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Autore: Jade Tisdale    27/03/2021    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 21:
Back in action

 

 

 

 

Dopo aver riposto gli ultimi pasticcini nella vetrinetta espositiva, Nyssa osservò il proprio operato con un sorriso soddisfatto. Nelle settimane precedenti le era toccato spesso il turno serale; per questo motivo, aveva dimenticato quanto fosse bello iniziare la giornata circondata da tavolini puliti e dall’odore di croissant appena sfornati.
Non appena si fu accertata di non aver dimenticato nulla, Nyssa si diresse verso la porta d’entrata, per poi girare il cartellino appeso al vetro da “chiuso” ad “aperto”. Non c’era ancora nessuno fuori dal bar, perciò era il momento ideale per fare colazione; tuttavia, proprio mentre stava tornando dietro al bancone, la porta si aprì, con il suono del campanello ad annunciare l’arrivo del primo cliente della giornata.
La figlia di Ra’s al Ghul rimase stupita nel constatare che si trattava della sua allieva.
«Laurel?» esclamò, confusa. «Cosa ci fai qui a quest’ora?»
L’avvocato andò a sedersi silenziosamente in uno degli sgabelli del bancone, un sorriso misterioso a contornarle le labbra.
«È successo qualcosa?» proseguì l’Erede, aggrottando la fronte.
Laurel scosse il capo. «No, va tutto bene. Mi sono solo svegliata più presto del solito e ho pensato di passare a salutarti» spiegò, incontrando lo sguardo della sua interlocutrice. «E sono qui anche per un caffè macchiato, ovviamente.»
Nyssa la osservò incerta per alcuni istanti. «Beh, se è solo per questo, te lo faccio subito» affermò, per poi dirigersi verso la macchinetta del caffè.
«Questo, e... volevo anche dirti che io e mia sorella ci siamo chiarite.»
«Lo so. Sara me l’ha detto.» Nyssa mise il coperchio sopra al bicchiere di carta in cui era contenuto il caffè, dopodiché lo porse a Laurel.
«Ecco, mi stavo chiedendo... che ne diresti se proponessimo anche a lei di venire ai nostri allenamenti? È dal giorno del matrimonio di Oliver e Felicity che ci penso.»
A quelle parole, Nyssa arricciò il naso. «Forse è ancora presto, Laurel. Diamole il tempo di digerire la cosa.»
«Sì, forse hai ragione» concesse la maggiore delle sorelle Lance. «Mi sa che mi sto esaltando un po’ troppo» aggiunse, porgendo a Nyssa i soldi del caffè.
«Quanto a Oliver? Dubito che non si sia ancora fatto due domande sull’identità della nuova vigilante.»
«Glielo dirò il prima possibile, promesso. Ora, però, c’è mio padre in cima alla lista» spiegò l’avvocato, con un sospiro. «Temo che possa avere una reazione simile a quella di Sara.»
«Io, invece, credo che sarà molto comprensivo» affermò l’Erede del Demonio, con un sorriso. «Insomma, se ha superato il fatto che tua sorella facesse parte della Lega degli Assassini, credo che ormai possa incassare qualunque colpo.»
«Lo spero. Ha pur sempre problemi di cuore, e non voglio dargli troppe preoccupazioni.»
«Hai ragione. Ma questa è una cosa che non potrai tenerti per te ancora per molto.»
Laurel si strinse nelle spalle, riflettendo sulle parole di Nyssa. Aveva ragione su tutto ‒ o quasi, visto che nessuna delle due poteva prevedere quale sarebbe stata la reazione di Quentin.
Da un lato, Laurel era terrorizzata all’idea di rivelare il suo segreto a così tante persone; dall’altro, non vedeva l’ora di togliersi quel peso. Quello che era certo era che adesso, oltre a Nyssa, c’era anche Sara a sostenerla. E questo bastava a tranquillizzarla almeno un pochino.
«Ora è meglio che vada» disse ad un tratto, alzandosi in piedi. «Grazie del caffè.»
«Se hai novità chiamami.»
Laurel prese a indietreggiare senza mai staccare gli occhi da Nyssa. «Sarà fatto» concluse, per poi voltarsi verso l’uscita.
Quando lo fece, però, complice anche la mancanza di visuale, andò a sbattere contro qualcosa. Inizialmente pensò che si trattasse del vetro della porta, ma poi si rese conto che era una persona.
Josh.
«Oh mio Dio, perdonami!» esclamò l’avvocato, coprendosi la bocca con una mano. «Stavo parlando con Nyssa e mi sono distratta. Non so dove ho la testa in questo periodo. Ti sei fatto male?»
Josh prese a massaggiarsi il naso con l’indice e il medio, ma smise di farlo non appena vide lo sguardo preoccupato di Laurel. «Non è niente. Sono cose che capitano.»
«Sicuro? Perché ho degli amici molto bravi a curare le ferite. Dovresti saperlo bene.»
L’uomo non poté fare a meno di trattenere una risata. «Allora te lo ricordi?»
«Hai sentito la mia voce, ti sei spaventato, e sei caduto a terra davanti ai miei occhi. Come potrei dimenticare una scena simile?»[1]
«Non hai tutti i torti, effettivamente» ammise lui, abbozzando un sorriso.
«Allora... non è suonata la sveglia, questa mattina?»
«Cosa? Oh... no, a dire il vero non sono nemmeno di turno, oggi. È solo che ieri ho dimenticato il cellulare nel retro, così sono venuto a riprenderlo» spiegò Josh, grattandosi distrattamente la testa.
«Capisco. Io invece devo proprio scappare, altrimenti farò tardi al lavoro» concluse la donna, indicando con un cenno del capo l’orologio appeso al muro. «Buona giornata!»
«Ma certo. Anche a te.»
Laurel lo salutò con un mezzo sorriso prima di uscire dal bar. Josh la guardò andarsene, dopodiché raggiunse Nyssa dietro al bancone: stava asciugando una tazza con uno strofinaccio.
«Giornata fiacca, eh?»
«Abbiamo aperto da soli cinque minuti» sottolineò la mora, senza mai staccare lo sguardo dall’oggetto che teneva tra le mani.
«Vero.»
Subito dopo, Nyssa mise la tazza a posto, piegò lo strofinaccio e afferrò un croissant alla crema dall’espositore, pronta a gustarsi finalmente la sua colazione. Josh non le aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo, e questo le fece capire che stava per chiederle un favore.
«Risparmiami i convenevoli e vai dritto al punto.»
Dopo un primo momento di esitazione, Josh prese un respiro profondo, pronto a sganciare quella bomba. «Tua cognata... è occupata?»
A quel punto, Nyssa si voltò verso di lui con un sopracciglio inarcato. «Chi? Laurel? E da quando sarebbe mia cognata?» domandò, fingendosi confusa.
«Beh, è come se lo fosse, no?»
Nyssa prese un respiro profondo. Perché ultimamente aveva l’impressione che tutti volessero che lei e Sara convolassero a nozze? Era un segno del destino, forse?
«Comunque, ha perso il suo ragazzo due anni fa nel terremoto» proseguì, ignorando le parole di Josh. «Era una relazione seria.»
«Oh» rispose semplicemente lui.
La donna diede un morso al suo croissant. «Non dirmi che sei interessato a lei.»
E poi, ci hai messo così poco tempo a dimenticarmi?, avrebbe voluto aggiungere, ma non era il caso. Dopotutto, se Josh si fosse trovato una ragazza, per lei sarebbe stata più una liberazione che un dispiacere.
«Non lo so» rispose l’uomo, facendo il vago. «Forse.»
«Sta’ attento, Josh» lo ammonì la mora. «I Lance mordono.»
«Grazie dell’avvertimento, ma non mi farò avanti con una donna fresca di lutto.»
«Saggia decisione.»
Josh uscì dal bancone, per poi dirigersi verso la porta che conduceva sul retro. «Vado a prendere il mio cellulare.»
Poi, convinto che Nyssa non potesse sentirlo, aggiunse sottovoce: «È solo che non riesco a togliermi dalla testa la sua voce.»
Ma Nyssa lo sentì e sorrise sotto ai baffi.



