Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Sebbyno    28/03/2021    2 recensioni
Allora toglila. Lascia crollare i tuoi comandi, il tuo sguardo serio, la tua determinazione, quando sei tra queste mura.
Lascia che insieme alla camicia, cadano anche le tue difese: liberati, ti prego, di questo tuo sogno.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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[Nota: si consiglia la lettura con la colonna sonora che lascio nel link, a cui mi sono ispirata e che ho ascoltato tutto il tempo per descrivere la musica suonata al piano da Levi.

Buona lettura!]

 

https://www.youtube.com/watch?v=ZWQn5ZOaDpI 

 

 

 

“Ancora, Levi”

Così le dita scorrono sui tasti di questo vecchio piano: chissà a chi apparteneva, non te l’ho chiesto.

È una musica che non ho mai ascoltato in nessun luogo, che nessuno mi ha mai narrato, tramandato, neppure sussurrato.

Eppure è qui, nella mia testa, la traduco in questi acuti strazianti, nei toni che scivolano bassi.

Continui a ripetermi di suonarla, ma io non so neppure che cosa stia cercando di dire con queste note sconosciute. Forse è tristezza? O assenza. È da qualche giorno che quando mi siedo di fronte al piano, le mie mani iniziano a darle voce. A pensarci bene, da quando il tuo braccio è stato dolorosamente strappato.

È a questo a cui penso? All’assenza del tuo arto?

No, è qualcosa di diverso. Di dolce, e terribile.

“Dove l’hai imparata?”

Ho fastidio allo stomaco se ascolto con troppo trasporto, come la volta in cui toccasti il mio viso con la tua mano destra.

“Te l’ho già detto. Non so da dove provenga.”

Non sapevo all’epoca come chiamare quel brivido che mi carezzava la nuca, e so che adesso è il conforto.

“È bellissima, Levi.”

Questo suono decanta forse il conforto che mi hai dato in questi anni? Allora perché mi sento così, come se il mondo stesse per finire e ne fossi un impotente, pietoso spettatore.

“È come se la conoscessi.”

Tutta la mia vita, tutti i nostri momenti sono cullati da un senso nostalgico, come se fossero gli ultimi.

Ecco, che nel momento in cui le note risalgono, che il mio cuore batte più forte, pensando al tuo tatto, alle tue dita sulla mia bocca, al petto contro la mia schiena, ai baci in battaglia che non mi hai dato e che sono affondati nel mio sguardo cupe.

“Come se… ti descrivesse.”

Sto parlando di me, allora? Non vorrei parlarti di me: perdonami, se lo sto facendo.

Tu sei già qui a perdonarmi, a strofinare la punta del tuo naso contro il mio collo: amo quando lo fai, sai che mi fa sentire in questo modo.

“Lo sai…”

Arreso.

“… Mi piace quando sei avvolto dai tuoi pensieri.”

È sempre così, da quando ti conosco: una tua parola, un tuo gesto, e io mi arrendo al tuo volere.

“Ma anche… mi spaventa.”

Quale sia ora adesso, non mi interessa.

“Io… ti spavento?”

Ora mi stai guardando da così vicino, e sotto al tuo sguardo mi arrendo di nuovo.

“Mi spaventa non sapere a cosa pensi.”

Te lo sto dicendo, te lo sto suonando, ma non so decifrarlo. Neppure io lo so, Erwin.

“Erwin…”

Eccolo di nuovo lo stomaco che affonda, come nella mia canzone senza verbo.

“Non lasciarmi all’oscuro: lasciami… lasciami entrare.”

Così mi baci la fronte, tocchi la fonte dei miei pensieri con la tua bocca, con la speranza di prenderne un po’ per te, di togliermi parte di questa preoccupazione.

Tu fai sempre così, vorresti la responsabilità anche delle mie debolezze e fartene carico.

“Voglio baciarti.”

Non te lo chiedo, ma è come se lo stessi facendo. Ho il tuo permesso, Erwin? 

“Allora fallo.”

Ho il permesso tutte le volte di conoscerti come e dove non può nessun altro, di accoglierti, oppure respingerti.

Allo stesso modo, non c’è persona alcuna che abbia accesso alle mie debolezze, come lascio che sia tu a farlo.

“Erwin…”

Erwin Smith. Padrone di ogni mio bacio, ogni mia carezza, ogni mio desiderio casto o impuro.

