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Autore: Stylesmyobsession    27/03/2021    0 recensioni
Fin dall’inizio dei tempi si è sempre creduto che scrivere i propri pensieri su carta, renda la vita più facile. Io non la penso così, mettermi qui seduta a fissare questo dannato foglio bianco che mi guarda, mi giudica perché io NON voglio donargli i miei pensieri, le mie emozioni, i miei turbamenti. Mi sento come se tradissi me stessa, la mia testa così piena di parole che neanche se ci provassi riuscirei a riordinare in parole di senso compiuto. Ma la mia terapista ha detto che mi farebbe bene, come Zeno e la sua coscienza adesso riparto da capo e cerco di imprimere su questo maledetto foglio bianco tutto quello che mi frulla nel cervello e forse alla fine capirò perché te ne sei andato, nel frattempo, in onore del mio mentore Zeno, mi fumo l’ultima sigaretta.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima sigaretta
Fin dall’inizio dei tempi si è sempre creduto che scrivere i propri pensieri su carta, renda la vita più facile. Io non la penso così, mettermi qui seduta a fissare questo dannato foglio bianco che mi guarda, mi giudica perché io NON voglio donargli i miei pensieri, le mie emozioni, i miei turbamenti. Mi sento come se tradissi me stessa, la mia testa così piena di parole che neanche se ci provassi riuscirei a riordinare in parole di senso compiuto. Ma la mia terapista ha detto che mi farebbe bene, come Zeno e la sua coscienza adesso riparto da capo e cerco di imprimere su questo maledetto foglio bianco tutto quello che mi frulla nel cervello e forse alla fine capirò perché te ne sei andato, nel frattempo, in onore del mio mentore Zeno, mi fumo l’ultima sigaretta.
Ho sentito tante persone cercare di dare un senso al dolore, ne siamo così tanti sulla terra e ognuno di noi ha un modo diverso di affrontare le cose, il mondo, il dolore e ognuno ha un modo diverso di recuperare, di rimettersi in carreggiata. Io faccio parte di questo mondo ma ancora non sono in grado di recuperare i miei cocci e rimetterli insieme. Smussare gli angoli, coprire le crepe. Me lo si legge in faccia che sto male, e non sono nemmeno brava a truccarmi.
Ogni giorno della tua vita pensi sempre di avere un sacco di tempo su questa terra e alla fine ti accorgi che non è così. Da piccoli aspettiamo con ansia di diventare grandi e quando sei grande daresti di tutto pur di tornare piccolo, al sicuro tra le braccia dei tuoi genitori, il mondo che corre fuori e tu lì, fermo. Come tutti ho aspettato l’adolescenza e poi la giovane età perché volevo sentirmi libera, volevo sentirmi grande e non sapevo che avrei dovuto affrontare certe cose, tipo l’amore.
Perché non te lo insegnano a scuola? Certo, ti insegnano quelle stupide storie d’amore, le poesie e non si fermano mai sul fatto che i poeti, gli scrittori, parlano di un amore che alla fine non è mai sbocciato, non si fermano a parlare del fatto che alla fine hanno sposato persone diverse e che quell’amore è rimasto solo…. Su dei dannati pezzi di carta.
Per questo avevo paura quando ti ho conosciuto, avevo paura perché io mi aspetto sempre troppo dalle persone, dalle situazioni, voglio il massimo e quando non va come speravo.. è una merda.
Quando i tuoi dannati occhi verdi si sono incrociati con i miei per la prima volta sapevo di essere fottuta e tu, tu nemmeno te ne sei accorto.
In tutto questo tempo che ho passato da sola, lontana da te, non potevo fare a meno di pensare a come poteva essere la mia vita senza te, e nonostante io stia soffrendo come un cane, se tornassi indietro vorrei rincontrarti sempre, ogni volta, per tutta la vita.