Fin dalla nascita, Lisa Diggle aveva dimostrato di essere una bambina molto vivace. Le piaceva fare la nanna con il suo papà, tirare i capelli della sua mamma e, soprattutto, giocare con la sua amica Kaila.
Fortunatamente per lei, Sara e Lyla si incontravano spesso per permettere alle bambine di stare insieme. Un po’ come quel pomeriggio.
«Ci credi che le nostre figlie tra poco compiranno un anno?»
Sara alzò lo sguardo in direzione di Lyla, rivolgendole un sorriso che lasciava trasparire una lieve nostalgia. «Già. Il tempo è proprio volato.»
Seduta sul tappeto di casa Diggle, Sara prese a guardarsi intorno intenerita: l’appartamento era tempestato di foto di Lisa, e c’erano peluches da tutte le parti.
«Lisa ama i pupazzi» spiegò Lyla, seguendo il suo sguardo.
«Anche Kaila. Ma ora è più interessata a morderli piuttosto che a usarli per giocare.»
«È nella fase dentini?»
Sara annuì, accarezzando la testolina di sua figlia. Kaila era intenta a osservare Lisa mentre cercava di inserire delle formine colorate dentro a un cubo di legno.
«Dopo il matrimonio di Oliver e Felicity, ha avuto la febbre alta per un paio di giorni. Ero preoccupata, ma la pediatra mi ha rassicurata dicendo che, molto probabilmente, stava per uscirle un dentino. E aveva ragione. Spuntano come funghi.»
A quelle parole, Lyla scoppiò a ridere. «È proprio vero. Per adesso, Lisa ne ha solo quattro. In compenso, la settimana scorsa ci ha regalato i suoi primi passi.»
«Davvero? È meraviglioso!»
«Ormai vuole fare tutto da sola, come tenere il cucchiaino della pappa, oppure il biberon. Ovviamente sporca dappertutto, ma sono felice che abbia questa determinazione.»
Sara alzò le spalle con un sorrisino. «Beh, con due genitori come voi, che ti aspettavi?»
«Forse non hai tutti i torti» concesse Lyla, ridendo ancora. «Lisa, perché non fai provare anche Kaila?»
La bimba alzò la testa, scrutando la madre con i suoi grandi occhi marroni. Poi, spostò lo sguardo sulla formina che teneva in mano. Era un triangolo blu. Sembrò pensarci su per qualche istante, e dopo aver rivolto a Kaila un sorrisino, gliela porse.
«Grazie, Lisa» disse Sara, accarezzandole la guancia sinistra con il palmo della mano. «Sei molto gentile.»
«Di solito è gelosa dei suoi giochi, ma con Kaila diventa un’altra bambina» spiegò Lyla, osservando la figlia con uno sguardo affettuoso. «Sai, mi piacerebbe avere un altro figlio, ma John non ne è convinto. Credo voglia aspettare ancora un po’.»
«John è un bravo padre» affermò Canary, «ma le nostre vite sono... molto complicate.» Subito dopo, sospirò. «John lo sa. Per quelli come noi, il futuro è incerto. Possiamo contare solo sul presente. E ora il vostro presente è Lisa.»
«Penso di capire dove vuoi arrivare.» Lyla sospirò a sua volta, passandosi una mano tra i capelli. «In questo momento, la nostra priorità è Lisa. Se non siamo d’accordo entrambi, significa che non è il momento adatto per mettere al mondo un altro figlio. Vorrà dire che aspetterò.»
Sara delineò un mezzo sorriso. «Non c’è fretta.»
Lyla annuì piano, per poi osservare Sara con uno sguardo incuriosito. «E voi, invece? Avete dei progetti?»
La bionda scosse il capo. «Non proprio. Ho sempre pensato che sarebbe stato Oliver a dare un fratello o una sorella a Kaila. Ma, come ho detto poco fa, la vita è incerta. L’unica cosa di cui sono sicura, è che io e Nyssa siamo d’accordo sul nostro futuro. Sarebbe bello avere altri figli, ma siamo pur sempre due ex membri della Lega degli Assassini, perciò... non ci abbiamo mai pensato seriamente. E poi, Kaila ha completato la nostra famiglia. È come se la sua nascita avesse chiuso un cerchio.»
Lyla sorrise sotto ai baffi, visibilmente toccata dalle parole di Sara. «È bello che vi sentiate così» affermò, stringendole la mano. «Sono molto felice per voi, ragazze.»
Sara sorrise a sua volta, arrossendo appena. Anche lei era felice, e sperava con tutto il cuore che quella felicità non le venisse mai portata via.
Un attimo dopo, un rumore attirò la sua attenzione. D’istinto, Sara ritrasse la mano e si voltò di scatto in direzione della porta.
«Va tutto bene?» domandò Lyla, osservando attentamente i lineamenti di Sara. Teneva lo sguardo fisso sulla maniglia.
«Ho sentito dei passi» spiegò la bionda poco dopo, voltandosi nuovamente in direzione di Lyla. «Ma li ho riconosciuti.»
Non appena Sara ebbe pronunciato quelle parole, la porta si aprì di colpo.
«Indovinate un po’ chi ha fatto la spesa?»
John fece il suo ingresso nella stanza con tre buste di carta tra le mani e un sorriso a trentadue denti. Subito dopo, si richiuse la porta alle spalle con un calcio, attirando l’attenzione delle bambine. Quando si rese conto che si trattava di suo padre, Lisa spalancò la bocca dalla felicità e iniziò a gattonare rapidamente verso di lui. Fu in quel momento che l’uomo si rese conto della presenza di due ospiti.
«Oh, Sara! Non sapevo ci foste anche tu e Kaila.»
