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Autore: LostRequiem    31/03/2021    1 recensioni
Quando luce e tenebre sembrano un tutt'uno, ad un eroe non resta che la propria Fede a salvarlo dall'oblio.
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[Ocarina of Time]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Link, Navi
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Fede

 

 

O dèi, accogliete i nostri voti: in voi

è il principio e la fine.

[Alcmane, da Aa. Vv., Lirici greci]

 

 

La luce proveniente dalle mastodontiche vetrate del tempio si rifrangeva a terra solenne, con chiare iridescenze che battevano sul suolo pesanti, quasi raschiando il marmo del pavimento. L’unico suono udibile era quello di alcuni passi stanchi, dei piedi che a malapena si trascinavano esattamente in mezzo all’ampia sala, un tempo luogo di religione, ora unico posto intoccato di una landa di morte e distruzione che portava la firma del Re del Deserto.
La sacralità del Santuario del Tempo era rimasta vergine dal tocco del male, ma nonostante all’interno sembrasse che neanche un simulacro di quel sentore malvagio che infestava il borgo vi si fosse riversato, l’odore di morte che avvertiva e che gli era rimasto impresso nelle narici e impregnato nella tunica sporca- un odore marcio come gli arti putridi dei cadaveri viventi che alloggiavano nelle macerie- era la prova di come in realtà nessun luogo fosse scappato dalle fauci della maledizione.
Le spesse mura riuscivano ad attenuare le grida dei corvi affamati di carne, ma la devastazione ed il freddo gelido che si respiravano sin dall’entrata tradivano la falsa pace trasmessa dal sacro simbolo della Triforza che svettava come un crocifisso sul piedistallo d’entrata e sui lampadari spenti.
La pregiata stoffa rossa di un tappeto scarlatto, con dei ricami dorati che recitavano la profezia delle Dee, attenuava leggermente il picchiettare degli stivali contro la lucida superficie delle mattonelle, mentre delle piccole goccioline vermiglie precipitavano inarrestabili verso il basso, in parte confondendosi tra i fili rossi del drappo, imprimendolo di liquido, in parte contaminando la purezza marmorea dell’ampio corridoio.

Link ansimava forte, reggendosi il braccio ferito con la mano sinistra, mentre avanzava lentamente verso il contenitore cinereo delle tre pietre spirituali che aveva raccolto quando il suo corpo era ancora quello di un bambino, quando ancora ingenuamente credeva che quella ricerca disperata che era iniziata nella sua cara Foresta avrebbe sigillato per sempre a Ganondorf le porte del Sacro Reame, impedendogli di assolvere ai suoi piani malvagi.

Il nulla che rimbombava nella navata suonava come un canto religioso simile ad una preghiera, invocante la salvezza.

Nei suoi occhi blu si riflesse il luccichio di quei tre antichi cimeli, sui quali non si era depositato neanche un granello di polvere nonostante gli anni passati. Brillavano come diamanti nel buio tetro di una grotta, mentre nell’aurea cornice che li sosteneva riverberava lo scintillio della piccola fata al suo fianco.
 

“l’Ocarina del Tempo ha aperto la porta.

L’Eroe del Tempo è arrivato qui con la Spada Suprema.”

 

Link lesse tali parole dall’incisione della roccia.

Si morse violentemente il labbro, mentre un lampo di frustrazione lo investì, facendolo tremare di mortificazione.

Era colpa sua.

Per quanto cercasse di negarlo, non importava che fossero stati altri ad ordinarglielo, era stato lui con le sue nude mani ad aprire le porte del santuario al nemico. Poteva risentire la risata perversa di Ganondorf perforargli i timpani e beffeggiarsi di lui e della sua ingenuità.

Pervaso dall’ira, verso se stesso e verso un compito ingiusto che gli aveva strappato via la vita, Link sferrò un pugno in direzione delle pietre.

Erano le chiavi del tempio.

Se non le avesse mai raccolte gli abitanti del borgo sarebbero stati ancora vivi e quella spettrale nube di disgrazie non si sarebbe mai abbattuta sul regno.
Tuttavia, poco prima che riuscisse a toccarle, un suono frastornale lo stordì facendolo barcollare, e una barriera d’energia bloccò il colpo, facendo da scudo ai tre oggetti. Un dolore atroce gli trafisse la mano, e per un attimo quasi gli sembrò di sentire le ossa scricchiolare e contorcersi a causa della forza che aveva messo nel pugno.
Le nocche gli iniziarono a sanguinare, ma bastarono pochi secondi che il flusso rosso cessò. Link pensò che ormai il suo corpo era così avvezzo alle ferite che doveva aver prosciugato gran parte del sangue presente nelle vene.

“Link! Che stai facendo?!” una vocina preoccupata lo riscosse dall’intorpidimento, mentre avvertiva il braccio ferito pulsare e la mano arrossarsi per il colpo.

Rimase in silenzio, tornando a fissare le gemme che tanto si era impegnato a recuperare da bambino, sette anni prima. Un sorriso amaro gli incurvò impercettibilmente all’insù le labbra, mentre i ricordi cominciavano a riaffiorare nella sua mente come Octorok a pelo d’acqua.

Il fuoco dei Goron, lo spirito degli Zora, l’anima dell’Albero Deku. Si era fatto in quattro per averli, rischiando più e più volte la vita, eppure in cambio non aveva ricevuto che altri incarichi e dolore.

“Link!” insistette Navi, svolazzandogli intorno arrabbiata per il suo gesto.

“Quelle gemme sono protette dalla magia, non possono essere rimosse! Che ti prende?! Sei già stato ferito là fuori, non farti del male anche da solo!” esclamò, tradendo molta preoccupazione nel suo tono deciso.
Con un trillo gli svolazzò intorno alla mano sinistra, constatando che il rossore delle nocche ferite si era espanso anche alle dita.