Nessuno ti insegna ad amare, è una cosa che viene spontanea, da se. Nessuno ti dice come fare perché sarebbe da matti cercare di rinchiudere l’amore in etichette, in regole o presunzioni. L’amore è libero, potente, travolgente e anche queste mie parole non sono abbastanza, l’amore non lo puoi descrivere. Però adesso che ti penso, un po' più forte, vorrei solo che tu sparissi, dalla mia mente, dal mio cuore, dalla mia pelle. Vorrei liberarmi dalla tua presenza così opprimente ma so che quando succederà, mi mancherai ancora di più. Si, perché prima o poi supererò tutto questo, mi lascerò andare ad un nuovo amore, ad una nuova storia, mi lascerò sfiorare da mani che non sono le tue, da labbra che non sono le tue, e andrà bene così, è così che va la vita e io dovrò farmene una ragione.
Tu ricordi il nostro primo incontro? Io si, come se fosse ieri. Era il mio primo giorno di Università in America, ero euforica, spaventata, emozionata per quel nuovo capitolo della mia vita, mi sentivo fuori posto, lontana dalla mia famiglia, dai miei affetti, dalla mia quotidianità, e mi muovevo in una città che non era la mia, travolta da facce e persone che non assomigliavano per niente a quelle che ero abituata a vedere. Quel giorno pioveva, come non succedeva da mesi in quella parta del paese e penso che ormai tu sappia quanto io odi la pioggia, mi stringevo nel mio cappotto nascondendo il viso nel cappuccio della felpa, ero fradicia ma non avrei mai usato un ombrello, li ho sempre trovati oggetti odiosi, si rompono e alla fine ti bagni di più, così cercavo di camminare a passo svelto, superavo le persone evitando di colpirle nella mia corsa ma alla fine ho colpito te mentre svoltavi l’angolo e ho rovesciato il caffè che avevi appena comprato.
 
-RICORDO-
“o mio dio, ti prego scusami” ridacchiai imbarazzata guardando il tuo caffè sciogliersi insieme alla pioggia sull’asfalto umido “perdonami davvero”, guardasti per un po' a terra e poi tornasti a guardare me “tranquilla, non era nemmeno quello che avevo chiesto”. Il verde dei tuoi occhi mi colpì subito, sembravano tagliare in due quell’atmosfera grigia e tetra di quella giornata e mi mancò il fiato per un attimo, se avessi potuto sentire il mio cuore in quel momento avresti pensato che sarebbe scoppiato da un momento all’altro “lascia che te ne offra un altro”
“ma figurati, non fa niente”
“insisto, o mi sentirò in colpa per il resto della vita”
“addirittura?” il tuo sorriso fu ancora più bello di quello che avevo immaginato, la fossetta al lato della tua guancia fece bella mostra.
“si” annuii sorridendo “okay allora, entriamo prima che il temporale ci travolga del tutto”
-FINE RICORDO-
Il caffè diventarono due, tre e poi una fetta di dolce, poi il brunch e un succo. Persi il senso del tempo e della misura, trascorremmo quella che sembrò un’eternità in quel locale e nessuno dei due sembrava voler andare via. Non ti dissi il mio nome e non ti chiesi il tuo, sembrava uno strano gioco resistere alla tentazione di saperlo anche se ormai sapevamo entrambi cose della vita dell’altro come se fossimo amici da secoli.
“devo proprio andare adesso” mi dicesti amareggiato quando uscimmo da lì. Il sole era tornato a splendere illuminando le strade di New York in quel freddo pomeriggio di Settembre e ti guardai andare via senza aver il coraggio di fermarti.
 
Tornai per giorni lungo quella strada sperando di rincontrarti e quando ormai avevo perso le speranze, ti vidi fuori l’edificio della mia Università, nascosto dietro un paio di occhiali da sole nero e un berretto di lana che nascondeva i tuoi ricci, eri poggiato contro la tua auto e la sigaretta tra le dita che si consumava senza che la portassi realmente alle labbra, ti guardavi intorno incuriosito… o forse cercavi me e quando capii che da sotto gli occhiali mi stavi guardando accennai un sorriso, e lo facesti anche tu.
“mi stai seguendo per caso?” canzonai ironica quando raggiunsi il lato della strada dove eri fermo
“più o meno si, fa molto da stalker?”
“abbastanza”
“è che non sapevo come rintracciarti e poi ho ricordato che frequentavi questa Università e sono venuto appena ho potuto… non so nemmeno il tuo nome, piccola straniera”
“Diana”
“Piacere Diana, io sono Harry”
La tua mano strinse dolcemente la mia mentre ci presentavamo davvero e sentii ancora quella sensazione di pienezza che avevo provato settimane prima quando ci eravamo incontrati per la prima volta.