«A dire il vero, passavamo di qui per caso. Sono andata a prendere un paio di cose in farmacia, e siccome dista pochi isolati da qui, ho pensato di venirvi a trovare» spiegò la donna, avvicinandosi a lui. «Vuoi una mano con la spesa? Credo che Lisa voglia che tu la prenda in braccio» affermò poi, indicando la bambina con lo sguardo. Teneva le manine strette sull’orlo dei jeans di John, e non sembrava intenzionata a lasciar andare la presa.
«Sì, ti ringrazio. Metti pure tutto in cucina.»
Sara obbedì, dileguandosi nella stanza accanto. Nel frattempo, John prese in braccio la figlia, mentre Lyla si mise a giocare insieme a Kaila e alle formine che avevano intrattenuto le bambine per tutto il pomeriggio.
La tua mamma è proprio unica, pensò l’agente dell’A.R.G.U.S., osservando i capelli biondi di Kaila, identici a quelli di Sara. Chissà a che tipo di addestramento è stata sottoposta...
«Sei proprio carina» disse invece, ricevendo una smorfia da parte della bimba.
«Quando fa così è perché non mi vede nei dintorni da un po’ di tempo» spiegò Sara, tornando in salotto. «Lo fa sempre, ma se poi riconosce i visi delle altre persone presenti, di solito non scoppia nemmeno a piangere.»
«Lisa invece potrebbe venire rapita e non se ne accorgerebbe nessuno» dichiarò John, dando un bacio sul capo alla figlia. «Ormai è già un’adolescente che odia passare del tempo con i suoi genitori.»
«Non è del tutto vero. Quando sei tornato, sprizzava gioia da tutti i pori» s’intromise Lyla.
«Certo, però non è nemmeno scoppiata a piangere quando sono uscito di casa. Diciamo che, anche se sente la nostra mancanza, si adatta facilmente.»
«Il mio scricciolo invece preferisce strare con la sua mamma. Non è vero, amore?» rise Sara, prendendo la figlia in braccio.
«Non sarebbe neanche poi così strano. Dopotutto, sei la persona che passa più tempo insieme a lei» affermò Lyla, dando a Kaila un buffetto sulla guancia.
«Giusto. Ma forse mi cerca solo perché sa che sono l’unica che può darle ancora un po’ di latte» esclamò Sara, scoppiando a ridere subito dopo.
«Beh, sicuramente è un punto a tuo favore» confermò Dig, abbozzando un sorriso. «Quindi, prende ancora volentieri il latte materno?»
«Sì, altroché. Non è molto, ma lo vuole ancora» spiegò Canary, dando una rapida occhiata allo schermo del cellulare. «Ora che mi ci fai pensare, è quasi ora di cena per lei.»
«Perché non vi fermate qui da noi? Così, dopo la pappa, le bambine potranno giocare ancora un po’» propose Lyla. «Che ne dici, Johnny?»
«Dico che sarebbe un’idea grandiosa» replicò lui.
«Vi ringrazio, ragazzi. È stata una giornata piacevole, ma Nyssa ha finito il turno poco fa e le ho chiesto di passare a prendermi. Ormai dovrebbe arrivare a momenti.»
A quelle parole, John sorrise a labbra strette. «Alla fine, sei riuscita a convincerla a iscriversi a scuola guida?»
Sara scosse il capo con un’espressione divertita. «Purtroppo no, ma Felicity mi ha assicurato che la sua patente è vera.»
«Quindi, o ti ha mentito, oppure a Nanda Parbat avete degli amici potenti» rifletté l’uomo a voce alta.
«Punterei sulla seconda» concluse la bionda, avviandosi verso la porta.
Tuttavia, prima che potesse compiere un altro passo, il suo cellulare e quello di John presero a squillare nello stesso momento. Il che poteva voler dire soltanto una cosa.
«Felicity» sussurrò Sara, prima ancora di aver letto il messaggio.
«Che succede?» domandò Lyla, confusa.
Diggle lesse rapidamente il messaggio, dopodiché si rivolse alla moglie. «L’altro giorno, il capitano Lance ci ha messi al corrente del fatto che, da alcune settimane, in città sta circolando una nuova droga. La polizia ritiene che sia addirittura più potente della Vertigo.»
«Si chiama “Labyrinth” e, come suggerisce il nome, le persone che la assumono cadono in stato confusionale e sono convinte di essere rinchiuse in un labirinto o in una stanza priva di vie d’uscita. Finiscono per impazzire nell’arco di mezz’ora, e la maggior parte di loro, alla fine, non riesce a sopportare il peso delle allucinazioni e compie il gesto estremo» continuò Sara. «Mio padre ha chiesto a Felicity di aiutare la polizia a scoprire dove viene prodotta questa droga.»
«E l’ha trovato. Il loro nascondiglio è in un appartamento abbandonato» concluse Diggle per lei. «Oliver è già sul posto, ma non ha idea di quante persone dovrà affrontare. Perciò, Felicity ci ha inviato le coordinate per andare ad aiutarlo.»
«Va’, Johnny» lo esortò Lyla, togliendogli Lisa dalle braccia. «Hanno bisogno di te.»
L’uomo non se lo fece ripetere due volte; diede un bacio a Lisa e Lyla, salutò Sara con un cenno del capo e uscì di corsa dall’appartamento.
«Tu non vai con lui?»
Canary scosse il capo. «Non sono ancora tornata sul campo, in realtà» rivelò, trattenendo un sospiro. «Ho ricevuto il messaggio anche io perché Felicity ha insistito affinché creassimo un gruppo, così che, in caso di necessità, potessimo avvisare il resto del Team in un attimo.»
«Capisco. Allora, vuoi aspettarli qui? O preferisci che ti riaccompagni a casa?»
Sara esitò per un istante, dopodiché spostò lo sguardo su Kaila.
«A dire il vero, se potessi darmi un passaggio fino al Covo, te ne sarei molto grata.»