Lo sguardo della fatina non potette evitare di soffermarsi pure sulle diverse cicatrici che gli ornavano il dorso e il palmo come trofei di guerra: ognuno di quegli sfregi, vecchi o nuovi che fossero, gli aveva segnato il corpo per sempre, non se ne sarebbero mai andati. Navi aveva sempre pensato che Link non si fosse mai lamentato delle ferite perché dentro di sé credeva di meritarsele tutte, ma non aveva mai affrontato quel discorso con lui.

La lucina azzurra che emanava il suo corpo si fece più fioca, mentre osservava tristemente il corpo magro e consunto dell’amico.
Link si asciugò il sangue con il tessuto smunto della tunica, rivolgendole un flebile sorriso.

“Hai ragione Navi, non so cosa mi sia preso. Va tutto bene” disse, focalizzando la sua attenzione sul braccio destro.

La visione del ReDead che l’aveva attaccato poco prima presso il sobborgo arido si fece vivida nella sua mente, facendogli accapponare la pelle. Proprio quando aveva creduto di averli storditi tutti e aveva riposto la Spada Suprema nella sua federa, tra le grigie macerie Navi aveva notato un corpo accovacciato su se stesso, proprio dietro Link. E ancor prima che potesse avvertirlo, quel mostro l’aveva afferrato.

Si sfiorò il collo, dove le tracce della sua stretta mortale spiccavano ancora sulla pelle esangue, così come i solchi degli artigli che avevano tentato di strangolarlo. Per un momento si risentì senz’aria, ed ebbe il bisogno di inspirare a pieni polmoni per accertarsi di essere ancora in grado di respirare.

L’assordante grido che aveva tirato poco prima di afferrargli le membra l’aveva paralizzato, e in un secondo quell’essere gli era montato sopra e aveva cominciato a stringere e stringere sempre più forte, senza che lui potesse fare niente per opporsi. Navi aveva provato a difenderlo scagliandosi contro il mostro, ma con un colpo il ReDead l’aveva scaraventata via, per poi iniziare a fare pressione con gli arti sul corpo dell’Hylian, mirando a spezzagli le ossa.
Il dolore era ancora così nitido che anche solo piegare un muscolo gli riversava addosso il sentore di quel peso smorto addosso, e quasi riusciva a risentirne l’alito gelido sul collo, mentre con la faccia ossuta e cadaverica lo osservava come non fosse che solo una preda da uccidere e poi divorare per cena fino all’ultimo arto.
Anche quando l’effetto della paralisi era cessato Link non era riuscito a liberarsi. La carcassa vivente era riuscita a piegarlo in due, e le fitte dolenti di quella terribile agonia gli avevano impedito di muoversi: aveva sentito le gambe scarne del nemico cingergli la vita e le braccia stritolarlo sull’addome, con una forza sovrumana che nessuno si sarebbe potuto aspettare da un corpo tanto scheletrico.
Sebbene Link fosse avvezzo ad attacchi del genere, ogni volta che veniva afferrato da uno di loro si sentiva morire, e quel sentimento lancinante di impotenza che provava in quella situazione di svantaggio gli faceva venire voglia di abbandonarsi al destino e lasciarsi morire lì, tra le braccia di un mostro che probabilmente anni addietro era stato un vecchio abitante del borgo di Hyrule, tra le braccia di una
persona come lui con cui forse aveva anche parlato da bambino.
Si era chiesto numerose volte se fossero stati di quei dolci innamorati che ballavano felici promettendosi amore eterno i corpi marci e lerci che adesso si cercavano per mangiarsi a vicenda, o se si fosse trattato di quella simpatica signora a cui aveva riportato il cagnolino smarrito a giacere a terra con lo sguardo vuoto, fisso in avanti, senza più vita nelle pupille, o ancora quello strano individuo che in maniera piuttosto losca si aggirava per il mercato con un grosso sacco sulle spalle a camminare lentamente il più lontano possibile da ogni fonte di luce per non bruciare.

L’idea che il proprio corpo ferito e stanco potesse fare da pasto ai ReDead, che potessero cibarsi delle sue carni e bere il suo sangue come ad un banchetto, lo disgustava, ma da giorni era l’unica fine che riusciva a prefigurarsi per se stesso, quando pensava alla morte. Se non fossero stati i ReDead sarebbero stati altri mostri, se non fossero stati i mostri sarebbe stato Ganondorf. In ogni caso sentiva la propria disfatta ormai già scritta indelebilmente nella pergamena del proprio fato, ed ogni volta le piaghe che portava incise sulla pelle, e che aumentavano ad ogni scontro, erano un piccolo assaggio di quel futuro. Un assaggio che piano piano sarebbe diventato realtà.

Proprio quando il cigolio delle proprie costole si era fatto sul punto di diventare una rottura, Link era finalmente riuscito a divincolarsi e a far perdere l’equilibrio al mostro, aprendosi in tal modo una via di fuga da quella stretta letale.

Tuttavia, mentre con un agile movimento di petto era riuscito a scrollarsi gran parte di quel cadavere di dosso, la bestia, in procinto di cadere, gli aveva afferrato il braccio destro con entrambe le mani, e vi aveva affondato gli artigli trafiggendolo fino al muscolo, lasciando che un fiotto di liquido color cremisi zampillasse copioso via dalla carne, imbrattando di rosso il viso legnoso della carcassa che l’aveva ferito.