Quando ho pensato ad una bocca la prima volta, ho pensato alla tua; quando ho immaginato qualcuno violare il mio sesso, ho pensato al tuo. Non sono mai stato desideroso di un uomo, né di una donna; non ho mai desiderato l’amore o la passione, soltanto la pace e l’amicizia. Ho perso entrambe, più volte.

Dopo, subito dopo, sei entrato tu in questa mia disastrosa vita con la tua. Non c’è spazio per la pace in questo casino, lo sappiamo entrambi: non è possibile neppure immaginarla, forse non sappiamo neanche che forma abbia.

Non mi hai promesso questo, la pace, ma mi hai mostrato la strada per rincorrerla, un modo per far sì che qualcuno, un giorno, possa sapere com’è fatta. Forse noi non lo sapremo mai, ma è importante per il bambino che eri svelare una verità che gli è stata negata. Vorresti tanto capire la follia di questo mondo, Erwin.

“Posso… voglio spogliarti.”

Anche io, come te, vorrei capire perché tanti di noi sono morti in una guerra così insensata, ma nel frattempo c’è spazio anche per noi.

“Spegni… spegni la luce.”

Qui, in questa stanza, puoi svestirti del ruolo che ricopri. So che questa divisa è più pesante di quanto tu voglia farmi credere, ma lo vedo, lo sento ogni volta che giaci sul mio corpo, che è ogni giorno più dura portarla.

Allora toglila. Lascia crollare i tuoi comandi, il tuo sguardo serio, la tua determinazione, quando sei tra queste mura.

Lascia che insieme alla camicia, cadano anche le tue difese: liberati, ti prego, di questo tuo sogno.

Se soltanto ti arrendessi come io mi arrendo alle tue braccia, io saprei che in cima alla torre di morti che stiamo scalando, ci sia il futuro che tanto stiamo rincorrendo: anche per noi, Erwin, anche per te.

Invece suono queste note senza verbo perché sono io che ho paura. Mi spaventa, mi spaventa così tanto sapere che in cima a questi corpi di amici e soldati che hai valorosamente condotto avanti non c’è la verità che stai cercando, ma soltanto un posto vuoto per noi, che stupidamente inseguiamo folli questa meta, come il mondo che ci ha plasmati.

Ma adesso, soltanto adesso che mi guardi, percepisco che la pace è possibile soltanto qui, soltanto adesso, soltanto nel nostro caldo abbraccio.

“Levi…”

La nostra felicità ha le pareti di vetro, possono crollare da un momento all’altro, eppure è così confortevole entrarci ogni volta. Se potessi tenerti qui per sempre taglierei persino le tue gambe, e se potessi darti una vita più giusta, mi lascerei inghiottire dall’Inferno.

Ma ciò che desideri adesso è soddisfare quel bambino cresciuto senza l’amore di un padre, ed è per la promessa che gli ho fatto, che non posso tenerti qui con me per sempre. 

È per la nudità che ti ho concesso e la fiducia che ho guadagnato, per quella parvenza di pace che mi hai donato, e per tutte le prime volte che ti ho dato, che alla fine verrò con te su quella cima.

Fino alla fine di questo, Erwin, sarò arreso alle tue volontà, perché solo così, lo sai, posso dirtelo.

“Erwin…”

Che sinceramente, ti amo.

 

“CAPITANO! CAPITANO LEVI!”

Cosa. No, perché adesso.

“FINALMENTE L’HO TROVATA.”

Perché ora.

“Ho… ho recuperato il comandante, e l’ho portato fino a qui. Ma ha perso molto sangue, è grave.”

Queste note. 

“È ancora vivo.”

È di nuovo come allora: nella mia testa suona quel pianoforte che non so a chi appartenga. Maledizione, Erwin, perché diavolo hai mai messo un pianoforte nella nostra stanza?

“CAPITANO!”

Il tuo volto è tumefatto, le palpebre sono serrate, e la bocca semi dischiusa, come se cercassi di dirmi qualcosa nel tuo doloroso silenzio.

“CAPITANO, NON CI PENSI NEANCHE. IL SIERO VA AD ARMIN! È STATO DECISO!”

Ma sullo sfondo di questa tua sofferente immagine, c’è una canzone. 

“BASTA! DEVE SALVARE ARMIN!”

Non capisco perché proprio adesso, perché qui, quelle note tornino a tormentarmi. 

“Il siero andrà ad Erwin.”

Non è l’assenza. Non è te che lascerai questo mondo. La tua presenza qui è troppo importante.