Quando Sara giunse davanti alla porta che conduceva alla ex fonderia, si rese conto che qualcuno era arrivato prima di lei. E quel qualcuno stava già inserendo il codice per aprirla.
«Dig?» esclamò la donna, stupita. «Cosa ci fai qui? Non dovevi andare ad aiutare Oliver?»
John si voltò, incontrando lo sguardo confuso di Sara. «È quello che stavo per fare, ma Felicity mi ha richiamato per dirmi che Roy era stato il primo ad arrivare, e che ormai avevano già messo al tappeto tutti quanti. Non aveva senso recarmi là, perciò mi ha chiesto di venire al Covo.»
«Ha fatto lo stesso con me.»
Sara si voltò, ritrovandosi a pochi passi da Nyssa. Quest’ultima la abbracciò, per poi dedicarle uno sguardo preoccupato.
«Dov’è Kaila?» domandò la figlia di Ra’s, prendendole il viso tra le mani.
«Con Lyla» la rassicurò Sara. «Mi ha accompagnata fino a qui, ma le ho detto di tornare a casa con le bambine.»
A quelle parole, l’Erede si rilassò. «Capisco. Stavo venendo a prenderti quando ho ricevuto il messaggio di Felicity, perciò ho fatto dietrofront.»
«Lo immaginavo.»
Subito dopo, Sara si accorse che dietro a Nyssa c’era un’altra figura che era rimasta in silenzio fino a quel momento.
Laurel.
«Beh, direi che ci siamo tutti» sentenziò John, spalancando la porta. «Forza, andiamo di sotto a fare il punto della situazione.»
Le tre donne lo seguirono in silenzio lungo la scala di metallo. Lungo il tragitto, Sara osservò la sorella con la coda nell’occhio. Qualcosa la turbava, poteva sentirlo. Ma non era né il luogo, né il momento adatto per fare domande.
Una volta giunti al piano sotterraneo, John, Nyssa, Sara e Laurel furono molto sorpresi di trovare Oliver e Roy in piedi di fianco a Felicity.
«Come, siete già di ritorno?» domandò Diggle, avvicinandosi a loro di qualche passo.
«È stata una missione più facile del previsto» dichiarò Oliver, dando ad Arsenal una pacca sulla spalla. «L’aiuto di Roy è stato prezioso, ma non si trattava di uomini particolarmente pericolosi. Penso che fossero delle semplici pedine.»
«A che ti riferisci?» chiese Nyssa, incrociando le braccia.
«Sembrerebbe che gli spacciatori che hanno rivendicato la produzione della Labyrinth abbiano poco più di vent’anni, e, soprattutto, sono senza precedenti» s’intromise Felicity, facendo apparire sugli schermi dei computer le fotografie di due ragazzi. «Dopo avervi contattato, ho subito informato la polizia, e il capitano Lance mi ha aggiornata proprio adesso sulle generalità di questi delinquenti.»
«Vuoi dire che qualcuno potrebbe avere usato dei ragazzini come scudo?» esclamò Laurel, con un’espressione disgustata sul viso.
«Di sicuro, non sono del tutto innocenti» spiegò Roy, poggiando l’arco sopra al tavolo. «Però, dubito che siano stati loro a distribuire la droga in città. Veniva prodotta in un monolocale abbandonato in pieno centro, e quando siamo arrivati abbiamo trovato soltanto loro due. Sono più dell’idea che lavorassero per conto di qualche pezzo grosso che, in qualche modo, è riuscito a convincerli a prendersi interamente la colpa.»
Oliver compì alcuni passi in avanti, fermandosi esattamente al centro della stanza. «Quello che è certo, è che adesso se ne occuperà la polizia. Scusate se vi abbiamo fatto venire qui per niente. Felicity ha delle dita veloci, e prima che avessi il tempo di oppormi, aveva già inviato il messaggio.»
«Siamo un Team, Ollie» affermò Sara, stringendo un braccio intorno alla vita di Nyssa. «E poi, ha fatto bene a chiamarci tutti. Se qualcuno di noi fosse stato al lavoro o non si fosse potuto muovere, ci sarebbero stati gli altri.»
Diggle annuì, trovandosi d’accordo con le parole di Sara. «Giusta osservazione.»
Roy si schiarì leggermente la voce, attirando l’attenzione di Oliver. «Quindi, se non c’è altro da aggiungere, possiamo tornare a casa?»
Prima che Arrow potesse replicare, Laurel fece un passo avanti, attirando l’attenzione dei presenti. «A dire il vero, visto che siamo tutti qui, vorrei approfittarne per parlarvi di una cosa.»
Quando udì quelle parole uscire dalla bocca di Laurel, Sara capì tutto quanto. Ecco perché, pochi minuti prima, sua sorella le era sembrata strana. Era arrivato il momento di dire la verità.
Un attimo dopo, Oliver corrugò la fronte, ruotando appena la testa di lato. «Va bene. Ti ascoltiamo.»
Laurel prese un respiro profondo, per poi voltarsi in direzione di Sara. Adesso che aveva l’appoggio di sua sorella, si sentiva più forte, ma sapeva che non sarebbe stato comunque facile convincere Oliver a prenderla sul serio. Sara le fece un cenno col capo, come per dirle di riprendere la parola. E Laurel si fece coraggio.
«Vi volevo parlare della nuova vigilante» esordì, iniziando a massaggiarsi nervosamente le mani. «Quella che somiglia a Canary.»
«L’ho vista al notiziario qualche giorno fa» disse Felicity, iniziando a digitare qualcosa sulla tastiera del computer. Subito dopo, mostrò ai presenti una fotografia ritraente la donna. «Sembra una tosta. Ma credo che se si fosse trattato di una tua emulatrice con un doppio fine, ti avrebbe già cercata» aggiunse, rivolgendosi a Sara.
«Personalmente, non credo che dovremmo preoccuparcene» replicò la minore delle sorelle Lance, cercando di mantenere un tono neutro.
«Se non rappresenta una minaccia per il Team, per quel che mi riguarda, può fare ciò che le pare. Purché non ci sia d’intralcio» affermò Oliver, voltandosi verso la moglie.
«Come ho appena detto, dubito che voglia qualcosa da noi» proseguì il tecnico informatico. «So che temi possa avere a che fare con la Lega degli Assassini, ma non devi dimenticare che quello che facciamo è importante. Ed è naturale che ci siano degli emulatori sparsi per la città. Sapevamo che sarebbe successo, prima o poi.»
«Felicity ha ragione, Oliver» affermò John, incrociando le braccia. «Non deve per forza volere qualcosa da Sara. O da noi. Può darsi che si tratti‒»
«Sono io l’emulatrice» disse ad un tratto Laurel. «Sono io la donna della foto» aggiunse, come se il concetto non fosse abbastanza chiaro.
Per Laurel, il silenzio che seguì fu una riposta forte e chiara. Tutti, a parte Nyssa e Sara, la fissavano scioccati. E confusi.
Improvvisamente, iniziarono a tremarle le gambe. Aveva immaginato che sarebbe stato difficile ottenere l’approvazione dei suoi compagni di squadra, ma non credeva che sarebbe andata a finire così. Oliver aveva la bocca semiaperta, mentre Diggle teneva le mani davanti al naso. Roy e Felicity, invece, si guardavano con uno sguardo sconvolto.
«Tu?» chiese Oliver, la voce ridotta a un sussurro. «Ti prego, dimmi che non fai sul serio.»
«Sono serissima» proseguì l’avvocato, serrando appena i pugni. Stava riguadagnando un po’ di forza, ma si sentiva comunque piccola e indifesa, come una formica.