Una forte nausea colpì Link non appena vide che, per niente scoraggiato, il nemico aveva spalancato la bocca, dando vista dei denti aguzzi, e aveva tirato fuori la lingua nera, iniziando a leccare via il suo sangue, emettendo gemiti rauchi e rantolii disumani quasi se lo stesse godendo. Disgustato, Link aveva cercato di scrollarselo definitamente di dosso afferrando velocemente la spada con la mano libera, e con un fendente fulmineo aveva sferrato un colpo dritto verso lo stomaco della creatura, trafiggendola. Le costole ben in vista avevano scricchiolato.

Ma la presa che essa aveva sul suo braccio era decisamente più forte di quanto si aspettasse.

Un rumore secco assomigliante ad uno schiocco, proveniente dal braccio, venne coperto dall’urlo atroce che fece il ReDead mentre finalmente cadeva steso a terra, raggelandogli il sangue nelle vene da quanto acuto fosse.
Dopodiché anche Link aveva urlato, dal dolore e dalla sorpresa, mentre osservava il proprio arto penzolare senza controllo, come se l’osso fosse fuoriuscito dalla sua posizione naturale. Non era certo la prima volta che gli era successo, Impa gli aveva spiegato bene come reagire di fronte a casi del genere, tuttavia in ogni occasione era sempre più doloroso.
Prima ancora di rimettersi a posto il braccio, dal quale fuoriusciva sempre abbondantemente il proprio sangue, Link aveva cercato allarmato Navi con lo sguardo, ed era corso da lei coprendosi la ferita con la mano, mentre il liquido rosso formava chiazze umide a terra ogni qual volta che qualche schizzo riusciva a scappare dalla sua presa e a depositarsi sulla vecchia pietra del selciato. Fortunatamente la sua fedele compagna si era ripresa in fretta, e dopo l’aveva guidato per effettuare i giusti movimenti mirati a riportare l’osso al suo posto originale.
Nessuno lo aveva udito gridare, se non lei e i corpi momentaneamente atrofizzati dei ReDead.

 

Link sospirò, osservando la fasciatura improvvisata che gli avvolgeva il bicipite. Per procurarsela si era dovuto strappare parte della tunica.

Un lampo di sofferenza gli colorò le pupille.

“Come va la ferita…?” gli domandò Navi, preoccupata dall’improvviso silenzio dell’altro.

“Bene” asserì Link, nonostante gli bruciasse ancora da impazzire.

Era abituato al dolore, riuscire a sopportarlo senza fiatare era uno dei requisiti richiesti all’Eroe del Tempo e, in un certo senso, il soffrire era diventato l’unico modo per lui di sostenere tutto quello che gli stava succedendo. Lui era ancora lì, mentre innumerevoli vite innocenti erano state recise a causa sua e della sua stupidità.

Non sarebbe mai riuscito a sopportarlo se il suo corpo non fosse stato martoriato fino allo sfinimento.

“Link…” Navi si posò delicatamente sulla sua spalla, quasi gli avesse letto nel pensiero, osservando lo strappo e le macchie di sangue secche della sua veste verde.

“È colpa mia, se ti avessi avvertito prima…” un mezzo sorriso dell’Hylian la fece interrompere a metà.

“Non è colpa tua, quel mostro si era nascosto in una delle vecchie case bruciate, non potevi notarlo da lì. Va tutto bene Navi” la rassicurò, sfregando dolcemente la guancia su di lei in una carezza.
Normalmente l’avrebbe accarezzata con un dito, ma non voleva sporcarla di sangue, e soprattutto non voleva che anche lei si sentisse colpevole. Sapeva a sue spese quanto fosse opprimente da portare sulle spalle, il peso della colpa.

Poi guardò in basso, stringendo poco i pugni. Esitò.

“Credi che… in qualche modo si possa riparare…?” chiese debolmente, con un tono molto insicuro.

“Che cosa?” replicò confusa la fatina, stringendolo a sua volta, per quanto potesse, in un piccolo abbraccio.

Pensò un momento se lasciar perdere il discorso. Poi parlò.

“La tunica.”

Link sfiorò debolmente il tessuto grezzo di quello che era stato da sempre il suo indumento, lisciandone i lembi quasi con affetto. Quella tunica era impregnata di così tanti ricordi, non se ne era mai separato.

“È stupido, ma… è l’unico collegamento che ho con il mio passato. Con la Foresta… Io…” poi si bloccò, sentendosi terribilmente stupido.

Scosse la testa.

“Non importa.”

Gli faceva male vedere come fosse lacerata su più punti, terribilmente sbiadita su altri, sudicia e imbrattata di sangue secco su ogni lato, e adesso con un ampio strappo a livello del fianco sinistro. Più e più volte i suoi nemici vi avevano affondato le unghie e i denti, innumerevoli erano stati i momenti in cui era caduto nel fango o si era ritrovato a nuotare in acque putride pur di sfuggire alla morte, infiniti gli attimi in cui il suo corpo stremato aveva vomitato rosso e viola e nero su quella vecchia stoffa.

L’aveva lavata tanto nel fiume, ma quei segni non se ne erano più andati. Come quelli sulla sua pelle.

Ma erano solo dei vestiti, ed era eccessivamente egoista da parte sua pensare ai propri abiti in un momento tragico come quello. Si morse nuovamente il labbro, stringendosi tra le spalle.

Navi lo guardò triste.

“Hey, ascolta!” trillò.

“Certo che si può riparare, vedrai! Anzi, ti meriti proprio una tunica nuova sai?? All’Eroe del Tempo se ne addice una verde scintillante come quelle dei Kokiri!” esclamò lei, cercando di tirarlo su di morale.

Le orecchie dell’Hylian si sollevarono leggermente all’insù. Le sorrise dolcemente, pieno di gratitudine per aver compreso i propri sentimenti. Annuì.