“È l’unico che può condurre avanti questa battaglia.”

È indispensabile.

“MA AVEVA DETTO CHE SAREBBE ANDATO AD ARMIN! PERCHÈ HA CAMBIATO IDEA!

“Prima non sapevo che Erwin fosse sopravvissuto.”

Sei indispensabile.

“Ma ora che è qui, il siero andrà al comandante.”

Per tutti.

“CAPITANO LEVI!”

Per me.

“LASCIAMI!”

“Non lo capisci? Non possono rientrare i nostri sentimenti in questa decisione.”

“SENTIMENTI?!”

Posso quasi sentire il tuo sguardo sulla mia pelle che mi canzona, adesso, e quel sorriso… quel tuo dannato sorriso.

“Eren, è difficile per tutti. Tutti noi abbiamo perso, prima o poi… tutti, perdiamo qualcuno.”

Ma ti guardo, e ora sei spento. Non mi stai rimproverando; non come tuo sottoposto, non come soldato, ma come amico… compagno. Non mi stai sorridendo, come al tuo solito. È raro che qualcuno ti abbia visto farlo, il più delle volte è successo nei nostri momenti più intimi, e mi sembrano successi una vita fa.

L’ultimo, è stato oggi.

“NOOO! MI LASCI!”

Che razza di modo sarebbe per lasciarmi, Erwin? Non era nemmeno un addio, quello.

Ti sei spogliato dei tuoi orrori, del mostro che tutti pensano tu sia, e mi hai supplicato di condannarti a morte.

Perché è questo, quello che hai fatto.

E io non te lo permetterò. Tornerai da me, qui, su questa terra malata: più forte, e con due braccia.

“PROFESSORE!”

Cosa? Hai… hai parlato.

“Per… per quanto riguarda ciò che presumibilmente non esiste…”

Tu parli.

“Come posso indagare per provarne il contrario?”

… Ma non sei qui.

Sei di nuovo lì, in quel tuo sogno. In quel ricordo che ti ha portato fino a qui, a sopravvivere fino a questo momento.

È ciò che ti ha reso così forte, anche senza un braccio, anche se tutti i tuoi più valorosi guerrieri sono stati mangiati o schiacciati come vermi.

Quanto può essere pericolosa, la linfa di un ricordo.

Ora… ora capisco, il senso di queste note.

Non ti renderò un gigante, Erwin. Non sopravvivrai, eppure, ti prometto che vivrai.

 

“Non capisco capitano, perché ha cambiato idea e ha dato il siero ad Armin?”

Sentimenti.

“Ho cambiato idea per motivazioni strettamente personali.”

Lo so che stai sorridendo. Persino da morto riesci ad illuminare i miei pensieri con quella tua vaga espressione divertita.

“È ora che adesso riposi.”

L’ultima volta che ho potuto vederlo, mi hai sorriso grato. Eri così… in pace. E soltanto per cosa? Per averti concesso di morire.

Eri tu il mio comandante, eppure mi hai chiesto il permesso per andartene, come farebbe un suddito o un sottoposto.

Non ero pronto per questo, non sono adatto per questo, non voglio esserlo.

Non ti ho detto addio, e non lo farò, perché ciò che mi aggrappa a questa vita è il ricordo di te che mi sorridi e mi dai un ultimo ordine, uno preciso, e che non sono stato in grado di portare a termine.

Tu… d’altro canto, hai sempre fatto il possibile. Te ne sei andato così come vivevi: combattendo.

Fino alla fine hai lottato per il tuo sogno, razza di uomo folle che non sei stato altro. Non ti sei arreso al sapere la verità; nel tuo inconscio ancora ponevi quella domanda, negli ultimi istanti della tua vita, e io ti ringrazio per averlo fatto, per avermi ricordato che è stato proprio quel sogno a condannarti.

Forse sei morto tanto tempo fa, come tutti noi. I giganti hanno tolto ogni cosa a noi cara; prima la libertà, poi la pace, gli amici, e infine anche l’umanità stessa.

In un certo senso, renderti come loro, ti avrei tolto anziché dato.

Ma che cazzo sta succedendo. Per sopravvivere siamo disposti a diventare come i nostri nemici?

Non è questo che avresti voluto, non è questo che mi hai chiesto nei nostri ultimi istanti.

Spero che tu, ora, abbia la pace che non hai mai potuto avere. Vivrò ancora io per il tuo sogno, Erwin, per svelare il segreto per cui hai tanto sofferto, e per eseguire il tuo ordine: il tuo ultimo ordine.