Lui annuì piano, chiudendo gli occhi per un paio di secondi. Quando li riaprì, si lasciò andare a un pesante sospiro.
«Chi ti ha addestrato?»
Laurel attese alcuni istanti prima di rispondere, ma prima che potesse dire una parola, Nyssa si fece avanti.
«Sono stata io.»
Oliver socchiuse le palpebre a due fessure, osservando la sua interlocutrice con uno sguardo visibilmente ferito.
«E avete fatto tutto questo alle mie spalle? Alle nostre spalle?» Oliver si prese la testa fra le mani, portando le labbra verso l’interno. Poi, rilassò lentamente le braccia, pensando alle parole giuste da dire. «Non fingerò di non sapere perché tu l’abbia fatto, Laurel. Quello che invece non capisco, è come tu abbia potuto fare una cosa del genere senza prima‒»
«Discuterne con te?» proseguì Nyssa, con aria di sfida. «Era questo che volevi dire?»
Oliver si morse la lingua. Se avesse risposto affermativamente, nessuno sarebbe stato dalla sua parte. In fondo, anche lui era consapevole che Laurel era una donna adulta, libera di prendere le sue decisioni da sola. Quello che non poteva sopportare, era l’idea che le persone che amava potessero essere messe in pericolo.
Su questo, lui e Sara erano molto simili.
«Se può farti stare meglio, anche io ne ero all’oscuro fino a pochi giorni fa.»
Arrow si voltò in direzione di Sara. Aveva sperato fino all’ultimo che almeno lei non fosse coinvolta, ma era comunque ovvio che avrebbe preso le difese di sua sorella e della sua ragazza.
«Non è una questione di chi lo sia venuto a sapere prima» spiegò Oliver, cercando di mantenere un tono di voce calmo. «Si tratta di mettere a rischio la propria vita e quella di chi ci sta intorno. E con tutto quello che abbiamo passato nell’ultimo anno, mi ferisce sapere che proprio tu le abbia dato corda» concluse, puntando il dito in direzione di Nyssa.
«Ehi» esclamò Canary, frapponendosi tra Oliver e Nyssa. «Nemmeno io ne ero contenta, all’inizio. Ma poi Laurel mi ha fatto capire che è stata una sua scelta al cento per cento. E l’ho accettato.» Come feci io a mio tempo, pensò. «E se Nyssa ha acconsentito ad addestrarla, l’ha fatto solo per proteggerla. Se avesse rifiutato, credi che Laurel si sarebbe arresa tanto facilmente? Sai anche tu che non è così, Ollie. E sai anche che è stato molto più sicuro avere Nyssa al suo fianco, piuttosto che uno sconosciuto.»
Oliver non poté replicare in alcun modo. Sapeva che Sara aveva ragione, ma sapeva anche che le loro vite erano molto pericolose. E lui voleva bene a Laurel, perciò il pensiero di vederla nei panni di vigilante non gli piaceva neanche un po’.
«Gli ultimi due anni sono stati molto difficili, per me. Tu lo sai meglio di chiunque altro.»
La voce di Laurel si propagò all’interno del nascondiglio, attirando nuovamente l’attenzione dei presenti.
Oliver inspirò profondamente. Sapeva già dove sarebbe andata a parare.
«La morte di Tommy. Il ritorno di Sara. L’alcolismo. I rapimenti. Tutto questo mi ha segnata, Oliver. E se non fosse stato per Nyssa, probabilmente dopo essere stata aggredita per l’ennesima volta avrei ricominciato a bere. Invece, lei mi ha insegnato a usare le mie debolezze e la mia rabbia per diventare più forte.»
Laurel espirò, iniziando a sentirsi sempre più leggera. Ma c’era ancora una cosa che sentiva il bisogno di dire.
«Abbiamo già discusso una volta riguardo al mio ruolo nel Team, ma non voglio litigare di nuovo con te. Voglio solo che tu capisca che sono una donna adulta, Oliver. Questo significa che non ho bisogno della tua approvazione. Ma, nonostante tutto... la voglio. Perché in questo momento della mia vita, averti dalla mia parte è la cosa più importante.»
Arrow rimase in silenzio per diversi istanti. Poi, compì un gesto che scatenò lo stupore di tutti. Strinse Laurel in un abbraccio, e fu talmente improvviso che persino l’avvocato ne rimase sorpresa.
«Non mi serviva un abbraccio.» Nonostante le lacrime le stessero facendo pizzicare gli occhi, Laurel cercò di fare la dura.
«Invece sì» replicò lui, sciogliendo la stretta. «Avevi bisogno di un abbraccio. Avrei dovuto dartelo molto tempo fa.»
«Vale anche per noi» s’intromise Felicity, alzandosi dalla sua postazione. «Ti vogliamo bene, Laurel. E ti supportiamo.»
«Siamo dalla tua parte» proseguì John, rivolgendole un sorriso.
A quel punto, Laurel non riuscì più a trattenersi: scoppiò a piangere come una fontana, riuscendo a trattenere a stento i singhiozzi, mentre un sorriso faceva capolino sul suo viso.
«Grazie, ragazzi. Siete gli amici migliori che potessi desiderare.»
«Siamo una squadra, giusto? E poi, due mani in più fanno sempre comodo» aggiunse Roy. «A questo proposito, credo che anche Thea sarebbe elettrizzata all’idea di entrare a far parte del Team.»
Oliver abbozzò una risata, per poi farsi subito serio. «Non ci pensare neanche. Sto già facendo un enorme sforzo in questo momento, figuriamoci permettere a mia sorella di combattere insieme a noi» proseguì l’uomo. «E poi, se andiamo avanti di questo passo, tra poco non avremo più spazio per mettere dei nuovi costumi nelle teche.»
«Effettivamente, questo posto è diventato parecchio affollato nell’ultimo anno» esclamò Felicity, avvolgendo un braccio intorno alle spalle di Sara.
«Aspetta un momento» disse Laurel, riflettendo sulle parole pronunciate da Oliver. «Questo significa che mi lascerai venire in missione con voi?»
L’uomo annuì piano. «Ma sarai la nostra ultima risorsa. Questo significa che potrai venire con noi solo quando avremo bisogno di rinforzi. Altrimenti, resterai in panchina» spiegò lui. «Intesi?»
Laurel sorrise a labbra strette, ma dentro di lei si sentiva come se le stessero esplodendo dei fuochi d’artificio nel petto. «Intesi.»
Oliver ricambiò il sorriso, per poi rivolgersi all’Erede del Demonio. «Dopotutto, se ti ha addestrata Nyssa, non può che aver fatto un buon lavoro.»
La mora non si scompose; osservò in silenzio il vigilante avvicinarsi a lei e allungare il braccio destro nella sua direzione.
«Siamo a posto?»
Nyssa espirò, osservando la mano di Oliver per alcuni istanti. Poteva sentire lo sguardo supplichevole di Sara fisso su di lei, perciò fece la cosa più ovvia.
«A posto» disse, ricambiando la stretta.
«Aspettate, cosa diremo al capitano Lance?» domandò ad un tratto Felicity. «Insomma, lui conosce l’identità di ognuno di noi, perciò immagino si insospettirebbe se non gli dicessimo chi è la nostra nuova aiutante.»
«Pensavamo di dirglielo non appena se ne fosse presentata l’occasione» spiegò Sara, voltandosi in direzione della sorella. Quest’ultima intercettò il suo sguardo preoccupato e le dedicò un mezzo sorriso.
«Tranquilla. L’ho già detto io a papà.»
Sara la osservò confusa. «E che cosa ha detto?»
Laurel si strinse nelle spalle, assumendo un’espressione compiaciuta. «Che ero in gamba già prima.»