Dopodiché salì piano quei quattro gradini che lo dividevano dalla stanza segreta che una volta era sigillata dalla Porta del Tempo, alzando lo sguardo verso il simbolo dorato della Triforza che svettava solennemente proprio al centro della parete.
 

Le sacre porte si apriranno quando il Prescelto suonerà la melodia tramandata dalle Dee, risvegliando i tre spiriti nei quali giace sopito il potere del Regno consacrato allo scorrere del Tempo.”

 

Questo recitavano le scritte incise nel marmo nero.

Il Prescelto.

Era stanco di esserlo.

Quanti avrebbero dato la vita pur di diventare un eroe? Quanti avrebbero rinunciato ad ogni cosa pur di essere il fantomatico Prescelto di cui tutti tessevano le lodi?

Eppure, lui non si sentiva né onorato, né fortunato, per quanto egoistici potessero essere quei pensieri. Non si sentiva all’altezza di tutte le aspettative, né del coraggio di coloro che l’avevano aiutato durante le sue avventure.

Lui non era che un ragazzino strappato alla sua casa a cui avevano messo in mano spada e scudo come si fa ad una bambola, un ragazzino forzato a togliere la vita quando l’unica cosa che avrebbe voluto vedere fin dalla nascita era la felicità di coloro a cui voleva bene.
Ma Link aveva provato sulla sua pelle che la vita ha un prezzo, e che per vivere qualcun altro deve morire.

Ma una spada e uno scudo non fanno di te un eroe, una spada e uno scudo non fanno di te un guerriero.

Una spada ed uno scudo fanno di te un assassino.

Si osservò entrambe le mani. Quelle mani avevano ucciso.
Non si ricordava neanche più il numero delle vittime.
Riuscire a contarle era diventato difficile già a partire dal secondo giorno. Aveva perso il conto dopo una settimana.
Aveva smesso di vomitare dopo tre.

Era diventato una macchina il cui unico scopo era annientare il nemico per non essere annientato a sua volta. Eppure, se tutti i mostri creati da Ganondorf erano davvero forme di vita pensanti come Dark Link, la sua controparte oscura, se davvero tra loro e gli umani c’era un qualche tipo di collegamento come per i ReDead… allora aveva le mani sporche del loro sangue proprio come il Re del Male.
Essere il Prescelto era una maledizione, e a lui toccava trascinarne a terra le spesse catene, nonostante esse avrebbero finito per portarlo giù con loro.

Abbassò lo sguardo, proseguendo a passi pesanti il proprio cammino verso l’interno della stanza.

Si voltò per un secondo, osservando l’entrata del Santuario come un pellegrino che per la prima volta giunge nel suo tanto agognato luogo di culto, per poi scoprire che non sono rimaste che le spoglie del posto ameno che tanto si aspettava di trovare, per la cui ricerca aveva sacrificato una grossa fetta della propria esistenza.

L’immensa navata appariva tremendamente vacua ai suoi occhi, nonostante i colossali pilastri in marmo che svettavano fino in cima al soffitto come torri di un antico castello, mentre il suono del vento mischiato al silenzio religioso di quel luogo sacro e al leggero tintinnio metallico delle pietre spirituali si faceva assordante per le sue lunghe orecchie abituate ad avvertire qualsiasi rumore al doppio della sua effettiva intensità.

L’ombra delle colonne baciava tetramente le mattonelle chiare, laddove i fasci di luce non riuscivano a far giungere i propri bagliori. Anche là dentro, in quell’edificio consacrato alle divinità, luce ed ombra si scontravano tra loro con giochi di raggi e penombre, creando una dicotomia iridescente: l’una non può esistere senza l’altra.

Il suo obbiettivo era distruggere l’oscurità per far spazio alla vita, ma se davvero luce ed ombra erano inscindibili nel loro legame, sconfiggere il suo più grande nemico sarebbe bastato? Se fosse riuscito realmente ad uccidere Ganondorf, macchiandosi le mani anche del suo di sangue, Hyrule sarebbe rimasta davvero al sicuro per sempre? Il suo operato sarebbe valso la morte di tutti quegli innocenti?

L’essere il Prescelto sarebbe valso il sacrificio di una vita mai vissuta?

 

Il picchiettio degli stivali rimbombò nella quiete.

Improvvisamente il buio lo avvolse, accogliendolo in un gelido abbraccio.
Link si sentì spaventosamente insignificante di fronte alla solennità di quel vano.
Il piedistallo della Spada Suprema spiccava al centro della scalinata, stavolta un’unica invetriata permetteva al Sole di far pervenire i suoi raggi all’interno, facendo sì di illuminare soltanto una precisa porzione della stanza.
Link sentì riecheggiare nelle orecchie il suono solenne di un canto antico, le cui parole solfeggiavano le note della Canzone del Tempo.
Si strinse forte la tasca dove conservava l’ocarina della famiglia reale.

Lentamente, egli avanzò verso lo scaleo, immobilizzandosi improvvisamente davanti ad esso prima ancora di riuscire a salirlo. Lo sguardo fisso nel punto dal quale aveva estratto la spada.

Altre gocce rosse precipitarono al suolo, formando piccole chiazze colorate in mezzo ai cerchi di luce bianca proiettati dalla finestra.

Un pensiero doloroso e amaro gli strinse il cuore in una morsa.
Non aveva più forze.

Navi gli svolazzò davanti.

“Link? Che succede…?” la fatina brillava ancora di più in mezzo al buio della stanza.

L’Hylian non rispose, mentre dei lievi tremori iniziarono a scuotergli il corpo.
Preoccupata, la sua fedele compagna gli si avvicinò, controllando se per caso la sua reazione fosse dovuta alla riapertura di qualche vecchia ferita. Non le sembrò così.
Vacillante, Link salì il primo gradino. Si fermò ancora.