Ma c’è… c’è ancora qualcosa che vorrei dirti…

“Capitano Levi: la cantina.”

Questa notte. Ti parlerò stanotte.

Da solo.

 

“Ancora, Levi.”

Mi sembra di udire, una volta dentro queste mura.

È tutto diverso, eppure non è cambiato niente: ci sono due tazze sul tavolo, vuote, il fondo del tè essiccato sul fondo; una delle due sedie è leggermente verso la porta, la tua. La libreria è in perfetto ordine, la scala riposta sul fondo, da quando ho recuperato quel tuo vecchio libro di storia; sul letto ci sei tu, con gli occhi chiusi, il volto sereno.

Ti domando scusa se fingerò che tu stia dormendo per parlarti, adesso.

“Ho capito quella musica. Quella che ti piaceva tanto sentirmi suonare a questo vecchio piano. Non mi hai nemmeno mai detto da dove venisse… ma suppongo che adesso non abbia più importanza.”

Sentimenti. Pesano come macigni in tua assenza. Era tutto più facile quando potevi semplicemente leggerli, ma adesso sono costretto a dirteli.

“È la mia dichiarazione. Quello che non ti ho mai detto… avevi ragione, parlava di me. Ma non solo.”

Ancora ti guardo in cerca di un cenno.

“Parlava di te, e del tuo sogno. Del sogno di un uomo, e della fragilità di chi gli stava accanto.”

Dio, la tua mano è così fredda.

“Di chi lo amava, e aveva paura di perderlo.”

Per tante notti hai scaldato tu le mie, lasci che per una, per l’ultima delle notti, sia io a scaldare le tue.

“Ma non voleva dirglielo, perché quel sogno era più importante del proprio amore.”

Se chiudo gli occhi, e sento ancora tutto il tuo odore che vive nella stanza, riesco anche a vederti che mi guardi attento, curioso e silente. Lo facevi sempre quando ti parlavo di qualcosa, so che ti piacerebbe sentirmi, ed è per questo che stupidamente sono qui, a parlare col tuo corpo freddo.

“Le note esprimevano la dolcezza di quell’amore, la sincerità dell’affetto, ma anche la paura della sua perdita, così come l’irraggiungibilità di quel sogno.”

Se mi stai ascoltando, ripensa a quelle note, ti prego: non senti quante volte ti ho detto di amarti?

“Erwin… non mi pento di averti lasciato andare. Oggi, nella cantina, quello che abbiamo scoperto, ti avrebbe dato ragione: hai sempre avuto ragione.”

Sorrido, e lascio che l’amaro di questo sentimento mi bagni le guance: in cuor mio le tue grandi mani le accolgono in una carezza, come in molti dei miei ricordi.

“… C’è davvero l’oceano, l’ho visto. È strano. Una distesa enorme e azzurra, quei marmocchi si sono divertiti con questa scoperta. È stato bello, per un po’… penso che ti sarebbe piaciuto.”

Non ho il coraggio di dirti che egoisticamente ho pensato a come avrei voluto condividere con te questo momento. Non ha significato nulla in tua assenza, era soltanto acqua in uno spazio immenso.

“Erwin. Vuoi ascoltare quella canzone? Un’ultima volta. La suonerò per te.”

Per dirti tutto ciò che non riesco a dire nemmeno di fronte al tuo corpo vuoto. Riesci a farmi arrossire perfino se non puoi sentire la fragilità nella mia voce.

“D’accordo.”

Così mi siedo, suonando per un uomo che non c’è più, decantando il mio amore per lui.

È una musica che credo mi abbia insegnato tu, nota dopo nota, tra i tuoi baci sulla bocca e i sorrisi sotto le lenzuola, prima di addormentarti. Credo sia qualcosa che mi hai detto quando eri arrabbiato, quando sei stato triste, quando sei stato debole, quando mi hai fatto ridere.

In quei momenti mi hai dato molto più di quanto non pensi di avermi donato, dal primo giorno che mi hai arruolato.

Così, in cambio, io ti ho dato la pace.

La morte, eppure la vita.

Dormi, mio comandante.

Che queste note ti cullino fino al nostro incontro.

Perché avverrà… presto. E sarà bellissimo. 

Ma fino ad allora, continua a dormire… 

“Buonanotte, Erwin.”

Anche per me.

  
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