*

«Okay, i pannolini ci sono. I suoi giochi preferiti, anche. Invece qui ci sono un paio di body di ricambio, il biberon e il latte. Non dovrei aver dimenticato nulla.»
«Sara, sta’ tranquilla. Anche se mancasse qualcosa, a due passi da qui c’è un minimarket dove si trova di tutto.»
«Hai ragione. Non ci avevo pensato.»
Sara passò a Quentin la borsa con tutto l’occorrente per trascorrere la notte insieme a Kaila. Subito dopo, la bambina si accoccolò sulla spalla di Sara, la quale prese a cullarla dolcemente.
«Ha già sonno?» domandò Quentin, poggiando il borsone sul divano.
Sara scosse il capo con un sorrisino. «No. Ha capito che sto per andarmene e vuole le coccole.»
Kaila strinse le manine attorno alle punte dei capelli della sua mamma, per poi chiudere gli occhi. Sara prese a canticchiarle una canzoncina che Quentin non conosceva, ma vedere sua figlia comportarsi in quel modo gli faceva sciogliere il cuore.
Era bellissima, e la maternità l’aveva resa ancora più bella. Il legame che avevano lei e Kaila era intenso. Non aveva mai visto una complicità simile tra un genitore e un figlio prima d’ora, nemmeno con Dinah e le loro figlie.
A volte, Quentin dimenticava che Sara era stata lontana da casa per anni, costretta a uccidere per conto di un’organizzazione di assassini. A volte, era come se fosse nata semplicemente per quello: essere madre. Ed era indubbiamente una delle cose che sapeva fare meglio.
«Va tutto bene?»
Quentin sbatté le palpebre un paio di volte, tornando alla realtà. «Sì, stavo solo pensando a una cosa» spiegò, strofinando le mani davanti a sé. «Allora... agitata per il primo giorno di lavoro?»
«Un po’. Ma, in realtà, non dovrei nemmeno esserlo. Insomma, ho già lavorato al Verdant, e prima ancora all’Oblivion. È come se il destino mi stesse dicendo che devo fare la barista.»
«Non è vero» replicò Quentin, mettendole una mano sulla guancia. «Tu puoi essere ciò che vuoi, bambina mia. Hai ancora tutta la vita davanti.»
Sara spostò lo sguardo su Kaila, che la osservava attentamente con i suoi occhi cerulei. Non appena si accorse che anche sua madre la stava guardando, Kaila sorrise, lasciando intravedere i due dentini centrali superiori. E Sara non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Ho già tutto quello che voglio.»
Quentin annuì, come se la risposta fosse ovvia. Anche lui non avrebbe potuto desiderare di più.
«Beh, tesoro mio, è arrivato il momento di andare dal nonno» disse ad un tratto Sara, porgendo la bimba a Quentin. «Sono sicura che vi divertirete un mondo.»
«Ci puoi scommettere. A meno che tua figlia non decida di fare la popò non appena uscirai da quella porta.»
La bionda accennò una risata. «Probabile. Questa marmocchia è imprevedibile» scherzò, accarezzandole dolcemente i capelli. «Comunque, non eri costretto a tenerla per tutta la notte. Nyssa uscirà dal lavoro tra qualche ora. Se cambi idea, sei sempre in tempo per dirle di venire a riprenderla.»
«Scherzi? Mi fa molto piacere passare un po’ di tempo con la mia nipotina. E poi, domani mi sono preso la giornata libera, così potrete dormire tranquille e venirla a riprendere all’orario che è più comodo per voi.»
«Papà» lo schernì lei. «Promettimi che, se dovesse essere troppo stancante, chiamerai Laurel per farti aiutare. O Nyssa.»
Quentin sospirò, per poi portarsi una mano sul cuore. «E va bene, lo prometto. Ma non devi preoccuparti per me, tesoro. Sto alla grande. Ora è meglio che tu vada, altrimenti tarderai al tuo primo giorno.»
«Non sarebbe la prima volta» esclamò la bionda. Subito dopo, diede un bacio a Kaila e si diresse verso la porta d’uscita.
Non appena le sue dita entrarono a contatto con la maniglia fredda, però, si bloccò. Rimase in quella posizione per alcuni istanti, dopodiché, prese un respiro profondo e si voltò.
«Scusa se non ti ho detto di Laurel.»
A quelle parole, Quentin delineò un mezzo sorriso. «Non devi scusarti, tesoro. Laurel mi ha spiegato tutto per filo e per segno.»
«Quindi, ti ha detto anche che abbiamo litigato?»
L’uomo annuì. «Sì, e sono contento che vi siate chiarite. Ma sono ancora più contento del fatto che tu l’abbia messa in guardia. Io non ho avuto il coraggio di farlo.»
«Non è servito a nulla, però. È testarda, lo sai bene.»
«È una Lance» sottolineò Quentin. «E poi, sapendo che Nyssa le copre le spalle, sono più tranquillo.»
«Anche io» affermò Sara. «Sarà meglio che scappi.»
«Direi proprio di sì» esclamò lui, lasciandole un bacio sulla guancia. «Buona fortuna, bambina mia.»
Sara avrebbe voluto dirgli che non era più una bambina, ma guardando Kaila, capì che sarebbe stata una bugia.



«Eccovi qui, finalmente.»
Felicity pronunciò quelle parole proprio mentre Oliver, Roy e Diggle stavano scendendo la scala di metallo in fila indiana. Non appena i tre uomini furono a pochi passi da lei, si scambiarono delle strane occhiate che fecero insospettire il tecnico informatico.
«Non è un caso che siate arrivati nello stesso momento. Perché ho la sensazione che mi stiate tenendo nascosto qualcosa?» proseguì la donna, riducendo le palpebre a due fessure.
«Non siamo passati dal Big Belly Burger senza dirtelo, se è questo che intendi» replicò Roy, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Felicity.
Subito dopo, però, la bionda si rivolse direttamente ad Arrow, scatenando su di lui tutta la sua frustrazione.
«Oliver! Perché non me lo hai detto? Sai quanto ami i loro hamburger.»
«È stata una decisione dell’ultimo minuto. Anzi, a dire il vero, Dig e Roy sono passati alla Queen Consolidated e mi hanno praticamente costretto a salire in macchina» si giustificò l’uomo, alzando le mani.
«Posso confermare» s’intromise John, con un sorrisetto sulle labbra.
«Beh, almeno potevate portarmi qualcosa. Che ne so, delle patatine fritte» protestò Felicity, fingendosi arrabbiata.
«A dire il vero, ci avevamo pensato, ma siamo scappati non appena abbiamo ricevuto il tuo messaggio» proseguì Oliver, avvicinandosi ulteriormente a lei.
«Oh, giusto. Ma dove ho la testa?»
Felicity ruotò la sedia di scatto, per poi battere velocemente le dita sulla tastiera alla ricerca di qualcosa.
Oliver si posizionò di fianco a lei, poggiando una mano sullo schienale della sua sedia. «Questo significa che sono perdonato?»
«Solo per questa volta» rispose la donna, senza distogliere lo sguardo dai computer. «Ecco qui.»
Un attimo dopo, sugli schermi comparvero le foto di tre uomini e una donna.
«Chi sono queste persone?» domandò Roy.
«John Cohen. Luke Piler. Grant Edwards. E Maya Wang. Un docente universitario, un miliardario, un consigliere comunale e un avvocato. Sono tutti scomparsi nelle ultime quarantotto ore» spiegò Felicity, voltandosi verso Arsenal.
«E la polizia pensa che ci sia un collegamento?» chiese John.
«Non lo pensano. Ne sono più che certi» proseguì la donna. «Quando si sono resi conto che non c’era niente che potesse collegare queste persone tra di loro, hanno nuovamente interrogato i familiari, e indovinate un po’? La moglie di Edwards ha rivelato loro di aver trovato uno strano pacchetto nella cassetta delle lettere.»
Roy corrugò la fronte. «E che cosa conteneva?»
Felicity prese un respiro profondo prima di rispondere. «La Labyrinth.»
Diggle assunse un’espressione confusa. «La droga?»
Il tecnico informatico annuì, suscitando ulteriore confusione nei tre uomini.
«E che cosa c’entra con Edwards? O con le altre persone scomparse?» proseguì Roy.
«Dopo la testimonianza della moglie, la polizia ha deciso di indagare più a fondo. Anche la figlia di Cohen ha affermato di aver trovato della droga sopra allo zerbino, ma, pensando che si trattasse di un brutto scherzo, l’ha gettata via. Hanno controllato anche a casa di Piler e della signorina Wang, che vive da sola. E hanno trovato altra Labyrinth.»
«Non può essere un caso. Chi li ha rapiti deve averla lasciata lì per un motivo.»
L’intromissione di quella quinta voce attirò l’attenzione dei presenti.
«E tu quando sei arrivata?» domandò Felicity, ruotando appena la testa di lato.
Nyssa, in piedi dietro di loro, incrociò meccanicamente le braccia. «Sono qui da un po’, a dire il vero.»
«Non ti abbiamo sentita arrivare» commentò Roy. «Hai delle piume al posto dei piedi?»
«Sono cresciuta nella Lega degli Assassini» replicò lei. «Ti servono altre spiegazioni?»
Arsenal si grattò distrattamente la testa. «Giusta osservazione.»
«Okay, quindi...» riprese a dire Oliver. «Abbiamo qualche indizio su chi possa averli rapiti? E, soprattutto, perché?»
«Negativo. La polizia sta indagando, ma non hanno idea di chi‒»
Felicity fu costretta a bloccarsi a causa della suoneria del suo cellulare. Quando lesse il nome della persona che la stava chiamando, inarcò le sopracciglia. «Capitano Lance, la metto in vivavoce.»
«Sintonizzatevi su un canale qualsiasi, purché ci sia un notiziario. Adesso.»
Quentin parlava a voce bassa, ma era chiaro che qualcosa l’aveva scosso. Felicity si affrettò ad obbedire.
L’immagine che occupò lo schermo subito dopo le provocò un brivido lungo la schiena. C’erano quattro persone imbavagliate e legate a delle sedie in una stanza semibuia, illuminata semplicemente da una lampadina che pendeva dal soffitto. Ai loro piedi, un quantitativo di C-4 che sarebbe stato sufficiente a radere al suolo un intero isolato. Sembrava una scena da film dell’orrore.
«Sono loro» sussurrò Oliver, osservando i loro volti. «Le quattro persone scomparse.»
«Il loro rapitore sta trasmettendo il video in diretta» spiegò Felicity, un velo di speranza negli occhi. «Non dovrei metterci molto a rintracciarlo. Datemi solo qualche minuto.»