“Navi…” pronunciò il suo nome in un sussurro.

Lei lo guardò attenta.

“Quante altre persone…”

Silenzio.

“Quante altre perdite… dovrò subire, prima che quest’incubo finisca?”

Per un attimo, a entrambi sembrò che la canzone si fosse fermata. Non era così.


 

Navi sgranò gli occhi, scossa dalla domanda improvvisa. Di nuovo, la lucina che la circondava e che forte gli illuminava il viso di un leggero azzurro si affievolì, mentre malinconicamente osservava lo sguardo spento dell’amico, turbato da chissà quali vecchie memorie.

Avrebbe voluto rispondergli che non avrebbe più perso nessuno.

Avrebbe tanto voluto rassicurarlo dicendogli che non sarebbe più morto nessuno di coloro che amava.
Ma sarebbe stata una bugia.

“Non lo so...” disse solo, lasciando che una scia di polvere blu si dissolvesse quieta nell’aria.

Link continuava a fissare il piedistallo, in piedi, come se neanche avesse udito la risposta.

“A cosa pensi…?” gli domandò lei, desiderosa di farlo aprire almeno un po’ riguardo ai suoi sentimenti. Tutto quello che si teneva dentro prima o poi sarebbe esploso, travolgendolo, e Navi non poteva sopportare che ciò sarebbe successo. Non era giusto.

L’Hylian guardò di lato, con gli occhi lucidi. Si sentì terribilmente in difetto.

“Questo è il posto in cui…” lasciò la frase a metà, sfiorandosi il braccio.

Nel basamento in marmo spiccavano i simboli dei sei medaglioni che dopo tanti sforzi era riuscito a raccogliere. Ognuno di essi apparteneva ad un saggio.

Foresta, Fuoco, Acqua, Spirito, Ombra e Luce.

Davanti a lui, quello dell’Ombra. Ironico.

La fatina che l’aveva accompagnato sin dall’inizio del suo viaggio gli sfarfallò intorno, invitandolo a continuare.
Lui accolse a fatica quell’implicita richiesta.

“In cui... l’ho visto per la prima volta” salì un altro gradino. Navi notò che il suo tono di voce era più basso del normale. Probabilmente si vergognava di quello che stava dicendo.

“Di chi parli??” chiese.

“Sheik.” pronunciò quel nome come se fosse polvere, gli occhi velati di mestizia.

Navi non capiva, ma le venne alla mente il giorno in cui colui che si diceva essere l’ultimo degli Sheikah era comparso dietro Link, proprio dopo che egli era stato tramutato in un adulto nel Sacro Reame. Spaventato, l’Eroe del Tempo aveva estratto spada e scudo, ma poi Sheik si era rivelato un prezioso alleato, e da quel momento li aveva aiutati in ogni frangente. Senza di lui recuperare quei medaglioni sarebbe stato impossibile.

Aveva anche insegnato a Link la maggior parte delle melodie da lui conosciute: Navi sapeva quanto all’eroe piacesse suonare, tanto che le aveva persino confessato che non gli sarebbe affatto dispiaciuto creare qualche nuova melodia insieme a lui, una volta sconfitto Ganondorf.

Navi lo guardò curiosa.

“Pensavi a Sheik poco fa?”

Link annuì, sfiorandosi nuovamente il braccio. Il suono soave della sua arpa gli riecheggiò in testa.

Un’altra fitta gli strinse il petto.

“Non ce la faccio più a perdere tutti quelli che amo Navi… non ce la faccio…” un singhiozzo interruppe quel confuso flusso di pensieri che aveva incominciato ad esprimere, portandolo a nascondersi il viso dalla vergogna.

Navi si sorprese per la seconda volta quel giorno: sentire Link sul punto di scoppiare a piangere le spezzava il cuore.

Non si era quasi mai fatto travolgere delle proprie emozioni, neanche nei momenti più duri, e nonostante sapesse quanto fosse grande la sua sofferenza o quanto gravoso fosse il suo compito, lei l’aveva visto lasciarsi andare alle lacrime pochissime volte, in ognuna di quelle non aveva mai saputo come consolarlo al meglio.

“Link!” gli si posò sulla spalla.

“L’Albero Deku, i miei genitori… i miei amici, Skull Kid, Volvagia, la mia terra, la mia casa, tutti gli abitanti ed i soldati, i bambini… e adesso anche lui…

Il ricordo di tutti loro lo travolse. La morte di colui che considerava un padre, la consapevolezza della perdita dei propri veri genitori, l’abbandono dei suoi amici, del suo corpo, della propria famiglia, gli occhi pieni d’odio dello spiritello della Foresta che lo disprezzava perché ora era un adulto, l’uccisione per mano sua del piccolo draghetto al quale aveva salvato la vita quando era piccolo, Hyrule nelle fauci dell’oscurità.

Faceva troppo male.

Navi lo ascoltava attenta, sperando di poter assorbire un po’ di quel dolore per alleggerirlo del suo.

“Lui? Intendi… Sheik?” gli chiese confusa, non comprendendo bene cosa c’entrasse.

Link annuì leggermente, ben consapevole dei dubbi dell’amica, sentendosi ancora più stupido.

“Ma… è ancora qui con noi! Lui è…”

“...Zelda.” la interruppe, finendo la frase per lei.

“La principessa Zelda” si corresse subito, in colpa per il tono confidenziale che si era lasciato sfuggire.

Chinò piano il capo.

“Lo so.”