“oggi c’è il sole e non hai rovesciato il mio caffè ma posso invitarti lo stesso a bere qualcosa?”
Trascorremmo il resto del pomeriggio e della serata a parlare, ridere, raccontarci di noi, sembravi così interessato alla mia vita e al fatto che venissi dall’Italia, ingurgitavi ogni mia parola come se fosse di vitale importanza immagazzinare tutte quelle informazioni su di me e non dicevi niente di te.
“Vorrei rivederti ancora piccola straniera, se ti va”
Sorrisi imbarazzata al piccolo nomignolo che avevi deciso di darmi anche se ormai conoscevi il mio nome, ma mi piaceva l’idea di avere quel tipo di “intimità” anche se eravamo ancora estranei.
Per il successivo mese ti facesti trovare quasi ogni giorno fuori l’Università, sempre nascosto da quegli occhiali e il solito berretto di lana che portavi, ti vedevo continuamente con una sigaretta tra le dita ma non ti avevo mai visto davvero fumare o almeno non lo facevi in mia compagnia. Ogni giorno speravo di trovarti lì e immaginavo di saltare tra le tue braccia e baciarti senza timore davanti al mondo, non volevo più nascondere quello che provavo per te e avrei voluto gridartelo ogni volta che ormai ero follemente, perdutamente innamorata di te.
Poi finalmente accadde, dopo una cena a casa tua insieme al tuo gruppo di amici che avevi deciso di presentarmi, mi baciasti, o meglio ti baciai. I tuoi amici erano andati via da un po', ti avevo aiutato a pulire tutto e avevi deciso di preparare un tè per entrambi, ero seduta sul tavolo mentre tu mi davi le spalle poggiato contro il banco della cucina, sembravi teso, i muscoli della tua schiena erano stretti nella camicia a scacchi che avevi deciso di indossare e non parlavi. Quando ormai la teiera fischiava, spegnesti il fuoco ma non versasti la bevanda nelle tazze, ti girasti verso di me e lentamente il tuo corpo si avvicinò al mio, sentivo il cuore battere all’impazzata nel petto e credo potessi sentirlo anche tu, poggiasti le mani sulle mie ginocchia penzoloni oltre il tavolo, piegando leggermente il busto in avanti per essere alla mia altezza, il verde dei tuoi occhi sembrò scurirsi fin quando mi privasti di quella bellezza chiudendoli e inspirando profondamente
“ti prego baciami straniera, baciami perché non posso più trattenermi”
Smisi di respirare, le tue parole rimbombavano nella mia testa e nient’altro. I tuoi occhi si riaprirono e fissavano le mie labbra, ti stavi trattenendo e non ne capivo il motivo così decisi di farlo io, ti accarezzai piano il viso contornato dal filo di barba e mi avvicinai di più. Quando le nostre labbra finalmente si unirono, tutto il resto sparì. C’eravamo solo io e te, le tue mani strinsero i miei fianchi tenendomi più stretta al te, il tuo corpo era attaccato al mio mentre le nostre lingue si muovevano insieme come se sapessero già di appartenersi, le tue mani vagavano inquiete sulla mia schiena e mi spingevi di più verso di te come se avessi il timore che potessi allontanarmi da un momento all’altro.
Ci staccammo quando eravamo ormai privi di ossigeno, poggiasti la fronte contro la mia chiudendo gli occhi.
I giorni che seguirono furono i più belli della nostra vita, venivi ogni giorno all’università. Come se non potessimo più fare a meno l’uno dell’altro, facevamo l’amore di continuo e ovunque ci trovassimo. Sparirono i miei amici, sparirono i tuoi, non c’era nessun altro oltre me e te e quella bolla nella quale ci eravamo rinchiusi.
Sentivo di appartenerti e in fondo so che anche tu sentivi la stessa cosa, ma non avevamo fatto caso che quella bolla, nella quale c’eravamo nascosti per tutto quel tempo, era fatta di sapone.
E così, come ogni bolla di sapone, un giorno scoppiò.