Per essere un giovedì sera, il Verdant era più pieno di quanto ricordasse. O forse, semplicemente, Sara non era più abituata a stare in mezzo a così tante persone. Si trattava perlopiù di ragazzi giovani, di età media sui venticinque anni, divisi tra la pista da ballo e il bancone, dove la nuova barista stava facendo del suo meglio per stare al passo con gli ordini.
Nonostante fosse fuori allenamento, Sara era ancora brava a preparare cocktail. Sapeva che Thea l’avrebbe assunta in ogni caso, ma voleva comunque fare del suo meglio per soddisfare i clienti. E ci stava riuscendo alla grande.
Dopo aver preparato quello che probabilmente era il centesimo drink della serata, la bionda approfittò di un momento di tranquillità per riprendere fiato. Fu in quel momento che si rese conto di quanto fosse bello poter staccare la spina da tutti i problemi. Kaila le mancava un sacco, ma sapeva che era in buone mani. Nyssa stava probabilmente rientrando a casa in quel momento, si sarebbe fatta una doccia e sarebbe andata a dormire. E, soprattutto, non c’era nessun mercenario dietro l’angolo pronto ad ucciderle.
Quando Sara rialzò lo sguardo, il suo cellulare emise una vibrazione. Era la terza nel giro di mezz’ora, ma non aveva avuto un attimo di respiro fino a quel momento, perciò non era ancora riuscita a controllare. Approfittando di un’altra manciata di secondi senza potenziali clienti nei paraggi, estrasse il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e iniziò a leggere i messaggi ricevuti.
Il primo era di suo padre, il quale la informava che Kaila si era addormentata serenamente. Il secondo e il terzo, invece, erano di Felicity.
«Però, i miei clienti ti hanno dato un gran da fare, non è così?»
Quando Sara alzò lo sguardo, si ritrovò faccia a faccia con Thea. Inizialmente, non rispose; poi, dopo un attimo di scombussolamento, fece un sorriso forzato.
«Sì. Sono... molto numerosi.»
Sara si portò una mano sulla fronte sudata. Socchiuse gli occhi, riflettendo attentamente sul contenuto dei messaggi ricevuti da Felicity.
«Ti senti bene?» domandò Thea, aggrottando le sopracciglia. «Non hai una bella cera.»
«In effetti, mi gira un po’ la testa.»
«Siediti un po’» propose la ragazza, mettendole una mano sulla spalla. «Probabilmente, il caldo e la musica alta non sono d’aiuto.»
«Sto bene» rispose Sara, poggiando la propria mano su quella di Thea. «Ho solo ricevuto un messaggio da...»
Prima ancora che Sara potesse concludere la frase, Thea annuì. «Ho capito.» Si avvicinò ulteriormente alla bionda, per poi sussurrare: «C’è anche Roy?»
«Non lo so. Immagino di sì. Felicity ha inviato a tutti gli stessi messaggi.»
Thea rimase in silenzio per alcuni istanti, dopodiché, annuì ancora. «Va’.»
«Come dici?»
«Vai di sotto a vedere cosa sta succedendo.»
Sara le dedicò un’espressione stupita e, al tempo stesso, confusa. «Ma, la mia prova...»
«Sei già assunta» la rassicurò la ragazza, abbozzando un sorriso. «Ma, in questo momento, la città ha più bisogno di te di quanto ne abbia il Verdant. Sono sicura che i clienti sopravvivranno con una barista in meno. Anche se si tratta della migliore.»
A quelle parole, Sara non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Grazie» sussurrò, stringendo Thea in un abbraccio.
«A te» rispose lei, riservandole uno sguardo fiero. «Dì solo a Roy che se torna di nuovo a casa con un occhio nero, la prossima volta sarò io a sostituirlo.»