La rivelazione della reale era stata scioccante per lui: mai si sarebbe aspettato che quel ragazzo misterioso e scostante che lo aveva più e più volte aiutato fosse in realtà la principessa che tutti, compreso Ganondorf, ritenevano essere sparita nel nulla.
Il fatto che l’avesse ingannato per tutto quel tempo, nascondendosi persino a lui dopo tutto quello che aveva fatto per aiutarla, lo feriva profondamente.

“Penserai che sono impazzito…” guardò in basso, torturandosi il labbro con i denti per trattenere le lacrime.

Navi capì che Link si stava chiudendo. Che ancora avrebbe lasciato perdere il discorso sopprimendo le proprie emozioni. Ma lei non era lì per giudicarlo, qualsiasi cosa avrebbe detto.

“Per niente! Spiegati meglio” la voce gli giunse squillante.
Credeva che sentendola allegra, nonostante fosse preoccupata da morire, un po’ di buonumore potesse tirarlo su di morale.

L’Hylian si sedette piano a terra, proprio sul simbolo del medaglione dell’ombra, come se la sola forza delle gambe non bastasse più a reggerlo in piedi.
Da lì riuscì a vedere la scia di gocce di sangue che aveva lasciato camminando. Si sentì in colpa per aver contaminato così il santuario.

“Lui mi manca…” confessò a fatica.

Sheik era stato l’unico, escludendo Navi, su cui avesse sempre potuto contare. Lo aveva sempre visto come un’ancora di salvezza, come l’unica spalla su cui potesse appoggiarsi per rendere il proprio incarico meno gravoso.
Da quando l’aveva conosciuto si era sentito più leggero, meno solo.

“Mi fidavo di lui, gli avrei affidato la vita.” ripensò al loro incontro, guardando dritto davanti a sé.
La Canzone del Tempo risuonava ovattata nella sala.

“Sheik mi faceva sentire... protetto.”

“Prima di conoscerlo ho sempre sentito io il dovere di proteggere gli altri, ma…”

Eppure, se ci pensava bene, era tutto così ovvio. Il volto sempre coperto, il corpo esile e molto più delicato del suo nonostante la grande agilità, e infine il simbolo della Triforza sulla mano.
La verità era sempre stata davanti ai suoi occhi e lui, cieco, non l’aveva mai notata. O forse non l’aveva mai voluta vedere.

“Ma lui invece proteggeva me.”

“Mi guardava le spalle. Mi aiutava quando ero perso e non sapevo più cosa fare” il ricordo di quando si era preso un colpo al suo posto lo fece sorridere amaramente. Con la mente si sentì di nuovo lì con lui, in mezzo al deserto, quando ancora la speranza di poter vincere e salvare Hyrule non era così remota per il suo cuore.

“Era l’unico col quale mi sentissi a mio agio a parlare dei miei sentimenti…”

Navi ripensò a quanto si fosse scioccamente ingelosita la volta in cui Link aveva parlato a Sheik dei propri genitori e dei sette anni persi della sua vita: con lei non si lasciava andare facilmente a certe confidenze e le era parso strano che ne parlasse tanto apertamente con uno sconosciuto tanto misterioso. Ma ora riusciva a comprenderne meglio il motivo.

“Chissà cosa deve aver pensato di me in quel momento… sono stato uno sciocco” affermò, stringendo piano i pugni dalla frustrazione.

Navi aveva notato come Link avesse continuato ad usare i pronomi maschili per riferirsi a Sheik, nonostante adesso fosse a conoscenza della sua vera identità. Decise di farlo anche lei, per rispettare i suoi sentimenti.

“Non credevo tenessi tanto a lui…” sussurrò.

Link annuì a fatica, quasi fosse colpevole di un reato.
Nemmeno lui si era reso conto di quanto gli fosse affezionato, almeno non prima di scoprire che non l’avrebbe più rivisto.

“Mi aveva raccontato del suo passato e… credevo provasse rancore verso la famiglia reale che aveva abbandonato il suo popolo a se stesso.”

“Sembrava sofferente… come me...”

I barbagli luminosi provenienti dalla finestra si infransero sullo scudo Hylia, facendolo luccicare. La spada era lontana pochi centimetri da dove aveva dormito sopita per anni, in attesa che un eroe la estraesse e combattesse per distruggere il male. Lei era rimasta la stessa, ma colui che la brandiva no.

Il dolore cambia.

Il dolore unisce.

Quando due anime ferite si ritrovano, possono guarirsi a vicenda.

 

“Sentivo che eravamo alla pari” le confidò.

Sin da quando era nato, i suoi compagni Kokiri l’avevano trattato come un estraneo, come se fosse inferiore perché era diverso dagli altri. Dopodiché per chiunque altro non era stato che l’Eroe del Tempo, il Prescelto, il Salvatore, un soldato a cui dare ordini senza neanche aspettarsi un diniego.

Lo Sheikah invece non aveva mai avuto bisogno di essere salvato da lui. Egli non gli aveva mai ordinato né chiesto niente.

“Quando ho scoperto che in realtà Sheik era…” una morse gli strinse il petto.

Esitò.

“Io e la principessa Zelda non siamo e non saremo mai alla pari, capisci? Io sono solo un servitore per lei, e per me lei è la principessa di Hyrule. Le sono affezionato, ma… non ci lega niente se non il mio incarico.”

“Con lui invece…” sospirò, lasciando la frase a metà.

“Ma era tutto finto…” concluse addolorato, portandosi una mano al petto. Si strinse la tunica con veemenza, quasi a voler controllare il dolore.

Navi notò con rammarico che una piccola lacrima gli stava bagnando la guancia.