Era ormai Novembre, presto  sarebbe arrivato Natale e io già non vedevo l’ora di vivere quel periodo magico dell’anno con te. Un pomeriggio però, mentre eri poggiato al davanzale della mia camera, con la solita sigaretta tra le dita, guardavi il paesaggio e sembravi perso. Il riflesso del tuo viso contro il vetro illuminato dalle decorazioni che avevo già sparso nella casa, disegnavano ombre sui tuoi lineamenti tesi, c’era qualcosa che non andava e sembravi combattere con te stesso. Non parlavi e io non avevo il coraggio di destarti dai quei pensieri che ti tenevano lontano da me, pur stando nella stessa stanza.
“C’è una cosa che non ti ho detto”
Ti guardai confusa e chiusi il libro che tenevo aperto sulle gambe, fermo sulla stessa pagina da ore.
“cosa?”
Sospirasti poggiando la testa contro il muro alle tue spalle e spegnesti la sigaretta ancora intera nel posacenere ai tuoi piedi.
“ho una ragazza”
Quelle parole mi piombarono in pieno viso come un secchio di acqua gelida, per un attimo pensai che stessi scherzando, che era una delle tue solite stronzate per farmi innervosire per poi cercare di farti perdonare stringendomi ancora a te.
“eh?” fu l’unica cosa che riuscii ad articolare
“lavora fuori e ci vediamo poco, stiamo insieme da anni anche se ormai non provo più niente per lei da quando…” le tue parole si fermarono nell’aria quando ti voltasti a guardarmi, i miei occhi erano già ricolmi di lacrime ma non volevo piangere davanti a te. “domani torna per le vacanze di Natale e …non sa nulla di noi”
“e non avevi intenzione di dirmelo? Magari mi avresti presentata al compleanno di Louis come un’amica?” sputai fuori nervosa
“mi dispiace Dì… sono stato un coglione ma.. non volevo perderti perché…”
Mi alzai di scatto dalla poltrona e recuperai una felpa dall’armadio, strinsi le braccia al petto perché sentivo il cuore fuoriuscire dalla gabbia toracica, avrei voluto urlare, sparire ma tu eri ancora lì che mi guardavi e mi pregavi di perdonarti. Ti alzasti dal pavimento raggiungendomi ma non ti permisi di accarezzarmi il viso “ti prego Dì… non posso andare via da qui sapendo che ti ho ferita”
“avresti dovuto pensarci prima”
“Dì…”
“..”
“..straniera..”
Sospirai alzando lo sguardo verso di te, anche i tuoi occhi erano pieni di lacrime ma non avresti mai pianto, non davanti a me
“…non voglio perderti, io … ti amo
Quelle parole fecero ancora più male e ormai non riuscivo più a trattenere le lacrime, mi lasciai cullare dalle tue braccia e mi lasciai baciare perché sapevo che ne avevi bisogno, ed era lo stesso per me. Mi baciasti con foga, con dolore, le tue labbra strette alle mie come se ne dipendesse la vita. Quando fu il momento di separarci, mi facesti una promessa che sembrò aleggiare nell’aria “ti prometto che le parlo, sistemo tutto e mi farò perdonare da te”
Anche se ere lei quella tradita, sapevo …. Speravo che tu lo facessi, ma quel momento non arrivò mai. Mi scrivevi di nascosto, a notte fonda giurandomi che il giorno dopo sarebbe stato quello decisivo, mi giuravi che non l’avresti toccata, sfiorata, nemmeno baciata perché era quello che volevi da me e io ti credevo, ogni volta.
Poi arrivò la Vigilia e con essa il compleanno di Louis, il tuo migliore amico… che diventò anche il mio. La sua risata leggera, i suoi occhi blu mi tranquillizzavano come pochi, ritrovavo in lui la leggerezza di mio fratello, l’affetto dei miei genitori e quando ero con lui mi sentivo più vicina a casa. Mi fece giurare che ci sarei andata a quella festa, nonostante tutto e io mantenni la promessa.