Sara si diresse verso la porta che conduceva all’Arrow Cave più in fretta che poté, dopodiché scese le scale di corsa, con il cuore che batteva a mille. Quando giunse al piano sotterraneo, la prima persona che vide fu Nyssa, in piedi di fronte all’armadietto delle armi. Poiché non si aspettava di vederla, Sara si bloccò sull’ultimo gradino, stupita; ma non appena la figlia di Ra’s incontrò il suo sguardo, si gettò tra le sue braccia senza pensarci due volte.
«Ho letto i messaggi soltanto adesso» sussurrò Sara, col viso nascosto tra i capelli scuri della sua amata.
«Non dovevi venire. Era una serata importante per te.»
«È stata Thea a darmi il via libera» spiegò, ritraendosi. Nyssa le dedicò uno sguardo dispiaciuto, per poi accarezzarle dolcemente una guancia.
«Siete riusciti a rintracciare quel pazzo?»
«Non ancora. Ma Felicity è sulla strada giusta» rispose una voce maschile.
Sara si voltò in direzione di Oliver, intento a riporre le frecce nella faretra. Aveva già indosso il costume di Arrow.
«Sarà meglio che inizi a cambiarti anche tu, Nyssa. Potremmo dover entrare in azione da un momento all’altro.»
«Oh-oh...»
«Che succede?» domandò Oliver, avvicinandosi rapidamente a Felicity. «Ci sei riuscita?»
«Non esattamente» rispose lei, con uno sguardo preoccupato. «Credo che il rapitore abbia capito che stavo cercando di violare il suo firewall, e ora sta tentando di mettersi in contatto con noi.»
L’uomo sospirò sommessamente, ma prima che potesse aggiungere altro, Nyssa lo anticipò.
«Quante possibilità ci sono che si tratti di una trappola per rintracciarci?»
Oliver le rivolse un’occhiata confusa, ma non osò interromperla.
Il tecnico informatico inarcò un sopracciglio. «A che ti riferisci?»
«Non ha chiesto un riscatto, ma nonostante ciò, non ha ancora ucciso le persone che ha rapito. Non vi sembra un po’ sospetto?»
«Credi che volesse semplicemente attirare l’attenzione su di sé?» azzardò Diggle.
«No. Credo che volesse attirare l’attenzione di una persona in particolare.» L’Erede si voltò in direzione di Oliver, incontrando il suo sguardo. «La tua.»
Arrow rimase in silenzio per alcuni istanti, per poi poggiare una mano sulla spalla di Felicity.
«Lascialo fare.»
«Ne sei sicuro?»
«Se quello che dice Nyssa è vero, e quest’uomo sta cercando me, allora credo non ci sia altro modo per rintracciarlo se non quello di parlare direttamente con lui.»
«Come facciamo a essere certi che stia cercando di farsi notare proprio da Arrow?» sottolineò Roy.
«O vuole Arrow, oppure la polizia. Altrimenti, non mi spiego perché mai rischierebbe di esporsi così tanto solo per parlare con chi sta cercando di trovarlo.»
«Nyssa ha ragione. Sa chi siamo.» Felicity sospirò pesantemente. «Posso modificare le nostre voci, come sempre, e...»
La voce di Oliver la interruppe. «Pensi di riuscire a rintracciare il segnale mentre parleremo con lui?»
La bionda sospirò ancora. «A questo punto, non ne sono più sicura. Ma farò il possibile.»
Dopo aver digitato una serie di codici, Felicity si voltò un’ultima volta in direzione del marito.
«Quando vuoi, Oliver.»
L’uomo prese un respiro profondo, per poi annuire. «Sono pronto.»
A quelle parole, Felicity premette un tasto; rimase con il fiato sospeso per un tempo che le parve interminabile. In verità, non ci volle molto prima che una voce sconosciuta catturasse la loro attenzione.
«Finalmente. Ormai avevo perso le speranze.»
Nyssa e Sara si scambiarono un’occhiata complice. La teoria dell’Erede era corretta: quell’uomo voleva farsi trovare.
«Con chi sto parlando?»
«Era da tanto che aspettavo questo momento» proseguì l’uomo, ignorando la domanda di Oliver. «Che tu ci creda o no, non sono un tuo nemico. Al contrario; siamo dalla stessa parte.»
«Ne dubito. Io non me la prendo con gli innocenti» puntualizzò Arrow.
«Innocenti? Credi davvero che queste persone siano innocenti? No... sono come tutti gli altri criminali che hai catturato o torturato in passato.»
Oliver fece una smorfia di dissenso. Subito dopo, Felicity gli fece un gesto con la mano per incitarlo a proseguire la conversazione.
«E quale crimine avrebbero commesso per meritare di essere legati e imbavagliati ad una sedia, per di più in una stanza piena di esplosivi?»
In tutta risposta, l’uomo scoppiò a ridere. «Ogni cosa a suo tempo, caro il mio Giustiziere. Prima, permettimi di presentarmi.» Dopo essersi schiarito la voce, aggiunse: «Sai, all’inizio non lo ritenevo un dettaglio importante, ma, dopo averci riflettuto a lungo, ho scelto un nome in codice che mi consente di essere facilmente associato a te.»
«Sarebbe?»
«Bow. Perché una freccia non può funzionare bene senza un arco, giusto?»
«Sbagliato. Le frecce possono essere scagliate anche con una balestra, ma a dirla tutta, hanno una propria efficacia anche da sole.»
Non appena Oliver ebbe pronunciato quelle parole, Felicity gli dedicò un’occhiataccia, per poi mimare con le labbra la parola “assecondalo”.
«Mi ferisce sapere che la pensi così. Ma spero che dopo la mia proposta cambierai idea.»
«Proposta? Non capisco dove vuoi arrivare.»
«Se non l’avessi ancora capito, è solamente grazie a te se io esisto. In questi anni, senza nemmeno saperlo,  tu mi hai ispirato. E adesso, l’unica cosa che voglio è fornirti il mio aiuto. Sempre che tu sia disposto a incontrarmi di persona.»
Oliver prese a massaggiarsi la radice del naso con il pollice e l’indice, trattenendo a stento un sospiro.
«Se libererai quelle persone, verrò ovunque tu voglia.»
«Questo è fuori discussione» sentenziò Bow. «Vediamoci tra mezz’ora sul tetto del Plaza Hotel. Ti spiegherò tutto, e riuscirò a convincerti che queste persone non sono quelle che credi. Ah, un dettaglio importante: vieni da solo, altrimenti li farò saltare in aria.»
«Come faccio a essere certo che non li ucciderai prima del nostro incontro?»
L’uomo attese alcuni istanti prima di rispondere. «Perché sono un uomo di parola.»
La comunicazione si interruppe subito dopo. A quel punto, Felicity si lasciò andare a un sospiro di sollievo.
«Sei riuscita a rintracciarlo?» domandò Oliver, speranzoso.
«Sì, ma non è stato facile. Non sarà un informatico, ma ci sa fare» spiegò la donna, passandosi una mano sulla fronte sudata. «Si tratta di un edificio tra la Ventiquattresima e la Johnson. Il problema è che è abitato.»
Arrow prese un respiro profondo, dopodiché si voltò in direzione del resto della squadra, che aveva assistito all’intera conversazione in silenzio.
«Anche se non possiamo esserne sicuri al cento per cento, è altamente probabile che quest’uomo lavori da solo, ma non sappiamo altro su di lui. Quello che è certo, è che stanotte un palazzo potrebbe saltare in aria, e questo comporterebbe la morte di molte persone. È una situazione estremamente delicata» spiegò, guardando a turno negli occhi tutti i presenti. «Per questo motivo, avrò bisogno di più aiuto possibile. Diggle, Roy, voi due libererete i prigionieri di Bow, li metterete al sicuro, e aspetterete istruzioni da Felicity per disinnescare le bombe.»
«Ma certo. D’altronde, il mio secondo nome è “artificiere”» ironizzò il tecnico informatico.
«Lungo il tragitto, contattate Laurel, spiegatele cos’è successo e ditele di raggiungervi. Lei dovrà pensare a sgomberare il resto dell’edificio. Ci sono solo quattro piani, perciò non dovrebbe impiegarci molto» proseguì Oliver, per poi voltarsi in direzione di Sara e Nyssa. «Voi due, invece, verrete con me.»
A quelle parole, Sara sussultò. «Cosa...? Vuoi che venga anche io?»
«Sì. Ho bisogno che mi copriate le spalle. Resterete nascoste in modo che Bow non vi veda, ma se la situazione dovesse precipitare, interverrete.»
«In più, avrà sicuramente il detonatore con sé» precisò Felicity. «E ha appena interrotto la comunicazione video, perciò non possiamo più vedere cosa sta succedendo alle persone rapite. Dovete fare presto.»
«Andrà tutto bene» la rassicurò Oliver, dando alla moglie un bacio sul capo. «Voi iniziate a incamminarvi, ma assicuratevi che Bow se ne sia andato prima di intervenire» aggiunse, rivolto a John e a Roy. «Sara, Nyssa, andate a cambiarvi. Non abbiamo molto tempo.»
Le due donne annuirono; tuttavia, prima che Sara riuscisse a recuperare il proprio costume, Nyssa le strinse il braccio, costringendola a voltarsi.
«Ne sei sicura?» chiese la mora, guardandola negli occhi.
Sara sapeva benissimo a cosa si riferiva. Erano passati mesi dall’ultima volta in cui aveva preso parte a una missione, ed era fuori allenamento.
Ma Canary non aveva dubbi.
Così, ricambiò lo sguardo dell’amata, per poi delineare un sorriso.
«Mai stata più sicura in vita mia.»










[1] In caso non ve lo ricordiate, nel capitolo 14 Josh è stato ferito, Nyssa l’ha portato nell’Arrowcave dove è stato curato da Oliver; poi, quando si è svegliato, ha sentito la voce di Laurel e ha provato ad alzarsi, ma essendo senza forze è caduto a terra.










Capitolo (in parte) dedicato a Laurel *.* ma questa volta senza litigi <3 :P
Also, vi chiedo scusa se non ho aggiornato prima come avevo previsto – sì, ovviamente è (di nuovo) colpa dell’uni –, ma, hey!, alla fine torno sempre, ed è questo che conta... no? xD
Grazie a chiunque abbia letto e... a presto!

   
 
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