In quel momento realizzò come la rivelazione di Zelda dovesse averlo ferito: per una volta aveva trovato qualcuno su cui contare, qualcuno a cui importasse davvero di lui a prescindere del suo dovere di eroe.
Ma tutto si era rivelato essere una menzogna.
Eppure, Navi non leggeva alcuna rabbia nelle sue parole per essere stato ingannato: tutto quello che avvertiva era solo una profonda tristezza.

Doveva mancargli molto.

“Link, lui… Sheik” per un attimo il silenzio invase la stanza.

“Ti piaceva…?” chiese infine, svolazzandogli lentamente intorno.
 

L’Hylian rimase come paralizzato.
La guardò con gli occhi sgranati, aprendo e poi richiudendo subito le labbra in mancanza delle parole con cui rispondere.
Non disse niente, stringendosi il petto con più forza, lo sguardo basso verso i propri stivali in cuoio.
Ripensò alla dolce melodia dell’arpa di Sheik, e lentamente afferrò l’ocarina che riposava calma nella sua tasca.

Coprì con cura i fori dello strumento con le dita cicatrizzate, e suonò.

La melodia del Notturno delle Ombre rimbombò nella stanza vuota. Link non sbagliò neanche una nota, ma quel brano- l’ultimo che lui gli aveva insegnato- era fatto per essere suonato da due strumenti, e la mancanza dell’accompagnamento d’arpa si sentì molto.

Navi capì che quello era il suo modo di rispondere alla sua domanda. Si sentì terribilmente stupida per non aver mai percepito i sentimenti dell’amico.
Eppure, lei gli era stata vicina in ogni occasione. Sapeva a memoria la descrizione e le debolezze di ogni singolo mostro di Hyrule, ma non riusciva a decifrare le emozioni del suo compagno, né a consolarlo.
Aveva notato il suo sguardo spaesato durante la rivelazione di Zelda, tuttavia non vi aveva letto che stupore.

Adesso che lo ascoltava suonare con così tanta devozione invece, i suoi sentimenti erano più che lampanti ai suoi occhi.
L’amore che trasudava da quelle note era vero e puro, malgrado venisse suonato per qualcuno di inesistente.

Navi ascoltò tristemente lo sfogo di Link, il quale suonò fino a non avere più fiato nei polmoni. Suonò a lungo, nonostante il braccio gli dolesse, nonostante la mano ormai livida per il pugno di poco prima.

Suonò ad occhi chiusi, immaginandosi dei profondi occhi rossi incorniciati da una corona di biondo e da consunte bende, vagheggiando il grande occhio degli Sheikah, ornato da quella lacrima che urlava a gran voce la sorte ingiusta del loro popolo.


 

Il silenzio uccise di nuovo l’udito di entrambi.

Flebili note riecheggiavano ancora contro le pareti dell’antro.

Nessuno dei due disse niente per un po’.

Poi delle lacrime iniziarono a bagnare copiose le guance dell’Hylian.

Piccole gocce rotonde si infransero contro lo strumento di ceramica blu cobalto che Link stringeva forte al livello del cuore. Dei singhiozzi strozzati, seguiti a tremiti repressi in precedenza lo scossero, mentre vecchie memorie emergevano in lui.

Si sfiorò l’orecchino, ripensando a Impa.

Ora sei un adulto, gli aveva detto mentre gli bucava l’orecchio.

Lui non si sentiva tale.

Per un attimo si domandò se fosse giusto che tutte quelle responsabilità ricadessero solo su di lui. Soppresse in colpa quel tipo di pensiero, asciugandosi gli occhi che tuttavia non riuscivano a smettere di piangere.
Mentre Navi cercava le parole giuste con cui confortarlo, la sua voce impastata di pianto le giunse disperata con la domanda fatta in precedenza:

“Quante altre perdite dovrò subire ancora…?”

Quelle parole riecheggiarono assordanti come il silenzio che dilagava in mezzo al borgo tra i corpi cadaverici dei ReDead.

 

Navi capì che Link non si riferiva più solo a Sheik.
Era stato privato di ogni cosa, e ormai il lutto che portava nel cuore lo stava divorando dentro come una pianta velenosa.
La fatina non poteva riportare indietro i morti, restituirgli gli anni perduti, il suo vero aspetto, o la persona di cui si era innamorato.

Però, una cosa per lui poteva farla.

“Hey, ascolta Link!” esordì all’improvviso, rompendo il silenzio.

Notò che l’amica aveva iniziato a svolazzargli intorno con enfasi, disseminando nell’aria una luccicante scia di polvere blu.

“Ti prometto…” con gli occhi, Link seguì il tragitto di Navi fino al soffitto, ritrovandosi con lo sguardo puntato verso l’imponente vetrata che decorava la stanza.
In controluce notò danzare in aria delle piccole nuvolette di pulviscolo: da quell’angolazione sembravano proprio simili ai frammenti fatati di Navi.

Le ali della fatina vennero inondate di luce. Per un momento ne rimase quasi accecato.

“Ti prometto che io non ti lascerò mai solo Link.”

“Non importa cosa succederà… rimarrò per sempre al tuo fianco!” esclamò decisa, brillando di luce blu.

Non poteva rispondere alla sua domanda, non sapeva dirgli quante altre perdite avrebbe dovuto sopportare prima di sconfiggere il Re del Male, ma aveva deciso che fin quando fosse rimasto in vita, non avrebbe mai perso lei.

Link sgranò poco gli occhi alle sue parole. Il cuore gli si riempì di riconoscenza.

Nuove lacrime si fecero spazio sulle sue guance, ma stavolta, più che per il dolore, per la gratitudine.
Navi era stata veramente l’unica a non averlo mai abbandonato: si erano conosciuti nella Foresta grazie all’Albero Deku, e da allora erano rimasti sempre insieme.

