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Autore: Fiore di Giada    30/03/2021    0 recensioni
I francesi… I francesi ci sono riusciti., pensò. Cinque anni prima, infiammati da una forte sete di libertà e giustizia, erano riusciti ad estirpare il venefico giglio borbonico e, ad esso, avevano sostituito uno splendido tricolore.
Avevano condannato a morte il sovrano Luigi Capeto e la sua degna consorte austriaca, che pure si vantavano di un inesistente diritto divino.
Grazie al loro esempio, i monarchi e le corti d’Europa avevano conosciuto il freddo d’un concreto brivido di paura e non consideravano più il loro potere immutabile, come il corso delle stagioni.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Splendeva il sole nel cielo di Napoli, libero da nubi, e un vento fresco, carico dei profumi autunnali, spazzava le strade della città.
Decine di persone, assiepate in Piazza Castello, fissavano l’imponente patibolo ligneo, i volti terrei di commozione ed erano circondati da .
Sorpreso, Emanuele scrutava la folla. La disperazione della sua famiglia era comprensibile, dato il loro legame affettivo.
I suoi genitori e suo fratello, dilaniati dalla sofferenza, piangevano la sua giovinezza, sacrificata ad un ideale per loro mortifero.
Non accettavano il sacrificio da lui affrontato e l’impossibilità irrevocabile di conoscere l’amore.
Ma loro, sconosciuti senza nome e senza volto, perché fissavano tristi la forca?
Per loro, lui si era battuto, ma non meritava un tale profluvio di lacrime e dolore.
Era consapevole della sua futura sorte, ma non ne aveva alcuna paura.
Non temeva la corda del boia, che, tra poco tempo, avrebbe soffocato la fiamma della sua vita.
Anzi, il suo cuore palpitava d’orgoglio e gioia, perché aveva offerto il suo sangue sull’altare di un nobile sogno.
Libertà.
L’emancipazione dalle catene della tirannia non era utopia.
La libertà è un seme robusto seminato nelle grandi necessità e può germogliare ovunque, dando i suoi frutti*.
Ed è meglio morire per lei che vivere da schiavi**.
I francesi… I francesi ci sono riusciti., pensò. Cinque anni prima, infiammati da una forte sete di libertà e giustizia, erano riusciti ad estirpare il venefico giglio borbonico e, ad esso, avevano sostituito uno splendido tricolore.
Avevano condannato a morte il sovrano Luigi Capeto e la sua degna consorte austriaca, che pure si vantavano di un inesistente diritto divino.
Grazie al loro esempio, i monarchi e le corti d’Europa avevano conosciuto il freddo d’un concreto brivido di paura e non consideravano più il loro potere immutabile, come il corso delle stagioni.
Potevano pagare per i loro errori e le loro nobili stirpi non costituivano più uno scudo al gelido e preciso sguardo della Giustizia.
Loro erano riusciti in questa impresa, perché non poteva scoppiare una simile rivolta nel regno di Napoli?
La sua mente si perse nei ricordi. Quegli eventi, accaduti in Francia, erano per lui un segnale.
Il popolo non doveva più lasciarsi ammansire dai monarchi, ma doveva diventare padrone delle sue scelte.
Per questo, pur consapevole del pericolo, non aveva esitato ad attivarsi, per preparare il terreno ad una simile rivolta.
Non si era limitato allo sfregio di un ritratto del tiranno borbonico, durante una cena.
Ne era cosciente, non sarebbe bastato un simile atto, coraggioso sì, ma privo di qualsiasi ricaduta pratica.
A stento, trattenne un sospiro. Il loro sogno si era dissolto.
Ed erano stati condannati alla pena capitale.
Nemmeno la difesa del valido giurista Mario Pagano era valsa a strappare alla morte lui e i suoi compagni.
Fissò un rapido sguardo sui suoi compagni e sorrise. Anche loro attendevano la morte senza paura.
Erano uniti in un ideale puro e, in nome di tale ideale, sarebbero morti.
In fondo, la morte reca orrore a chi non ha saputo ben vivere.***


*citazione adattata di Langston Huges, poeta afroamericano impegnato nella denuncia del razzismo.
** frase di Bob Marley
***frase scritta da Emanuele De Deo nella lettera da lui inviata al fratello Giuseppe, per dirgli di non intercedere per la sua vita.

La mia tesi di laurea magistrale mi ha portata a conoscere in parte il Risorgimento e, tra i suoi precursori, c’è anche questo ragazzo, Emanuele De Deo, di cui sono orgogliosamente conterranea. A lui è dedicato questo breve racconto e non penso esprima la grandezza e la nobiltà del suo animo, malgrado la sua giovane età:
Per odio verso i Borboni e sincero spirito liberale, Emanuele De Deo, ad una cena, sfregiò il ritratto di Ferdinando IV, proferendo minacce, e aderì ad organizzazioni desiderose di porre termine al dominio borbonico.
Fu catturato e, nonostante la difesa del giurista Mario Pagano, fu condannato a morte e impiccato il 18 ottobre 1794. Si può dire che fu uno degli antesignani della sfortunata Repubblica Partenopea del 1799.

La lettera di Emanuele De Deo è questa:Mio caro Fratello, perché dirmi disgraziato? Perché attribuirmi questo nome? Se considerate la perdita d’un fratello, convengo con voi; ma se tale mi chiamate per il destino che seguo, caro fratello, v’ingannate. Io la mia sorte l’invidierei negli altri: ciò vi basta per farvi comprendere la tranquillità dell’animo mio nell’abbracciare il decreto della suprema giunta, e del mio e vostro Sovrano. La morte reca orrore a chi non ha saputo ben vivere. Chi ha la coscienza senza rimorsi, gioisce in quel punto che i malfattori chiamerebbero terribile; e poi noi non siamo eterni, presto o tardi si muore; né la durata della vita dovete determinarla da replicati giri del Sole, un anno di vita di un uomo onesto e socievole eguaglia cento d’un Misantropo, d’un egoista; e pure il paragone mi sembra incompatibile: grazie al Reggitore del tutto. Non v’è persona che potesse credersi da me oltraggiata o lesa. Ho adempito alle mie obbligazioni verso chiunque aveva dritto di esigerle. e non mi sono giamai dimenticato di essere Cittadino ed uomo.”


   
 
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