Sperai per tutta la sera di non vederti mai entrare dalla porta ma purtroppo quel momento arrivò, eri stretto nel tuo cappotto nero e il solito berretto a nascondere i tuoi ricci, indossavi una camicia bianca perfettamente stirata che risaltava i muscoli del tuo corpo. I nostri occhi si incrociarono e rimbombarono nella mia testa le parole di qualche settimana prima, quel “ti amo” leggero che faceva capolino nei miei pensieri ogni volta, ogni momento. Sorridesti appena, quasi a scusarti di essere lì ma così lontano da me, lei si stringeva al tuo corpo e salutava calorosamente tutti, era bella, nel suo abito di seta rosso che le risaltava tutte le forme. Era molto più bella di me e perfetta accanto a te.
Quando eravate ormai vicini non potei fare altro che sorridere e lei mi squadrò con attenzione per poi posare lo sguardo su di te che mi guardavi come se non esistesse altro di più bello al mondo
“lei è?” ti chiese curiosa. La sua voce ti ridestò dai tuoi pensieri e la guardasti balbettando imbarazzato
“la mia ragazza” balenò Louis al mio fianco stringendomi a se tenendo una mano sulla base della mia schiena scoperta dal vestito “stiamo insieme da poco, perciò non l’hai mai vista” continuò
Mi strinsi di più al suo corpo cercando di ritrovare coraggio e le sorrisi ancora, tu ci guardavi serio quasi incazzato e stringevi la mascella ogni qual volta la mano di Louis passava sulla mia schiena accarezzandola debolmente.
Il resto della serata passò tra una birra di troppo e il tuo sguardo puntato su di me, mi controllavi da lontano mentre gli amici di Louis ci provavano spudoratamente e sorridevi ogni qual volta gli negavo un ballo o il mio numero di telefono. Eppure ero io la parte lesa ma sembravi comunque tu quello arrabbiato, nervoso. Andai via prima di tutti, non ce la facevo più a vederti stretto a lei mentre ti baciava e accarezzava.
Eri suo, lei tua e io in tutto quello non c’entravo niente.
 
Natala passò e non come avrei voluto per noi, tu chissà dove con lei e io con altrove con i miei amici e quando mancava un giorno alla fine dell’anno mi chiamasti, era notte e io ero inevitabilmente sveglia a pensare a te.
“ho bisogno di vederti, ora però”
Ti aspettai con ansia e dopo nemmeno dieci minuti eri alla mia porta, una bandana stringeva i tuoi capelli ormai troppo lunghi, indossavi i pantaloni della tuta e una felpa nella quale stringevi le mani cercando di riscaldarti. Camminavi nervoso su e giù per il salotto e ti fermasti davanti a me. Non servirono parole, mi donai a te come era successo sempre negli ultimi mesi che avevamo vissuto insieme. Mi prendesti con bisogno, con ansia, cullasti il mio corpo e il tuo in quello che sembrava un ballo d’addio. Avevo il presentimento che quella fosse l’ultima volta ma ricacciai indietro il pensiero ad ogni movimento del tuo bacino contro il mio.
Era ormai l’alba quando ti alzasti dal letto accendendo la sigaretta e fissavi fuori, il mondo che si svegliava e riprendeva la sua corsa mentre io e te eravamo lì, di nuovo nella nostra bolla.
“è incinta”
Ecco, in quell’istante ero sicura che il mio cuore avesse smesso di battere e il resto del tuo discorso sul fatto che era tornata per qualche giorno qualche settimana prima del suo effettivo ritorno e che non me l’avevi detto per codardia. E che adesso non sapevi che fare perché era contro ogni tuo principio lasciarla mentre portava in grembo tuo figlio e io finsi di ascoltarti mentre cercavo di recuperare i cocci del mio cuore dal mio petto, ogni pezzo mi stava lacerando la pelle e l’anima e questo tu nemmeno l’hai visto.
Quando smettesti di parlare, il sole stava facendo capolino oltre i grattaceli e la città sotto di noi si era risvegliata mentre io speravo di addormentarmi e non svegliarmi più. Ti voltasti a guardarmi e vidi nei tuoi occhi tutto il dolore che anche io stavo provando.
“forse è meglio che te ne vai” sussurrai senza convinzione, annuisti lentamente senza guardarmi ma ti sedesti al davanzale della camera “solo…l’ultima sigaretta” sussurrasti come richiesta.
   
 
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