Sarebbe morto, se non fosse stato per lei.

Si sarebbe lasciato morire, se non ci fosse stata lei.

Avrebbero ritrovato le sue ossa putrefatte fra le acque del fiume, in mezzo al deserto, o le sue ceneri sul fondo del vulcano, se quel piccolo angelo chiacchierone non fosse stato mandato in suo aiuto.

Sorrise amaramente.

Era la sua migliore amica. Insieme ad Epona.

Non avrebbe mai permesso a nessuno di far loro del male.

 

“Ti voglio bene…” aggiunse lei, tornandogli vicino.

La luce del Sole si era fatta più fioca, rendendo l’atmosfera della stanza ancora più tenue.

“Anch’io…” sorrise. Navi non si lasciava quasi mai andare a commenti del genere.

Aprì piano le braccia, quasi come se davanti a lui si fosse trovata una persona in carne ed ossa.
Nonostante la differenza di stazza, se qualcun altro si fosse trovato lì avrebbe giurato di esser stato testimone di un premuroso abbraccio tra due anime che si erano completate a vicenda dal loro primo incontro.

 

È un qualcosa che cresce col tempo… una vera amicizia. Essa sboccerà presto in un potere virtuoso e attraverso di essa, saprai quale strada prendere…

 

Solo adesso comprendeva a pieno le parole di Sheik.

Fece un mezzo sorriso. Aveva ragione.

In sottofondo, canti religiosi sacrificavano al Tempo la loro voce.

 



 

 

Link salì gli ultimi gradini che lo dividevano dal piedistallo.

Delle ginocchia pallide, fasciate da bianca seta lacerata su più punti, si prostrarono verso il Sole.

Il capo chino, la mano chiusa a pugno sul cuore.

Ad occhi chiusi, la melodia sacra lo cullò come una nenia antica. Il simbolo marmoreo della Triforza trovò un gemello nella sua mano sinistra.

L’ultimo raggio di Luce lo baciò in capo teneramente, fondendosi col biondo pallido della sua chioma.

Link si inchinò, e la sua voce si unì al Sacro Canto, simile ad una preghiera, invocante la salvezza.

Link pregò.

E sacrificò Corpo e Cuore al suo cielo.

Pregò come un pellegrino devoto che, scoprendo che del suo tanto agognato luogo di culto non sono rimaste che grige macerie, vi si accampa e giorno dopo giorno, pietra dopo pietra, lo ricostruisce da capo, con la pazienza di chi sa che la sua fatica sarà valsa il sollievo di coloro che, dopo di lui, vi giungeranno stanchi.

Navi lo ascoltò in silenzio, mentre la sua rimaneva l’unica luce ad illuminare la stanza                                                                                                                                                                                                                                              

                                                         la
                                                                           fa                                                                                                                                                                        

                                                            re                                    la
                                                                                                       do
                                                                                                          si                                                                                                                               
                                                                                           sol    
                                                                                                                                                                                                                                                                                  fa                                                                                                                                                                                                                                                             sol                                                                                                                                                                                                                                            la               
                                                                                                                                                          re  
 
                                                                                                                                                                                     do
                                                                                                                                                                                  mi
                                                                                                                                                                                              re                                                          

 

 

 

 

 

 

Oh Dee… il mio amore verso di voi è Infinito
 

come l’Amore che per la Luna ha il Sole

 

 

Dee, vi prego, siate con me
 

fin quando la Salvezza sconfiggerà la Morte

 

 

Sacre Dee che deste respiro al Mondo,
 

ho peccato.

 

 

Invoco il vostro Perdono

 

 

e vi chiedo, oh Dee,
 

in nome del mio Amore,

 

 

vi prego, oh mie Dee,
 

in nome della mia Fede,

 

 

 

siate con me
 

finché la Luce spazzerà via le Tenebre .

 

 

Dopodiché,
 

fate di me quel che vorrete.

 

 

Pur fosse la Morte,
 

l’abbraccerò devoto.

 

 

 

 

 

 

 

 












 

 

 

 

Note dell’autrice

Piccola spiegazione per chi non avesse mai letto il manga:

[1] da piccolo, Link salva Volvagia (il boss del Tempio del Fuoco) dal mercato, spendendo tutti i suoi soldi per averla e poi liberarla: il draghetto gli si affeziona tanto che impara persino a dire il suo nome.
Da adulto invece scopre che Volvagia è stata plagiata da Ganondorf ed è costretto ad ucciderla, cosa che gli procura immenso dolore. In punto di morte, il drago sussurra il nome di Link.

[2] Nel manga Link si fa fare l’orecchino da Impa, la quale afferma che tra gli Sheikah è un rito importante che segna la maggiore età.

[3] Sempre nel manga, Sheik spiega a Link che il simbolo degli Sheikah (quello della lente della verità per intenderci) era inizialmente composto solo dall’occhio, quando la tribù degli Sheikah serviva la famiglia reale: tuttavia, quando i reali li tradirono, abbandonandoli, loro aggiunsero una lacrima all’occhio, come simbolo del proprio dolore.

[4] Link, nel deserto, si sfoga con Sheik, spiegandole come si fosse sentito scoprendo di essere un Hylian invece che un Kokiri, e confessandole quanto gli manchino i sette anni persi della sua vita.

[5] Le note finali sono quelle della Song of Time, che è anche il canto religioso che risuona nella stanza durante quasi tutta la fic. Questa scelta richiama il sottofondo musicale che riecheggia all’interno del Santuario del Tempo nel videogioco, se avete voglia entrateci e ammirate anche i bei giochi luce/ombra delle due sale, mi hanno ispirata molto!

LostRequiem

 

   
 
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