveva indicata col dito, posizionata nella sua piazzola preferita, in prima fila davanti al mare, spalle al capo per evitare il sole battente. Lui l’aveva guardata con disappunto, probabilmente chiedendosi perché alloggiare in una roulotte.
  • Non riuscirei a stare in un appartamento, qui. – spiegò al suo sguardo dubbioso – Ho bisogno di svegliarmi e vedere il mare. Ti piacerebbe.
Aveva afferrato la sua borsa, gli aveva sorriso raggiante e lo aveva mollato lì, troppo impaziente di mettersi al lavoro, ma pochi minuti dopo se lo ritrovò davanti, curioso di osservarle lavorare. Sara si limitò a guardarlo un momento, poi tornò a dirigere Federica e Arianne che la aiutavano a mettere su la veranda. Quando fu il momento di allungare il paletto centrale per dare la classica forma spiovente, sentì le sue mani correrle in soccorso. Il suo profumo si mischiava con quello della salsedine. Sentì più prepotente l’erbetta fresca sotto i piedi, mentre lo guardava negli occhi, così vicini.
Non c’era cosa che potesse andare storta, ora che si trovavano lì, non c’era sentimento negativo che avrebbe potuto oscurarle il cuore. Sentiva che sarebbe andato tutto bene. Che quel posto, ancora una volta, avrebbe fatto la sua magia e avrebbe riparato la sua anima a suon di mare e di tranquillità.
Intanto gli addetti del campeggio sistemavano le roulotte per le riprese del giorno dopo e la troupe organizzava il sistema di telecamere incastrando fili e materiali su quel terreno spartano che sapeva di casa.
Che sapeva di felicità.

 
  
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